Insabbiamento delle conseguenze legali
Recentemente, il presidente salvadoregno Nayib Bukele ha proposto al presidente Nicolás Maduro una presunta, quanto delirante, proposta di “scambio umanitario”, che ha generato una notevole controversia.
In un chiaro atto di comunicazione politica e di battaglia per l’opinione pubblica, Bukele ha fatto riferimento ai più di 250 venezuelani che sono stati inviati illegalmente dagli USA nel Paese centroamericano, lo scorso marzo, e che si trovano ancora incarcerati nel Centro di Confinamento del Terrorismo (CECOT).
Attraverso il suo profilo ufficiale sul social X, Bukele ha espresso la propria disponibilità a consegnarli al Venezuela in cambio della liberazione di un pari numero di presunti “prigionieri politici”, riferendosi a persone attualmente detenute in Venezuela per vari reati.
Il presidente ha affermato, in quell’occasione, di avere sotto controllo venezuelani “membri della banda Tren de Aragua”, che avrebbero “ucciso, stuprato e commesso reati” in territorio USA. Ricordiamo che l’amministrazione Trump paga El Salvador per trattenere questi mal chiamati deportati nel suo famigerato carcere di massima sicurezza, in una palese violazione del diritto internazionale e dei trattati di estradizione vigenti.
Dall’insediamento di Trump, a gennaio, le sue politiche anti-immigrazione di linea dura si sono scontrate con vari ostacoli legali.
L’ultimo di questi è avvenuto sabato scorso, quando la Corte Suprema USA ha ordinato alla Casa Bianca di sospendere temporaneamente la deportazione di cittadini venezuelani in base alla Legge sui Nemici Stranieri del 1798, fino a nuove decisioni dei tribunali subalterni.
L’esecutivo USA ha qualificato le impugnazioni dell’uso di tale legge per le deportazioni di massa come “cause infondate”, una risposta inusuale nei confronti del potere giudiziario di quel paese. È probabile che, con un nuovo invio forzato di persone di origine venezuelana nel Paese centroamericano, Trump commetta oltraggio alla Corte Suprema.
Al di là di questo considerevole scontro istituzionale negli USA, le nuove dichiarazioni di Bukele reindirizzano il problema, trasformandolo in una questione bilaterale con il Venezuela, alimentando la controversia e mettendo in luce importanti incongruenze.
Incongruenze, falsità e modo per sviare l’attenzione
La dichiarazione del presidente salvadoregno può essere considerata un’esibizione di forza.
È evidente che non ha alcuna reale intenzione di portare avanti uno “scambio umanitario” con il presidente Maduro, poiché, nei fatti, dimostra di non interessarsi della situazione personale di alcun connazionale.
Tuttavia, il suo discorso rivela che, oltre ad agire da carceriere, Bukele si erge a giudice e carnefice, pretendendo di decidere autonomamente il destino dei sequestrati nel CECOT, come se fossero merce di scambio, e ciò su richiesta di chi lo ha ingaggiato come outsourcing del sistema penitenziario USA.
Il principale problema legale riguardante l’incarcerazione dei venezuelani in El Salvador è la questione giurisdizionale. Non esiste alcun fondamento nelle leggi internazionali che giustifichi l’estradizione e la detenzione di queste persone, dato che non sono state sottoposte a processo. Tecnicamente, si tratta di un sequestro di massa.
Bukele tenta di equiparare la situazione di cittadini stranieri sequestrati nel suo Paese con quella di venezuelani coinvolti in reati e detenuti in Venezuela, i quali sono stati processati secondo la giustizia e la giurisdizione nazionale. L’incongruenza è lampante.
Da parte sua la Corte Suprema USA ha evidenziato le incongruenze delle mal chiamate deportazioni verso il Paese centroamericano.
Il Tribunale ha inizialmente stabilito, l’8 aprile, che Trump poteva utilizzare la Legge sui Nemici Stranieri per deportare presunti membri di bande criminali, e che i deportati dovevano avere l’opportunità di contestare la loro espulsione. Ma spetta ai tribunali – non alle autorità migratorie – determinare ciò.
