Guyana e Colombia nella strategia a tenaglia contro il Venezuela
Il Governo Bolivariano ha denunciato una serie di provocazioni alle frontiere orchestrate con fini destabilizzanti, proprio alla vigilia delle elezioni regionali e legislative previste per il 25 maggio.
Due incidenti alle frontiere con la Guyana e la Colombia sono stati identificati come tentativi deliberati di generare tensioni e perturbare il clima politico nazionale.
Il 15 maggio la Forza di Difesa della Guyana (GDF) ha pubblicato un comunicato in cui afferma che presunti uomini armati in abiti civili avrebbero compiuto tre attacchi contro pattuglie fluviali guyanesi lungo il fiume Cuyuní.
In risposta, il ministro degli Esteri venezuelano Yván Gil ha respinto categoricamente tali accuse, definendole parte di una nuova operazione di falsa bandiera. Gli indizi raccolti dalla Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) dimostrano che si tratta di una montatura volta a vittimizzare il governo guyanese e creare tensioni fittizie lungo la linea di frontiera de facto.
Secondo Gil, questo tentativo mira a manipolare la percezione internazionale sulla situazione territoriale dell’Esequibo venezuelano.
Parallelamente, è stata rafforzata la sicurezza alla frontiera con la Colombia dopo aver rilevato un piano di infiltrazione di gruppi violenti.
Il 19 maggio il governo venezuelano ha ordinato la sospensione immediata di tutti i voli provenienti dalla Colombia, in reazione allo smantellamento di una rete di mercenari, esperti in esplosivi e trafficanti di migranti collegati a settori estremisti dell’opposizione venezuelana e a reti criminali transnazionali.
Il vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) e ministro degli Interni, Giustizia e Pace, Diosdado Cabello, ha comunicato l’arresto di 38 persone (17 straniere e 21 venezuelane) che cercavano di entrare nel Paese in modo clandestino per sabotare il processo elettorale.
Queste azioni ostili si verificano in un momento politico cruciale per il Venezuela: le elezioni del 25 maggio, che includeranno anche il voto per eleggere il governatore e il Consiglio Legislativo dello stato della Guayana Esequiba, in conformità con il mandato sovrano del referendum del 3 dicembre 2023.
Lo schema destabilizzante mira non solo a sabotare l’esercizio del voto in questo territorio strategico, ma anche a ostacolare l’intero processo elettorale nazionale.
Agende occulte (e non tanto occulte) dell’enclave guyanese
Il 18 febbraio e il 15 maggio di quest’anno si sono registrate due operazioni di falsa bandiera promosse dalla Guyana, orientate a costruire un racconto di presunta aggressione da parte del Venezuela.
In entrambi i casi, le autorità guyanesi hanno denunciato presunti scontri con “bande criminali” o “uomini armati in abiti civili” in zone ancora da delimitare.
Nel primo caso, la Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) ha smentito categoricamente tale versione, precisando che si trattava di azioni contro gruppi dediti ad attività illecite operanti con la protezione delle forze di sicurezza guyanesi.
Nel secondo caso, il governo venezuelano ha emesso un comunicato ufficiale ribadendo che non vi è stata alcuna aggressione da parte venezuelana. Il documento afferma: “Tutti i registri, i rapporti e gli indizi raccolti dalla nostra Forza Armata Nazionale Bolivariana dimostrano chiaramente che tali informazioni non sono altro che parte di una nuova operazione di falsa bandiera, orchestrata per vittimizzare il governo della Guyana e fabbricare tensioni artificiali lungo la linea di fatto. Queste pratiche, ampiamente condannate dalla comunità internazionale, fanno parte del repertorio di propaganda spicciola concepita nei laboratori del Comando Sud degli USA, il cui vero interesse è perpetuare il saccheggio transnazionale del territorio della Guayana Esequiba.”
Queste azioni, mascherate da narrazioni allarmistiche, evidenziano una strategia coordinata volta a disinformare, generare pressione internazionale contro il Venezuela e costruire il terreno per un’escalation militare.
In tal senso, la vicepresidente esecutiva e ministra degli Idrocarburi, Delcy Rodríguez, ha avvertito che questi eventi fanno parte di una manovra più ampia per creare un casus belli.
