Manuale di istruzioni per indurre un magnicidio

Robert Montoya | Cubadebate

Questa volta è fallito ma poteva non fallire. Solo il nervosismo o l’imperizia nel maneggio di armi da fuoco possono spiegare perché Fernando Andrés Sabag, l’uomo che ha cercato di uccidere, con la sua pistola a pochi centimetri di distanza, la vicepresidentessa Cristina Fernández de Kirchner fallendo, due volte, nel premere il grilletto della sua pistola.

Non gli si è inceppata, bensì non è riuscito a mettere un proiettile nel caricatore, senza il quale la pistola non funziona benché si prema il grilletto, a differenza di un revolver.

Tale errore così elementare e gli antecedenti personali del mancato assassino, violenza di genere, maltrattamento di animali, tatuaggi con simbologia neonazista, estremamente critico nei confronti dei sussidi e aiuti sociali governativi ai più svantaggiati e il suo desiderio di protagonismo, confermerebbero che non si tratta di un sicario; che non ha agito su incarico.

Tuttavia, questo stesso profilo dimostrerebbe anche che intendeva convertirsi in un eroe per tutti coloro che, da tempo, portano avanti un’implacabile e sempre più violenta campagna di odio contro la vicepresidentessa e tutto ciò che lei rappresenta.

Con l’avvicinarsi di una nuova campagna elettorale – l’Argentina tiene le elezioni presidenziali nel 2023 – la tensione politica aumenta e la violenza è nell’aria.

Sabag ha agito come un tipico lupo solitario, come Hadi Matar, l’uomo che, recentemente, ha pugnalato al collo lo scrittore Salman Rushdie, o come tanti altri che, seguendo dalle reti sociali le istruzioni lanciate da gruppi terroristici, come lo Stato Islamico, hanno commesso gravi crimini in numerosi paesi negli ultimi anni.

Dopo il frustrato magnicidio, c’è stato chi sulle reti sociali si è lamentato che Sabag fosse inesperto e che non avesse ucciso la vicepresidentessa avendo avuto la canna della sua pistola a pochi centimetri dal suo viso.

La maggior parte di coloro che la odiano non giungono a tanto e optano per descriverlo come “pazzo in libertà”.

Ma Sabag non è “un pazzo in libertà” come lo qualifica, interessatamente’, l’opposizione di destra argentina e le sue potenti braccia mediatiche per prendere le distanze da lui e auto scagionarsi.

L’odio estremo che quest’uomo ha mostrato nel tentare di uccidere la vicepresidentessa solo si spiega con la tensione esistente e con la campagna di odio, sempre più diretta e brutale, che, da anni, si è lanciata contro Cristina Fernández de Kirchner e la cui punta di diamante è rappresentata, attualmente, da ciò che lei stessa ha battezzato come il “partito giudiziario”.

Il settore più reazionario della magistratura argentina si è lanciato al massacro contro la vicepresidentessa, vogliono la sua testa a qualunque costo.

Luciani e Mola, i due pubblici ministeri che portano avanti la causa Vialidad contro di lei e alcuni suoi collaboratori per presunti casi di corruzione commessi quindici anni fa in opere pubbliche, rendono, giorno dopo giorno, dichiarazioni sempre più aggressive, presentando la vicepresidentessa come protagonista del “maggior caso di corruzione nella storia argentina”. Accusano anche il suo defunto marito, anch’egli ex presidente, Néstor Kirchner, di essere stato partecipe al “più grande saccheggio delle scarse risorse dello Stato”.

Questo dice molto in un paese in cui la corruzione (il suborno) è un flagello che, purtroppo, impregna ambiti molto ampi e variegati della società.

Molti cittadini, rassegnati a questo problema endemico, sperano che il governante di turno, benché rubi, non superi determinati limiti, e che almeno gestisca bene ed equamente le risorse pubbliche, che distribuisca meglio la ricchezza.

Né il macrismo né il kirchnerismo hanno mai portato a termine un mandato liberi dal sospetto di gravi casi di corruzione ed entrambi li hanno usati e continuano ad usarli come armi da lancio. (Qualsiasi somiglianza con lo stato spagnolo è pura casualità).

