Tra cinismo e ossessione
Si chiama Marco Antonio Rubio, è nato a Miami nel 1971, figlio di cubani stabilitisi in Florida. Il suo percorso combina una formazione accademica in scienze politiche e diritto con una carriera politico-amministrativa decollata dalla base locale fino a raggiungere le più alte sfere del potere a Washington.
Dai suoi inizi come commissario comunale a West Miami, passando per l’ascesa fulminea nella Camera dei Rappresentanti della Florida, dove divenne il primo presidente cubano-statunitense, Rubio coltivò una reputazione di rinnovamento conservatore.
Nel 2010 Rubio irruppe sulla scena nazionale vincendo un seggio al Senato USA in una competizione di alto profilo, diventando rapidamente una figura emblematica del Tea Party.
Dal Senato articolò un’agenda centrata sulla politica estera, in particolare sulle questioni latinoamericane e sulla sicurezza nazionale, tanto da essere considerato in più occasioni una sorta di “segretario di Stato ombra” per l’America Latina durante il primo governo di Donald Trump. La sua candidatura presidenziale, nel 2016, non ebbe successo, ma rafforzò il suo profilo nazionale e consolidò il suo peso all’interno del Partito Repubblicano.
Rubio capitalizzò questa influenza assumendo un ruolo cruciale nel Comitato di Intelligence del Senato, che presiedette ad interim durante la pubblicazione del rapporto finale sull’ingerenza russa nelle elezioni del 2016, in cui era coinvolto lo stesso Trump.
La sua gestione dell’indagine, con una posizione che riconosceva “l’interferenza russa” ma escludeva collusioni criminali tra la campagna di Trump e Mosca, fu politicamente funzionale: neutralizzò rischi per l’allora presidente e gli evitò conseguenze maggiori.
Questo gesto, che operò come un favore politico di alto livello, gli valse crediti nel gioco delle lealtà interne. Nel gergo politico, un debito simile non resta insoluto, ed è stato proprio questo che lo ha avvicinato in modo decisivo alla Segreteria di Stato nel 2025, la cui conferma in Senato con 99 voti a favore e nessuno contrario dimostrò anche il capitale politico che ha saputo costruire in oltre vent’anni di carriera pubblica in quell’ambito.
La cinica ossessione contro il Venezuela
Nel suo ruolo di senatore repubblicano per lo stato della Florida, fu il principale architetto della politica sanzionatoria USA contro il Venezuela. La sua azione legislativa e retorica rivelò un’agenda di ostilità politica, economica e diplomatica verso il paese latinoamericano, rafforzata da una stretta complicità con settori dell’opposizione estremista venezuelana.
Rubio trasformò la questione venezuelana in una bandiera ideologica e strategica per capitalizzare voti nel sud della Florida, utilizzando l’apparato legislativo USA e per promuovere una narrativa di destabilizzazione sistematica nel paese.
Già nel febbraio 2012 dichiarava al Wall Street Journal che l’amministrazione Obama doveva fare di più per “difendere le istituzioni democratiche” che, a suo dire, erano minacciate in paesi come il Venezuela. A questo pacchetto includeva anche Cuba e il Nicaragua, in un mix di ossessioni ideologiche e agende destabilizzanti.
La sua posizione si radicalizzò rapidamente: nell’aprile dello stesso anno propose al Senato la creazione di un’alleanza energetica con paesi come Canada, Messico, Brasile, Colombia e “un Venezuela post-Chávez”, con l’obiettivo di estromettere il Medio Oriente e la Russia come centri della produzione energetica mondiale, compreso il Venezuela. L’intento era chiaro: relegare il petrolio venezuelano dal mercato globale.
In quello stesso anno, Rubio dedicò la sua attività legislativa a fare pressione sull’amministrazione Obama affinché riconoscesse la presunta minaccia — inusuale e straordinaria — rappresentata dalla Repubblica Bolivariana per gli USA. Da quel momento, il senatore intensificò i suoi attacchi, denunciando, nel marzo 2013, una presunta “violazione dell’ordine costituzionale” in Venezuela e, un mese dopo, esortando la Casa Bianca a non legittimare il governo del presidente Nicolás Maduro.
Durante tutto il 2013 Rubio approfondì la sua strategia; in agosto presentò, insieme ad altri senatori come Bill Nelson e John McCain, una risoluzione che mirava ad avallare l’opposizione venezuelana e a condannare quella che definivano “intimidazione e violenza”.
