Realpolitik e petrolio nelle negoziazioni tra Caracas e Washington

Misión Verdad

La recente liberazione del veterano dell’Aeronautica USA, Joseph St. Claire, detenuto in Venezuela dalla fine del 2024 dopo aver attraversato il confine con la Colombia, implicato in attività legate al sabotaggio del sistema elettrico nazionale, conferma ancora una volta che il canale di negoziazione diretto tra i governi di Nicolás Maduro e Donald Trump non solo rimane attivo ma continua a consolidarsi come uno strumento efficace con l’obiettivo di risolvere questioni sensibili per entrambe le parti.

La consegna, effettuata nell’isola caraibica di Antigua da parte del governo venezuelano a Richard Grenell, inviato speciale dell’amministrazione Trump, rappresenta un nuovo capitolo in questa dinamica bilaterale che si sviluppa al di fuori delle logiche tradizionali di scontro ideologico e massimalismo politico.

Questo fatto non può essere compreso senza collocarlo all’interno del contesto più ampio delle dispute interne a Washington su quale debba essere l’approccio verso Caracas. Da una parte Marco Rubio, attuale segretario di Stato, insiste nel mantenere la politica di “massima pressione”, ossessionato da agende di “cambio di regime” che hanno dimostrato il loro fallimento storico.

Dall’altra Richard Grenell guida una linea alternativa basata sulla realpolitik, pragmatismo e  ricerca di interessi comuni, senza ignorare le differenze, ma dando priorità a risultati tangibili.

Il linguaggio della pubblicazione su X dell’inviato speciale riguardo all’accoglienza di St. Claire ad Antigua mostra che esiste questa divisione quando afferma che ciò “è stato possibile solo perché @realDonaldTrump mette gli statunitensi come priorità”, senza menzionare il Dipartimento di Stato, presunto esecutore della diplomazia di Washington, guidato da una figura nota per la sua aggressività contro Cuba, Nicaragua e Venezuela a causa delle sue radici politiche legate alla Florida.

La consegna del militare USA è, di per sé, un gesto significativo da parte del governo venezuelano. Riflette la disponibilità a riavviare i canali diplomatici diretti con Washington, nonostante la consegna di un soggetto accusato di piani terroristici; una volontà politica di costruire ponti con gli USA a condizioni di reciprocità e rispetto della sovranità.

Questo tipo di misure permette di scaricare le tensioni e creare spazi di fiducia necessari per avanzare su temi più complessi.

 

Movimento sul piano energetico (e geopolitico)

Sebbene la liberazione del veterano simboleggi un progresso sul piano diplomatico, il movimento parallelo intorno a Chevron approfondisce ancora di più il carattere strategico di questo nuovo capitolo nella relazione bilaterale.

Secondo rapporti del Wall Street Journal e Bloomberg, il governo Trump si starebbe preparando a estendere per altri 60 giorni la Licenza Generale 41a, concessa dall’Ufficio di Controllo dei Beni Esteri (OFAC) del Dipartimento del Tesoro, che permette a Chevron e ad altre imprese di operare in Venezuela entro certi limiti.

Questa proroga, prevista per scadere il 27 maggio, sarebbe un segnale chiaro che Washington è disposta a flessibilizzare la sua politica sanzionatoria in vista di obiettivi economici ed energetici condivisi. Allo stesso modo manca la conferma ufficiale, che potrebbe arrivare lo stesso martedì 27.

Questo non è casuale. Sulla base dell’intendimento espresso che Trump non cerca un cambio di regime né desidera vedere la Cina espandere la sua influenza nel settore petrolifero venezuelano — come ha rivelato Grenell nel podcast di Steve Bannon il 20 maggio — questa finestra energetica assume un significato geopolitico cruciale:

Bannon: C’è qualche discussione su un’estensione per Chevron? È nei piani o è qualcosa su cui il presidente Trump sta lavorando?

Grenell: No, il presidente Trump ha autorizzato quell’estensione se fossimo stati in grado di fare qualche progresso, se fossimo stati in grado di costruire un po’ di fiducia, se fossimo stati capaci di farlo oggi. Quindi la proroga sarà concessa”.