Cristina Fernández è stata prosciolta nella maggior parte delle decine di altre cause nelle quali, in passato, è stata coinvolta e che, all’epoca, anche sono state presentate come “gravissime” ma ne ha ancora alcune aperte.

Tale impossibilità di lasciarla fuori dalla scena politica per via giudiziaria e la più che probabile presentazione di Cristina Fernández come candidata alla presidenza alle elezioni del 2023 ha reso l’opposizione più dura, guidata dall’ex presidente Mauricio Macri (Insieme per il Cambio) e il grottesco di estrema destra Javier Milei (La Libertà Avanza), sostenuti da aggressivi media, hanno intensificato la loro campagna contro di lei. Pretendono metterla fuori gioco ad ogni costo.

Il logorio sofferto dal governo di Alberto Fernández, dal 2019, per la sua gestione della crisi economica ereditata da Mauricio Macri – questi ha indebitato il Paese con un prestito di 44 miliardi di dollari del FMI – e per le sue politiche di aggiustamento e concessioni ai poteri di fatto, sommato alle forti divergenze con la vicepresidentessa, hanno incoraggiato la destra a dare la stoccata finale.

La vicepresidentessa conserva una  grande popolarità e capacità di convocazione dopo i suoi due mandati presidenziali (2007-2015) e per la posizione critica –da sinistra– che mantiene dentro al governo di Alberto Fernández.

I settori più radicali della destra ed i loro alleati giudiziari, mediatici ed imprenditoriali hanno concentrato i loro attacchi contro di lei, coscienti che solo una possibile candidatura di Cristina Fernández possa evitare, dentro un anno, il ritorno al potere della destra.

La polarizzazione sociale è sempre maggiore e anche dal kirchnerismo il discorso è sempre più duro.

Seguendo una strategia di giudiziarizzazione della politica, simile a quella già utilizzata dalla destra in Brasile per rimuovere dal potere sia Lula da Silva che Dilma Roussef; in Bolivia Evo Morales; in Ecuador Rafael Correa; in Honduras  Manuel Zelaya; in Paraguay  Fernando Lugo, e utilizzata in tanti altri casi, la destra argentina ha deciso di inasprire il suo lawfare a tal punto che il clima è diventato irrespirabile.

Non è necessario essere un fan kirchnerista né avallare tutta la sua gestione durante i suoi due mandati, neppure dar per scontato che se avesse avuto processi veramente equi, Cristina Fernández sarebbe uscita indenne da tutte le cause legali in cui si è vista coinvolta, per capire che la posta in gioco trascende la sua propria persona.

La vicepresidentessa affronta un’inammissibile e antidemocratica politica di vessazioni e demolizioni di grande ampiezza e portata, che dimostra la fragilità del sistema. Ancora una volta in nome della democrazia si attacca la democrazia.

Non tutte le manifestazioni di piazza contro il Governo sono promosse dalla destra. In molti casi sono guidate da movimenti sociali e cittadini/e critici nei confronti delle sue politiche di aggiustamento e incongruenze ideologiche ma la destra e l’estrema destra sono quelle che conducono la battaglia e promuovono proteste sempre più aggressive in un chiaro atteggiamento golpista.

Durante le loro manifestazioni si vedono spesso striscioni che chiedono la forca per la vicepresidentessa; davanti alla Casa Rosada sono esposte le tipiche borse mortuarie in plastica nera con imbottitura; si lanciano pietre contro le finestre del suo ufficio.

Deputati del blocco macrista, come Francisco Sánchez, chiedono apertamente la pena di morte per il vicepresidentessa per “tradimento della Patria”; e le reti sociali e numerosi  esaltati presentatori di talk show radiofonici e televisivi pronunciano offensivi insulti personali e gravi minacce.

E’ il demone contro cui tutto vale, ed essendo per di più donna, la chiamano “la yegua – la cavalla”, la si disumanizza, è la strega da bruciare sul rogo. (Qualsiasi somiglianza con la vessazione a Pablo Iglesias e Irene Montero è anche pura casualità).