La narrativa era pronta: il Venezuela doveva essere isolato, sanzionato illegalmente e la sua economia strangolata con il pretesto di prevenire “la minaccia”.
Nel mezzo di questo processo legislativo, Rubio arrivò persino a mentire apertamente pur di evitare ostacoli all’approvazione della legge. Quando la senatrice democratica della Louisiana, Mary Landrieu, espresse preoccupazione per gli effetti che la legge avrebbe potuto avere sulla raffineria Citgo nel suo stato, che importa petrolio venezuelano e sostiene posti di lavoro locali, Rubio rispose affermando che “il progetto di legge non avrebbe colpito i posti di lavoro in Louisiana e non aveva relazione con le operazioni di Citgo negli USA”.
Dichiarò che “la legislazione sulle sanzioni riguarda i diritti umani ed è rivolta specificamente a funzionari del governo venezuelano che li violano”, negando così qualsiasi connessione con il settore energetico o l’occupazione negli USA. “Non ha nulla a che vedere con una raffineria di petrolio di Citgo in Louisiana, come vorrebbero far credere Landrieu e il regime venezuelano”, una menzogna funzionale alla sua agenda.
Queste dichiarazioni facevano parte di un discorso accuratamente costruito per minimizzare la reale natura delle sanzioni. In un articolo dello stesso anno Rubio sostenne che “le sanzioni sono state introdotte specificamente per colpire individui, non aziende”, una vera e propria farsa che cercava di occultare gli effetti strutturali del blocco contro PDVSA e contro il sistema finanziario venezuelano.
Il punto di svolta arrivò nel 2014, quando il 27 febbraio l’ossessivo senatore presentò una risoluzione che esortava il presidente Obama a imporre immediatamente sanzioni contro il Venezuela. Solo un mese dopo presentò il progetto di legge che si sarebbe trasformato nel quadro legale per la politica sanzionatoria che strangolò il paese per oltre un decennio sul piano economico e finanziario.
È importante sottolineare che questa legislazione non nacque dal nulla, ma fu il risultato di una campagna sostenuta dal Senato, con appoggio bipartisan e con la collaborazione attiva di figure come María Corina Machado, Leopoldo López, Julio Borges e Carlos Vecchio, che operarono come catalizzatori interni della strategia di pressione internazionale.
La scelta del petrolio come bersaglio principale non fu casuale: essendo il cuore economico del Venezuela e strettamente intrecciato con il tessuto socioeconomico nazionale, divenne l’obiettivo nevralgico. Così, le misure furono il coronamento di un piano preparato da anni, sostenuto da agenzie di rating che già declassavano la posizione di PDVSA prima del 2014 e da una narrativa politica interna ed esterna che giustificava l’aggressione.
Marco Rubio, con il sostegno di operatori dentro e fuori il Congresso USA, si consolidò come il principale promotore di una politica di aggressione sistematica contro il Venezuela, strumentalizzando i meccanismi del potere legislativo per imporre un’agenda di cambio di regime.
L’agenda contro il Venezuela continua
Fin dal suo ingresso al Dipartimento di Stato, Marco Rubio non ha mai interrotto la sua crociata contro il Venezuela.
La sua nomina ha segnato la continuità di una politica estera orientata a sabotare qualsiasi via di dialogo con Caracas, ad operare come un ostacolo sistematico nei processi di negoziazione politica e ad alimentare una campagna di criminalizzazione dei migranti venezuelani, trasformati in bersaglio di un lucroso affare carcerario transnazionale.
Sotto la sua direzione, quest’agenda si è intensificata verso nuove forme di aggressione occulta, con la Guyana divenuta l’enclave della sua strategia.
Nel disegno geopolitico di Rubio, la Repubblica Cooperativa rappresenta una piattaforma fondamentale per facilitare operazioni sotto falsa bandiera volte a giustificare azioni coercitive e, eventualmente, militari contro lo Stato venezuelano.
Il giro di Rubio in Giamaica, Suriname e Guyana, tra il 26 e il 27 marzo di quest’anno, è stato presentato ufficialmente come parte degli sforzi per “promuovere le priorità di politica estera del presidente Trump nei Caraibi”.
Tuttavia, sia la scelta delle destinazioni sia il tempismo della visita — in mezzo a minacce di tariffe secondarie contro il Venezuela e rinnovati richiami alla “sicurezza energetica” — indicano che l’obiettivo reale era riconfigurare l’ambiente geopolitico immediato del nostro paese.
