Le risorse di gas dell’Esequibo nel mirino

ExxonMobil disegna una strategia di accerchiamento energetico contro il Venezuela

Franco Vielma

Il responsabile delle politiche del settore petrolifero, nonché vicepresidente della Guyana, Bharrat Jagdeo, ha annunciato che il suo paese sta valutando diverse opzioni per “monetizzare le sue risorse di gas”, in riferimento agli idrocarburi che vengono saccheggiati dal mare dell’Esequibo, attualmente oggetto di rivendicazione da parte del Venezuela.

Tra le opzioni menzionate dal funzionario, vi è quella di utilizzare il gas per rifornire il Brasile. Spera che “questa sia un’opzione: portare il gas a terra, generare energia, fornire elettricità al Brasile, vendere energia”, ha dichiarato.

Sono anche in programma progetti per portare il gas a terra con finalità industriali e produrre fertilizzanti, al fine di sviluppare un’industria petrolchimica.

Come terza opzione, c’è quella di “produrre gas naturale liquefatto (GNL)”. Questa possibilità prevede l’utilizzo di navi di liquefazione in mare aperto, evitando la costruzione di infrastrutture a terra, per così destinare il prodotto al mercato internazionale.

Jagdeo ha anche considerato l’idea di “studiare se trasportarlo a Trinidad per essere processato lì, cosa che avrebbe senso”.

Il vicepresidente ha indicato che lo sviluppo di questo settore non è finanziato dal governo della Guyana. Ha quindi affermato che “gli investitori privati dovranno determinare quale sia l’opzione più fattibile”. In altre parole, sarà la multinazionale USA ExxonMobil a stabilire queste politiche.

“Abbiamo identificato, attraverso un processo pubblico, un’azienda che collaborerà con Exxon e con il governo della Guyana per monetizzare il gas. Se si decidesse di trasportarlo a Trinidad per essere processato, ciò potrebbe generare maggiori profitti per il progetto, e quindi maggiori entrate per la Guyana”, ha affermato.

Il blocco del Venezuela come elemento scatenante

Le possibili strategie gasifere della Guyana sono costruite in larga parte sulle condizioni di blocco imposte all’industria degli idrocarburi del Venezuela, le quali hanno avuto effetti collaterali anche su Trinidad e Tobago e sul suo schema di affari.

Il primo ministro di Trinidad e Tobago, Stuart Young, ha annunciato che gli USA hanno revocato le licenze concesse al paese affinché la compagnia petrolifera Shell, la National Gas Company (NGC) e altri contraenti potessero esplorare, produrre ed esportare gas naturale dai campi Dragón e Cocuina-Manakin.

Il primo ministro ha affermato che Trinidad e Tobago continuerà a difendere “il meglio per il paese e per il resto della Comunità caraibica”.

Tuttavia, il governo trinitense da tempo sta costruendo una relazione energetica stretta con la Guyana, probabilmente con la partecipazione della multinazionale USA ExxonMobil in qualità di lobbista, coordinatrice e beneficiaria.

Nell’agosto del 2022, in un incontro tra i due governi, si è concordato di approfondire le relazioni in diversi ambiti, in particolare quello energetico, con l’intento di diventare attori “globali”.

“Abbiamo la capacità, insieme al Suriname, di essere leader nei dibattiti sulla sicurezza energetica”, ha dichiarato il presidente della Guyana, Irfaan Ali, in una conferenza stampa a Port of Spain insieme a Rowley.

Nel febbraio di quest’anno, di fronte alla concreta possibilità che gli USA inasprissero la pressione contro il Venezuela, vari media hanno segnalato la possibilità che Trinidad e Tobago attuasse un “Piano B”, che consisterebbe nel puntare verso le nascenti attività estrattive nelle acque rivendicate — in particolare quelle di gas da parte della Guyana — e approfittare anche delle esplorazioni in corso in Suriname, Grenada e perfino Barbados.