La Giustizia – per chiamarla in qualche modo – contribuisce non un granello ma una tonnellata di arena per alimentare quel clima, per fornire presunti argomenti legali che giustifichino una tale campagna.

Le irregolarità commesse durante l’attuale processo sono gravi. A Cristina Fernández è stato persino impedito di ampliare la propria dichiarazione per rispondere a nuovi fatti che la Procura ha deciso di incorporare nella sua dichiarazione accusatoria iniziale.

I pm Diego Luciani e Sergio Mola non cessano nei loro sforzi per vedere la presidentessa incarcerata e fuori dalla corsa elettorale nonostante siano gli stessi che hanno promosso alcune delle cause contro di lei da cui è finita per essere prosciolta.

In questa occasione chiedono per lei dodici anni di reclusione e l’interdizione a vita dai pubblici uffici.

Luciani e Mola, come il giudice Gustavo Hornos e altri membri della IV Sezione della Cassazione Penale, non hanno mai avuto remore ad essere visti, in diverse occasioni, in visita alla residenza privata di Mauricio Macri, sia quando era presidente che successivamente anche come capo dell’opposizione.

Benché i numerosi protagonisti di questa campagna di vessazione e demolizione bollino Fernando Sabag come “pazzo in libertà” e cercano di far dimenticare presto l'”incidente” per non ostacolare i loro obiettivi, c’è qualcosa che risulta evidente.

Il piano portato avanti dal fronte politico, mediatico, economico e giudiziario ha seguito e segue meticolosamente gli stessi passi che già in alcuni paesi hanno causato la caduta di governanti, in modo violento o ‘morbido’, ma che, in altri casi, possono ben essere interpretati e assunti, da lupi solitari come Fernando Sabag, come un appello, come un vero Manuale di Istruzioni per Indurre ad un Magnicidio.

(Tratto da Publico)


Cosa sappiamo dell’attentato contro Cristina Fernández in Argentina?

Lo scorso 1 di settembre si è verificato in Argentina un attentato contro la vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner, un evento che ha trovato la ferma condanna degli argentini e leader politici in America Latina e nel mondo.

Con il passare dei giorni, vengono rivelati nuovi dettagli su questo gravissimo atto terroristico. Nelle ultime ore, l’avvocato difensore della vicepresidente, Gregorio Dalbón, ha dichiarato che la sua cliente ha deciso di accusare il suo aggressore e chiederà che il caso venga classificato come tentato femminicidio.

Restano alcune domande.

Chi era l’attentatore? Ha agito da solo o in coordinamento? Cosa lo ha spinto a compiere l’attentato che avrebbe dovuto uccidere Cristina Fernández de Kirchner? Perché l’attacco è fallito?

L’attentatore e i suoi complici

L’uomo che ha tentato di colpire con una pistola la vicepresidente argentina è stato identificato come Fernando André Sabag Montiel.

Sabag Montiel ha 35 anni. È originario del Brasile e vive in Argentina dal 1993. Sul suo braccio è ben visibile un chiaro tatuaggio nazista, così come sulla mano che brandisce la pistola che avrebbe colpito a morte la vicepresidente dell’Argentina se non si fosse inceppata al momento di esplodere i proiettili. Indagando gli investigatori hanno scoperto che in passato era stato tratto in arresto perché trovato in possesso di un coltello. Come riferito in precedenza, ha un tatuaggio nazista sulla mano sinistra, visibile nelle foto che lo ritraggono sui social network. Si tratta della Croce di Ferro, una decorazione dell’esercito tedesco che non è stata più assegnata nel 1945 perché associata a quelle assegnate durante il nazismo.

Questo è il brodo di coltura che ha nutrito Sabag Montiel e quindi armato la sua mano. il gruppo su cui si concentra l’attenzione per il tentato omicidio di CFK non costituisce una grande organizzazione, ma un gruppo marginale, con un’ideologia che mescola ingredienti di ogni tipo: antikirchnerismo, antiperonismo, razzismo, neonazismo.

