L’odio dei media

Il grande Alberto Corazón diceva che, in questo tempo di baccano, ci sono stati silenzi e anche grandi voci che offuscano i sensi con un rumore atroce di gesti vuoti. Il problema in tempi di crisi sistemica come quella che stiamo vivendo è che, invece della necessaria riflessione e deliberazione pubblica, se non il silenzio, si impongono il rumore e il furore mediatico.

Soprattutto in Spagna, si assiste alla proliferazione e al mantenimento dell’egemonia dell’informazione da parte di quelli che Rafael Correa ha giustamente chiamato haters, o sofferenti di professione, tipi spregevoli che coltivano la meschinità e che, per mestiere, non fanno altro che contribuire a ostacolare il buon governo o, in generale, le politiche del buon vivere.

Il lettore si sbaglierebbe se pensasse, con un’interpretazione comune diffusa, tra gli altri, da ispanisti e viaggiatori che hanno scoperto le scene esotiche e pittoresche della nostra realtà, che questi atteggiamenti altisonanti e la violenza simbolica siano tipici dell’idiosincrasia nazionale. Niente di più sbagliato.

Il fascismo patriottico, come in passato in Germania, viene coltivato dai media non tanto per odio verso il proletariato e i suoi rappresentanti, o per motivi ideologici, ma per il bene del portafoglio. I mezzi mercantilisti dell’odio sono sempre stati dell’ordine di quelli che Vázquez Montalbán chiamava eurocarristi, gente che, insomma, è affezionata alla cultura del racket, che ha bisogno del rumore come formula e del baccano come alibi per alimentare il cerimoniale della confusione e procedere, come nel mondo della malavita, all’operazione, birlibirloque, della sottrazione e lasciarci paralizzati e istupiditi.

Perché, in realtà, queste cappellette di messa e sacrestia che amano fare confusione sono, nonostante le apparenze, della confraternita del silenzio. Rappresentano il ritorno al tempo grigio, bianco e nero di romanzi come quello di Martín Santos. E come la tecnica della goccia malese, alimentano i venti di guerra, come atresmedia, che dedica metà del suo spazio giornalistico agli armamenti, alla guerra e alla distruzione (non di Gaza, del Sahara o di mezzo continente africano, che non interessa), ma solo all’Ucraina.

Un fatto che dimostra che la realtà può superare la finzione, perché come nel romanzo di Eco Numero Zero, i media non informano ma pubblicano le notizie e i progetti di domani, non parlano dell’Ucraina ma propongono, ucronie, saggi, come il capitale finanziario, speculativi su ciò che è necessario e possibile a costo della nostra vita. Tutto in ordine. Il capitale ha sempre bisogno della sua marcia marziale per continuare la sua distruzione creativa. Ecco perché i discorsi d’odio sono refrattari alla deliberazione.

Piuttosto, deve essere protetta dal monopolio della parola e dall’opacità dell’algoritmo, di uno spazio pubblico privatizzato che muta in uno spazio manipolato con la conseguente mediazione distorta dello scandalo e della provocazione. In questo ecosistema tossico per l’informazione, la retorica è oggi l’arte di lanciare imprecazioni e battute banali senza sostanza né trascendenza, con un’assoluta mancanza di creatività e di critica, estranea alla realtà concreta, opaca al controllo pubblico nella cerimonia di confusione in cui la comunicazione politica è oggi vestita allo stesso modo dai suoi pettegoli.

In breve, i mass media non nominano ciò che dovrebbero, e quelli di noi che nominano ciò che è necessario e reale vengono messi a tacere ai margini dello spettro comunicativo o perseguitati direttamente (lawfare). Siamo infatti arrivati al punto in cui il comando elettronico e l’arte e la tecnica di mettere in scena la fede senza controllo, solo pura inventiva, si sostengono solo, come illustrava Chomsky, con i correttivi ai dissidenti.

Anche nelle reti, dove il fenomeno è amplificato in modo esponenziale. La segretezza dell’algoritmo nasconde manovre orchestrali nell’oscurità che minacciano quotidianamente la democrazia. Oltre a Cambridge Analytica, GAFAM, aziende come META o Google sono collaboratori necessari dei colpi di Stato in Brasile o attualmente in Perù. E quando le autorità pubbliche, come la Commissione europea, cercano di regolamentare per prevenire gli abusi contro le libertà pubbliche, lobby come DOT Europe mobilitano dal nulla influencer e opinion maker per avvertire che limitare le campagne pubblicitarie politiche va contro la libertà di espressione.

Niente di nuovo sotto il sole. Ogni tentativo di politica democratica nell’informazione e nella comunicazione è sempre stato osteggiato da associazioni professionali e altre ONG sovvenzionate da professionisti dell’ucronia come Georges Soros, e siamo ancora in questo quadro, bloccati da mobilitazioni propiziate dalla stessa agenzia che deve essere regolata da trasparenza e garanzie democratiche, negando realtà già provate come lo studio pubblicato su Science (2018) che ha dimostrato che le informazioni false in rete si diffondono più velocemente e raggiungono più persone di quelle vere, disposti e abituati come siamo a farci sedurre dal feticismo dell’immagine e della merce.

Dopo la Brexit, dovremmo prendere nota di ciò che la nuova tecnopolitica rappresenta come il dominio della tecnocrazia attraverso la guerra psicologica come guerra di classe con tutti i mezzi possibili, una forma di dominio che abbonda nello spettacolo e nel sentimentalismo schiavista con l’aiuto di un esercito di necessari distorsori dell’espropriazione. Quindi, dopo aver visto e sentito quello che abbiamo sentito, è tempo di fare ammenda.

Di fronte alla velocità di fuga dei media incontrollati, dobbiamo mediare, giocare con le distanze, rallentare le derive, applicare la virtù repubblicana della pa/scienza, dispiegare la critica e costruire futuri auspicabili intervenendo con intelligenza in una realtà minata e recintata contro la moltitudine. In breve, essere più saggi e accumulare resistenza.

Sommare, coltivare il coraggio e l’intelligenza collettiva collegando spazi, voci che tessono bandiere con il principio della speranza, della fraternità. Perché, come sappiamo, solo l’amore può vincere l’odio. La storia lo dimostra.

Fonte: http://razonesdecuba.cu/medios-del-odio/

Traduzione: www.italiacuba.it

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