Fattori di congiuntura geopolitica

Trinidad e Tobago è un attore sempre più importante nell’industria energetica caraibica, in particolare nel settore petrolchimico.

Sebbene il volume della sua commercializzazione di idrocarburi sia ridotto, rappresenta una parte considerevole delle esportazioni e delle entrate governative. Il settore energetico contribuisce a circa il 35% del PIL e le esportazioni energetiche hanno raggiunto gli 8 miliardi di $ nel 2022, rappresentando oltre l’80% del totale delle esportazioni.

Il paese è un importante esportatore di GNL e possiede anche una notevole industria petrolchimica.

Per il governo trinitense, gli accordi con il Venezuela per accedere alle sue riserve di gas sono stati fondamentali per la sostenibilità della propria industria energetica e del proprio modello economico, ma la sospensione delle licenze lo costringe a cercare nuove fonti di approvvigionamento.

Nel frattempo, le ambizioni della Guyana guardano al medio termine. Secondo il nuovo portale specializzato guyanese OilNow, in base a fonti governative, entro il 2030 si prevede che la Repubblica Cooperativa produca circa 1,125 miliardi di piedi cubi al giorno (bcf/d) di gas naturale, pari al 45% dell’attuale produzione di Trinidad e Tobago (2,51 bcf/d).

L’elemento più rilevante di questa configurazione energetica è che la compagnia USA Exxon sta promuovendo la costruzione di un hub gasifero ed energetico nei Caraibi, con l’intento geopolitico di scollegare il Venezuela dallo scenario regionale.

Si sta valutando la monetizzazione delle risorse dell’Esequibo oggetto di rivendicazione, unificando attorno a Exxon gli interessi di Guyana, Suriname, Grenada e possibilmente Brasile.

Scenari e possibilità

Lo studio di fattibilità di nuovi sviluppi industriali nel settore del gas “in Guyana” implica, per motivi geografici, che il trattamento del gas estratto offshore comporti la creazione di infrastrutture che potrebbero poggiare sul territorio solido dell’Esequibo.

Qualsiasi sviluppo infrastrutturale per sfruttare il gas e convertirlo in prodotti petrolchimici dovrebbe quindi avvenire sul suolo esequibano, aggiungendo una nuova dimensione alla disputa territoriale legittimamente sollevata dal Venezuela.

La portata degli interessi si amplierebbe con il coinvolgimento del Brasile, un gigante affamato di prodotti petrolchimici a causa delle caratteristiche del suo agribusiness e del suo sviluppo industriale.

La nazione brasiliana ha sviluppi petrolchimici rilevanti nel centro-est e centro-sud del paese, ma affronta alti costi logistici per rifornire il nord, nord-est e nord-ovest, motivo per cui la Guyana potrebbe diventare una fonte di risorse e prodotti destinati a questo mercato subregionale. In questo schema, ExxonMobil sarebbe la grande beneficiaria.

Se la Guyana procederà alla costruzione di questo modello, è probabile che pianifichi in collaborazione con il Brasile, elemento chiave per garantire la fattibilità del progetto: assicurare un mercato di destinazione dei suoi prodotti. È persino probabile che aziende brasiliane partecipino direttamente, investendo e sviluppando capacità che la Guyana non possiede nel settore petrolchimico.

Il Brasile potrebbe anche approfittare dell’elettricità prodotta in Guyana da impianti alimentati con gas esequibano.

Questo punto è rilevante, poiché il Venezuela e il Brasile hanno avuto per lungo tempo una relazione di fornitura elettrica verso il paese amazzonico, che però è stata interrotta negli ultimi anni. Tale accordo è stato rilanciato, con l’intento di essere attuato. Tuttavia, un eventuale patto elettrico tra la nazione carioca e la Guyana significherebbe la sostituzione del Venezuela come fornitore potenziale.

