Ripubblichiamo questo lavoro speciale dell’anno scorso per ricordare e analizzare le giornate dell’aprile 2002, ancora oggi tanto pertinenti nella prassi sociopolitica nazionale quanto fondamentali per la storiografia della Rivoluzione Bolivariana. Le tecnologie del golpe, l’ascesa del fascismo, le trame politiche e geopolitiche di quell’epoca si sono aggiornate, ma non superate, nella fase attuale di aggressioni da parte di una destra estremista, sia nazionale che statunitense, che gioca con il fuoco (economico, commerciale, violento su più piani) nel tentativo di imporre con la forza un cambio di regime.
Il controgolpe, in eguale misura, continua a essere rappresentato dalla coesione dei settori del Paese che scommettono ancora sul diritto all’esistenza del Venezuela, sotto il segno della sovranità e non della colonia. È sempre opportuno – e ancor più in queste date – riportare alla memoria ciò che è accaduto, leggerlo in chiave contemporanea per raccogliere ciò che ci appartiene, organizzarci e darle un senso in mezzo al marasma. Ci racconta chi siamo o siamo stati e offre indizi su cosa possiamo essere come popolo.
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Le giornate dall’11 al 13 aprile 2002 sono ricordate con dolore, ma anche come lezioni fondamentali che da allora hanno contribuito al consolidamento del progetto bolivariano e chavista.
Se non fosse stato per la linea di resistenza che il popolo stabilì attorno al Palazzo di Miraflores, a Caracas, e in altri punti nevralgici del Paese, la dittatura fascista di settori imprenditoriali e politici dell’estrema destra si sarebbe imposta definitivamente.
Il Comandante Hugo Chávez raccontò, in un programma commemorativo dell’11 aprile, che il popolo iniziò a radunarsi a Miraflores dopo che i politici e i media antichavisti avevano lanciato la loro versione insurrezionale del “fino alla fine”, con la quale guidarono la marcia dell’opposizione verso la sede del governo. La gente arrivava da lontano, dalle periferie di Caracas, dalle colline e montagne adiacenti: Petare, La Guaira.
Il popolo, cosciente del pericolo imminente, iniziò a tracciare spontaneamente, senza ordini da parte di nessuno, una linea di resistenza. Un gruppo di militari traditori riuscì a immobilizzare quasi tutte le Forze Armate e a ritirare truppe, Guardia Nazionale, corpi di sicurezza, lasciando campo libero alla marcia dell’opposizione. Il Comandante Chávez paragonava la manovra golpista a una partita di calcio: si ritira la difesa e si lega il portiere. Qualcosa di simile accadde. Il popolo comprese il copione e si presentò a Miraflores, tracciò una linea di resistenza, costruì trincee e assunse il proprio ruolo, affiancato da un risoluto gruppo di soldati patrioti.
I golpisti arrivavano da più direzioni. Da El Calvario avanzava un gruppo molto violento, armato con fucili d’assalto e granate a mano: una forza paramilitare composta in gran parte da militari traditori e sicari. Altri cercavano di agire lungo l’Avenida Baralt e presso il liceo Fermín Toro, organizzati in diversi fronti di marcia, ognuno con una propria avanguardia violenta e golpista. I cecchini erano ben posizionati e riuscirono a controllare le alture circostanti, scontrandosi con la resistenza patriottica di guardie nazionali e soldati della Casa Militar, la Guardia d’Onore, che non fecero uso di armi da fuoco: questo era l’ordine del Comandante Chávez.
Fino all’ultimo minuto
Il golpe dell’11 aprile si andava tessendo in diretta, a vox populi, travestito da rivendicazioni sociali e democratiche, con una falsa bandiera: l’assassinio di civili innocenti per motivi politici, per criminalizzare il Governo Bolivariano. Una tattica ripetuta ossessivamente da allora. L’unico modo per evitare il golpe sarebbe stato che il Comandante Chávez si fosse consegnato alla cosiddetta borghesia venezuelana e all’impero. Era l’unica maniera di evitarlo ma il Comandante mai retrocesse, e il popolo lo sostenne.
Senza la linea di resistenza e il gruppo di soldati patrioti, la marcia fascista avrebbe raggiunto il suo obiettivo: assaltare il Palazzo di Miraflores e assassinare Chávez. Per questo, ogni 11 aprile rendiamo omaggio ai martiri di Puente Llaguno, al popolo disarmato che resistette ai proiettili del fascismo.
