Jorge Elbaum
La parata militare che si terrà il 9 maggio nella Piazza Rossa di Mosca, in occasione della vittoria contro il nazi-fascismo, si trasformerà senza dubbio in una delle espressioni più significative della trasformazione tettonica dell’ordine mondiale. Questa modificazione strutturale è il risultato combinato dell’emergere della Repubblica Popolare Cinese come potenza economica globale, della formazione dei BRICS – come alternativa multipolare alle organizzazioni internazionali controllate e manipolate dall’Occidente predatore –, della vittoria militare della Federazione Russa contro i 32 Paesi che compongono la NATO, e del progressivo deterioramento politico-istituzionale di USA ed Unione Europea.
La celebrazione del Giorno della Vittoria della Grande Guerra Patriottica – così i russi definiscono il conflitto bellico che affrontarono tra il 1941 e il 1945 – riunirà gran parte dei presidenti dei BRICS e del cosiddetto Sud Globale. Saranno presenti, tra gli altri, i presidenti di Cina, Xi Jinping; di Cuba, Miguel Díaz-Canel; del Venezuela, Nicolás Maduro; della Bielorussia, Aleksandr Lukašenko; della Palestina, Mahmoud Abbas; del Burkina Faso, Ibrahim Traoré; della Slovacchia, Robert Fico; e della Serbia, Aleksandar Vučić. Gli ultimi due sono stati minacciati dalla responsabile per gli Affari Esteri dell’Unione Europea, l’estone Kaja Kallas, che ha chiesto loro di non partecipare alla parata.
I media occidentali concentrati, preoccupati per la sconfitta militare della NATO e per l’enorme resilienza della Repubblica Popolare Cinese nei confronti dei dazi imposti da Trump, insistono nell’oscurare la commemorazione. La sua realizzazione, suggeriscono, implica riconoscere che Vladimir Putin non è stato cancellato come si era cercato di fare fin dall’inizio dell’Operazione Militare Speciale, nel 2022, quando le centrali propagandistiche di Washington e Bruxelles pronosticavano il collasso della Russia provocato dalla guerra e dalle sanzioni economiche.
I presenti nella Piazza Rossa non vedranno sfilare solo i militari locali: saranno accompagnati da soldati in uniforme provenienti da Cina, Vietnam e Corea del Nord, testimoni della sconfitta militare delle forze ucraine – finanziate, armate e assistite dalla NATO – che cercano di mascherare la futura capitolazione con negoziati diplomatici. Per questa ragione Volodymyr Zelenskyj, e il suo seguito ucronazista, hanno invocato negli ultimi giorni minacce di possibili bombardamenti sulla Piazza Rossa, nonostante Putin abbia concesso una tregua di tre giorni a partire dal 7 maggio.
«L’Ucraina ha la capacità di attaccare la parata a Mosca, dove si riuniranno numerosi dirigenti mondiali», ha dichiarato il segretario della Commissione Difesa della Verchovna Rada, Roman Kostenko.
Il presidente ungherese Viktor Orbán è stato il primo a mettere in guardia sul fatto che la guerra iniziata dalla NATO nel 2004 – con la persecuzione dei russofoni, i bombardamenti nel Donbass, la proliferazione di bande paramilitari neonaziste e la messa al bando dei partiti di opposizione – avrebbe portato a una sconfitta catastrofica per Washington e Bruxelles. Orbán esortava i suoi colleghi dell’UE a prendere coscienza della storia militare russa – aggredita e invasa da svedesi, ottomani, giapponesi, francesi e tedeschi – e dell’impossibilità di sconfiggere la prima potenza mondiale in fatto di arsenale nucleare, secondo l’Istituto Internazionale di Ricerca sulla Pace di Stoccolma (SIPRI).
Fu lo stesso presidente magiaro a ricordare che nell’aprile del 1949 fu creata la NATO e pochi anni dopo, nel 1954, l’URSS ne chiese l’ingresso tramite una petizione presentata dal suo ministro degli Esteri, Vjačeslav Molotov. L’allora presidente USA, Dwight D. Eisenhower, si oppose, ma i russi insistettero altre tre volte: con Michail Gorbačëv, Boris El’cin negli anni ‘90, e Vladimir Putin all’inizio del XXI secolo. I quattro rifiuti – soprattutto quelli successivi alla disgregazione sovietica – convinsero gli analisti di Mosca che non era l’ideologia comunista a motivare l’antagonismo occidentale, bensì la combinazione di un’ancestrale russofobia rediviva, l’avidità neocoloniale per l’enorme estensione del territorio russo e la sua perturbante storia colma di glorie militari.