Mantenere aziende USA come Chevron sul territorio venezuelano non solo garantisce un flusso di greggio verso raffinerie chiave in Texas e Nuovo Messico, ma limita anche lo spazio per attori rivali degli USA — secondo la logica USA — che cercano di posizionarsi in un mercato ricco di risorse e sottoutilizzato a causa di anni di blocco e disinvestimento. Questo è il calcolo fatto dall’amministrazione USA sul piano geopolitico, un ragionamento che potrebbe applicarsi anche al caso di Trinidad e Tobago, che cerca di continuare con i progetti di campi condivisi di gas con il Venezuela.

In questo senso, la combinazione di cooperazione in materia di sicurezza — con il rimpatrio del veterano — e flessibilità sanzionatoria nell’ambito energetico segna un modello che può essere visto così: entrambi i paesi stanno andando verso una relazione meno condizionata da dogmi ideologici e più guidata dalla razionalità strategica.

Questo, sebbene si scontri frontalmente con le posizioni di settori estremisti dentro e fuori dagli USA, guidati da Marco Rubio e María Corina Machado, sembra rispondere a un realismo politico che riconosce che i conflitti prolungati non hanno soluzione unilaterale, e che il Venezuela, lontano dall’essere uno scacchiere astratto di battaglie ideologiche, è un attore internazionale con capacità di negoziazione e agenda propria.

Nonostante ciò, gli ostacoli persistono, e hanno una grave natura criminale. La guerra contro i migranti venezuelani, spesso canalizzata attraverso politiche coercitive come l’invio massiccio alla mega-prigione Cecot in El Salvador, mostra che la prassi coattiva rimane vigente in certi fronti.

Ma il protagonismo crescente di Grenell rispetto al Venezuela dimostra che esiste un’altra via possibile: una che privilegia il dialogo discreto, la costruzione di consensi minimi e la risoluzione di problemi reali più che la retorica vuota o i piani utopici di intervento.

 

Verso un processo progressivo di negoziazioni?

Quanto accaduto con il veterano e l’imminente proroga della licenza di Chevron sono tappe che, seppur apparentemente piccole, costituiscono una trama di accordi minori che potrebbero formare una struttura stabile di interlocuzione tra i due paesi.

Questo tipo di movimenti non solo rafforza la legittimità del presidente Maduro all’interno del Venezuela — dimostrando capacità di negoziare con potenze straniere in condizioni di parità — ma offre anche a Washington un margine operativo per proteggere i propri interessi senza ricorrere costantemente a strumenti di guerra economica.

In questo quadro diventa sempre più evidente che il modello di “massima pressione” si è esaurito, non ha più una sua utilità. Lontano dal raggiungere cambi politici significativi, ha generato danni collaterali profondi nella società venezuelana e ha minato la credibilità degli USA all’interno della comunità internazionale come socio affidabile.

Di fronte a ciò, il cammino che si apre con queste nuove azioni prometterebbe una relazione basata sul riconoscimento reciproco, sull’interdipendenza funzionale e sulla gestione pragmatica di interessi comuni. Con le sfumature che Grenell ha sottolineato nel podcast con Bannon: “Vogliamo assicurarci di testare e creare fiducia. Molti dei dibattiti sulla diplomazia e su come trovare soluzioni consistono letteralmente nel generare fiducia per assicurarsi che una delle parti faccia ciò che dice. Perché ricordate, loro sono scettici verso di noi e noi siamo scettici verso di loro”.

Anche se le resistenze interne a Washington non spariranno da un giorno all’altro, specialmente nei settori legati ai neoconservatori e ai falchi dell’establishment USA e ai gruppi estremisti venezuelani, la tendenza indica che la realpolitik e la diplomazia silenziosa stanno guadagnando terreno.

Ed è proprio questa dinamica, gestita con cura da Grenell e sostenuta da decisioni concrete della Casa Bianca, che potrebbe gettare le basi per una relazione bilaterale meno volatile, più prevedibile e, soprattutto, più utile per affrontare le sfide energetiche e geopolitiche attuali.

In sintesi, il percorso inevitabile di negoziazione tra Maduro e Trump è attualmente un’opzione praticabile e una necessità operativa. E mentre Washington resta divisa tra chi vuole continuare con le rovine del passato e chi punta a costruire ponti, il Venezuela continua a muoversi passo dopo passo, con lo sguardo fisso su una strategia che, pur cauta, comincia a dare frutti.