Il Comandante Chávez ha sempre ringraziato il popolo per gli sforzi di quelle giornate. Nel programma citato disse: “Grazie al loro sacrificio io sono vivo, e per questo, cosa mi resta? Lottare, lottare e lottare fino all’ultimo giorno della mia vita. Realizziamo quel sogno per cui sono morti, come tanti martiri in questi anni.” Parole che hanno una evidente attualità.
L’11 aprile il nemico prese il controllo, il fascismo aveva vinto temporaneamente. Il 12 iniziò la ribellione civico-militare per restaurare al potere la Rivoluzione Bolivariana. La Guardia d’Onore rimase leale e si unì alla linea di resistenza popolare radunatasi attorno al palazzo del governo.
Ora quei volti sono diversi, più invecchiati, ma lo stesso nemico si aggirava per i corridoi di Miraflores quel 12 aprile, festeggiando, abbracciandosi. Il Comandante Chávez disse: “Si aprirono i cimiteri della IV Repubblica e arrivarono qui i cadaveri insepolti, presero possesso credendo che tutto fosse già fatto”.
Frequentarono la scuola del fascismo, in quell’occasione, e continuarono a impiegarne le pratiche. Molti dei settori dell’opposizione che furono coinvolti o sostennero la brevissima dittatura di Pedro Carmona Estanga continuano a invocare il golpe, l’insurrezione, l’insubordinazione militare contro il governo e lo Stato. La cospirazione continua per destabilizzare il Paese, per commettere un magnicidio contro il presidente Nicolás Maduro. Continuano a cercare di sabotare il sistema elettrico, l’industria petrolifera, l’economia nazionale.
13 aprile: Alternativa al fascismo
Di fronte ai piani del fascismo golpista, la responsabilità che abbiamo noi venezuelane/i è quella di continuare a rafforzare la vitalità del progetto bolivariano, affrontando e sconfiggendo tali fazioni, o qualunque altra sorga in qualsiasi campo di battaglia.
Il 13 aprile, un’operazione militare con ampio sostegno popolare restituì il potere presidenziale a Chávez e inaugurò una nuova tappa del processo rivoluzionario.
Fu dopo quel giorno che si cominciò a parlare di anti-imperialismo e, in seguito, di socialismo. Il golpe e il suo controgolpe contribuirono in modo decisivo a delineare meglio il cammino della Rivoluzione Bolivariana e ad approfondirlo. Da allora, l’invito è stato quello di continuare a scolpire meglio quel percorso, come ricorda costantemente anche il presidente Maduro.
Le giornate dall’11 al 13 aprile possono essere paragonate alla resistenza vittoriosa contro l’invasione USA di Playa Girón, contro la rivoluzione cubana. Un’analogia storica che può ben essere evocata, per il cambio di rotta che seguirono entrambi i processi, cubano e venezuelano, dopo l’intervento diretto USA.
“Grazie, mezzi di comunicazione”
Passiamo ad analizzare ciò che, da lì, ne è derivato in termini di politica e storia, geopolitica e tecnologie del “cambio di regime”. Si tratta di registrare i fenomeni, al di là dell’evento in sé, in altre dimensioni.
Essendo il primo golpe mediatico della storia, va sottolineato il ruolo politico dei mezzi di comunicazione privati in Venezuela, fin da quando i principali canali televisivi e giornali iniziarono a influenzare l’opinione pubblica a favore o contro certe coerenti e azioni di partiti politici, movimenti sociali e programmi amministrativi che avrebbero avuto grande influenza sulla dinamica nazionale.
Marcel Granier, presidente di RCTV, ebbe un ruolo chiave durante il golpe del 2002: con la sua emittente impose un blocco informativo sugli avvenimenti di Caracas che culminarono con il sequestro del presidente Chávez, applicando una politica di “zero chavismo” sugli schermi durante l’11 aprile, sostituendo l’informazione con una narrativa costruita emotivamente per generare consenso in favore del cambio di regime in atto.
Ricordiamo l’espressione nel programma televisivo di Napoleón Bravo del 12 aprile 2002: “Grazie, mezzi di comunicazione”.
Possiamo osservare che lo stesso sta accadendo con la Russia lungo tutta la geografia occidentale, con la chiusura di canali e la restrizione e censura dei portali web di RT e Sputnik da parte dei conglomerati mediatici e della Big Tech, che recidono alla radice l’emissione di informazioni e analisi divergenti dalla copertura USA ed europea, non solo sull’Operazione Militare Speciale russa in Ucraina, ma su ogni evento in tutto il mondo.
