La mafia cubano-americana in crisi?

I capi del cosiddetto «esilio», di radice neobatistiana, che fanno parte del Congresso USA, sono rimasti spiazzati di fronte alla valanga di deportazioni attuate dal Governo federale.

Francisco Delgado Rodríguez

Paradossi della politica: gli eventi sembrano segnare l’inizio di una crisi della cricca mafiosa di origine cubana, con epicentro nel sud della Florida.

Certamente, è presto per cantare vittoria, si potrebbe dire da una prospettiva più prudente; ma è utile valutare come prosegue questa vicenda, a circa cento giorni dall’inizio del secondo mandato di Trump.

Per cominciare, è svanito poco a poco l’entusiasmo che aveva invaso questi settori reazionari dopo la vittoria elettorale di Donald Trump, in quel ormai lontano novembre 2024.

Di quella festa si ricordano le aspettative che alcuni alimentarono – e altri credettero –: che con Marco Rubio alla guida del Dipartimento di Stato, il destino della Rivoluzione cubana fosse ormai segnato, e che restasse solo da definire il quando. In realtà, questo stesso ragionamento si applica oggi a Rubio: cioè non si discute più se sarà licenziato, ma solo quando.

Rapidamente è arrivato il tracollo dell’USAID e delle sue generose sovvenzioni a quella che viene chiamata l’industria senza fumo dell’odio contro Cuba; si è visto come piattaforme e media, anche quelli con una lunga storia di attacchi, menzogne e sistematiche campagne si ritrovarono improvvisamente senza fondi né appoggio.

Il sincericidio che sta caratterizzando l’attuale amministrazione prese corpo allora, rivelando ciò che Cuba aveva denunciato da sempre: che molti capi e media di questa banda erano impiegati usa e getta del Governo USA.

Parallelamente, i capi del cosiddetto «esilio», di radice neobatistiana, che siedono al Congresso, come Carlos Giménez, Mario Díaz-Balart e María Elvira Salazar, si trovarono disorientati di fronte all’ondata di deportazioni attuate con disprezzo, xenofobia e totale mancanza di rispetto dei diritti umani da parte del Governo federale.

Come noto, questi personaggi si sono sempre venduti come difensori degli emigrati cubani, non perché gliene importasse davvero, ma perché proseguono una vecchia strategia di politicizzazione dell’emigrazione da Cuba.

La corrida contro gli immigrati ha colpito una comunità di cubani emigrati che, fino a quel momento, godeva del beneficio del dubbio, in quanto considerati fuggitivi dalla «dittatura castrista», inclusi coloro che avevano ottenuto il cosiddetto parole o erano entrati forzatamente attraverso il confine sud, appellandosi al concetto di «timore credibile».

Come prima conseguenza, comparve presto, in un’arteria centrale, quella che è già diventata un’iconica insegna che accusa di tradimento il trio di legislatori e il Segretario di Stato.

Studi condotti sulle reti sociali, ad esempio relativi alla rappresentante Salazar, rivelano che tra gli utenti prevale uno stato d’opinione critico, accusandola di doppiezza e di non offrire soluzioni; attaccano la politica di Trump – che ritengono Salazar appoggi o non abbia il coraggio di contrastare – denunciandola come disumana.

L’aggressivaa campagna scatenata, con toni maccartisti, contro i migranti cubani con presunte passate militanze rivoluzionarie, sembra probabilmente un pretesto per giustificare, in futuro, le deportazioni di massa.

E la libertà di espressione e di opinione nel paese in cui molti credono sia stata inventata?

Risposta ironica: è in pausa, scusate il disagio.

Per completare questo quadro desolante, il rappresentante Giménez e, da parte sua, il «creativo» Claver-Carone, delegato speciale della Casa Bianca per l’America Latina, minacciano dure sanzioni ed esigono ulteriori sacrifici dalla famiglia cubana. Le loro dichiarazioni ricordano il cinismo con cui l’assassino Posada Carriles giustificava l’esplosione di un aereo civile in pieno volo.

Non serve essere esperti per percepire quanta irritazione e rigetto suscitino queste posizioni tra i cubani, sia dentro che fuori l’isola.

A tutto questo si aggiunge una notizia molto rilevante, pubblicata da un media di vasta diffusione a Miami, El Nuevo Herald, di solito una vetrina delle politiche anticubane promosse dalla mafia cubano-americana o quelle che impone lo stesso Governo USA contro la famiglia cubana.

In questo caso, il giornale ha intervistato Mike Fernández, considerato dagli esperti in materia il cubano-americano più ricco degli USA. Sebbene ora si dichiari indipendente in politica, Fernández vanta un lungo passato di sostegno ai repubblicani di Miami, con generose donazioni alle campagne dei tre rappresentanti citati e di Marco Rubio. In poche parole, Fernández invita questi personaggi ad affrontare Trump sul tema migratorio, oppure a farsi da parte, etichettando l’inquilino della Casa Bianca come «dittatore».