Realpolitik y petróleo en las negociaciones entre Caracas y Washington

La reciente liberación del veterano de la Fuerza Aérea estadounidense, Joseph St. Claire, preso en Venezuela desde finales de 2024 tras cruzar la frontera con Colombia, implicado en actividades vinculadas con el sabotaje del sistema eléctrico nacional, confirma una vez más que el canal de negociación directo entre los gobiernos de Nicolás Maduro y Donald Trump no solo se mantiene activo sino que continúa consolidándose como una herramienta efectiva con vistas a resolver cuestiones sensibles para ambas partes.

La entrega, realizada en la isla caribeña de Antigua por parte del gobierno venezolano a Richard Grenell, enviado especial de la administración Trump, representa un nuevo capítulo en esta dinámica bilateral que se desarrolla fuera de las lógicas tradicionales de confrontación ideológica y maximalismo político.

Este hecho no puede entenderse sin ubicarlo dentro del contexto más amplio de disputas internas en Washington sobre cuál debe ser el enfoque hacia Caracas. Por un lado Marco Rubio, actual secretario de Estado, insiste en mantener la política de “máxima presión”, obsesionado con agendas de “cambio de régimen” que han demostrado su fracaso histórico.

Por otro lado Richard Grenell encabeza una línea alternativa basada en realpolitik, pragmatismo y búsqueda de intereses comunes, sin desconocer diferencias, pero priorizando resultados tangibles.

El lenguaje de la publicación en X del enviado especial sobre el recibimiento de St. Claire en Antigua da cuenta de que existe dicho cisma cuando dice que ello “solo fue posible porque @realDonaldTrump pone a los estadounidenses como prioridad”, sin mencionar al Departamento de Estado, supuesto ejecutor de la diplomacia de Washington, a cargo de una figura que se destaca por la agresividad contra Cuba, Nicaragua y Venezuela debido a su raigambre política relacionada con Florida.

La entrega del militar estadounidense es, en sí misma, un gesto significativo por parte del gobierno venezolano. Refleja disposición a reiniciar los canales diplomáticos directos con Washington, a pesar de entregar a un sujeto acusado de planes terroristas; una voluntad política de construir puentes con Estados Unidos bajo condiciones de reciprocidad y respeto a la soberanía.

Este tipo de medidas permite descomprimir tensiones y crear espacios de confianza necesarios para avanzar en temas más complejos.

Movimiento en el plano energético (y geopolítico)

Pero si bien la liberación del veterano simboliza un avance en el ámbito diplomático, el movimiento paralelo en torno a Chevron profundiza aun más el carácter estratégico de este nuevo capítulo en la relación bilateral.

Según reportes del Wall Street Journal y Bloomberg, el gobierno de Trump estaría preparándose para extender por otros 60 días la Licencia General 41a, otorgada por la Oficina de Control de Activos Extranjeros (OFAC) del Departamento del Tesoro, que permite a Chevron y otras empresas operar en Venezuela bajo ciertos límites.

Esta prórroga, prevista para expirar el 27 de mayo, sería una señal clara de que Washington está dispuesto a flexibilizar su política sancionatoria en aras de objetivos económicos y energéticos compartidos. De igual manera, falta la confirmación oficial, que podría darse el mismo día martes 27.

Esto no es casualidad. Bajo el entendido expresado de que Trump no busca un cambio de régimen ni desea ver a China expandiendo su influencia en el sector petrolero venezolano —como lo reveló Grenell en el podcast de Steve Bannon el 20 de mayo—, esta ventana energética adquiere un matiz geopolítico crucial:

“Bannon: ¿Hay alguna discusión sobre una ampliación de Chevron? ¿Está eso en las cartas o es algo en lo que el presidente Trump está trabajando?

Grenell: No, el presidente Trump autorizó esa extensión si éramos capaces de conseguir algún progreso, si éramos capaces de construir alguna confianza, si éramos capaces de hacer eso hoy. Así que la prórroga será concedida”.