Questo fattore produce, al tempo stesso, una modifica nella ricezione verso tutto ciò che è russo, tradotta in un atteggiamento di ostilità e di “cancellazione culturale” che si manifestò già nell’aprile 2002 —e da allora in poi— nei confronti di tutto ciò che era chavista, da parte dei media e dei portavoce politici dell’estremismo oppositore, apertamente protetti dall’ombrello USA. In questo aspetto vi è una continuità dei procedimenti, con motivazioni politiche e culturali dei fattori scatenanti che si riversano nel campo mediatico.
Che il lavoro di RCTV ed El Nacional, tra altri media, abbia prodotto conseguenze politiche non è un caso; né lo è il fatto che ciò abbia portato a un’agenda fascista di persecuzione e “cancellazione” del chavismo nei giorni dell’11 e 12 aprile. Il golpe mediatico ha retro-alimentato il golpe politico.
In questo senso, vi è stata anche una prosecuzione dell’opera politico-mediatica di Granier, dagli anni ’70 fino al 2006, anno in cui terminò la concessione ufficiale a RCTV per trasmettere nello spettro comunicativo venezuelano.
Nel contesto internazionale del golpe e del caos
D’altro canto, dal punto di vista internazionale, gli USA stavano conducendo azioni in diversi scenari geopolitici che ebbero ripercussioni sulle dinamiche nazionali nel 2002.
Nel 2001 vi fu l’invasione dell’Afghanistan, e all’inizio del 2003 la Casa Bianca —allora governata da George W. Bush— si preparava all’invasione dell’Iraq.
Nel 2002, dopo il golpe e contraccolpo in Venezuela, il Dipartimento di Stato USA designò Corea del Nord, Cuba, Iran, Iraq, Libia, Sudan e Siria come “Stati promotori del terrorismo”. Da allora, l’offensiva economica, finanziaria e commerciale contro questi Paesi si è intensificata nel corso degli anni, e in alcuni casi le operazioni militari USA li hanno gettati nel caos, fino a giungere a cambi di regime: Iraq, Libia, Sudan. In Siria, dove esiste ancora una base USA che occupa parte del nord-ovest ricco di giacimenti petroliferi, non sono riusciti a rovesciare il governo di Bashar al-Assad (obiettivo poi raggiunto nel 2024 ndt); tuttavia, è uno spazio che continua a servire come base logistica e rifugio per terroristi dell’ISIS e di Al-Qaeda.
Il Venezuela compartiva un posto nelle aspirazioni occidentali di cambio di regime nel panorama geopolitico. Sebbene il controllo delle agende nazionali non sia più una prerogativa esclusiva degli USA, non solo nella Repubblica Bolivariana ma anche in diversi dei Paesi sopra menzionati, all’epoca, essendo il nostro un Paese che per tutto il XX secolo orbitava sotto l’influenza gravitazionale di Washington, dalla capitale USA si credeva che, attraverso il format del colpo di Stato e l’insediamento di un governo guidato da imprenditori e politici —che oggi godono della sua protezione— si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato che si pianificava per l’Iraq e, successivamente, per la Libia.
Il fatto che le giornate dell’aprile 2002 si siano concluse in un fallimento totale non significava che la Casa Bianca rinunciasse a nuove azioni di destituzione. Seguì infatti il sabotaggio petrolifero, guidato dagli stessi attori golpe dei mesi precedenti, tra cui la Confederazione dei Lavoratori del Venezuela (CTV), Fedecámaras, una parte della dirigenza PDVSA e la Coordinadora Democrática, eventi che causarono perdite stimate in circa 16 miliardi di $, secondo il Ministero del Potere Popolare per il Petrolio.
Poi, nel 2005, il Comandante Chávez denunciò l’Operazione Balboa, chiamata “Esercizio Specifico di Pianificazione Operativa Balboa”, parte del Secondo Corso di Stato Maggiore Congiunto delle Forze Armate spagnole nel maggio 2001, al quale parteciparono ufficiali invitati di vari Paesi. Si trattò di un’esercitazione militare dell’esercito spagnolo, membro della NATO, realizzata tra il 3 e il 19 maggio di quell’anno. È probabile che l’Operazione Puma, un’esercitazione militare argentina svoltasi tra aprile e giugno 2019, la cui missione fu l’“invasione umanitaria” del Venezuela sotto forma di coalizione multinazionale, sia una continuazione strategica di Balboa.