La possibilità di liquefare il gas rubato dal mare dell’Esequibo in alto mare è la via più rapida per generare entrate immediate per il governo di Irfaan Ali. È altamente probabile che Exxon promuova questo schema, almeno fino alla pianificazione e al consolidamento di eventuali infrastrutture di grande portata.

Questo modello approfondirebbe la modalità di saccheggio delle risorse offshore contese. Allo stesso tempo, consoliderebbe la Guyana come nuovo fornitore (illegale) regionale di gas, compromettendo la posizione del Venezuela per mediare le misure coercitive e del blocco contro la sua industria degli idrocarburi.

Infine, c’è lo scenario in cui Trinidad e Tobago riceva il prodotto rubato all’Esequibo. In tal modo, le isole gemelle garantirebbero la continuità del proprio modello di affari. Questo contesto, altamente probabile, sarebbe progettato — tra altri scopi — per scollegare il Venezuela dallo scenario energetico regionale e ostacolare le sue prospettive di reinserimento nel mercato internazionale del gas, come previsto nell’accordo con il governo trinitense.

Dal punto di vista strettamente energetico, economico e commerciale, è completamente controproducente per la regione e i Caraibi costruire una sinergia completa nel settore degli idrocarburi escludendo il Venezuela, paese con le più grandi riserve petrolifere del mondo e le maggiori riserve di gas naturale del continente.

Ma questo paradosso riflette la portata della strategia geopolitica di isolamento e indebolimento del Venezuela.

Ben oltre la regione, altri attori internazionali in Asia e in Eurasia continuano a riconoscere nel Venezuela un potenziale energetico prezioso e in crescita, grazie alla sua abbondanza di risorse. Questo ha permesso il mantenimento di strategie nonostante le condizioni oggettive imposte dalle misure coercitive contro la compagnia statale PDVSA.

Per questa ragione, il paese caraibico ha rafforzato al massimo le proprie capacità nelle relazioni con i paesi del blocco emergente, per affrontare e superare gli ostacoli generati dalle strategie volte a scollegarlo dallo scenario energetico caraibico.

Fortunatamente, lo schema geopolitico energetico venezuelano ha dimostrato grande flessibilità e adattabilità, e da quasi due decenni si proietta verso altri assi regionali, riducendo la propria vulnerabilità nell’emisfero occidentale.


Los recursos gasíferos del Esequibo en la mira

ExxonMobil diseña una estrategia de cerco energético contra Venezuela

Franco Vielma

 

El jefe de políticas del sector petrolero, el vicepresidente de Guyana, Bharrat Jagdeo, ha anunciado que su país está considerando diversas opciones para “monetizar sus recursos de gas”, en referencia a los hidrocarburos que están siendo saqueados de mar esequibano bajo reclamación de Venezuela.

Entre las opciones que ha referido el funcionario, está la de utilizar el gas para abastecer a Brasil. Espera que esa “sea una opción, traer el gas en la tierra, generando energía, suministrando a Brasil electricidad, vendiendo energía”, indicó.

También planean llevar el producto a tierra, con fines industriales, y producir fertilizantes para desarrollar una industria petroquímica.

Como tercera opción, está “la de producir gas natural licuado (GNL)”. Esta posibilidad incluye emplear barcos de licuefacción en altamar y no instalar infraestructura en tierra, para así destinar el producto al mercado internacional.

Jagdeo también consideró “estudiar si llevarlo a Trinidad para ser procesado allí, lo cual tendría sentido”.

El vicepresidente indicó que el desarrollo de este ramo no estaba siendo financiado por el gobierno de Guyana. Por ello, dijo que “los inversionistas privados tendrían que determinar cuál es la opción más factible”. En otras palabras, será la transnacional estadounidense ExxonMobil la que construirá estas políticas.

“Hemos identificado, a través de un proceso público, una empresa para trabajar con Exxon y el gobierno de Guyana para monetizar el gas. Si deciden llevarlo a Trinidad para ser procesado, eso podría ofrecer mayores ganancias al proyecto, y por lo tanto generará un mayor ingreso a Guyana”, señaló.