Dopo lo scioglimento dell’URSS, i sogni imperiali della “fine della storia” si concentrarono sull’Ucraina, per integrarla alle logiche della globalizzazione e al contempo accerchiare la nuova Federazione Russa. Michail Gorbačëv, nel 1990, aveva autorizzato l’unificazione tedesca a condizione che la NATO non si espandesse: «Fu allora che i dirigenti delle principali potenze occidentali (USA, Regno Unito, Germania e Francia) garantirono ai dirigenti russi che la NATO non si sarebbe spinta “neanche di un pollice” verso Est…».
L’impegno fu assunto anche pubblicamente dall’allora ministro degli Esteri della Germania Ovest, Hans-Dietrich Genscher, il quale affermò che «i cambi nell’Europa dell’Est e il processo di unificazione tedesca non devono comportare un danno per gli interessi di sicurezza sovietici».
Dal 1990 ad oggi, sono entrati nella NATO: Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia nel 1999; Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia nel 2004; Albania e Croazia nel 2009; Montenegro nel 2017; Macedonia del Nord nel 2020; Finlandia nel 2023 e Svezia nel 2024.
Il posizionamento nei confronti della Federazione Russa è diventato l’unica bussola dell’alleanza atlantica. Durante il ventesimo vertice della NATO, tenutosi a Bucarest nel 2008, l’alleanza si impegnò ad ammettere l’Ucraina. Due anni dopo, il presidente imposto dall’Occidente – nel contesto di una delle tante rivoluzioni colorate – Viktor Juščenko, conferì il titolo postumo di Eroe dell’Ucraina a Stepan Bandera, a cui è attribuita la frase: «La vittoria totale e suprema del nazionalismo ucraino avverrà quando la Russia smetterà di esistere».
Nel 2016, l’avenida più importante di Kiev si chiamava Moscow Prospect. Nello stesso anno fu ribattezzata Bandera Prospect, nonostante Bandera avesse partecipato alla II Guerra Mondiale come ufficiale delle Schutzstaffel tedesche, le famigerate SS, subordinate a Heinrich Himmler. Lo storico Raul Hilberg – probabilmente il più autorevole studioso del genocidio degli ebrei durante la II Guerra Mondiale – conferma che l’organizzazione guidata da Bandera collaborò in modo significativo all’arresto e alla successiva esecuzione di ebrei e rom nella Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina. Si stima che gli uccisi furono oltre un milione e mezzo, metà dei quali bambini sotto i 13 anni.
Gli esecutori di queste stragi erano gli Einsatzgruppen (squadre mobili di sterminio), responsabili del cosiddetto genocidio delle pallottole, alternativo e complementare a quello delle camere a gas. Uno di questi massacri, avvenuto a Kiev, è conosciuto come quello di Babij Jar dove, nel settembre 1941, furono assassinati 33771 ebrei, in maggioranza donne, bambini e anziani, poiché gli uomini erano stati mobilitati dall’Armata Rossa.
I crimini furono compiuti grazie ai collaborazionisti dell’OUN, l’organizzazione politicamente guidata dall’ufficiale ucraino delle SS oggi nominato eroe nazionale. A Leopoli è stato eretto un monumento di sette metri in onore di Stepan Bandera, il leader delle Waffen-SS Galizien.
Le conversazioni private di Hitler furono registrate da Heinrich Heim, Henry Picker e Martin Bormann, e raccolte da Hugh Trevor-Roper. In una di esse, il 5 luglio 1941, il caporale austriaco affermava: «Per istinto, il russo non tende a una forma sociale superiore (…) Energia e oppressione sono necessarie per dominare i russi (…) come per i cavalli». La loro storia sembra dimostrare quanto siano difficili da domare.
Ne massacrarono 27 milioni durante la II Guerra Mondiale, li hanno accerchiati con basi NATO, hanno nuovamente dichiarato loro guerra nominando Stepan Bandera eroe nazionale, ma ora sfilano orgogliosi, inaugurando un Nuovo Ordine Globale. Devono essere cavalli indomabili.
