Guerra cognitiva in Venezuela

la manipolazione delle masse attraverso i social

Fabrizio Verde

Nell’era digitale, la guerra cognitiva è emersa come un potente strumento per manipolare le masse attraverso i social network. La guerra cognitiva, nota anche come manipolazione cognitiva, si riferisce all’uso di tattiche psicologiche per influenzare il comportamento individuale e collettivo. I social network, come Facebook, X (ex Twitter), Instagram e TikTok sono diventati un terreno fertile per la diffusione di disinformazione e propaganda, rendendoli piattaforme ideali per la guerra cognitiva.

Questo è quanto sta accadendo nella Repubblica Bolivariana del Venezuela. La Rivoluzione Bolivariana sin dalla sua nascita ha dovuto affrontare numerosi tentativi di golpe. In questi giorni successivi alle elezioni presidenziali del 28 di luglio, segnati dalla violenza dei cosiddetti ‘comanditos’ fascisti al servizio dell’estremista di destra Maria Corina Machado, come hanno notato diversi osservatori e analisti, il Venezuela è divenuto una sorta di laboratorio dove provare a realizzare un golpe 2.0, ossia, un colpo di Stato in cui i social network giocano un ruolo centrale.

Uno dei modi principali in cui la guerra cognitiva manipola le masse attraverso i social network è l’utilizzo di fake news e disinformazione. Le false informazioni vengono diffuse sulle piattaforme dei social media con l’intenzione di plasmare l’opinione pubblica e influenzare i risultati politici. Queste piattaforme sono state utilizzate per diffondere false informazioni sul governo, sui partiti di opposizione e sulla situazione generale del paese. Diffondendo disinformazione, i golpisti e i loro padrini all’estero cercano di seminare discordia tra la popolazione venezuelana e creare un senso di caos e incertezza. A giudicare dagli innumerevoli video che circolano sulle reti sociali dove si nota una sorta di nevrosi e una frustrazione anti-chavista indotta, quando non artificiale, questa tattica ha avuto successo come stiamo assistendo in queste giornate tumultuose.

Un esempio di disinformazione contro il Venezuela è stato il diffondersi di una fake news secondo la quale il governo venezuelano avrebbe fatto arrivare mercenari stranieri per reprimere violentemente le proteste popolari. Questa notizia, ampiamente condivisa e discussa sui social media, è stata poi smentita vista l’assenza di prove a supporto di tali affermazioni. Tuttavia, la falsa notizia ha contribuito a fomentare tensioni e a dipingere il governo bolivariano come un regime brutale agli occhi della comunità internazionale. Quando invece è vero il contrario: con l’operazione Gedeone mercenari della compagnia militare privata statunitense Silvercorp USA hanno cercato di penetrare via mare nel Venezuela e rovesciare il governo di Nicolas Maduro in favore di Juan Guaidò. L’operazione prevedeva l’omicidio del presidente Maduro.

Nella guerra cognitiva la manipolazione delle emozioni attraverso messaggi mirati è un aspetto centrale. Facendo appello alle emozioni degli individui, come paura, rabbia o eccitazione, la guerra cognitiva può influenzare il modo in cui le persone pensano e agiscono. Questo può essere osservato nella diffusione di contenuti divisivi che suscitano polemiche e polarizzano la società.

Inoltre, la guerra cognitiva in Venezuela ha anche comportato la creazione di falsi personaggi e comunità online per diffondere disinformazione e minare la fiducia nelle istituzioni democratiche. Ponendosi come cittadini comuni o personaggi di spicco, gli autori della guerra cognitiva possono infiltrarsi efficacemente nei social network e influenzare l’opinione pubblica. Un esempio esplicativo di questo fenomeno è la campagna di disinformazione condotta attraverso l’uso di account Twitter falsi, conosciuta come “Operación Libertad Venezuela”. Questa operazione ha coinvolto la creazione di una rete di account Twitter falsi che si presentavano come cittadini venezuelani preoccupati, attivisti o persino funzionari governativi. Questi account diffondevano notizie false e teorie cospirative, come l’idea che il governo venezuelano fosse sul punto di collassare o che ci fossero piani segreti per l’intervento militare straniero. Questi profili erano spesso utilizzati per amplificare messaggi di odio, incitare alla violenza contro il governo bolivariano e promuovere una narrativa che legittimava un possibile intervento esterno, creando panico e disorientamento tra la popolazione.