Il 5 aprile ha denunciato che si starebbe pianificando un attacco simulato contro una piattaforma di ExxonMobil in acque dell’Esequibo ancora da delimitare. L’intento sarebbe quello di fabbricare un pretesto per giustificare un’azione armata o un’escalation diplomatica contro il Venezuela.
Rodríguez ha accusato della presunta operazione il contractor militare USA Erik Prince e la capa dell’opposizione María Corina Machado.
Pochi giorni dopo, il 7 aprile, il presidente Nicolás Maduro ha ampliato la denuncia, indicando che tale operazione coperta coinvolgerebbe anche dirigenti di ExxonMobil e autorità guyanesi.
Queste affermazioni non sono sorte dal nulla: fanno parte di un disegno che ha visto un’offensiva narrativa da Georgetown, con l’intento di delegittimare le elezioni convocate in Venezuela per il 25 maggio, specialmente per quanto riguarda la scelta delle autorità nella Guayana Esequiba.
In questo contesto, va ricordato che, il 28 marzo, il Centro di Studi Internazionali e di Frontiera (CIBS) della Guyana ha organizzato un forum intitolato “Prospettive sulla controversia di confine tra Guyana e Venezuela”, che ha coinciso con la visita del segretario di Stato USA, Marco Rubio, a Georgetown.
L’evento ha fornito una piattaforma per ribadire posizioni ostili verso il Venezuela. Il direttore del CIBS, Mark Kirton, ha definito “una provocazione” la convocazione delle elezioni nell’Esequibo, arrivando a proporre il rafforzamento della capacità militare della Guyana con l’aiuto internazionale, includendo un’eventuale missione multinazionale, ovviamente con la partecipazione del Comando Sud USA.
Sebbene presentate in linguaggio accademico, queste dichiarazioni si allineano con una strategia politica che mira a screditare l’istituzionalità elettorale venezuelana, giustificare l’ingerenza esterna e consolidare la Guyana come enclave operativa degli interessi USA nella regione.
La visita di Rubio del 27 marzo ha rappresentato un nuovo passo nell’agenda di conflitto promossa dagli USA contro il Venezuela. Presentata come parte di un tour regionale, la sua tappa a Georgetown aveva come obiettivo centrale quello di consolidare la Guyana come Stato satellite contro Caracas, nel contesto della disputa territoriale sull’Esequibo.
Durante la visita, Rubio e il presidente guyanese Irfaan Ali hanno firmato un memorandum d’intesa in materia di sicurezza. Il contenuto del documento è classificato, ma le dichiarazioni successive dei due dirigenti lasciano intuire la portata dell’accordo: meccanismi di scambio di informazioni, cooperazione militare e azioni congiunte contro il “crimine organizzato”, in un linguaggio che mira chiaramente a rafforzare la presenza militare e di intelligence USA nel territorio guyanese.
Questo episodio si aggiunge a una serie di fatti e narrazioni che configurano uno scenario favorevole ad un’operazione di falsa bandiera.
Lo schema è noto: si costruisce un discorso sulla minaccia, si induce o fabbrica una provocazione, si vittimizza l’alleato regionale e si legittimano azioni coercitive sotto il mantello della “sicurezza emisferica”.
L’avvertimento dello stesso segretario USA su “gravi conseguenze” in caso di qualsiasi azione del Venezuela contro ExxonMobil o la Guyana conferma che il terreno è in preparazione per un’escalation premeditata.
Tutto questo richiama pericolosamente l’incidente del Golfo del Tonchino, nel 1964, utilizzato come pretesto per scatenare una guerra aperta. Il governo di Ali oggi interpreta lo stesso ruolo di proxy regionale, secondo un copione USA.
Nonostante i tentativi di sabotare il processo elettorale, il 25 maggio segnerà una data storica: per la prima volta i venezuelani eleggeranno un governatore e un’assemblea legislativa per la Guayana Esequiba. Questa decisione non solo riafferma la sovranità nazionale, ma protegge giuridicamente l’esercizio della volontà popolare su un territorio storicamente conteso.
Come ha dichiarato la vicepresidente Rodríguez: “Il popolo venezuelano è deciso a difendere l’Esequibo e le sue risorse energetiche, e il 25 maggio sarà un’elezione cruciale perché eleggeremo il governatore e l’organo legislativo della Guayana Esequiba”.
L’altro fronte: la Colombia
Mentre il Venezuela fronteggia operazioni di destabilizzazione dall’enclave guyanese, un altro fronte di tensione si è aperto alla frontiera occidentale.