Negli anni 2000, la Casa Bianca ha promosso una serie di interventi militari, aperti e coperti, alcuni riusciti e altri falliti, per modificare a proprio favore il quadro internazionale. In questo quadro operativo si inserisce il golpe d’aprile, considerando che i protagonisti di quell’evento avevano strette connessioni con l’establishment USA (si legga Leopoldo López, Julio Borges, Iván Simonovis, Pedro Carmona Estanga, María Corina Machado).
Non bisogna dimenticare, come riportò perfino El País di Spagna, all’epoca, il ruolo del Pentagono negli eventi golpisti: “Il tenente colonnello USA James Rodgers, installato al quinto piano del Comando dell’Esercito, avrebbe consigliato i generali che disobbedirono a Chávez e rimase con loro fino alla loro sconfitta. Il portavoce dell’ambasciata USA, John Law, negò una complicità che non sembra inverosimile, poiché l’ambasciatore USA, Charles Shapiro, accompagnato da quello di Spagna, Manuel Viturro, si incontrò con Carmona dopo che questi aveva sciolto il Congresso e assunto il potere legislativo fino alla convocazione delle elezioni”.
L’aprile del 2002, in Venezuela, era interconnesso con diverse dinamiche geopolitiche, nel mezzo di vari movimenti militari di USA e NATO nella regione (Haiti nel 2004), nel sud-ovest asiatico e in Africa. Una puntina in più sulla mappa delle operazioni occidentali.
Per concludere, se tracciamo una linea storica delle azioni e motivazioni destituenti da parte dell’antichavismo in Venezuela, possiamo notare una continuità tra i fattori e gli attori che operarono nell’aprile 2002 e il resto dei tentativi golpisti negli ultimi vent’anni.
Abbiamo già menzionato i politici Leopoldo López, Julio Borges e María Corina Machado, ma non va sottovalutato il ruolo di Henrique Capriles, firmatario del Decreto Carmona e protagonista dell’assedio all’ambasciata di Cuba a Caracas, un crimine riconosciuto dal diritto internazionale.
Anche lo Stato spagnolo, al pari degli USA, ha una quota di responsabilità in molti scenari destituenti, compresa la protezione di Leopoldo López dopo la sua fuga.
Aprile, oggi
Da parte sua, il settore imprenditoriale venezuelano ha avuto un ruolo importante durante gli anni più intensi della guerra economica interna, soprattutto nell’impennata smisurata dei prezzi che, in parte, ha causato un’inflazione quasi senza precedenti nella storia repubblicana. La combinazione di questo scenario con il blocco e l’embargo imposti dagli USA all’economia nazionale ha creato il terreno ideale per diversi piani golpisti nell’ultima decade, che il governo del presidente Nicolás Maduro ha dovuto affrontare, con successo, ricavandone attuali dividendi politici.
La mediatica antichavista continua a traboccare nella sua capacità di diffondere raffiche di menzogna, falsità e canali per la costruzione del consenso tra il loro pubblico. Tra un tentativo destituente e l’altro, il loro ruolo rimane centrale nella guerra informativa e nel teatro delle manipolazioni psicologiche, soprattutto il settore che beve dalle fonti USAID, NED e altre ONG associate.
Gran parte del fatto che Juan Guaidó sia stato “riconosciuto” come “presidente ad interim” è dovuto alla narrativa mediatica che si fa eco del mandato USA nello spettro nazionale e internazionale, un esempio vivente del tratto informativo vissuto nell’aprile 2002. Allo stesso tempo, serve come cinghia di trasmissione del messaggio di odio politico e culturale verso tutto ciò che il chavismo rappresenta da allora. Nulla ha avuto più continuità della denigrazione avallata dai tribunali mediatici e dalla Big Tech a favore dell’antichavismo.
In risposta, lo Stato venezuelano ha generato una fibra che impegna la Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) con le azioni e aspettative della popolazione politicamente attiva e organizzata nel chavismo, quella creazione originariamente chavista chiamata unione civico-militare, che ha avuto l’occasione di dimostrare che può replicare i controgolpe degli aprili che si scatenino.
Possiamo parlare della Battaglia dei Ponti, febbraio 2019, e lo smantellamento dell’Operazione Gedeón, nel 2020, come esempi chiarissimi, ma anche menzionare l’esperienza dei CLAP —soprattutto in altre regioni del Paese al di fuori di Caracas—, tenendo conto che l’area economica e sociale è uno degli aspetti più importanti nella strategia del golpe continuato contro la Repubblica Bolivariana, poiché esiste l’aspettativa, da parte dell’opposizione, che i cittadini prendano l’iniziativa di rovesciare il Governo Bolivariano —come accadde nel 2014 e nel 2017—.