Sabag ha usato un’arma vecchia di 50 anni, non sapeva come muovere il carrello o era così nervoso da non averlo fatto in maniera corretta e ha usato proiettili prodotti nel 1999. Alcuni riferiscono che si sia persino vantato in alcuni gruppi metal sui social network, anticipando che avrebbe ucciso CFK. Un gruppo più piccolo di odiatori con una logistica apparentemente ridotta, ma non per questo meno pericoloso. E non sono gli unici odiatori armati che circolano in Argentina e in molti altri Paesi, riferisce il quotidiano Pagina|12.

Sabag Montiel non ha agito da solo. Sul luogo dell’attentato, quando mischiato tra la folla che per giorni ha sostato sotto l’abitazione di Cristina Fernández per difenderla da un eventuale arresto ha provato a sparargli, c’era anche una donna. La sua compagna Brenda Uliarte, di 23 anni, anch’essa di ideologia neonazista ma che aveva anche una vita parallela con produzioni porno, alcune leggere e altre più pesanti, comprese scene di violenza.

In alcune foto visionate dal quotidiano argentino Página|12 Brenda Uliarte è in posa con l’arma con cui si è tentato di colpire Cristina Fernández de Kirchner. La brandisce e finge persino di premere il grilletto. Appare in altri scatti a figura intera con la pistola, una Bersa calibro 32, legata alla cintura dei suoi pantaloni neri. Secondo gli investigatori che indagano sul caso queste sono tutte indicazioni che potrebbe esserci stata una pianificazione per l’attentato e stanno ancora cercando di stabilire la possibile partecipazione di altre persone. Inoltre la donna è stata avvistata sul luogo dell’attentato anche nei giorni precedenti e non solo quando Sabag ha provato a uccidere la vicepresidente CFK.

La famiglia della donna sostiene abbia avuto un passato molto difficile, con abusi sessuali da bambina, l’abbandono da parte della madre, la perdita di un bambino, la morte della nonna che l’ha cresciuta. Suo cugino, suo zio e un ex fidanzato, affermano che era silenziosa, che parlava poco. Tutti argomenti che la sua difesa intende utilizzare per dissociarla dal gesto di Sabag. Tuttavia dall’analisi del suo cellulare emerge che quasi dava ordini a Sabag, il quale come ha affermato uno dei suoi amici, era “l’idiota del gruppo”. Il contenuto del dispositivo è attualmente ancora in fase di analisi.

Un altro aspetto che si annuncia fondamentale per fare chiarezza su quanto accaduto sarà la ricostruzione delle dinamiche e del funzionamento del gruppo. Sono oggetto di indagine i legami con organizzazioni radicalizzate e di estrema destra come Revolución Federal, che negli ultimi mesi ha inscenato alcune delle proteste e manifestazioni più aggressive contro funzionari ed esponenti di governo con minacce come “non potranno camminare in pace”, “Cristina in prigione ora”, “basta con il kirchnerismo”.

Il contesto dell’attentato

Da metà agosto, centinaia di argentini si sono radunati giorno e notte all’ingresso della residenza di Cristina Fernández per esprimerle il loro sostegno e la loro solidarietà di fronte all’azione giudiziaria contro di lei. Ennesima azione di lawfare ai danni di un leader progressista latinoamericano. Basti pensare a quanto accaduto a Lula in Brasile o all’ex presidente Correa e al suo vice Glas in Ecuador.

Va dunque evidenziato che il procuratore Diego Luciani, responsabile del caso Vialidad, in cui Cristina Fernández è accusata di corruzione senza prove, ha chiesto una condanna a 12 anni di carcere e la sua proscrizione politica, che le impedirebbe di candidarsi alla presidenza nel 2023.

Solo per citare una delle tante irregolarità di questo processo, il tribunale federale le ha negato il diritto alla difesa. Cristina Fernández ha risposto rivolgendosi alla nazione con un appassionato discorso dove ha dimostrato con argomenti che l’ex presidente Mauricio Macri e i politici a lui vicini si stanno arricchendo con milioni di fondi pubblici e che i giudici del caso Vialidad li stanno proteggendo.