Una grande parte dei più di 250 venezuelani sequestrati è stata arrestata mentre cercava di regolarizzare la propria situazione negli USA; altri non sono nemmeno riusciti a entrare nel Paese, essendo stati trattenuti alla frontiera in carceri per immigrati, mentre altri ancora sono stati catturati per strada ed espulsi arbitrariamente
Secondo media USA come il New York Times e Bloomberg, riguardo ai sequestrati nel CECOT, cinque uomini sono stati accusati o condannati per gravi reati come aggressione o violazione delle leggi sulle armi. Altri tre sono stati incriminati per reati minori, come molestie o piccoli furti, e altri due per traffico di persone.
Nel frattempo, non esistono informazioni chiare e verificabili sugli altri, il che rende evidente che si tratta di persone che non hanno ricevuto un giusto processo e che non hanno alcun precedente giudiziario nei tribunali USA.
La Corte Suprema ha affrontato la questione delle deportazioni verso El Salvador dalla prospettiva che si tratta di migranti, e non di membri di bande criminali, come li etichetta Bukele, arrogandosi un ruolo che spetta ai tribunali USA.
Non si può parlare di “deportazioni” di venezuelani verso El Salvador, poiché non è il loro Paese di origine. Né si può parlare di estradizione, dal momento che non hanno commesso reati in quella nazione.
Sebbene gli USA spesso deportino cittadini verso un terzo Paese — come nel caso del Messico —, queste persone rimangono in stato di libertà. Da questa prospettiva, l’incarcerazione dei venezuelani nel Cecot è del tutto ingiustificata, e ha solo un fragile appiglio legale nel definirli “nemici” secondo la controversa legge del 1798.
Riemerge così l’incoerenza nella gestione della giustizia: l’applicazione della Legge sui Nemici Stranieri compete agli USA o a El Salvador?
Nel frattempo, il procuratore generale del Venezuela, Tarek William Saab, ha denunciato la condizione legale dei sequestrati, che non sono mai stati presentati davanti a un tribunale né negli USA né in El Salvador, e a cui è stata negata la rappresentanza legale.
Il procuratore generale ha invitato la giustizia salvadoregna a rispondere alle richieste di habeas corpus presentate dagli avvocati dei venezuelani, per i quali ha chiesto la “libertà incondizionata”.
Saab ha inoltre accusato Bukele di commettere i reati di “sparizione forzata” e “tratta di esseri umani”.
Polemiche ed un atto che gli si ritorce contro
In questo quadro, torna centrale il grave problema della giurisdizione.
Le autorità giudiziarie del Paese centroamericano hanno piena facoltà di deliberare sulla situazione dei sequestrati.
Tuttavia, quando l’Esecutivo di quel paese — che controlla il sistema giudiziario — agisce da guardiano per un governo straniero, la questione si “risolve” secondo i dettami USA, dove i detenuti non godono di un’adeguata tutela legale.
Le critiche a Bukele in materia di violazione dei diritti umani piovono da più parti.
Recentemente, il senatore democratico Chris Van Hollen ha avuto un aperto scontro con le autorità salvadoregne, dopo che gli era stato negato l’ingresso nel Paese per conoscere la sorte di Kilmar Abrego García, cittadino salvadoregno regolarmente residente negli USA, espulso e incarcerato nel CECOT per “errore amministrativo”.
A Van Hollen è stato poi concesso l’ingresso in El Salvador e ha potuto incontrare Abrego, diventando così l’unica persona che lo ha visto da quando è detenuto. Il prigioniero non ha ricevuto assistenza legale personalizzata.
Un tribunale del Maryland ha ordinato il ritorno di Abrego negli USA, ma Bukele continua a trattenerlo.
Ora, i rappresentanti Robert García (California), Maxwell Alejandro Frost (Florida), Yassamin Ansari (Arizona) e Maxine E. Dexter (Oregon) sono atterrati domenica nel feudo di Bukele per incontrare Abrego, che è diventato simbolo della politica migratoria abusiva di Trump, della quale Bukele forma parte.
Recentemente, vari organismi d’intelligence USA hanno concluso che la banda Tren de Aragua — ormai estinta in Venezuela — non ha una linea di comando definita e che i suoi resti non rispondono né al presidente Maduro né ad altre autorità. Questo demolisce le basi su cui si applica la Legge sui Nemici Stranieri.
L’ondata espansiva e lo scatenamento di critiche e ostacoli legali per il governo Trump stanno crescendo, e con essi è probabile che emergano conseguenze di maggiore portata, anche legali, che potrebbero ricadere su Bukele.
Questi fatti spiegano anche perché il presidente centroamericano abbia cercato di sviare l’attenzione concentrandola sul governo del Venezuela, attraverso una falsa offerta carica di cinismo e propaganda.