Messo alla prova dal fuoco per più di 20 anni, l’arma migliore che ha il Venezuela per contrastare i tentativi di negargli il diritto di esistere come nazione indipendente e sovrana resta il Governo Bolivariano e la FANB, in congiunzione con il popolo mobilitato come attori integratori.
Golpe y contragolpe en el siglo XXI: abril, hoy
Republicamos este trabajo especial del año pasado para recordar y analizar las jornadas de abril 2002, tan pertinentes hoy en la praxis sociopolítica nacional como para la historiografía de la Revolución Bolivariana. Las tecnologías del golpe, el auge del fascismo, los entresijos políticos y geopolíticos de aquella época se han actualizado, mas no superado, en la presente fase de agresiones por parte de una derecha extremista nacional y estadounidense que juega con fuego (económico, comercial, violento en distintas dimensiones) para intentar la cristalización de un cambio de régimen a la fuerza. El contragolpe, en semejante medida, sigue siendo la cohesión de los sectores del país que continúan apostando por el derecho a existir de Venezuela, bajo el signo de la soberanía y no de la colonia. Oportuno es (siempre) que traigamos a colación, más durante estas fechas, lo acontecido y leerlo en clave coetánea, como para recoger lo propio, organizarlo y darle sentido en medio del marasmo. Nos dice quiénes somos o hemos sido y ofrece pistas de lo que podemos ser como pueblo.
Las jornadas del 11 al 13 de abril de 2002 son recordadas con dolor pero también con lecciones que han sido importantes desde entonces para la consolidación del proyecto bolivariano y chavista.
Si no hubiese sido por la línea de resistencia que el pueblo estableció en los alrededores del Palacio de Miraflores, en Caracas, y en otros sitios importantes de Venezuela, la dictadura fascista de sectores empresariales y políticos de la extrema derecha se habría impuesto definitivamente.
El Comandante Hugo Chávez contó en un programa conmemorativo del 11A que el pueblo empezó a llegar a Miraflores luego de que los políticos y medios antichavistas apelaran a su versión insurreccional de “hasta el final”, con la que dirigieron la marcha opositora convocada ese día hacia la sede de gobierno. Provenía desde lejos, desde las afueras de Caracas, de las lomas y las montañas adyacentes: Petare, La Guaira.
El pueblo, consciente del peligro que se avecinaba, empezó a establecer, sin que nadie lo hubiera ordenado, una línea de resistencia. Un grupo de militares traidores logró inmovilizar casi toda la Fuerza Armada y replegó tropas, Guardia Nacional, cuerpos de seguridad, dejándole el campo libre a la marcha opositora. El Comandante Chávez comparaba la maniobra golpista con un partido de fútbol: se retira la defensa y amarran al portero. Algo así ocurrió. El pueblo entendió el guión y llegó a Miraflores, estableció una línea de resistencia, trincheras, y asumió su papel, acompañado por un firme grupo de soldados patriotas.
Los ejecutantes del golpe venían por varias direcciones. Por El Calvario iba una avanzada muy violenta, con armas largas, granadas de mano; una fuerza de combate paramilitar en buena parte formada por militares traidores y sicarios. Por la avenida Baralt trataron de operar, al igual que por el liceo Fermín Toro, organizados en varios frentes de marcha, cada uno con una vanguardia violenta y golpista. Los francotiradores estaban bien ubicados, lograron controlar las alturas predominantes en los alrededores, quienes chocaron con la resistencia de un grupo patriota de guardias nacionales y soldados de la Casa Militar, la Guardia de Honor, sin hacer uso de armas de fuego: esa fue la orden del Comandante Chávez.
Hasta el último minuto
El golpe del 11 de abril se fue tejiendo en vivo y directo, a vox populi, disfrazado de reclamos sociales y democráticos y de una bandera falsa, que fue el asesinato de civiles inocentes con motivos políticos para criminalizar al Gobierno Bolivariano, una táctica que han repetido hasta la saciedad desde entonces. La única forma de evitar el golpe habría sido que el Comandante Chávez se hubiera entregado a la mal llamada burguesía venezolana y al imperio. Esa era la única forma de evitarlo, pero el Comandante nunca retrocedió y el pueblo lo respaldó.
Sin la línea de resistencia y el grupo de soldados patriotas, la marcha fascista habría concluido su objetivo: asaltar el Palacio de Miraflores y asesinar a Chávez. Por eso, cada 11 de abril rendimos tributo a los mártires de Puente Llaguno, al pueblo sin armas que puso resistencia a las balas del fascismo.