El bloqueo a Venezuela como elemento desencadenante

Las posibles estrategias gasíferas de Guyana, están construidas en gran medida sobre las condiciones de bloqueo a la industria de hidrocarburos de Venezuela, las cuales se han colateralizado sobre Trinidad y Tobago y su esquema de negocios.

El primer ministro de Trinidad y Tobago, Stuart Young, ha anunciado que Estados Unidos revocó las licencias otorgadas al país para que la petrolera Shell, la Compañía Nacional de Gas (NGC, en inglés) y contratistas puedan explorar, producir y exportar gas natural desde campo Dragón y Cocuina-Manakin.

El primer ministro afirmó que Trinidad y Tobago continuará defendiendo “lo mejor para el país y para el resto de la Comunidad del Caribe”.

Sin embargo, el gobierno trinitario ha estado, desde hace mucho, articulando una relación energética estrecha con Guyana, probablemente con la participación de la transnacional estadounidense ExxonMobil como lobbista, articuladora y beneficiaria.

En agosto de 2022, en un encuentro entre ambos gobiernos, se acordó profundizar sus relaciones en varios campos, especialmente el energético, para convertirse conjuntamente en actores “globales”.

“Tenemos la capacidad, junto con Surinam, para ser líderes en la mesa de las discusiones sobre seguridad energética”, dijo el presidente de Guyana, Irfaan Ali, en una rueda de prensa en Puerto España junto a Rowley.

En febrero de este año, ante la importante posibilidad de que Estados Unidos recrudeciera la presión contra Venezuela, diversos medios anunciaron la probabilidad de que Trinidad y Tobago ejecutara un “Plan B”, que consistiría en apuntar hacia las nacientes explotaciones en aguas bajo reclamación, concretamente de gas por parte de Guyana, y también nutrirse de las exploraciones que se adelantan en Suriname, Granada e incluso Barbados.

Factores de conjugación geopolítica

Trinidad y Tobago es un jugador cada vez más importante en la industria energética caribeña, especialmente en materia petroquímica.

Aunque su comercialización de hidrocarburos es pequeña en términos de volumen, representa una gran parte de sus exportaciones y de los ingresos gubernamentales. El sector energético contribuye con aproximadamente el 35% del PIB y las exportaciones de energía fueron de 8.000 millones de dólares en 2022, representando más del 80% de las expo totales.

El país es un importante exportador de GNL, y también tiene una considerable industria petroquímica.

Para el gobierno trinitense, los acuerdos con Venezuela para acceder a sus reservas de gasíferas han sido claves para la sostenibilidad de su industria energética interna y su modelo de negocios, pero al verse interrumpidas las licencias, están obligados a suplirse de nuevas fuentes.

Entretanto, la aspiración de Guyana apunta al mediano plazo. Tal como reseña el novísimo medio especializado guyanés OilNow, acorde a fuentes del gobierno, para 2030 se prevé que la República Cooperativa producirá aproximadamente 1.125 millones de pies cúbicos por día (bcf/d) de gas natural, que es el 45% de la producción actual de gas de Trinidad y Tobago de 2,51 bcf/d.

El elemento más sobresaliente de esta configuración energética es que la petrolera estadounidense está promoviendo la construcción de un hub gasífero y energético en el Caribe, el cual tendría el significado geopolítico de desacoplar a Venezuela de la escena regional.

Están sopesando la monetización de los recursos esequibanos bajo reclamación, unificando alrededor de Exxon los intereses de Guyana, Suriname, Granada y posiblemente Brasil.

Escenarios y posibilidades

El estudio de factibilidad de nuevos desarrollos industriales gasíferos “en Guyana” tiene la importante implicación de que, por cuestiones geográficas, procesar gas extraído costa afuera implica crear infraestructuras que podrían poner pie en tierra firme del suelo Esequibo.