(Tratto da Página 12)
Ocho décadas, la misma guerra
Por: Jorge Elbaum
El desfile militar que se llevará a cabo el 9 de mayo en la Plaza Roja de Moscú, en celebración de la victoria contra el nazi-fascismo, se convertirá sin dudas en una de las expresiones más acabadas de la trasformación tectónica del orden mundial. Dicha modificación estructural es el resultado combinado de la emergencia de la República Popular China como potencia económica global, la conformación de los BRICS –como alternativa multipolar a las organizaciones internacionales controladas y manipuladas por el Occidente expoliador–, la victoria militar de la Federación Rusa contra los 32 países que conforman la OTAN y el progresivo deterioro político-institucional de Estados Unidos y la Unión Europea.
La celebración por el Día de la Victoria de la Gran Guerra Patria –así denominan los rusos a la contienda bélica que atravesaron entre 1941 y 1945– congregará a gran parte de los líderes de los BRICS y del denominado Sur Global. Entre otros, se harán presentes los mandatarios de China, Xi Jinping; de Cuba, Miguel Díaz-Canel; de Venezuela, Nicolás Maduro; de Bielorrusia, Alexánder Lukashenko; de Palestina, Mahmoud Abbas; de Burkina Faso, Ibrahim Traoré, de Eslovaquia, Robert Fico y de Serbia, Aleksandar Vucic. Estos dos últimos han sido amenazados por la responsable de las Relaciones Exteriores de la Unión Europea, la estonia Kaja Kallas, quien les exigió ausentarse del desfile.
Los medios concentrados occidentales, preocupados por la derrota militar de la OTAN y la enorme resiliencia de la República Popular respecto a los aranceles trumpistas, insisten en invisibilizar la conmemoración. Su realización, sugieren, implica aceptar que Vladímir Putin no ha podido ser cancelado como se procuró desde el inicio de la Operación Militar Especial, en 2022, cuando las usinas propagandísticas de Washington y Bruselas pronosticaban la debacle de Rusia provocada por la guerra y las sanciones económicas.
Los asistentes a la Plaza Roja no solo verán desfilar a militares locales: estarán acompañados por uniformados de China, Vietnam, y Corea del Norte, testigos de la derrota militar de las fuerzas ucranianas –financiadas, armadas y asistidas por la OTAN– que intentan maquillar la futura capitulación con negociaciones diplomáticas. Esta es la razón por la que Volodímir Zelensky, y su séquito ucronazi, apelaron en la última semana a vociferar bravatas sobre posibles bombardeos a la Plaza Roja, pese a que Putin concedió una tregua de tres días a partir del 7 de mayo.
“Ucrania tiene la capacidad de atacar el desfile en Moscú, donde se reunirán numerosos líderes mundiales”, declaró el secretario del Comité de Defensa de la Rada Suprema, Roman Kostenko.
El mandatario húngaro Víktor Orbán fue el primer dirigente en advertir que la guerra iniciada por la OTAN en 2004 -con la persecución a los ruso-hablantes, los bombardeos en el Donbás, la proliferación de bandas paramilitares neonazis y la proscripción de los partidos opositores- tendría como resultado una derrota catastrófica para Washington y Bruselas. Orbán exhortaba a sus colegas de la UE a tomar conciencia acerca de la historia militar rusa –atacada e invadida por suecos, otomanos, japoneses, franceses y alemanes– y la imposibilidad de derrotar a la primera potencia global en acopio de armas nucleares, según el Instituto Internacional de Investigación para la Paz de Estocolmo (SIPRI).
Fue el mismo mandatario magyar quien recordó que en abril de 1949 se creó la OTAN y pocos años después, en 1954, la URSS solicitó el ingreso mediante una petición realizada por su canciller Viacheslav Molotov. El entonces presidente de los Estados Unidos, Dwight D. Eisenhower, se opuso, pero los rusos insistieron en otras tres oportunidades más: Mijaíl Gorbachov, Boris Yeltsin en los noventa; y Vladímir Putin a principios del siglo XXI. Los cuatro rechazos –sobre todo los impulsados después de la desintegración soviética–, lograron convencer a los analistas moscovitas que no era la ideología comunista lo que motivaba el antagonismo occidental, sino la combinación de una ancestral rusofobia rediviva, el afán neocolonial por la extensión de su enorme territorio, y su perturbadora historia cargada de laureles militares.