Un altro esempio è l’utilizzo di bot e troll per creare finti movimenti di protesta online, apparentemente popolari, ma in realtà coordinati da una rete di profili falsi per dare l’impressione di un vasto sostegno alla destabilizzazione del governo venezuelano. Questi account falsi interagivano tra di loro, ritwittando e commentando contenuti estremisti per far sembrare che esistesse un forte consenso tra la popolazione a favore di un cambio di regime.

Su questo campo di battaglia virtuale gli algoritmi sono utilizzati dalle piattaforme dei social media per amplificare determinati messaggi e sopprimerne altri. Manipolando questi algoritmi, gli attori malintenzionati possono garantire che la loro propaganda raggiunga un pubblico più ampio, mentre mettono a tacere le voci dissenzienti. Dunque gli individui sono esposti solo a informazioni che rafforzano le loro convinzioni esistenti, rendendoli più suscettibili alla manipolazione. Una manipolazione subdola dove il governo democratico bolivariano diviene tirannico e brutale, mentre gli aguzzini statunitensi che con le loro sanzioni draconiane hanno strangolato l’economia venezuelana facendo precipitare il paese in una crisi economica devastante, sono acclamati come ‘liberatori’.

A tal proposito sono impiegate tattiche psicologiche, come il gaslighting – una forma di manipolazione psicologica nella quale vengono presentate alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione – e la manipolazione, per minare la fiducia delle persone. Mettendo in dubbio la credibilità delle istituzioni, la guerra cognitiva può seminare confusione e creare un terreno fertile per la diffusione di disinformazione. Una situazione che oggettivamente erode la capacità del pubblico di distinguere la verità dalla finzione, rendendolo più vulnerabile alla manipolazione.

Questa guerra cognitiva sfrutta pregiudizi ed euristiche cognitive, come il pregiudizio di conferma e l’euristica della disponibilità, per modellare le percezioni e le decisioni delle persone. Presentando le informazioni in modo distorto o fuorviante, la guerra cognitiva può portare gli individui a trarre conclusioni errate e a fare scelte sbagliate.

In un tale scenario le forze che muovono i fili del golpismo in Venezuela sfruttano l’effetto camera dell’eco dei social network, dove individui con idee simili hanno maggiori probabilità di condividere e rafforzare le convinzioni degli altri. Creando bolle di filtro che proteggono gli individui da punti di vista differenti, la guerra cognitiva può ulteriormente radicare le persone nelle loro camere dell’eco, rendendole più suscettibili alla manipolazione. Da qui poi vediamo la conseguente proliferazione di ideologie estreme e il crollo del discorso civile.

Utilizzando account falsi e bot automatizzati per diffondere propaganda, gli attori malintenzionati possono manipolare l’opinione pubblica e creare un falso senso di consenso. Ciò può essere particolarmente efficace nell’influenzare popolazioni vulnerabili, come i giovani o le comunità emarginate.

Con l’acquisto di X (ex Twitter) da parte di Elon Musk, la piattaforma ha continuato a rappresentare uno dei maggiori centri di attacco e disinformazione contro il Venezuela. Tanto che lo stesso Elon Musk è stato più volte corretto dagli utenti stessi del social network per aver diffuso notizie false sul Venezuela. Una delle strategie adottate è stata quella di modificare ulteriormente gli algoritmi di visibilità dei contenuti, che ha portato alla promozione di post critici verso il governo venezuelano e alla riduzione della visibilità dei contenuti pro-governativi. Inoltre, la piattaforma ha aumentato la tolleranza verso account e bot automatizzati che diffondono disinformazione contro il governo bolivariano, creando così un’eco camera anti-chavista che amplifica la percezione di un consenso negativo diffuso. Questa manipolazione algoritmica e la gestione selettiva dei contenuti hanno contribuito a creare un’immagine distorta della situazione in Venezuela, favorendo la narrativa di instabilità e crisi perpetua.

Tale guerra ibrida ha avuto conseguenze anche economiche per un Venezuela già oberato dal peso delle sanzioni, poiché la diffusione di informazioni errate e disinformazione può scoraggiare gli investimenti esteri, interrompere le relazioni commerciali e danneggiare la reputazione del paese sulla scena globale. Quindi indebolire ulteriormente la capacità del governo di affrontare le sfide socioeconomiche del paese.

Come abbiamo visto la guerra cognitiva è pienamente dispiegata in queste giornate successive alle elezioni presidenziali in Venezuela dove un’opposizione uscita ancora una volta sconfitta alle urne cerca di capovolgere con la violenza il verdetto popolare e con operazioni di manipolazione delle masse, cerca di accreditare presso l’opinione pubblica internazionale l’idea che il chavismo abbia fatto ricorso a brogli per scippare la vittoria all’opposizione estremista.

