Perù. La guerra sporca

Gustavo Espinoza M., Resumen Latinoamericano

È noto che Dante Alighieri, nella sua opera classica poi chiamata “La Divina Commedia”, riservava il settimo girone dell’inferno ai violenti, a tutti coloro che fecero male agli altri con la forza. E riferisce che, dentro quello stesso recinto, sommergeva in un fiume di sangue ribollente e nauseabondo un certo numero di condannati, che descrisse dicendo: “Questi sono i tiranni che vissero di sangue e di rapina. Qui piangono le loro spietate colpe…”.

Sarebbe bene che ciò lo sapessero quelli che ora fiancheggiano la morte, chiedono sangue e bramano contro il popolo all’ombra di uno Stato di Emergenza disposto per placare l’ira delle masse che affrontano la follia della classe dominante, impegnata a distruggere il poco conquistato negli ultimi 16 mesi di vita nazionale.

In diverse fasi della storia abbiamo conosciuto episodi in cui si è imposta la guerra sporca che oggi ricomincia. In generale, ciò è avvenuto nel quadro di uno scontro interno –l’insurrezione di Trujillo nel 1932, o la ribellione di Arequipa nel 1950-; ma si è anche verificato quando si è imposto il proposito di restaurare, in Perù, il dominio oligarchico, negli ultimi decenni del secolo scorso.

Per affrontare questa missione, in quella circostanza è stata coniata l’idea di contrastare il terrorismo, sinistra pratica attribuita a Sendero Luminoso, ma eseguita, molte volte, dalla struttura stessa dello Stato; con altre azioni di terrore che sono stati poi attribuite agli “insorgenti in armi” per combatterli e punirli. È così che è stata progettata la “strategia antiterrorista”, che ha fatto scuola; e che oggi si presenta in altre condizioni.

La teoria, parte da una formulazione di base: “Siamo in guerra contro il terrorismo”. L’idea centrale -la guerra- consente di progettare una strategia di tipo militare e una pratica concreta. Per svilupparla si impegna le Forze Armate assicurando, tuttavia, che essa non può agire all’interno dei canoni formali.

E’ che si tratta di una “Guerra Non Convenzionale”, che non è regolata dalle leggi della guerra, bensì risponde a una logica che nessuno spiega, perché sanno per certo che è una logica perversa.

Una guerra – qualsiasi guerra – è soggetta a regole definite ed è regolata dalle cosiddette “leggi di guerra”, raccolte dalla Convenzione di Ginevra. Proibiscono i trattamenti inumani e degradanti, l’omicidio in tutte le sue forme, la tortura e altre modalità che abbiamo conosciuto, direttamente, in quel funesto periodo della vita nazionale.

Per aggirare tutti questi limiti si parla, allora, di una guerra diversa, una “guerra segreta”, contro un nemico “non identificato” che si mimetizza con il popolo e si perde nelle campagne e che, proprio per questo, deve essere affrontato con “metodi speciali”, anch’essi segreti.

Pertanto, non ci sono ordini scritti, né piani formali. Tutto si basa sulla disciplina militare che dispone il rispetto degli ordini senza dubbi né mormorii.

Quando alcuni cercano di informarsi sulle procedure seguite dalle “forze dell’ordine”, la risposta è solitamente letale. Lo possono confermare coloro che hanno conosciuto la tragica sorte di Jaime Ayala Sulca, il coraggioso corrispondente di Repubblica, rapito e scomparso a Huanta, negli anni ’80 del secolo scorso; o il destino di Hugo Bustíos, il fotografo che scoprì l’assassinio degli Evangelisti di Callqui nello stesso periodo. Tutto è progettato in modo che nessuno sappia chi ha dato gli ordini fatali e affinché questi casi non giungano mai a una demarcazione completa.

L’argomentazione formale volta a scagionare gli autori intellettuali o materiali di questi crimini si nasconde dietro una formulazione generica: «bisogna riconoscere che in questa guerra sono stati commessi alcuni eccessi».

Si troverà sempre, persino tra i giornalisti, coloro che accettano con sollievo tale “spiegazione” che non resiste alla minima analisi, perché non si tratta di “eccessi”, bensì di crimini.

La classe dominante s’impegna nel sottolineare che questa “guerra” risponde agli interessi del Paese. Possono persino presentarla come una “difesa dell’ordine democratico”. Lo faranno per ottenere perdono per quelli che in realtà sono semplicemente delitti. E non “delitti di funzione”, perché uccidere non è la funzione delle Forze Armate.

È possibile che Dina Boluarte non lo sappia, ma le leggi peruviane, le disposizioni vigenti, la giurisprudenza interna e gli accordi internazionali prevedono che temi come questi rispondano a due requisiti: siano visti dalla giustizia civile e abbiano carattere d’imprescrittibilità.

Ciò significa che, benché oggi ci siano giudici che, per paura o complicità, si inchinano davanti alla forza delle armi, ce ne saranno altri, domani, che rimetteranno ogni cosa al suo posto. In altre parole, anche se parlino di “Patria” e di “democrazia”, ​​alla fine nulla rimarrà impunito.

Si può dire molto su Dina Boluarte, ma il ruolo che gioca oggi, è semplicemente deplorevole. Aveva davanti a sé la possibilità di passare alla storia confermando la sua fedeltà al popolo. Ma ha cambiato di trincea ed è passata dalla parte degli oppressori.

Avallare i crimini, considerare “insurrezione terroristica” la protesta sociale e architettare un governo Civile-Militare per perpetuare un modello fallito e sconfitto, è una strada senza ritorno.

Vale, allora ricordale quello che gli è stato detto di recente sulle reti: “non puoi sederti sulle baionette, né mangiare tra i morti”. La Boluarte, non deve dimenticarlo. La guerra sporca non paga mai.


