Intervista a Carlos Fernández de Cossío per La Jornada

Cuba por Siempre

«Manca solo un’aggressione militare per completare l’accerchiamento USA contro Cuba». Questa affermazione perentoria del viceministro degli Affari Esteri di Cuba, Carlos Fernández de Cossío, riflette l’intensità dell’ostilità che l’isola si trova ad affrontare, segnata da un blocco economico, misure coercitive extraterritoriali e campagne di disinformazione.

Nelle parole dello stesso diplomatico: «Cuba non vive in pace. Cuba vive in un’aggressione permanente». In un’intervista realizzata dal quotidiano La Jornada durante una visita di Fernández de Cossío in Messico, il diplomatico offre un’analisi approfondita delle sfide migratorie nella regione e dell’aggressione sistematica – politica, economica e mediatica – contro Cuba.

Con una carriera di rilievo come direttore per gli USA presso il Ministero degli Esteri cubano, ambasciatore in Sudafrica e rappresentante nel processo di pace tra il governo colombiano e le FARC, Fernández de Cossío è uno dei massimi esperti delle relazioni tra L’Avana e Washington. In questo dialogo affronta gli effetti delle politiche antimigratorie dell’amministrazione Trump, la criminalizzazione dei migranti, l’impatto devastante dell’inclusione di Cuba nella lista degli Stati sponsor del terrorismo e la campagna contro le brigate mediche cubane, emblema della solidarietà internazionale dell’isola.

Con uno sguardo critico, il viceministro difende la sovranità cubana e l’attualità degli ideali rivoluzionari, sottolineando la resilienza di un popolo che, di fronte alle avversità imposte da una potenza che ancora non accetta la sua indipendenza, continua a lottare per un futuro dignitoso.

– Quali sfide comportano per la regione le nuove politiche antimigratorie di Trump?

– Se non si riduce l’enorme divario esistente tra i Paesi industrializzati e sviluppati e le nazioni in via di sviluppo, è naturale che vi sia un flusso crescente dal sud verso il nord alla ricerca di migliori condizioni di vita. Succede in Africa, in Asia e nel nostro continente, dove il flusso va verso gli USA, sia in modo regolare che irregolare. La realtà varia da Paese a Paese.

– E per Cuba?

– Il caso di Cuba è peculiare. Gli USA hanno applicato contro di essa una dinamica che allo stesso tempo spinge alla migrazione e la attrae, per via regolare o irregolare. La politica ufficiale di Washington è la coercizione economica, il blocco, mirato a deprimere e rendere le condizioni di vita il più difficili possibile, il che provoca un impulso migratorio.

Inoltre, fin dagli anni ’60, l’immigrato cubano è stato privilegiato, indipendentemente da come attraversa la frontiera – via mare o via terra – viene accolto, gli si riconosce lo status di rifugiato, viene protetto, gli si offre un lavoro. Inoltre, esiste la Legge di Adeguamento Cubano, che prevede che, indipendentemente da come è entrato, un anno dopo l’arrivo negli USA il migrante cubano possa ottenere la residenza. Nessun cittadino di un altro Paese al mondo gode di tale privilegio. Se Washington non pone fine a questa realtà, il flusso irregolare continuerà.

– Cosa pensa della propaganda USA diffusa dai media e dalle piattaforme Internet contro la migrazione, guidata dalla segretaria alla Sicurezza Interna, Kristi Noem?

– È opportunismo mediatico che cerca il sostegno della propria popolazione. Si fa una criminalizzazione ingiusta di tutti i migranti. In una certa misura, sin dalle origini la società USA è polarizzata, con pregiudizi culturali e razziali. E a questi politici non risulta difficile cercare di stimolare tali sentimenti per promuovere una politica di rifiuto verso i migranti e attribuire loro la colpa di molti problemi: il consumo di droga, la disoccupazione, la criminalità e la polarizzazione sociale. Se alcuni migranti partecipano a fenomeni criminali o al disordine sociale, è perché si tratta di fenomeni già presenti negli USA.

– Quali conseguenze ha per Cuba l’escalation tariffaria di Trump?