El Comandante Chávez siempre agradeció los esfuerzos del pueblo durante aquellas jornadas. Dijo en el mencionado programa que “gracias al sacrificio de ellos yo estoy vivo, y por eso, ¿qué me queda? Luchar, luchar y luchar hasta el último día de mi vida. Hagamos realidad ese sueño por el que ellos murieron, como tantos mártires a lo largo de estos años”. Palabras que tienen una clara actualidad.
El enemigo tomó el control el 11 de abril, había vencido momentáneamente el fascismo. El 12 comenzó la rebelión cívico-militar para restaurar la Revolución Bolivariana al poder. La Guardia de Honor permaneció leal y se unió a la línea de resistencia popular que se había congregado en los alrededores del palacio de gobierno.
Ahora tiene diferentes rostros, más envejecidos, pero el mismo enemigo estaba paseándose por los pasillos de Miraflores aquel 12 de abril, celebrando, dándose abrazos. El Comandante Chávez comentó que “se abrieron los cementerios de la IV República y llegaron aquí los cadáveres insepultos, tomaron esto creyendo que ya el mandado estaba hecho”.
Pasaron por la escuela del fascismo en aquella ocasión y siguieron empleando esas prácticas. Muchos de los factores opositores que estuvieron involucrados y apoyaron o dieron el visto bueno a la brevísima dictadura de Pedro Carmona Estanga siguen llamando al golpe, a la insurrección, a la insubordinación militar contra el gobierno y el Estado. La conspiración continúa para desestabilizar el país, para cometer magnicidio contra el presidente Nicolás Maduro. Siguen tratando de sabotear el sistema eléctrico, la industria petrolera, la economía nacional.
13 de abril: Alternativa al fascismo
Ante los planes del fascismo golpista, la responsabilidad que tenemos las y los venezolanos es continuar fortaleciendo lo fértil del proyecto bolivariano, enfrentando y derrotando dichas facciones o la que surja en cualquier campo de batalla.
El 13 de abril, una operación militar con amplio apoyo popular restauró el poder presidencial a Chávez y con ello se inauguró una nueva etapa del proceso revolucionario.
Fue después de ese día cuando comenzamos a hablar de antiimperialismo y, luego, de socialismo. El golpe y su contragolpe contribuyeron poderosamente a perfilar mucho más el rumbo de la Revolución Bolivariana y a profundizarla. El llamado desde entonces ha sido el de seguir cincelando mejor ese rumbo, como también lo advierte constantemente el presidente Maduro.
Las jornadas del 11 al 13 de abril pudiéramos compararlas con la resistencia exitosa a la invasión estadounidense de Playa Girón contra la revolución cubana. Una analogía histórica que muy posiblemente quepa mencionar en cuanto al giro que dieron ambos procesos, cubano y venezolano, tras la intervención directa de Estados Unidos.
“Gracias, medios de comunicación”
Pasemos a analizar lo que de allí derivó en cuanto a política e historia, geopolítica y tecnologías para el “cambio de régimen”. Se trata de registrar los fenómenos, más allá de lo que ocurrió en sí, hacia otras dimensiones.
Siendo el primer golpe mediático en la historia, se debe resaltar el carácter político de los medios de comunicación privados en Venezuela, desde los tiempos cuando los principales canales de televisión y de prensa comenzaron a influir en la opinión pública a favor o en contra de ciertas corrientes y acciones de partidos políticos, movimientos sociales y programas administrativos que tendrían gran influencia en la dinámica nacional.
Marcel Granier, presidente de RCTV, tuvo un papel esencial durante el golpe de 2002, con su televisora ejerció un bloqueo informativo de los sucesos en Caracas que concluyeron en el secuestro del presidente Chávez, bajo una política de “cero chavismo” en las pantallas durante el 11 de abril, introduciendo en su lugar una narrativa que dio paso no a la información sino a la construcción sentimental de un consenso a favor del cambio de régimen que ocurría en tiempo real.
Recordemos la expresión en el programa televisivo de Napoleón Bravo el 12 de abril de 2002: “Gracias, medios de comunicación”.
Podemos observar que lo mismo está ocurriendo con Rusia a lo largo de la geografía occidental con los cierres de canales y restricción y censura de portales web de RT y Sputnik a través de los conglomerados mediáticos y de la Big Tech, los cuales cercenan de raíz la emisión de información y análisis divergentes a la cobertura estadounidense y europea, no solo de la Operación Militar Especial rusa en Ucrania, sino de todo suceso a lo largo y ancho del mundo.
