Gli esempi attuali di «giustizia», che non si adattano al precetto «di dare a ognuno quello che gli corrisponde, ossia organizzare una società secondo i principi d’onestà, equità e la ragione», si moltiplicano ogni giorno, mentre l’utilizzo della politicizzazione e manipolazione di processi penali e d’accuse senza fondamenta divengono un ricorso molto frequente, come parte della realtà di oggi.
In questi giorni è stato palpabile, quando Israele ha chiesto agli USA – e a chi se no?- che eserciti pressioni sul Sudafrica per far sì che ritiri la domanda presso la Corte Internazionale di Giustizia, che accusa lo Stato ebreo di violare i suoi obblighi, in virtù della convenzione sul genocidio, per i suoi massacri contro la popolazione palestinese di Gaza.
La minaccia nascosta dietro le maschere di una presunta giustizia, si è conosciuta quando la Cancelleria del pase sionista ha minacciato il Sudafrica con l’argomento che «lavorano attualmente con gli USA», perché, nel caso di continuare con le accuse contro Israele, «pagheranno un alto prezzo che può giungere alla sospensione delle relazioni commerciali tra Washington e Pretoria».
Senza dubbio, in accordo con Sputnik, è poco probabile che gli USA applichino una misura tanto drastica dato che la Casa Bianca pretende «mantenere la sua relazione con il Sudafrica per contro arrestare l’influenza della Russia e della Cina».
Sarà che i 20000 bambini assassinati dalle forze militari di Israele non contano, per far sì che uno o l’altro paese, gli USA e Israele, continuino il loro gioco oolitico per nascondere un genocidio?
Viaggiamo nello spazio e nel tempo sino al Perù, uno scenario nel quale la presunta «giustizia» ha tra le sue grate Pedro Castillo, un presidente, maestro, dirigente sindacale, amato dal suo popolo, al quale ora la detta «giustizia» peruviana si propone di dichiararlo «con permanente incapacità morale per esercitare la guida dello Stato».
L’ex presidente peruviano è detenuto dal 22 dicembre del 2022, e durante questo tempo, la auto proclamata presidentessa, Dina Boluarte, ha autorizzato la repressione contro i manifestanti che chiedevano la liberazione del presidente, ed è accusata di varie azioni di presunta corruzione, ma continua in libertà al fronte della nazione delle Ande,
In un’altra nazione dell’area, l’Ecuador, Jorge Glas, ex vice presidente durante il secondo mandato della Rivoluzione Cittadina (2007-2017), ha scontato sei anni di reclusione per accuse mai provate e ha dovuto ricorrere alla petizione d’asilo nell’Ambasciata del Messico a Quito, perché lo perseguitavano per elementi affini a meccanismi di «giustizia».
Militari inviati dal Governo ecuadoriano lo hanno fatto uscire a forza dal recinto diplomatico con un’azione che ha violato distinte norme e leggi, che proibiscono questo tipo di azioni dentro un’ambasciata protetta dall’immunità diplomatica.
Trasferito a una prigione d’alta sicurezza – La Roca – con uno stato di salute vulnerabile, i meccanismi attuali di giustizia gli hanno negato un ricorso di “habeas corpus”, sollecitato per seguire la sua situazione attuale di salute, aggravata dalla permanenza in prigione.
Sono solo tre esempi del buono o cattivo uso della detta «giustizia», politicizzata e totalmente incoerente con il suo vero senso.