– Dal punto di vista commerciale non colpisce più direttamente Cuba. Magari potessero applicarci maggiori dazi, perché ciò implicherebbe una certa flessibilità nel blocco. Questo è stato così assoluto che è difficile menzionare qualcosa di specifico che sia realmente nuovo, ma l’aver incluso Cuba nella lista degli Stati che presumibilmente sponsorizzano il terrorismo è un fattore che scatena ulteriori misure coercitive e extraterritoriali, complicando ancora di più l’acquisizione da parte di Cuba di prodotti e crediti su altri mercati o l’instaurazione di relazioni bancarie e finanziarie con istituzioni di Paesi terzi, che temono di essere accusate di complicità con una nazione etichettata come terrorista.

La comunità internazionale respinge il blocco economico, ed è paradossale che all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, gli unici due Stati a difenderlo siano proprio quelli che praticano massicciamente il terrorismo: gli USA e Israele. La situazione del popolo palestinese ne è l’esempio più chiaro.

Storicamente, gli USA hanno pensato che Cuba gli appartenesse ma in realtà si tratta di un’incapacità di accettare che Cuba è e ha il diritto di essere uno Stato sovrano.

– La campagna contro le brigate mediche cubane rientra in queste nuove politiche coercitive?

– Sì. Da febbraio minacciano che se i Paesi che hanno programmi di cooperazione medica con Cuba li proseguiranno, i loro funzionari e familiari perderanno la possibilità di viaggiare negli USA e i loro visti. Oggi circa 60 nazioni hanno questi programmi, che offrono assistenza a migliaia di persone. È un progetto storico, per il quale Cuba è stata elogiata da governi, da diversi segretari generali dell’ONU e persino da un presidente USA (Barack Obama).

La campagna mira a due cose: screditare questo simbolo del successo della società cubana, perché una delle priorità dei settori anticubani è impedire che si riconosca il successo di Cuba. La seconda è tagliare una fonte di entrate legittima derivante dagli accordi con Paesi in situazioni più favorevoli della nostra (come il Messico), anche se storicamente si tratta di servizi per i quali non è stato ricevuto un solo centesimo.

– La nuova geopolitica dettata da Trump comporta pressioni aggiuntive per l’emisfero?

– Fa parte della condotta ostile e impositiva con cui si comporta il governo USA nei confronti della regione, ed è una sfida non solo per Cuba, ma per l’intera regione. Ci sono pressioni per adottare misure volte a diminuire l’influenza nociva della Cina. Ci sembra assurdo. In una recente audizione al Congresso, hanno mostrato presunte basi militari cinesi a Cuba (prima erano russe, durante la Guerra Fredda). Hanno presentato immagini che potrebbero raffigurare un campo da calcio o una risaia per dire: questa è la prova che ci sono basi militari cinesi a Cuba – ma lì non c’era nessun militare, nessuno del Pentagono o della CIA, delle istituzioni che dovrebbero essere testimoni di tutto ciò.

Si tratta di un atteggiamento minaccioso volto a imporre la propria volontà nell’emisfero. Lo abbiamo visto a Panama, lo si vede in Groenlandia – anche se non fa parte della regione – e con il Canada. È una sfida per tutti ed è pericolosa.

– Quali sono stati gli errori del regime rivoluzionario?

– Fidel Castro disse una volta che l’errore più grande fu pensare che qualcuno sapesse come costruire il socialismo e che sarebbe stato facile farlo. A Cuba possono esserci stati errori puntuali in alcuni ambiti della politica economica, in elementi della politica sociale, ma è molto difficile giudicarli se si mette da parte le sfide imposte dall’aggressione di una potenza come gli USA.

– Sono ancora attuali gli ideali di Martí, Fidel Castro e altri personaggi?

– Le idee di Martí, Fidel, Marx, Engels, Lenin e altri marxisti sono ancora valide e continuano a essere il fondamento del nostro pensiero. La sfida che abbiamo con i giovani è enorme, per via dell’incidenza comunicativa con cui le grandi corporazioni esercitano un monopolio difficile da rompere, che, sommato a una situazione economica molto depressa, ha un impatto molto serio e pericoloso sulla popolazione. Ci lavoriamo, lo assumiamo come una sfida molto grande che la società cubana ha davanti a sé.