Nei mesi precedenti la stampa mainstream locale ha dato voce a numerose espressioni di odio e violenza contro il peronismo e il kirchnerismo (anche da parte di politici locali) e, in particolare, contro Cristina Fernández, incitando all’offesa e alla demonizzazione nei suoi confronti.

A tal proposito il giornalista Victor Hugo Morales ha evidenziato come i media abbiano “oltrepassato il limite” arrivando perfino a parlare di un “presunto attacco” alla vicepresidente Cristina Kirchner. Per farlo, ha commentato uno scambio televisivo tra un giornalista di un canale di informazione e un manifestante durante le marce in difesa della democrazia di venerdì scorso, in cui il giovane attivista ha puntato il dito contro “i media, parte della magistratura e parte della leadership dell’opposizione”.

“La ragazza (la giornalista) perde perché non c’è difesa etica per quel canale. Possono dire qualsiasi sciocchezza al servizio di questa mafia. Sono loro che hanno creato questa discarica in cui si è trasformato il giornalismo. Hanno messo in testa alla gente una serie di sciocchezze, dicendo che si trattava di una manovra e che non era un attacco. Quando si è capaci di questo, si lavora per una mafia. Siete davanti alla porta di un locale dove il boss mafioso vende droga. E quello che viene venduto è un veleno che viene consumato dalla popolazione. Con molto meno veleno hanno cambiato la testa di coloro che sono insorti in Cile. I media hanno battuto la Costituzione. Hanno fatto votare la gente contro se stessa”, ha denunciato uno dei più importanti giornalisti argentini su AM750.

Il risorgere del neonazismo

Un aspetto inquietante di questa vicenda riguarda il ruolo giocato dai neonazisti e questi gruppi estremisti dove crescono personaggi come Sabag Montiel e Brenda Uliarte. Non è la prima volta in America Latina che vediamo negli ultimi anni gruppi neonazisti in azione contro leader e governi progressisti. I casi più eclatanti li abbiamo avuti in Venezuela e Nicaragua. Al pari di quanto accade in Ucraina dove i paramilitari neonazisti come quelli del Battaglione Azov costituiscono la punta di lancia della manovalanza sul campo dell’attacco occidentale alla Russia.

Se da una parte politica e media liberali agitano lo spauracchio di forze estremiste e sovraniste in procinto di poter andare al governo in vari paesi, dall’altra avviene lo sdoganamento aperto di neofascisti e neonazisti da utilizzare contro governi e leader progressisti e socialisti in America Latina, così come avviene in Ucraina. In questo caso però media e politica liberale tendono a occultare la ripugnante ideologia neonazista che muove queste pedine dell’imperialismo. Così ci ritroviamo estremisti neonazisti che si trasformano per magia in “lettori di Kant” o semplici combattenti per la libertà.

Ma questa è una storia vecchia quanto l’imperialismo occidentale e la conosciamo ormai fin troppo bene.

Fonte


Manual de instrucciones para inducir a un magnicidio

Por: Roberto Montoya

Esta vez fracasó pero pudo no fracasar. Solo el nerviosismo o la impericia en el manejo de armas de fuego pueden explicar que Fernando Andrés Sabag, el hombre que intentó matar con su pistola desde centímetros de distancia a la vicepresidenta Cristina Fernández de Kirchner, fallase al gatillar dos veces su pistola.

No se le encasquilló sino que no había llegado a poner una bala en la recámara, sin lo cual la pistola no funciona aunque se la gatille, a diferencia de un revólver.

Ese error tan elemental y los antecedentes personales del frustrado asesino, violencia de género, maltrato animal, tatuajes con simbología neonazi, extremadamente crítico con los subsidios y ayudas sociales gubernamentales a los más desfavorecidos y sus ansias de protagonismo, confirmarían que no se trata de un sicario, que no actuó por encargo.

Sin embargo, ese mismo perfil mostraría también que pretendía convertirse en un héroe para todos los que desde hace tiempo llevan a cabo una implacable y cada vez más violenta campaña de odio contra la vicepresidenta y todo lo que ella representa.