Encubrimiento de consecuencias legales
Cinismo y propaganda en la propuesta de Bukele al presidente Maduro
Hace poco el mandatario salvadoreño Nayib Bukele propuso un supuesto, y al mismo tiempo delirante, “intercambio humanitario” al presidente Nicolás Maduro, hecho que generó una importante controversia.
En un claro acto de comunicación política y disputa por la opinión pública, Bukele aludió a los más de 250 venezolanos que fueron enviados ilegalmente por Estados Unidos al país centroamericano en marzo, y que permanecen encarcelados en el Centro de Confinamiento del Terrorismo (Cecot).
A través de su cuenta oficial en la red social X alegó su disposición de entregarlos a Venezuela a cambio de la libertad de la misma cantidad de supuestos “presos políticos”, en referencia a personas que se encuentran privadas de libertad en el país por diversos delitos.
El mandatario, en su momento, indició que tenía bajo su control a venezolanos “integrantes de la pandilla Tren de Aragua”, quienes habrían “matado, violado y cometido delitos” en suelo estadounidense. Recordemos que la administración Trump paga a El Salvador para mantener a los mal llamados deportados en su notoria cárcel de máxima seguridad, en una evidente violación al derecho internacional y los tratados de extradición vigentes.
Desde que asumió el cargo en enero las políticas antimigratorias de línea dura de Donald Trump se han topado con varios obstáculos legales.
El último de ellos tuvo lugar el sábado pasado, cuando la Corte Suprema de Estados Unidos ordenó a la Casa Blanca que suspendiera temporalmente la deportación de ciudadanos venezolanos mediante la Ley de Enemigos Extranjeros de 1798, hasta que se produzcan nuevas decisiones en tribunales subalternos.
El Ejecutivo estadounidense ha calificado las impugnaciones al uso de la ley para deportaciones masivas como “litigios sin fundamento”, una respuesta poco usual al poder judicial de ese país. Es probable que, con un nuevo envío forzado de personas de origen venezolano al país centroamericano, Trump incurra en desacato al Supremo.
Más allá de este considerable choque institucional en Estados Unidos, las nuevas declaraciones de Bukele redireccionan el problema y lo convierten en un asunto bilateral con Venezuela, atizando la controversia y dejando expuestas importantes inconsistencias.
Incongruencias, falacias y desvío de la atención
La declaración del presidente salvadoreño podría considerarse un alarde.
Él, es evidente, no está realmente dispuesto a ningún tipo de “intercambio humanitario” con el presidente Nicolás Maduro, pues por la vía de los hechos resalta que no le interesa la situación personal de ningún connacional.
Pero su discurso revela el hecho de que, además de actuar como carcelero, se asume como juez y verdugo al pretender decidir por cuenta propia el destino de los secuestrados en el Cecot, como si se tratara de monedas de cambio, y a expensas de quien contrató sus servicios como outsourcing del sistema penitenciario estadounidense.
El principal problema legal del encarcelamiento de venezolanos en El Salvador es el asunto juridisccional. No existe ningún soporte en las leyes internacionales que justifique la extradición y retención de estas personas, considerando que no han sido procesadas por la justicia. Técnicamente, se trata de un secuestro masivo.
Bukele intenta equiparar la situación de ciudadanos extranjeros secuestrados en su país con la de venezolanos incursos en delitos y privados de libertad en Venezuela, que han sido sometidos a la justicia y a la jurisdicción nacional. La incongruencia es notable.
Por su parte, la Corte Suprema estadounidense ha señalado las inconsistencias de las mal llamadas deportaciones al país centroamericano.
El Tribunal dictaminó inicialmente el 8 de abril que Trump podía utilizar la Ley de Enemigos Extranjeros para deportar a presuntos miembros de bandas y que los trasladados debían tener la oportunidad de impugnar su expulsión. Pero esto deben determinarlos los tribunales, no las autoridades migratorias.
Una gran parte de los más de 250 venezolanos secuestrados fue detenida mientras gestionaban su regularización en suelo de Estados Unidos; otros ni siquiera lograron ingresar al país al ser retenidos en la frontera en cárceles para inmigrantes, mientras que otros fueron capturados en las calles y expulsados de manera expresa.