Entrevista a Carlos Fernández de Cossío por La Jornada

“Solo falta una agresión militar para completar el cerco de Estados Unidos a Cuba”. Esta contundente afirmación del viceministro de Relaciones Exteriores de Cuba, Carlos Fernández de Cossío, refleja la intensidad de la hostilidad que la isla enfrenta, marcada por un bloqueo económico, medidas coercitivas extraterritoriales y campañas de desinformación.

En palabras del propio diplomático, “Cuba no vive en paz. Cuba vive en agresión permanente”. En entrevista realizada por el periódico La Jornada durante una visita de Fernández de Cossío a México, el diplomático ofrece un análisis profundo de los retos migratorios en la región y la sistemática agresión política, económica y mediática contra Cuba.

Con una trayectoria destacada como director para Estados Unidos en la cancillería cubana, embajador en Sudáfrica y representante en el proceso de paz entre el gobierno colombiano y las FARC, Fernández de Cossío es uno de los mayores expertos en las relaciones entre La Habana y Washington. En este diálogo, aborda los efectos de las políticas antimigratorias de la administración Trump, la criminalización de los migrantes, el impacto devastador de incluir a Cuba en la lista de Estados patrocinadores del terrorismo y la campaña contra las brigadas médicas cubanas, un emblema de la solidaridad internacional de la isla.

Con una perspectiva crítica, el viceministro defiende la soberanía cubana y la vigencia de los ideales revolucionarios, destacando la resiliencia de un pueblo que, frente a las adversidades impuestas por una potencia que aún no acepta su independencia, sigue luchando por un futuro digno.

–¿Qué retos conllevan para la región las nuevas políticas antimigratorias de Trump?

–Si no se reduce la gran brecha que existe entre los países industrializados y desarrollados y las naciones en desarrollo, es natural que exista un flujo creciente del sur hacia el norte para buscar mejores condiciones de vida. Sucede en África, en Asia y en nuestro continente, donde el flujo es hacia Estados Unidos, sea regular o irregular. La realidad varía de país a país.

–¿Y para Cuba?

–El caso de Cuba es peculiar. Estados Unidos ha aplicado en su contra una dinámica que tanto empuja la migración como la atrae, por vía regular o irregular. La política oficial de Washington es la coerción económica, el bloqueo, dirigido a deprimir y hacer que las condiciones de vida sean lo más difíciles posibles, provoca un impulso migratorio.

Además, desde los 60 se ha privilegiado al inmigrante cubano, independientemente de cómo cruce la frontera, por mar o por tierra; se le asimila, se le da condición de refugiado, se le protege, se le da empleo. Y en adición, existe la Ley de Ajuste Cubano, que implica que sin importar cómo entró, al año de haber llegado a Estados Unidos, el migrante cubano pueda adquirir la residencia. Ningún ciudadano de otro país del mundo tiene ese privilegio. Si Washington no pone fin a esta realidad, el flujo irregular continuará.

–¿Qué piensa de la propaganda estadunidense difundida en medios masivos y plataformas de Internet contra la migración, encabezada por la secretaria de Seguridad Interior, Kristi Noem?

–Es un oportunismo mediático

que busca el apoyo de su población. Hacen una criminalización injusta de todos los inmigrantes. En cierta medida, desde sus orígenes la sociedad está polarizada, con prejuicios culturales y raciales. Y a estos políticos no les es difícil intentar estimular esos sentimientos para promover una política de rechazo a los inmigrantes y culparlos de muchos de los problemas: el consumo de la droga, el desempleo, la criminalidad y la polarización social. Si algunos migrantes participan en la criminalidad, en el desorden social, es porque son fenómenos que ya existen en Estados Unidos.

–¿Qué consecuencias hay para Cuba por la escalada arancelaria de Trump?

