L’era post-Castro

Arleen Rodríguez Derivet www.cubadebate.cu

Fidel rideva molto dei piani dei suoi nemici “per l’era post-Castro”. Un giorno disse che mentre loro parlavano di quel momento, lui lavorava per quel momento.

E li ha battuti di nuovo. Appena una settimana prima del suo 96° compleanno, e dopo più di cinque anni dalla sua mancanza, il suo nome è tornato a innalzarsi come il monumento che espressamente ha proibito che gli si realizzasse.

Cubani di tutte le età che sono usciti a combattere una catastrofe accidentale senza pensare ai rischi, portavano il suo nome sulle labbra e lo citavano come se fosse presente.

Lo si è voluto incolpare per tutto ciò che ci manca (tecnologia, forniture, merce, lusso…), cioè cose, tante, infinite cose, che per il tanto mancarci quasi ci uccidono. Ma il suo nome non suona allora bensì quando si parla di tutto ciò che ci trasmette (salute, educazione, cultura, scienza, coscienza, coraggio, unità), che è quasi tutto ciò che ci salva.

Legati dalla malata ossessione di uccidere e sconfiggere un nemico, che non riescono nemmeno dopo la sua morte, -e morto quando lui ha voluto e non quando loro hanno voluto-, i creatori di quel lapidario disegno per un’era, a loro insaputa, hanno anche innalzato monumenti alla memoria di Fidel, costantemente.

Lo fanno ogni volta che parlano del regime Castro-Canel, come se non potessero dire Cuba senza liberarsi del cognome dei due fratelli che sconfissero la leggenda biblica di Abele e Caino, fino a convertirsi in simbolo del suo rovescio.

O come se riconoscessero lo spirito dei Castro in tutto ciò che la nuova dirigenza del Paese fa con più passione che risorse, quasi miracolosamente.

Oh, i nostri avversari dall’esterno, ignoranti e prepotenti, un mix fatale che non li fa vedere. Oh, i nostri avversari dall’interno, ignoranti e sottomessi, un mix ridicolo che non li lascia stare.

La cosa migliore dell’era post-Castro è che porta molti cognomi e un’enorme diversità di geni. Bianchi, mulatti e neri, donne e uomini, giovani e vecchi. Professionisti, operai, intellettuali, artisti, atleti, contadini, uomini d’affari, lavoratori autonomi, investitori stranieri e persino emigrati! di tutte le età.

Fidel era anche solito dire che la politica era una partita a scacchi da 500 pezzi. Non ho dubbi che la sua mossa più brillante sia stata quella di impiantare l’unità come destino ineluttabile nell’ “era post-Castro”. Scacco matto.


La era pos-Castro

Por: Arleen Rodríguez Derivet

Fidel se reía mucho de los planes de sus enemigos “para la era pos-Castro”. Un día dijo que mientras ellos hablaban de ese momento, él trabajaba para ese momento.

Y vaya si les ganó de nuevo. Apenas una semana antes de cumplir los 96 años de nacido, y cuando ya lleva más de un lustro ausente, su nombre volvió a levantarse como el monumento que expresamente prohibió que se le hiciera.

Cubanos de todas las edades que salieron a batirse con una catástrofe accidental sin pensar en los riesgos, llevaban su nombre en los labios y lo citaban como si estuviera de cuerpo presente.

Se le ha querido culpar de todo lo que nos falta (tecnología, insumos, mercadería, lujo…), es decir, cosas, muchas, infinitas cosas, que de tanto faltarnos casi nos matan. Pero su nombre no suena entonces sino cuando se habla de todo lo que nos lega (salud, educación, cultura, ciencia, conciencia, coraje, unidad), que es casi todo lo que nos salva.

Atrapados en la enfermiza obsesión de matar y vencer a un enemigo con el que no pueden ni después de muerto –y muerto cuando él quiso y no cuando ellos quisieron–, los creadores de aquel lapidario designio para una era, sin ellos saberlo, también levantan monumentos a la memoria de Fidel, constantemente.

Lo hacen cada vez que hablan del régimen Castro-Canel, como si no pudieran decir Cuba sin zafarse del apellido de los dos hermanos que derrotaron la leyenda bíblica de Abel y Caín, hasta convertirse en símbolo de su reverso.

O como si reconocieran el espíritu de los Castro en todo lo que el nuevo liderazgo del país hace con más pasión que recursos, casi milagrosamente.

Ay, nuestros adversarios de afuera, ignorantes y prepotentes, fatal mezcla que no los deja ver. Ay, nuestros adversarios de adentro, ignorantes y sometidos, ridícula mezcla que no los deja ser.

Lo mejor de la era pos-Castro es que lleva muchos apellidos y una diversidad tremenda de genes. Blancos, mulatos y negros, mujeres y hombres, jóvenes y viejos. Profesionales, obreros, intelectuales, artistas, deportistas, campesinos, empresarios, cuentapropistas, inversionistas extranjeros y hasta ¡emigrados! de todas las épocas.

Fidel solía decir también que la política era un juego de ajedrez de 500 piezas. No tengo la menor duda de que su jugada más brillante fue plantar la unidad como destino ineluctable en “la era pos-Castro”. Jaque Mate.

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