Este factor produce, al mismo tiempo, una modificación en la recepción hacia todo lo ruso, traducida en una actitud de hostilidad y de “cancelación cultural” que se derivan, en su proceder, en abril de 2002 —y en adelante—, cuando se vieron motivados hacia todo lo chavista desde los medios y voceros políticos del extremismo opositor, abiertamente protegidos por el paraguas estadounidense. En esta arista hay una continuidad de los procedimientos, con motivaciones políticas y culturales de disparadores hacia lo mediático.
Que el trabajo de RCTV y El Nacional, entre otros medios, haya producido consecuencias políticas no es una casualidad; tampoco lo es que derivara en una agenda fascista de persecución y “cancelación” del chavismo los días 11 y 12 de abril. El golpe mediático retroalimentó el golpe político.
En ese sentido, también hubo una prolongación de la labor política-mediática de Granier, desde la década de 1970 hasta 2006, año cuando termina la concesión oficial de RCTV para su transmisión en el espectro comunicacional venezolano.
En la franja internacional del golpe y el caos
Por otro lado, desde el punto de vista internacional, Estados Unidos estaba llevando a cabo acciones en diferentes escenarios geopolíticos que tuvieron consecuencias en distintas dinámicas nacionales en 2002.
En 2001 ocurrió la invasión de Afganistán, y a principios de 2003 la Casa Blanca —entonces gobernada por George W. Bush— se preparaba para la invasión a Irak.
En 2002, luego del golpe y contragolpe en Venezuela, el Departamento de Estado norteamericano designó a Corea del Norte, Cuba, Irán, Irak, Libia, Sudán y Siria como “Estados promotores del terrorismo”. Desde entonces, la ofensiva económica, financiera y comercial contra todos esos países fue incrementándose con los años, y en algunos las operaciones militares estadounidenses los caotizaron, inclusive hasta llegar a cambios de régimen: Irak, Libia, Sudán. En Siria, donde aun existe una base estadounidense que ocupa parte del noroeste rico en yacimientos petroleros, no pudieron derrocar el gobierno de Bashar al-Assad; sin embargo es un espacio que persiste como fuente de logística y protección para terroristas del ISIS y Al-Qaeda.
Venezuela compartía un sitio en las aspiraciones occidentales de cambio de régimen en el mapa geopolítico. Si bien el control de las agendas nacionales ya no es una prerrogativa de Estados Unidos no solo en la República Bolivariana sino en varios de los países mencionados, en su momento, siendo nuestro país uno que en todo el siglo XX orbitó bajo la gravedad influyente de Washington, desde la capital estadounidense se creía que en virtud del formato del golpe de Estado y el establecimiento de un gobierno liderado por empresarios y políticos —que hoy disfrutan de su protección— podría obtener el mismo resultado que planificaban para Irak y, posteriormente, Libia.
Que las jornadas de abril de 2002 concluyeran en un rotundo fracaso no significaba que la Casa Blanca iba a dejar de insistir en acciones destituyentes. Luego vino el sabotaje petrolero, liderado por los mismos factores del golpe meses antes, entre ellos la Confederación de Trabajadores de Venezuela (CTV), Fedecámaras, cierta cúpula de PDVSA y la Coordinadora Democrática, hechos que produjeron pérdidas calculadas en unos 16 mil millones de dólares, de acuerdo con el Ministerio del Poder Popular de Petróleo.
Luego, en 2005, el Comandante Chávez denunció la Operación Balboa, llamado “Ejercicio Específico Planeamiento Operativo Balboa”, que formó parte del Segundo Curso de Estado Mayor Conjunto de las Fuerzas Armadas españolas en mayo de 2001, al cual asistieron oficiales invitados de varios países. Consistió en un ejercicio marcial del ejército de España, miembro de la OTAN, realizado entre el 3 y el 19 de mayo del mencionado año. Es probable que la Operación Puma, un ensayo castrense argentino que se dio entre abril y junio de 2019, cuya misión fue la “invasión humanitaria” de Venezuela bajo el formato de coalición multinacional, sea una continuación estratégica de Balboa.
En la década del 2000 la Casa Blanca produjo una serie de intervenciones militares, abiertas y encubiertas, algunas exitosas y otras que culminaron en fracaso, para modificar el cuadro internacional a su favor. En este marco de operaciones puede leerse el golpe de abril, teniendo en cuenta que los sujetos que lo protagonizaron tienen estrechas conexiones con el establishment estadounidense (léase Leopoldo López, Julio Borges, Iván Simonovis, Pedro Carmona Estanga, María Corina Machado).