L’obiettivo della guerra cognitiva è attaccare, sfruttare, degradare o addirittura distruggere la forma in cui le masse popolari costruiscono la propria realtà. Siamo chiaramente di fronte ad una strategia di propaganda di guerra, che cerca di forzare la rottura delle forze popolari, della spinta dei popoli delle comunità che hanno visto recuperata la loro dignità durante questi 25 anni di progetto bolivariano. Nel caso venezuelano il progetto di guerra cognitiva non ha avuto l’effetto sperato. Nonostante un gran numero di persone abbia lasciato il Paese e grazie alle campagne mediatiche, tanti partecipano alle proteste contro il governo bolivariano successive alle elezioni, sono ancora tante le persone che resistono e sono pronte a scendere in piazza in difesa della Rivoluzione Bolivariana, come dimostrano le manifestazioni di massa in difesa del governo Maduro di questi giorni.

Tale risposta non deve stupire. Il Venezuela è in prima fila nel combattere la guerra cognitiva sin dai tempi di Hugo Chavez. Il quale aveva denunciato come la guerra cognitiva promuova una forma di neo-colonizzazione mentale che colpisce soprattutto i giovani. In questo contesto, sosteneva che la risposta a questa strategia debba essere una battaglia culturale che consenta di smantellare le narrazioni egemoniche e di conferire potere alle comunità attraverso una comprensione più profonda della loro identità e dei diritti sovrani.

Inoltre, Chávez ha collegato la guerra cognitiva con la necessità di unità regionale per affrontare la dominazione imperialista. Riteneva dunque fondamentale sviluppare un ordine mondiale multipolare che elimini i divari tecnologici e digitali e che permetta ai popoli dell’America Latina di avanzare verso la vera indipendenza.

Maduro e la Rivoluzione Bolivariana accompagnati dalla maggioranza del popolo venezuelano continuano a percorrere questo cammino tracciato da Hugo Chavez. Indipendenza e sovranità restano due capisaldi irrinunciabili che nemmeno un tale schieramento di forze è riuscito a scalfire nell’immaginario dei venezuelani.

A livello teorico, la Rivoluzione Bolivariana fronteggia la guerra cognitiva attraverso una solida base ideologica che promuove l’unità regionale e l’autodeterminazione dei popoli. Questa visione è stata costantemente comunicata al popolo venezuelano, rafforzando il senso di identità nazionale e la resistenza contro le influenze esterne. L’educazione politica e la diffusione capillare dei valori bolivariani hanno creato una coscienza collettiva resistente alle manipolazioni cognitive. La narrativa bolivariana mette in luce la lotta contro l’imperialismo e il neocolonialismo, cementando il legame tra governo e popolo.

Dal punto di vista pratico, il governo bolivariano ha implementato una serie di strategie per combattere la disinformazione e proteggere la popolazione dalla manipolazione mediatica. Tra queste misure c’è la creazione di media alternativi che offrono una visione contro-egemonica rispetto ai principali media internazionali. Questi canali trasmettono informazioni direttamente dal governo e dalle comunità locali, contrastando le narrazioni distorte provenienti dall’esterno.

Programmi di educazione mediatica sono stati lanciati per insegnare ai cittadini come riconoscere e smascherare le fake news. Questo tipo di formazione aiuta a creare una popolazione più critica e consapevole, meno suscettibile alla disinformazione. L’uso di piattaforme di comunicazione diretta, come i canali social ufficiali del governo, consente di trasmettere messaggi chiari e ufficiali alla popolazione, riducendo la distorsione delle informazioni.

Il Venezuela ha rafforzato la cooperazione con altri paesi dell’America Latina per condividere risorse, tecnologie e strategie contro la guerra cognitiva. Questa unità regionale aiuta a creare un fronte comune contro l’interferenza straniera. Il governo monitora attivamente le reti sociali per identificare e contrastare le campagne di disinformazione. Questa sorveglianza permette di reagire rapidamente alle minacce cognitive e di limitare la diffusione di contenuti manipolatori.

Sforzi per sviluppare infrastrutture tecnologiche autonome riducono la dipendenza da piattaforme controllate da potenze straniere, aumentando la capacità del Venezuela di proteggere le proprie informazioni e comunicazioni. Queste strategie combinate hanno permesso al governo bolivariano di mantenere una posizione solida contro la guerra cognitiva, proteggendo la popolazione e preservando l’integrità del processo rivoluzionario. L’impegno verso l’indipendenza e la sovranità, rafforzato da un’educazione politica diffusa e da una comunicazione efficace, continua a essere il baluardo principale contro le influenze destabilizzanti esterne.

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