A medida que se acerca una nueva campaña electoral –Argentina celebra elecciones presidenciales en 2023– la tensión política sube y la violencia se respira en el aire.

Sabag actuó como un típico lobo solitario, como Hadi Matar, el hombre que apuñaló recientemente en el cuello al escritor Salman Rushdie, o  como tantos otros que siguiendo por las redes sociales las instrucciones lanzadas por grupos terroristas como el Estado Islámico han cometido graves crímenes en numerosos países en los últimos años.

Tras el frustrado magnicidio hubo quienes en las redes sociales lamentaron que Sabag fuera un inexperto y que no haya matado a la vicepresidenta habiendo tenido el cañón de su pistola a escasos centímetros de su cara.

La mayoría de los que la odian no llegan a tanto y optan por calificarlo de “loco suelto”.

Pero Sabag no es “un loco suelto” como lo califica interesadamente la oposición derechista argentina y sus poderosos brazos mediáticos para distanciarse de él y autoexculparse.

El odio extremo que demostró este hombre al intentar matar a la vicepresidenta solo se explica por la crispación existente y por la campaña de odio cada vez más directa y brutal que desde hace años se ha lanzado contra Cristina Fernández de Kirchner, y cuya punta de lanza está representada hoy por hoy por el que ella misma bautizó como “partido judicial”.

El sector más reaccionario de la judicatura argentina se ha lanzado a degüello contra la vicepresidenta, quiere su cabeza, cueste lo que cueste.

Luciani y Mola, los dos fiscales que llevan la causa Vialidad contra ella y varios de sus colaboradores por supuestos casos de corrupción cometidos hace quince años en obras públicas, hacen día tras día declaraciones cada vez más agresivas, presentando a la vicepresidenta como protagonista del “caso de corrupción mayor habido en la historia argentina”. Acusan igualmente a su fallecido esposo, el también ex presidente Néstor Kirchner, de haber sido partícipe del “mayor saqueo de los escasos recursos del Estado”.

Es mucho decir en un país donde la coima (el soborno) es una lacra que desgraciadamente impregna ámbitos muy amplios y variados de la sociedad.

Muchos ciudadanos y ciudadanas, resignados con ese problema endémico, esperan que el gobernante de turno, aunque robe, no supere ciertos límites, y que al menos gestione bien y equitativamente los recursos públicos, que distribuya mejor la riqueza.

Ni el macrismo ni el kirchnerismo han terminado nunca un mandato libres de sospecha de graves casos de corrupción y ambos los han utilizado y los siguen utilizando como armas arrojadizas. (Todo parecido con el Estado español es pura casualidad).

Cristina Fernández ha sido exculpada en la mayoría de la decena de otras causas en las que en el pasado ha sido involucrada y que en su momento también fueron presentadas como ‘gravísimas’ , pero aún tiene algunas abiertas.

Esa imposibilidad para dejarla fuera de la escena política por la vía judicial y la más que probable presentación de Cristina Fernández como candidata a la presidencia en las elecciones de 2023 ha hecho que la oposición más dura, liderada por el expresidente Mauricio Macri (Juntos por el Cambio) y el esperpéntico ultraderechista Javier Milei (La Libertad Avanza), apoyados por agresivos medios de comunicación, arreciaran su campaña contra ella. Pretenden dejarla fuera de juego a cualquier precio.

El desgaste sufrido por el gobierno de Alberto Fernández desde 2019 por su gestión de la crisis económica heredada de Mauricio Macri –este endeudó al país con un préstamo de 44 000 millones de dólares del FMI– y por sus políticas de ajuste y concesiones a poderes fácticos, sumado a las fuertes diferencias con la vicepresidenta, han alentado a la derecha a dar la estocada final.

La vicepresidenta conserva una gran popularidad y capacidad de convocat oria tras sus dos mandatos presidenciales (2007-2015) y por la posición crítica –por la izquierda– que mantiene dentro del gobierno de Alberto Fernández.

Los sectores más radicales de la derecha y sus aliados judiciales, mediáticos y empresariales, han centrado sus ataques contra ella, conscientes de que solo una eventual candidatura de Cristina Fernández puede evitar dentro de un año la vuelta al poder de la derecha.