Alla fine di aprile, il presidente Maduro ha denunciato l’inazione totale delle autorità colombiane di fronte alla crescente presenza di gruppi irregolari, narcotraffico e violenza che attraversano il confine verso il Venezuela.
“I militari chiamano i loro omologhi dall’altra parte e nessuno risponde. Chiamano la polizia e nessuno risponde”, ha affermato, sottolineando il silenzio istituzionale del governo di Gustavo Petro.
Da quel momento in poi, il 19 maggio, il vicepresidente per la Sicurezza Cittadina, Diosdado Cabello, ha annunciato un’importante operazione nazionale di sicurezza: l’arresto di 38 individui coinvolti in un complotto destabilizzante che includeva attentati con esplosivi e sabotaggio elettorale.
Tra i fermati figurano cittadini colombiani, messicani, ucraini e un albanese con cittadinanza colombiana, che tentavano di entrare nel Paese via terra e aerea dalla Colombia. Uno di loro è stato identificato come narcotrafficante internazionale.
Questa rete di mercenari avrebbe ricevuto addestramento paramilitare in Ecuador e finanziamenti dal narcotraffico colombiano, con collegamenti con figure politiche come Álvaro Uribe, Iván Duque e Juan Manuel Santos. Gli obiettivi delle operazioni includevano attacchi contro ambasciate, centri sanitari, istituzioni pubbliche e autorità del governo venezuelano.
In risposta, i voli dalla Colombia sono stati sospesi a tempo indeterminato, come misura preventiva per fermare nuovi tentativi di infiltrazione.
Il ministro Cabello ha spiegato che questa decisione serve a proteggere il processo elettorale del 25 maggio e impedire che attori stranieri proiettino un’immagine di caos per giustificare un intervento internazionale. La restrizione potrebbe restare in vigore anche oltre la data elettorale, a seconda dell’avanzamento delle indagini.
María Corina Machado e il suo entourage estremista sono stati indicati come parte di un’agenda volta a ostacolare il prossimo processo elettorale. Le sue dichiarazioni e prese di posizione, esplicite o allusive, rivelano una strategia costante di delegittimazione, agitazione e sostegno a piani destabilizzanti. Così ha dichiarato Cabello, collegandola direttamente alla cospirazione recentemente sventata: “Vogliono far credere che in Venezuela non ci siano le condizioni per le elezioni, ma il Consiglio Nazionale Elettorale ha rispettato il calendario e il Plan República è già stato dispiegato per garantire la sicurezza del popolo”.
Successivamente, durante una riunione di alto livello con gli organismi di sicurezza dello Stato, il presidente Maduro ha confermato l’arresto dei 38 coinvolti nel piano destabilizzante, nonché il sequestro di apparecchiature elettroniche, armi e tre telefoni cellulari contenenti informazioni sensibili sull’operazione.
Questi elementi costituiscono prove fondamentali per approfondire le indagini e smantellare l’intera struttura criminale coinvolta.
Durante il suo intervento, il Presidente ha anche rivelato la partecipazione diretta di mafie albanesi operanti dall’Ecuador, in collaborazione con reti narcotrafficanti colombiane. Queste strutture sarebbero state responsabili dell’invio di mercenari addestrati per compiere attentati con esplosivi in Venezuela.
Il capo di Stato ha spiegato che tali azioni sono collegate al contractor USA Erik Prince, fondatore di Blackwater, e fanno parte di una più ampia strategia geopolitica promossa da Washington per destabilizzare la regione. Il legame tra Prince e l’apparato di sicurezza dell’Ecuador, uno degli epicentri del narcotraffico andino, è diretto e basato su una relazione di fiducia con il presidente Daniel Noboa.
“L’obiettivo era chiaro: seminare il terrore, delegittimare le elezioni e aprire la strada a un intervento esterno. Ma hanno fallito. Il Venezuela è in piedi, pronto a votare e a difendere la propria sovranità”, ha concluso il presidente.
Con l’avvicinarsi della data elettorale del 25 maggio, si intensificano gli sforzi delle fazioni violente operanti dall’enclave guyanese e dalla frontiera colombiana. Queste azioni non sono eventi isolati, ma parte di un’agenda strutturale volta a sabotare il processo democratico attraverso una strategia a tenaglia.