Perú. La guerra sucia

Por Gustavo Espinoza M., Resumen Latinoamericano

Es conocido que Dante Alighieri, en su clásica obra luego llamada “La Divina Comedia”, reservó el séptimo círculo del infierno para los violentos, para todos los que hicieron daño a los demás, mediante la fuerza.  Y refiere que, dentro de ese mismo recinto, sumergía en un río de sangre hirviente y nauseabundo a un cierto número de condenados a los que describía diciendo: “Estos son los tiranos que vivieron de sangre y  de rapiña. Aquí lloran por sus despiadadas faltas…”.

Sería bueno que eso lo supieran los que ahora orillan la muerte, piden sangre y braman contra el pueblo a la sombra de un Estado de Emergencia dispuesto para aplacar la ira de las masas que enfrentan la insanía de la clase dominante, empeñada en destruir lo poco conquistado en los últimos 16 meses de vida nacional.

En distintas etapas de la historia hemos conocido episodios en los que se ha   impuesto la guerra sucia que hoy se reinicia. Por lo general, esto ha ocurrido en el marco de una confrontación interna –la insurrección de Trujillo en 1932, o la rebelión de Arequipa, en 1950-; pero también se ha dado cuando se impuso el propósito de restaurar en el Perú el dominio oligárquico, en las últimas décadas del siglo pasado.

Para abordar esa misión, en esa circunstancia se acuñó la idea de enfrentar el terrorismo, una práctica siniestra atribuida a Sendero Luminoso, pero ejecutada muchas veces por la propia estructura del Estado; con otras acciones de terror que luego  se atribuyera a los “alzados en armas” para combatirlos y escarmentarlos. Fue así cómo se diseñó la “estrategia antiterrorista”, que dejó escuela; y que hoy asoma en otras condiciones. 

La teoría, parte de una formulación básica: “Estamos en guerra contra el terrorismo”. La idea central -la guerra- permite diseñar una estrategia de corte militar y una práctica concreta. Para desarrollarla se compromete a la Fuerza Armada asegurando sin embargo, que ella no puede actuar dentro de los cánones formales.

Y es que se trata de una “Guerra No Convencional”, que no está regulada por las leyes de la guerra, sino que responde a una lógica que nadie explica, porque sabe a ciencia cierta  que es  una lógica perversa.

Una guerra -cualquier guerra- está sometida a normas definidas y está regulada por las así llamadas “Leyes de la Guerra”, recogidas por la Convención de Ginebra. Ellas prohíben los tratos inhumanos y degradantes, el homicidio en todas sus formas, la tortura, y otras modalidades que conocimos de manera directa en ese periodo aciago de la vida nacional.

Para saltarse con garrocha todas estas limitaciones, se habla entonces de una guerra distinta, de una “guerra secreta”, contra un enemigo “no identificado” que se mimetiza en el pueblo y se pierde en el campo y que, por eso mismo, debe ser enfrentado con “métodos especiales”, también secretos. Por eso, no hay órdenes escritas, ni planes formales. Todo se basa en la disciplina castrense que dispone el cumplimiento de las órdenes sin dudas ni murmuraciones.

Cuando algunos buscan inquirir acerca de los procedimientos seguidos por “las fuerzas del orden”, la respuesta suele ser letal. Pueden asegurarlo quienes conocieron la trágica suerte de Jaime Ayala Sulca, el valeroso corresponsal de la República, secuestrado y desaparecido en Huanta, en los años 80 del siglo pasado; o el destino de Hugo Bustíos, el fotógrafo que descubriera el asesinato de los Evangelistas de Callqui en el mismo periodo. Todo está diseñado para que nadie sepa quiénes dieron las órdenes fatales, y para que esos casos, jamás lleguen al deslinde total.

El argumento formal destinado a exculpar a los autores intelectuales o materiales de esos crímenes, se esconde tras una formulación genérica: “hay que reconocer que en esta guerra, se cometieron algunos excesos” . Siempre se habrá de encontrar, incluso periodistas, que acepten con alivio esa “explicación” que no resiste el menor análisis, porque no se trata de “excesos”, sino de crímenes.

La Clase Dominante se empeña en subrayar que esa “guerra” responde a los intereses del país. Pueden presentarla incluso, como una “defensa del orden democrático”. Lo harán para obtener perdón para lo que realmente son simplemente delitos. Y no “delitos de función”, porque matar no es función de la Fuerza Armada.

Es posible que Dina Boluarte no lo sepa, pero las leyes peruanas, las disposiciones vigentes, la jurisprudencia interna y los convenios internacionales disponen que temas como estos, reúnan dos requisitos: sean vistos por la justicia civil, y tengan carácter de imprescriptibles.

Esto significa que, aunque hoy haya jueces que por temor, o complicidad, se dobleguen ante la fuerza de las armas, habrá mañana otros que pondrán cada cosa en su lugar. En otras palabras, aunque hablen de “la Patria” y de “la democracia”, finalmente nada quedará impune.

A Dina Boluarte se le puede decir mucho, pero el papel que hoy juega, es simplemente deplorable. Tuvo ante sí la posibilidad de pasar a la historia confirmando su lealtad al pueblo. Pero cambió de trinchera y se pasó al bando de los opresores.

Avalar los crímenes, considerar “insurrección  terrorista” a la protesta social y pergeñar un gobierno Civil-Militar  para perpetuar un modelo fracasado y en derrota , es un camino sin retorno.

Vale, entonces recordarle lo que se le dijo hace poco por las redes: “no puedes sentarte sobre las bayonetas, ni comer entre los muertos”. La Boluarte, no debe olvidar eso. La guerra sucia no paga nunca.

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