La polarización social es cada vez mayor y desde el kirchnerismo el discurso también cada vez es más bronco.

Siguiendo una estrategia similar de judicialización de la política como la ya utilizada por la derecha en Brasil para quitar del poder tanto a Lula da Silva como a Dilma Roussef; en Bolivia a Evo Morales; en Ecuador a Rafael Correa; en Honduras a Manuel Zelaya;  en Paraguay a Fernando Lugo, y usada en tantos otros casos, la derecha argentina ha decidido agudizar su lawfare a un punto en el que el clima se ha tornado irrespirable.

No hace falta ser un fan kirchnerista ni avalar toda su gestión durante sus dos mandatos, ni siquiera dar por seguro que de haber tenido juicios realmente justos Cristina Fernández hubiera salido  indemne de todas las causas judiciales en las que se ha visto involucrada, para entender que lo que está en juego trasciende su propia persona.

La vicepresidenta enfrenta una inadmisible y antidemocrática política de acoso y derribo de gran envergadura y alcance, que demuestra la fragilidad del sistema. Una vez más en nombre de la democracia se ataca a la democracia.

No todas las manifestaciones callejeras contra el Gobierno son promovidas por la derecha. En muchos casos las protagonizan movimientos sociales y ciudadanos y ciudadanas críticos con sus políticas de ajuste e incoherencias ideológicas, pero la derecha y ultraderecha son las que lideran la batalla y promueven protestas cada vez más agresivas en una clara actitud golpista.

A menudo se ven en sus manifestaciones pancartas que piden la horca para la vicepresidenta; se despliegan las típicas bolsas plásticas negras mortuorias con relleno frente a la Casa Rosada; se arrojan adoquines contra  las ventanas de su despacho.

Diputados del bloque macrista como Francisco Sánchez piden abiertamente la pena de muerte para  la vicepresidenta por “traición a la Patria”; y las redes sociales y numerosos exaltados tertulianos de radio y televisión profieren hirientes insultos personales y graves amenazas.

Es el demonio contra el cual todo vale, y siendo mujer más, “la yegua” la llaman, se la deshumaniza, es la bruja a quemar en la hoguera.

(Cualquier similitud con el acoso a Pablo Iglesias e Irene Montero es también pura casualidad).

La Justicia –por llamarla de algún modo– aporta no un granito sino una tonelada de arena para alimentar ese clima, para dar supuestos argumentos legales que justifiquen tal campaña.

Las irregularidades cometidas durante el actual juicio son burdas. A Cristina Fernández se le impidió incluso ampliar su propia declaración para responder a nuevos hechos que decidió incorporar la Fiscalía a su alegato acusatorio inicial.

Los fiscales Diego Luciani y Sergio Mola no cejan en su empeño en ver a la presidenta presa y fuera de la carrera electoral a pesar de ser los mismos que han impulsado varias de las causas contra ella de las que terminó siendo exculpada.

En esta ocasión le piden doce años de prisión e inhabilitación para cargos públicos de por vida.

Luciani y Mola, al igual que el juez Gustavo Hornos y otros miembros de la Sala IV de la Cámara de Casación Penal no han tenido nunca reparos de que se los viera en distintas ocasiones visitando la residencia particular de Mauricio Macri, tanto cuando era presidente como también después como líder de la oposición.

Aunque los numerosos protagonistas de esta campaña de acoso y derribo tilden a Fernando Sabag de “loco suelto” e intenten que el ‘incidente’ se olvide pronto para no entorpecer sus objetivos, hay algo que resulta evidente.

El plan llevado a cabo desde el frente político, el mediático, económico y judicial, ha seguido y sigue meticulosamente los mismos pasos que ya en algunos países provocó la caída de gobernantes, de forma violenta o ‘blanda’, pero que en otros casos, bien pueden ser interpretados y asumidos por lobos solitarios como Fernando Sabag como un llamamiento, como un verdadero Manual de Instrucciones para Inducir a un Magnicidio.

(Tomado de Público)

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.