La Guayana Esequiba resta un punto caldo, ma non è l’unico: fa parte di un’agenda permanente e globale volta a destabilizzare il Venezuela, colpire la sua istituzionalità e giustificare interventi — di qualsiasi tipo — sotto falsi pretesti.
Fronteras bajo amenazas en contexto electoral
Guyana y Colombia en la estrategia de pinza contra Venezuela
El Gobierno Bolivariano ha denunciado una serie de provocaciones fronterizas orquestadas con fines desestabilizadores, justo en la antesala de las elecciones regionales y legislativas para el 25 de mayo.
Dos incidentes en las fronteras con Guyana y Colombia han sido identificados como intentos deliberados de generar tensiones y de procurar perturbar el clima político nacional.
El 15 de mayo la Fuerza de Defensa de Guyana (GDF, por sus siglas en inglés) publicó un comunicado en el que afirma que supuestos hombres armados vestidos de civil llevaron a cabo tres ataques contra patrullas fluviales guyanesas a lo largo del río Cuyuní.
En respuesta el canciller venezolano Yván Gil rechazó de forma categórica tales acusaciones calificándolas como parte de una nueva operación de falsa bandera. Los indicios recabados por la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) demuestran que se trata de un montaje destinado a victimizar al gobierno guyanés y crear tensiones ficticias en la línea de facto fronteriza.
Este intento, indicó Gil, busca manipular la percepción internacional en torno a la situación territorial del Esequibo venezolano.
De manera paralela se ha reforzado la seguridad en la frontera con Colombia tras detectar un plan de infiltración de grupos violentos.
El 19 de mayo el gobierno venezolano ordenó la suspensión inmediata de todos los vuelos procedentes desde Colombia, en reacción a la desarticulación de una red de mercenarios, explosivistas y coyotes vinculados con sectores extremistas de la oposición venezolana y con redes criminales transnacionales.
El vicepresidente del Partido Socialista Unido de Venezuela (PSUV) y ministro de Relaciones Interiores, Justicia y Paz, Diosdado Cabello, informó que se detuvieron a 38 personas (17 extranjeros y 21 venezolanos) que pretendían ingresar al país de manera encubierta para sabotear el proceso electoral.
Estas acciones hostiles se desarrollan en un momento político clave para Venezuela: los comicios del 25 de mayo, dentro de las cuales se celebrará también el evento para elegir al gobernador y el Consejo Legislativo del estado Guayana Esequiba, conforme con el mandato soberano emanado del referéndum del 3 de diciembre de 2023.
El patrón de desestabilización apunta no solo a sabotear el ejercicio del voto en ese territorio estratégico sino a entorpecer el proceso electoral nacional en su conjunto.
Agendas ocultas (y no tan ocultas) del enclave guyanés
El 18 de febrero y el 15 de mayo de este año se registraron dos operaciones de bandera falsa promovidas desde Guyana, orientadas a construir un relato de supuesta agresión por parte de Venezuela.
En ambos episodios las autoridades guyanesas denunciaron presuntos enfrentamientos con “pandilleros” o con “hombres armados vestidos de civil” en zonas aun por delimitar.
En el primer caso la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) desmintió categóricamente esa versión precisando que se trató de acciones contra grupos dedicados a actividades ilícitas que operaban con la protección de fuerzas de seguridad guyanesas.
En el segundo caso el gobierno venezolano emitió un comunicado oficial reafirmando que no existió agresión alguna desde el lado venezolano. El documento señala que: “Todos los registros, informes e indicios recabados por nuestra Fuerza Armada Nacional Bolivariana demuestran con claridad que tal información no es más que parte de una nueva operación de falsa bandera, orquestada para victimizar al gobierno de Guyana y fabricar tensiones artificiales en la línea de facto. Estas prácticas, ampliamente repudiadas por la comunidad internacional, forman parte del repertorio de propaganda barata diseñada en los laboratorios del Comando Sur de EE.UU., cuyo verdadero interés es perpetuar el saqueo transnacional sobre el territorio de la Guayana Esequiba”.
Estas acciones, revestidas de narrativa alarmista, evidencian una estrategia coordinada para desinformar, generar presión internacional contra Venezuela y construir el terreno para una escalada militar.
En ese último sentido la vicepresidenta ejecutiva y ministra de Hidrocarburos, Delcy Rodríguez, ha advertido que estos hechos forman parte de una maniobra más amplia para generar un casus belli.