Cualquier desarrollo de infraestructura industrial para el aprovechamiento del gas y convertirlo en productos petroquímicos tendría que servirse de suelo esequibano, lo cual daría una nueva dimensión a la disputa territorial y legítima planteada por Venezuela.

La escala de intereses se vería amplificada al involucrar a Brasil, país que es un gigante ávido de productos petroquímicos por las características de su agronegocio y su desarrollo industrial interno.

La nación carioca tiene importantes desarrollos petroquímicos en el centro-este y centro-sur del país, pero incurre en grandes costos logísticos para apuntalar su cadena de insumos y bienes hasta el norte, noreste y noroeste del país, por lo cual Guyana podría convertirse en una fuente de recursos y productos destinados a este mercado subregional brasileño. ExxonMobil sería gran beneficiaria en este esquema de negocios.

Si Guyana procede a construir este modelo, es probable que planifique en articulación con Brasil, pues este sería un elemento clave de la factibilidad para una apuesta de estas características: asegurar el mercado-destino de sus productos. Incluso es probable que las empresas brasileñas participen directamente, invirtiendo y desarrollando capacidades que Guyana no tiene el ramo petroquímico.

Brasil también podría servirse de electricidad producida en Guyana, mediante plantas que funcionen con la quema de gas esequibano.

Ese ítem es importante, dado que Venezuela y Brasil han tenido una relación de larga data de suministro eléctrico hacia el país amazónico, la cual se ha visto interrumpido en los últimos años. El acuerdo ha sido relanzado con la intención de ejecutarse. Pero un eventual pacto eléctrico de la nación carioca con Guyana, tendría el significado de desplazar a Venezuela como eventual proveedor.

La posibilidad de licuar gas robado del mar esequibano en altamar es la vía más expedita para generar ingresos instantáneos para el gobierno de Irfaan Ali. Es altamente probable que Exxon proceda a impulsar este esquema, al menos hasta que cualquier proyecto de infraestructura de envergadura se planifique y consolide.

Este modelo profundizaría la modalidad de saqueo de recursos costa afuera que están en reclamación. Al mismo tiempo, consolida a Guyana como un nuevo oferente (ilegal) regional de gas, afectando las condiciones de Venezuela para mediar en la política de medidas coercitivas y bloqueo de su industria de hidrocarburos.

Finalmente está el escenario de que Trinidad y Tobago reciba dicho producto robado al Esequibo. Así, las islas gemelas garantizarán su esquema de negocios. Este contexto, que es altamente probable, estaría diseñado, entre diversos fines, para desacoplar a Venezuela de la escena energética regional y contravenir sus perspectivas de incorporarse al mercado internacional gasífero, tal como estaba planteado en el acuerdo con el gobierno trinitense.

En términos estrictamente energéticos, económicos y comerciales, es completamente contraproducente para la región y el Caribe pretender construir una sinergia completa en el ramo de los hidrocarburos, sin Venezuela, país que cuenta con las reservas petroleras más grandes del mundo y con las reservas de gas natural más grandes del continente.

Pero ese contrasentido refiere la magnitud de la estrategia geopolítica de pretendido aislamiento y debilitamiento de Venezuela.

Mucho más allá de la región, otros actores internacionales en Asia y Eurasia, siguen reconociendo en Venezuela un potencial valioso e incremental en materia energética, por sus grandes haberes en recursos. Esto ha permitido el sostenimiento de estrategias, pese a las condiciones objetivas que imponen las medidas coercitivas contra la estatal PDVSA.

Por tal razón, el país caribeño ha apuntalado al máximo las facultades en su relación con los países del bloque emergente para asimilar y superar los obstáculos que generan las estrategias para desacoplar al país de la escena energética caribeña.

Afortunadamente, el esquema geopolítico energético venezolano ha demostrado una gran flexibilidad y adaptabilidad, y durante casi dos décadas se ha proyectado a otros ejes regionales reduciendo su vulnerabilidad en el hemisferio occidental.

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