Mantener empresas estadounidenses como Chevron en el terreno venezolano no solo garantiza un flujo de crudo hacia refinerías claves en Texas y Nuevo México sino que también limita el espacio para actores rivales de Estados Unidos —de acuerdo con la lógica estadounidense— que buscan posicionarse en un mercado rico en recursos y subutilizado por años de bloqueo y desinversión. Esa sería la cuenta sacada por la administración estadounidense en el plano geopolítico, un razonamiento que también podría aplicarse al caso de Trinidad y Tobago, que busca continuar con los proyectos de campos compartidos de gas con Venezuela.

En este sentido, la combinación de cooperación en materia de seguridad —con la repatriación del veterano— y flexibilidad sancionatoria en el ámbito energético marca un patrón que puede divisarse de esta manera: ambos países están transitando hacia una relación menos condicionada por dogmas ideológicos y más guiada por la racionalidad estratégica.

Esto, aunque choca frontalmente con las posturas de sectores extremistas dentro y fuera de Estados Unidos, liderados por Marco Rubio y María Corina Machado, parece responder a un realismo político que reconoce que los conflictos prolongados no tienen solución unilateral, y que Venezuela, lejos de ser un tablero abstracto de batallas ideológicas, es un actor internacional con capacidad de negociación y agenda propia.

No obstante, los obstáculos persisten, y tienen un grave carácter criminal. La guerra contra migrantes venezolanos, muchas veces canalizado mediante políticas coercitivas como el envío masivo a la megaprisión Cecot en El Salvador, muestra que la praxis coactiva sigue vigente en ciertos frentes.

Pero el protagonismo creciente de Grenell respecto a Venezuela demuestra que hay otra vía posible: una que privilegia el diálogo discreto, la construcción de consensos mínimos y la resolución de problemas reales antes que la retórica vacía o los planes utópicos de intervención.

¿Hacia un proceso progresivo de negociaciones?

Lo ocurrido con el veterano y la inminente prórroga de la licencia de Chevron son hitos que, aunque aparentemente pequeños, configuran un tejido de acuerdos menores que podrían ir conformando una estructura estable de interlocución entre ambos países.

Este tipo de movimientos no solo fortalece la legitimidad del presidente Maduro a lo interno de Venezuela —al demostrar capacidad de negociar con potencias extranjeras en condiciones de igualdad— sino que también ofrece a Washington un margen operativo para proteger sus intereses sin recurrir constantemente a herramientas de guerra económica.

En este marco resulta cada vez más evidente que el modelo de “máxima presión” se ha agotado, harta su utilidad. Lejos de lograr cambios políticos significativos, generó daños colaterales profundos en la sociedad venezolana y minó la credibilidad de Estados Unidos ante el concierto internacional como socio confiable.

Frente a ello, el camino que se abre con estas nuevas acciones prometería una relación basada en el reconocimiento mutuo, en la interdependencia funcional y en la gestión pragmática de intereses comunes. Eso sí, con matices que Grenell apuntó en el podcast con Bannon: “Queremos asegurarnos de que probamos y creamos confianza. Muchos de los debates sobre diplomacia y sobre cómo encontrar soluciones consisten literalmente en generar confianza para asegurarnos de que una de las partes hace lo que dice. Porque recuerden, ellos son escépticos con nosotros y nosotros somos escépticos con ellos”.

Aunque las resistencias internas en Washington no desaparecerán de un día para otro, especialmente en sectores ligados a los neoconservadores y halcones del establishment eestadounidense y a grupos extremistas venezolanos, la tendencia indica que la realpolitik y la diplomacia silenciosa ganan terreno.

Y es precisamente esa dinámica, cuidadosamente manejada por Grenell y respaldada por decisiones concretas de la Casa Blanca, la que podría ir sembrando las bases para una relación bilateral menos volátil, más predecible y, sobre todo, más útil para enfrentar los desafíos energéticos y geopolíticos del presente.

En suma, el inevitable camino de negociación entre Maduro y Trump es actualmente una opción viable y una necesidad operativa. Y mientras Washington sigue dividido entre quienes quieren continuar con las ruinas del pasado y quienes apuestan por construir puentes, Venezuela sigue avanzando paso a paso, con la mirada fija en una estrategia que, aunque cautelosa, empieza a dar frutos.

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