–En lo comercial ya no golpea a Cuba directamente. Ojalá nos pudieran aplicar mayores aranceles, porque para ello habría que flexibilizar el bloqueo. Este ha sido tan absoluto, que es difícil mencionar algo específico que sea novedoso, pero haber incluido a Cuba en la lista de Estados que supuestamente patrocinan el terrorismo es un factor que desata medidas coercitivas adicionales y extraterritoriales que complican aún más que Cuba adquiera en otros mercados productos y créditos o que tenga relaciones bancarias y financieras con instituciones de terceros países, porque temen ser calificadas de partícipes o cómplices de una nación catalogada como terrorista.

La comunidad internacional rechaza el bloqueo económico, y es paradójico que en la Asamblea General de Naciones Unidas, los únicos dos Estados que lo defienden son los que sí practican masivamente el terrorismo: Estados Unidos e Israel. La situación de los palestinos es el ejemplo más claro.

Históricamente, Estados Unidos ha pensado que Cuba les pertenece, pero en realidad es una incapacidad para aceptar que Cuba es y tiene derecho a ser un Estado soberano.

–¿La campaña contra las brigadas médicas de Cuba está dentro de esas nuevas políticas coercitivas?

–Sí. Desde febrero han amenazado que si los países que tienen programas de cooperación médica con Cuba continúan, sus funcionarios y familiares perderán la posibilidad de viajar a Estados Unidos y sus visas. Hoy alrededor de 60 naciones tienen estos programas que brindan atención a miles de personas. Es un proyecto histórico, por el que Cuba ha sido elogiada por gobiernos, varios secretarios generales de la ONU e incluso un presidente de Estados Unidos (Barack Obama).

La campaña busca dos cosas: desacreditar ese símbolo del éxito de la sociedad cubana, pues una de las prioridades de los sectores anticubanos es no permitir que haya un reconocimiento de que Cuba tiene éxito. Lo segundo es cortar una fuente de ingresos legítima que se obtiene de los convenios con países que tienen una situación más favorable que la nuestra (como México), aunque históricamente se trata de servicios por los que no se ha recibido un centavo.

–¿La nueva geopolítica dictada por Trump conlleva presiones adicionales para el hemisferio?

–Es parte de la conducta hostil e impositiva hacia la región con que se comporta el gobierno estadunidense, y es un reto no sólo para Cuba, sino para la región entera. Hay presiones para adoptar medidas a fin de disminuir la influencia nociva de China. Nos parece absurdo. En una reciente audiencia en el Congreso, mostraron supuestas bases militares chinas en Cuba (antes eran rusas, en la guerra fría). Presentaron imágenes de lo que puede ser un campo de futbol o de arroz para decir: Esta es la evidencia de que hay bases militares chinas en Cuba, pero ahí no hubo ni un militar, nadie el Pentágono o de la CIA, de las instituciones que supuestamente deben ser testigos de esto.

Hay una conducta amenazante para tratar de imponer su voluntad en el hemisferio. Lo vimos en Panamá, se ve en Groenlandia, aunque no es parte de la región, y con Canadá. Es un desafío para todos y es peligroso.

–¿Cuáles han sido los errores del régimen revolucionario?

–Fidel Castro dijo una vez que el error más grande fue pensar que alguien sabía cómo construir el socialismo y que sería fácil hacerlo. En Cuba pueden haberse cometido errores puntuales en algunos factores de la política económica, en elementos de la política social, pero es muy difícil juzgarlo si uno pone de lado los retos impuestos por la agresión de una potencia como Estados Unidos.

–¿Son vigentes los ideales de Martí, Fidel Castro y otros personajes?

–Las ideas de Martí, Fidel, Marx, Engels, Lenin y otros marxistas siguen vigentes y siguen siendo el patrón de nuestro pensamiento. El reto que tenemos con la juventud es muy grande, por la incidencia comunicacional con que las grandes corporaciones vienen ejerciendo un monopolio difícil de romper, que sumado a una situación económica muy deprimida, tiene un impacto muy serio y peligroso sobre la población. Trabajamos con eso, lo asumimos como un reto, un desafío muy grande que tiene la sociedad cubana.

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