El 5 de abril denunció que se estaría planificando un ataque simulado contra una plataforma de ExxonMobil en aguas del Esequibo aun por delimitar. La intención sería fabricar una excusa para justificar una acción armada o una escalada diplomática contra Venezuela.
Rodríguez acusó que en esta operación estarían involucrados el contratista militar estadounidense Erik Prince y la dirigente opositora María Corina Machado.
Días después, el 7 de abril, el presidente Nicolás Maduro amplió la denuncia señalando que dicha operación encubierta contaría con la coordinación de ejecutivos de ExxonMobil y autoridades guyanesas.
Estos señalamientos no surgieron en el vacío: forman parte de un patrón que ha venido acompañado de una ofensiva narrativa desde Georgetown con la intención de deslegitimar las elecciones convocadas por Venezuela para el 25 de mayo, especialmente en lo relativo a la elección de autoridades en la Guayana Esequiba.
En ese contexto debe recordarse que el 28 de marzo el Centro de Estudios Internacionales y Fronterizos (CIBS) de Guyana organizó un foro titulado “Perspectivas sobre la controversia fronteriza entre Guyana y Venezuela”, que coincidió con la visita del secretario de Estado, Marco Rubio, a Georgetown.
La actividad sirvió de plataforma para reiterar posturas hostiles hacia Venezuela. El director del CIBS, Mark Kirton, calificó como “provocación” la convocatoria a elecciones en el Esequibo, y planteó incluso la necesidad de reforzar la capacidad militar de Guyana con apoyo internacional, incluida una eventual misión multinacional, por supuesto sugiriendo la participación del Comando Sur estadounidense.
Aunque revestidas de lenguaje académico, estas declaraciones se alinean con una estrategia política que busca desacreditar la institucionalidad electoral venezolana, justificar la injerencia externa y consolidar a Guyana como enclave operativo de intereses estadounidenses en la región.
La visita de Rubio a Guyana el pasado 27 de marzo representó un nuevo paso en la agenda de conflicto promovida desde Estados Unidos contra Venezuela. Aunque presentada como parte de una gira regional, su escala en Georgetown tuvo como objetivo central consolidar Guyana como un Estado satelital contra Caracas, en el marco de la disputa territorial por el Esequibo.
Durante esta visita Rubio y el presidente guyanés Irfaan Ali firmaron un memorando de entendimiento en materia de seguridad. El contenido del documento permanece clasificado, no obstante, las declaraciones posteriores de ambos funcionarios dejan entrever los verdaderos alcances del acuerdo: mecanismos de intercambio de información, cooperación militar y acciones conjuntas contra el “crimen organizado”, en un lenguaje que claramente apunta a fortalecer la presencia militar y de inteligencia de Estados Unidos en territorio guyanés.
Este episodio se suma a una serie de hechos y narrativas que configuran un escenario propicio para una operación de bandera falsa.
La secuencia es conocida: se construye un discurso de amenaza, se induce o fabrica una provocación, se victimiza al aliado regional, y se legitiman acciones coercitivas bajo el manto de la “seguridad hemisférica”.
La advertencia del propio secretario estadounidense sobre “graves consecuencias” ante cualquier acción de Venezuela contra ExxonMobil o Guyana confirma que el terreno estaría siendo preparado para una escalada premeditada.
Todo este entramado recuerda peligrosamente el incidente del golfo de Tonkín en 1964, utilizado como excusa para desencadenar una guerra abierta. El gobierno de Ali juega actualmente ese mismo rol de proxy regional, bajo guion estadounidense.
A pesar de los intentos por sabotear el proceso electoral, el 25 de mayo marcará un hito histórico: por primera vez los venezolanos elegirán un gobernador y un cuerpo legislativo para la Guayana Esequiba. Esta decisión no solo reafirma la soberanía nacional sino que también blinda jurídicamente el ejercicio de la voluntad popular sobre un territorio históricamente disputado.
Como expresó la vicepresidenta Rodríguez: “El pueblo venezolano está decidido a defender el Esequibo y sus recursos energéticos, y el 25 de mayo es una elección trascendental porque vamos a elegir gobernador y cuerpo legislativo para la Guayana Esequiba”.
El otro frente: Colombia
Mientras Venezuela enfrenta operaciones de desestabilización desde el enclave guyanés, otro flanco de tensión se ha abierto en la frontera occidental.