Cuando se disolvió la URSS, los sueños imperiales del fin de la historia se concentraron en Ucrania para sumar su territorio a las lógicas de la globalización y al mismo tiempo sitiar a la nueva Federación Rusa. Mijaíl Gorbachov, en 1990, había habilitado la unificación alemana con la condición de que la OTAN no se expandiera: “Fue entonces cuando los líderes de las principales potencias occidentales (EE.UU., Reino Unido, Alemania y Francia) dieron garantías a los dirigentes rusos de que la OTAN no avanzaría ´ni una pulgada´ hacia el Este…”.
El compromiso público fue incluso asumido por el entonces ministro de Relaciones Exteriores de Alemania Occidental, Hans-Dietrich Genscher, quien señaló que “los cambios en Europa del Este y el proceso de unificación alemana no deben conducir a un menoscabo de los intereses de seguridad soviéticos”.
Desde 1990 hasta la actualidad, se han sumado a la OTAN la República Checa, Hungría y Polonia en 1999; Bulgaria, Estonia, Letonia, Lituania, Rumania, Eslovaquia y Eslovenia en 2004; Albania y Croacia en 2009; Montenegro en 2017; Macedonia del Norte en 2020; Finlandia en 2023 y Suecia, en 2024.
El posicionamiento en torno de la Federación Rusa se constituyó en la única brújula de la alianza atlantista. En la vigésima cumbre de la OTAN, realizada en Bucarest en 2008, la OTAN se comprometió a incorporar a Ucrania. Dos años después, el presidente impuesto por Occidente –en el marco de una de las tantas revoluciones de colores–. Víktor Yukashenko, otorgó el título póstumo de Héroe de Ucrania a Stepan Bandera, a quien se le atribuye la sentencia de que “la victoria total y suprema del nacionalismo ucraniano tendrá lugar cuando Rusia deje de existir”.
En 2016, la avenida más importante de Kiev llevaba el nombre de Moscow Prospect. En 2016 fue rebautizada como Bandera Prospect a pesar de su participación en la Segunda Guerra Mundial como oficial de las Schutzstaffel alemanas conocidas como las SS, subordinadas a Heinrich Himmler. En historiador Raul Hilberg –quizás el más relevante investigador sobre el genocidio de los judíos durante la Segunda Guerra Mundial– confirma que la organización dirigida por Bandera colaboró de forma significativa para la detención y posterior ejecución de gitanos y judíos dentro de la entonces República Socialista de Ucrania. Se calcula en más de un millón y medio de asesinados, la mitad niños menores de 13 años.
Los encargados de esas matanzas eran los Einsatzgruppen (equipos móviles de matanzas), responsables del denominado genocidio de las balas, alternativo y complementario al de las Cámaras de Gas. Una de esas matanzas, realizada en Kiev, es conocida como la de Babi Yar, donde fueron asesinados en septiembre de 1941, a 33771 judíos, la mayoría de los cuales eran mujeres, niños y ancianos, debido a que los varones habían sido movilizados por el Ejército Rojo.
Los crímenes fueron llevados a cabo gracias a los colaboracionistas de la OUN, la organización que comandaba políticamente el oficial ucraniano de las SS nombrado como héroe nacional en 2010. En Lviv (Leópolis) se emplazó el monumento de siete metros en homenaje a Stepan Bandera, el líder de las Waffen-SS Galizien.
Las conversaciones privadas de Hitler fueron registradas por Heinrich Heim, Henry Picker y Martin Bormann, y compiladas por Hugh Trevor-Roper. En una de sus intervenciones, el cabo austráco señaló, el 5 de julio de 1941, que “Por instinto, el ruso no va a una forma de sociedad superior (…) La energía y la opresión son necesarias para dominar al ruso (…) igual que a los equinos.” Su historia parece demostrar que son difíciles de domesticar.
Masacraron a 27 millones de ellos en la Segunda Guerra Mundial, los rodearon con bases de la OTAN, les volvieron a declarar la guerra cuando nombraron a Stepan Bandera héroe nacional pero ahora desfilan orgullosos, inaugurando un Nuevo Orden Global. Deben ser caballos indómitos.
(Tomado de Página 12)