Una possibile conseguenza di questa vicenda potrebbe essere che la visibile perdita di popolarità di questi legislatori, sommata al consueto fallimento nel porre fine rapidamente alla Rivoluzione cubana, finisca per mettere a rischio la loro rielezione nelle elezioni di metà mandato del 2026.

FONDI PER UCCIDERE, NON FONDI PER AIUTARE

 

Tornando all’USAID e ai fondi con finalità anticubane, ora gestiti da Rubio: appena il vento glielo ha permesso, è corso a ripristinare alcune di quei fondi. Ciò che è crudele è che, in parallelo, cancellò stanziamenti per un totale di 60 miliardi di $, destinati a scopi umanitari, nel cosiddetto sud globale, come la lotta alla povertà o alle malattie.

In breve, Rubio risparmia sui progetti umanitari di ampia portata internazionale, ma sperpera su quelli anticubani, che la storia ha costantemente dimostrato non conseguire gli obiettvi per cui sono stati creati.

Ancora una volta, l’agenda personale e perversa del Segretario di Stato e della sua cricca smentisce i presunti interessi degli USA.

Vale la pena chiedersi cosa ne pensi Jeremy Lewin, il nuovo consigliere di Rubio per gli aiuti esteri, inviato dal sempre imprevedibile Elon Musk. O cosa scoprirà la Government Accountability Office (GAO), incaricata di auditare le spese del Governo USA. Di sicuro verificheranno ancora una volta come il torbido si combini con l’inutile, solo per compiacere il mediocre Rubio nel suo momento di ’15 minuti’ di potere, e magari scoprire come venga dirottato denaro verso i lobbisti che lo hanno promosso all’attuale incarico.

Inoltre, il monopolio delle posizioni favorevoli alla politica aggressiva contro Cuba è ormai concentrato solo in certi settori del Partito Repubblicano. Resta da vedere come i democratici gestiranno la questione in queste nuove circostanze.

Quello che accadrà a questo gruppuscolo, che ha sequestrato la posizione politica della diaspora cubana, potrebbe contribuire a far emergere in futuro una verità attentamente occultata: che la maggioranza dei cubani negli USA preferirebbe una relazione normale e fluida con la terra natale, e che l’ostilità verso Cuba risponde esclusivamente a interessi minoritari e inconfessabili. Vedremo.


¿La mafia cubanoamericana en crisis?

Los líderes del llamado «exilio», de raíz neobatistiana, que pertenecen al Congreso estadounidense, quedaron descolocados ante la avalancha de deportaciones aplicada por el Gobierno federal

Francisco Delgado Rodríguez 

Paradojas de la política: los acontecimientos tributan a lo que ya parece ser el inicio de una crisis de la claque mafiosa de origen cubano, con epicentro en el sur de la Florida.

Ciertamente, es temprano para cantar victoria, podría decirse desde un ángulo más prudente; pero es útil evaluar cómo sigue esta historia, a unos cien días de iniciarse la segunda administración de Trump.

Para empezar, poco a poco se ha esfumado el jolgorio que provocó en estos sectores cavernarios la victoria electoral de Donald Trump, en un ahora lejano noviembre de 2024.

De aquella fiesta se recuerdan las expectativas que algunos fomentaron –y otros creyeron–: que con Marco Rubio al frente del Departamento de Estado estaba sellado el destino de la Revolución Cubana, y que solo había que precisar el cuándo. Lo real es que este mismo enfoque sirve para Rubio; es decir: no se discute si lo despiden, sino la fecha.

Rápidamente vino la debacle de la Usaid y sus generosas contribuciones a lo que llaman la industria sin humo del odio contra Cuba; se vio cómo plataformas y medios, incluso con un historial en materia de ataques, mentiras y campañas sistemáticas, se quedaron de pronto sin dinero ni apoyo.

El sincericidio que va caracterizando a la actual administración tomó cuerpo entonces, y se reveló lo que Cuba había denunciado históricamente: que muchos de los cabecillas y medios de prensa de esta pandilla eran descartables empleados del Gobierno estadounidense.

En paralelo, los líderes del llamado «exilio», de raíz neobatistiana, que pertenecen al Congreso estadounidense, como Carlos Giménez, Mario Díaz-Balart y María Elvira Salazar, quedaron descolocados ante la avalancha de deportaciones aplicada con desprecio, xenofobia y nulo respeto de los derechos humanos, por el Gobierno federal.

Como es conocido, estos personajes se han vendido como defensores de los emigrados cubanos, no porque les interesen realmente, sino porque son continuadores de una vieja estrategia de politizar la migración desde Cuba.