A finales de abril el presidente Maduro denunció la total inacción de las autoridades colombianas ante la creciente presencia de grupos irregulares, narcotráfico y violencia que cruzan hacia territorio venezolano.
“Los militares llaman a los militares de allá y no les contestan el teléfono. Llaman a la policía de allá y no les contesta el teléfono”, afirmó, subrayando el silencio institucional por parte del gobierno de Gustavo Petro.
En adelante, el 19 de mayo el vicepresidente sectorial de Seguridad Ciudadana, Diosdado Cabello, anunció un importante operativo de seguridad nacional: la detención de 38 individuos implicados en una trama de desestabilización que incluía atentados con explosivos y sabotaje electoral.
Los capturados, entre los que se cuentan ciudadanos colombianos, mexicanos, ucranianos y un albanés con nacionalidad colombiana, pretendían ingresar al país por vías terrestres y aéreas desde Colombia. Uno de ellos está identificado como narcotraficante internacional.
Esta red de mercenarios habrían recibido entrenamiento paramilitar en Ecuador y contaba con financiamiento del narcotráfico colombiano, vinculados con figuras políticas como Álvaro Uribe, Iván Duque y Juan Manuel Santos. Los objetivos de estos operativos incluían ataques contra embajadas, centros de salud, instituciones públicas y autoridades del gobierno venezolano.
En respuesta directa se suspendieron indefinidamente los vuelos desde Colombia, una medida preventiva para frenar nuevos intentos de infiltración.
El ministro Cabello explicó que esta decisión busca proteger el proceso electoral del 25 de mayo y evitar que actores extranjeros proyecten una imagen de caos para justificar una intervención internacional. Incluso, la restricción aérea podría mantenerse más allá de la jornada electoral, dependiendo del avance de las investigaciones.
María Corina Machado y su entorno extremista fueron señalados de estar comprometidos con una agenda orientada a frustrar el próximo proceso electoral. Sus declaraciones y manifestaciones en entrevistas, tanto explícitos como sugeridos, revelan una estrategia consistente de deslegitimación, agitación y respaldo a planes desestabilizadores del país. Así lo señaló el ministro Cabello, al vincularla directamente con la conspiración recientemente desmantelada: “Quieren hacer ver que en Venezuela no hay condiciones para las elecciones, pero el Consejo Nacional Electoral ha cumplido con el cronograma y el Plan República ya está desplegado para garantizar la seguridad del pueblo”.
Posteriormente, durante una reunión de alto nivel con los organismos de seguridad del Estado, el presidente Maduro confirmó la captura de los 38 implicados en el plan desestabilizador, así como la incautación de equipos electrónicos, armamento y tres teléfonos celulares que contienen información sensible sobre la operación.
Estos elementos forman parte de la evidencia clave que permitirá profundizar las investigaciones y desmontar toda la estructura criminal involucrada.
Durante su intervención el Presidente también reveló la participación directa de mafias albanesas que operan desde Ecuador, en articulación con redes narcotraficantes colombianas. Estas estructuras habrían sido responsables del envío de mercenarios entrenados para ejecutar atentados con explosivos en Venezuela.
El mandatario venezolano explicó que tales acciones tienen vínculos con el contratista estadounidense Erik Prince, fundador de Blackwater, y señaló que forman parte de una estrategia geopolítica mayor, promovida desde Washington para desestabilizar la región. El nexo entre Prince y el aparato de seguridad de Ecuador, uno de los epicentros del narcotráfico andino, es directo bajo una relación de confianza entre el presidente Daniel Noboa y el exmilitar estadounidense.
“El objetivo era claro: sembrar el terror, deslegitimar las elecciones y abrir las puertas a una intervención externa. Pero han fracasado. Venezuela está en pie, lista para elegir y defender su soberanía”, concluyó el presidente.
A medida en que se aproxima la jornada electoral del 25 de mayo, se intensifican los esfuerzos de las facciones violentas que operan desde el enclave guyanés y la frontera colombiana. Estas acciones no son hechos aislados sino parte de una agenda estructural que busca sabotear el proceso democrático mediante una estrategia de pinza.
La Guayana Esequiba sigue siendo un factor álgido, pero no el único: forma parte de una agenda permanente e integral destinada a desestabilizar Venezuela, golpear su institucionalidad y justificar intervenciones —de cualquier tipo— bajo falsos pretextos.