Según medios estadounidenses como New York Times y Bloomberg, en referencia a los secuestrados en el Cecot, cinco hombres fueron acusados o condenados por delitos graves de agresión o violación de armas de fuego. Igualmente, tres señalados por delitos menores, que incluyen acoso y hurto menor, y otros dos por tráfico de personas.
Entretanto, no había información clara y verificable sobre los restantes, lo que torna evidente que se trata de personas que no fueron objeto del debido proceso y que no tienen registros de sentencia alguna por cortes estadounidenses.
La Corte Suprema ha lidiado con el asunto de las deportaciones hacia El Salvador desde la perspectiva de que se trata de migrantes y no miembros de banda criminales, tal como los acuña Bukele asumiendo el rol que corresponde a los tribunales norteamericanos.
No puede hablarse de “deportaciones” de venezolanos hacia El Salvador dado que ese no es su país de origen. Tampoco de extradición, dado que estas personas no cometieron delitos en esa nación.
Si bien es cierto que Estados Unidos suele deportar ciudadanos a un tercer país —es usual hacia México—, estas personas quedan en situación de libertad. Desde esa perspectiva el encarcelamiento de venezolanos en el Cecot es completamente injustificado, y ello solo tiene un difuso asidero legal al declarar a los retenidos como “enemigos”, según la polémica Ley de 1798.
Nuevamente surge la inconsistencia sobre la administración de la justicia. La aplicación de la Ley de Enemigos Extranjeros, ¿corresponde a Estados Unidos o a El Salvador?
Entretanto el fiscal general de Venezuela, Tarek William Saab, denunció las condiciones legales de los secuestrados, quienes no han ido presentados ante algún tribunal ni en Estados Unidos ni en el país centroamericano, además de que se ha obstaculizado su representación legal.
El titular del Ministerio Público instó a la justicia salvadoreña a responder las solicitudes de habeas corpus interpuestas por abogados en favor de los venezolanos, para quienes Saab pidió “la libertad incondicional”.
Saab también acusó a Bukele de cometer el delito de “desaparición forzada” y “trata de personas”.
POLÉMICAS Y UN TIRO QUE SALIÓ POR LA CULATA
En este sentido, figura nuevamente el grave problema de la jurisdicción.
Las autoridades judiciales del país centroamericano están en plena facultad de deliberar sobre la situación de los secuestrados.
Sin embargo, cuando el Ejecutivo de ese país —que controla el sistema judicial— sirve de centinela a un gobierno extranjero, el tema se “resuelve” acorde con los designios estadounidenses, donde los detenidos no cuentan con la adecuada protección legal.
Las críticas sobre Bukele en referencia a la violación de derechos humanos le han llovido desde múltiples direcciones.
Hace poco el senador demócrata Chris Van Hollen estuvo en franco choque con las autoridades salvadoreñas, una vez que se le negara el ingreso al país para saber del paradero de Kilmar Abrego García, ciudadano de la nación centroamericana en condición legal en Estados Unidos, quien fue expulsado y encarcelado en el Cecot por “error administrativo”.
A Van Hollen luego se le permitió ingresar al Salvador y se reunió con Abrego, lo cual lo convirtió en la “única persona” que se ha reunido con él desde su retención. El detenido no ha recibido asistencia legal personalizada.
Un tribunal de Maryland ordenó el retorno de Abrego a suelo estadounidense, pero se mantiene retenido por Bukele.
Ahora, los representantes Robert García de California, Maxwell Alejandro Frost de Florida, Yassamin Ansari de Arizona y Maxine E. Dexter de Oregón aterrizaron en el feudo de Bukele el domingo para reunirse con Abrego, y lo han convertido en punto de referencia de la abusiva política migratoria de Trump, de la que Bukele forma parte.
Hace poco varios organismos de inteligencia estadounidenses concluyeron que la banda Tren de Aragua —extinta en Venezuela— no tenía una línea de mando clara y que sus reductos restantes no están subordinados al presidente Maduro ni a otras autoridades, con lo cual deshicieron las bases sobre las que se aplica la Ley de Enemigos Extranjeros.
La onda expansiva y el desencadenamiento de críticas y obtáculos legales al gobierno de Trump están alcanzando más relevancia, por lo que es probable que ello adquiera nuevas proporciones, incluso repercusiones legales que podrían recaer sobre Bukele.
Estos hechos también explican por qué el mandatario centroamericano ha pretendido desviar la atención para fijarla en el gobierno de Venezuela, mediante una falsa oferta cargada de cinismo y propaganda.