La corrida contra los inmigrantes ha impactado en una comunidad de cubanos emigrados que, hasta entonces, gozaban del beneficio de la duda sobre el supuesto de que habían escapado de la «dictadura castrista», incluidos los que recibieron el denominado parole o los que forzaron su entrada por la frontera sur, apelando a la figura del «miedo creíble».

Como primera consecuencia, pronto apareció, en una céntrica avenida, lo que ya resulta ser una icónica valla que declara traidores al trío de legisladores y al Secretario de Estado.

Estudios realizados en redes sociales digitales, por ejemplo, de la representante Salazar, revelan que predomina entre los internautas un estado de opinión crítico, acusándola de mantener un doble discurso, sin ofrecer soluciones; atacan la política de Trump –que creen Salazar respalda o que sencillamente le falta coraje para enfrentar–, denunciando que es inhumana.

La agresiva campaña desatada, con ínfulas macartistas, contra migrantes cubanos con supuesta anterior militancia revolucionaria, resulta probablemente un escape para más adelante montar un clima que justifique y esconda las deportaciones masivas.

¿Y la libertad de expresión y de opinión en el país en el cual muchos creen que se inventó? Respuesta desde la ironía: está en pausa, disculpen las molestias causadas.

Para rematar estos despropósitos, el representante Giménez, y por su lado el «creativo» Claver-Carone, delegado especial de la Casa Blanca para América Latina, amenazan con duras sanciones y exigen más sacrificios a la familia cubana. Los dichos recuerdan mucho el desparpajo con que el asesino Posada Carriles respondía a la interrogante de por qué había volado en pedazos un avión civil en pleno vuelo.

No es necesario ser un entendido para percatarse de cuánta irritación y rechazo generan estas posturas entre los cubanos de aquí y de allá.

A lo anterior se suma lo que constituye una noticia muy relevante, aparecida en un medio de amplio alcance en Miami, El Nuevo Herald, que suele comportarse como muro de exhibición de las políticas anticubanas promovidas por la mafia cubanoamericana, o las que impone el propio Gobierno estadounidense contra la familia cubana.

En este caso, entrevistó a Mike Fernández, considerado por expertos en la materia como el cubanoamericano más multimillonario de Estados Unidos. Aunque ahora se declara independiente en política, Fernández tiene una amplia trayectoria en el apoyo a los republicanos en Miami, con generosas donaciones a las campañas de los tres representantes mencionados, así como de Marco Rubio. Fernández, en pocas palabras, insta a esos personajes a que simplemente enfrenten a Trump por el tema migratorio, o den un paso al costado, rematando con el calificativo de dictador al inquilino de la Casa Blanca.

Una deriva importante de esta historia pudiera ser que la visible caída de la popularidad de los legisladores mencionados, sumada al acostumbrado fracaso para acabar expeditamente con la Revolución, termine poniendo en riesgo la continuidad de estos en sus actuales curules parlamentarios, en las elecciones de medio término de 2026.

FONDOS PARA MATAR, NO FONDOS PARA AYUDAR

Volviendo sobre la Usaid y los fondos con fines anticubanos, ahora administrados por Rubio, cuando el viento se lo permitió, corrió a reponer algunas de esas partidas. Lo cruel es que, en paralelo, canceló presupuestos que suman 60 000 millones de dólares, destinados en el mundo a fines humanitarios, como combatir la pobreza o las enfermedades en el denominado sur global.

En resumen, Rubio ahorra con proyectos humanitarios de amplio alcance internacional, pero malgasta en aquellos de destino anticubano, que porfiadamente la historia demuestra que no consiguen los propósitos para los que fueron creados.

Una vez más, la perversa agenda personal del Secretario de Estado y su cuadrilla desdice de los supuestos intereses de Estados Unidos.

Resulta válido preguntarse qué tiene que decir Jeremy Lewin, el nuevo asesor de Rubio para temas de ayuda al exterior, enviado por el inefable Elon Musk. O qué descubrirá la Government Accountability Office (gao), encargada de auditar los gastos presupuestarios del Gobierno estadounidense. Seguro verificarán, una vez más, cómo lo turbio se articula con lo inútil, solo para contentar al mediocre Rubio, en su momento de «15 minutos» de poder y, tal vez, comprobar cómo desvía dinero para los lobistas que lo han promovido para su cargo actual.

Por demás, el nivel de concentración de posturas a favor de la política agresiva contra Cuba aparece monopolizado por estos segmentos del Partido Republicano. Está por ver cómo será manejado este asunto por los demócratas bajo las nuevas circunstancias.

Lo que suceda con este grupúsculo, que secuestró la postura política de la diáspora cubana, puede incidir en que en el futuro predomine una verdad cuidadosamente escondida: que la mayoría de los cubanos en ese país prefieren una relación normal y fluida con la tierra que los vio nacer, y que la hostilidad contra Cuba responde, exclusivamente, a intereses espurios muy minoritarios. Veremos.

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