No se debe olvidar, como incluso lo reportó El País de España en su momento, el papel del Pentágono en los sucesos golpistas: “El teniente coronel estadounidense James Rodgers, instalado en el quinto piso de la Comandancia del Ejército, habría asesorado a los generales que desobedecieron a Chávez y permanecido con ellos hasta su derrota. El portavoz de la embajada norteamericana, John Law, negó una complicidad que no parece descabellada porque el embajador de Estados Unidos, Charles Shapiro, acompañado por el de España, Manuel Viturro, se entrevistó con Carmona después de que este hubiera disuelto el Congreso y se dotara de la facultad de legislar por decreto hasta la convocatoria de elecciones”.
Abril de 2002 en Venezuela estaba interconectado con diferentes aristas geopolíticas, en medio de varios movimientos militares de Estados Unidos y la OTAN en la región (Haití en 2004), en el Sudoeste Asiático y en África. Una tachuela más en el mapa de operaciones occidentales.
Para terminar, si trazamos una línea histórica de las acciones y motivaciones destituyentes por parte del antichavismo en Venezuela, podremos notar la continuidad existente entre los factores y actores que operaron en abril de 2002 y el resto de los intentos golpistas a lo largo de las últimas dos décadas.
Ya hemos mencionado a los políticos Leopoldo López, Julio Borges y María Corina Machado, pero tampoco se debe desestimar el papel de Henrique Capriles, firmante del Decreto Carmona y protagonista del asedio a la embajada de Cuba en Caracas, un delito tipificado en los códigos de Derecho Internacional.
El Estado español, asimismo, al igual que Estados Unidos, tiene una cuota de responsabilidad en muchos escenarios destituyentes, incluida la protección de Leopoldo López tras su fuga.
Abril, hoy
Por su parte, el sector empresarial venezolano tuvo una función importante durante los años más intensos de guerra económica interna, sobre todo en la desorbitada alza de precios que, en parte, provocó una inflación con pocos precedentes en la historia republicana. La combinación de este escenario con el bloqueo y embargo de la economía nacional por parte de Estados Unidos fue un caldo de cultivo ideal para diversos planes golpistas en la última década que el gobierno del presidente Nicolás Maduro tuvo que enfrentar, con éxito y dando actuales réditos políticos.
La mediática antichavista sigue desbordada en su capacidad de emitir ráfagas de bulos, noticias falsas y canales para la manufactura de consensos entre su audiencia. Entre uno y otro intento destituyente, su papel sigue teniendo un sentido nodal en la guerra informativa y en el teatro de operaciones de las manipulaciones psicológicas, sobre todo el sector que bebe de la fuente Usaid, NED y demás ONG asociadas.
Buen grado de que a Juan Guaidó se le haya “reconocido” como “presidente interino” recae sobre la narrativa mediática que se hace eco del mandato estadounidense en el espectro nacional e internacional, un vivo ejemplo del sesgo informativo que se vivió en abril de 2002. A su vez, sirve como correa de transmisión para el mensaje de odio político y cultural de todo lo que hace, piensa y representa el chavismo desde aquellos días. Nada ha tenido mayor continuidad que la denostación avalada por los tribunales mediáticos y la Big Tech a favor del antichavismo.
En respuesta, el Estado venezolano ha generado una fibra que compromete a la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) con los procederes y expectativas de la población politizada y organizada en el chavismo, esa hechura originalmente chavista denominada unión cívico-militar, que ha tenido oportunidades para demostrar que puede replicar los contragolpes de los abriles que se desencadenen.
Podemos hablar de la Batalla de los Puentes en febrero de 2019 y el desmontaje de la Operación Gedeón en 2020 como un botón clarísimo, pero asimismo mencionar la experiencia de los CLAP —muy especialmente en otras regiones del país fuera de Caracas—, teniendo en cuenta que el área económica y social es una de las aristas más importantes en la estrategia de golpe continuado contra la República Bolivariana, pues existe la expectativa opositora de que la ciudadanía tome la iniciativa de derrocar el Gobierno Bolivariano —como en 2014 y 2017—.
Probado a fuego durante más de 20 años, la mejor arma que tiene Venezuela para contrarrestar las tentativas de segarle el derecho a existir como nación independiente y soberana sigue siendo el Gobierno Bolivariano y la FANB, en conjunción con el pueblo movilizado como actores integradores.