Mauricio Claver-Carone, allora inviato speciale per l’America Latina, dichiarò che i Caraibi sono “la nostra terza frontiera” e prospettò la necessità di controllare rotte marittime e risorse energetiche storicamente legate al Venezuela. La sua frase “tutto ciò è finito ed è arrivato il momento di voltare pagina”, in allusione a Petrocaribe, ha rivelato chiaramente l’intenzione di smantellare i meccanismi di cooperazione regionale creati da Caracas per sostituirli con una rete di subordinazione allineata agli interessi USA.
Già anni prima di ricoprire il ruolo di Segretario di Stato, Rubio operava per installare un governo più docile a Georgetown; nel 2020 esercitò pressioni aperte sull’allora presidente David Granger e celebrò l’ascesa di Irfaan Ali, che ha coltivato come socio strategico nella regione.
Dopo la sua nomina a capo della diplomazia USA, nel gennaio 2025, la sua prima telefonata internazionale fu proprio con Ali, con cui concordò di “rafforzare l’integrità territoriale della Guyana”, un chiaro riferimento al conflitto sull’Esequibo.
Questo allineamento è stato celebrato dall’élite dirigente guyanese: il vicepresidente Bharrat Jagdeo ha espresso la sua “enorme soddisfazione” per la nomina di Rubio e la sua aspettativa di ricevere un forte sostegno nella controversia di confine con il Venezuela. Da allora, Georgetown ha offerto territorio, infrastrutture e collaborazione politica per facilitare l’aggressione occulta di Washington contro Caracas.
Durante la visita del 27 marzo a Georgetown, Rubio ha partecipato a incontri con alti funzionari guyanesi e ha assistito a esercitazioni militari congiunte tra la Marina USA e la Forza di Difesa guyanese.
In tale contesto è stato firmato un memorandum d’intesa per “rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza”, incentrato sullo scambio di informazioni, la lotta al crimine organizzato e la cooperazione militare. Questo accordo consolida la trasformazione della Guyana in un’enclave militare al servizio degli interessi di Washington, ignorando la legittima rivendicazione venezuelana sull’Esequibo.
Rubio ha definito con enfasi il Venezuela una “minaccia regionale” e ha lasciato aperta la possibilità di ritorsioni militari in caso di escalation del conflitto territoriale.
Il presidente Ali si è unito a questa narrazione accusando Caracas di violare l’ordinanza della Corte Internazionale di Giustizia e la Dichiarazione di Argyle, ringraziando gli USA per il sostegno nella costruzione di “un’agenda bilaterale” su difesa, infrastrutture ed energia.
Ma il vero obiettivo è apparso ancora più chiaro quando Rubio ha avvertito che qualsiasi azione venezuelana contro la Guyana o contro ExxonMobil “non finirebbe bene per loro”. ExxonMobil, società chiave nello sfruttamento illegale delle risorse dell’Esequibo, è anche un braccio operativo della strategia USA nella regione.
Offrendole una protezione esplicita, Rubio ha confermato il legame tra sicurezza energetica, occupazione militare e dominio geopolitico.
Nel suo discorso Rubio non ha perso l’occasione di introdurre il dossier del Tren de Aragua come pretesto per ampliare la securitizzazione regionale. Facendo riferimento a presunti membri di questa banda presenti in Guyana, ha giustificato l’istituzione di meccanismi di sorveglianza e detenzione che criminalizzano i migranti venezuelani e abilitano operazioni sotto falsa bandiera.
La clausola di scambio di informazioni contenuta nel nuovo accordo di sicurezza consente agli USA di condividere qualsiasi “sospetto” con le autorità guyanesi, facilitando arresti arbitrari basati su accuse infondate.
Questa manovra replica lo schema già usato da Washington in altre regioni: esagerare minacce, gonfiare problemi di sicurezza e creare uno stato d’allarme permanente per giustificare maggiore intervento militare.
Rubio è arrivato persino a paragonare i migranti venezuelani ai prigionieri di Guantánamo e ai membri di Al Qaeda, in un discorso che non solo disinforma bensì degrada i principi fondamentali del diritto internazionale e dei diritti umani.
Rubio, oggi Segretario di Stato, ha trasformato la sua ossessione personale per il Venezuela in una politica ufficiale di Stato. In questa sua offensiva, la Guyana è il fronte più evidente.
La società di servizi carcerari che lo sostiene
L’ascesa politica di Rubio è stata accompagnata da un solido intreccio di interessi aziendali e lobby settoriali che superano di gran lunga il suo capitale politico personale. La sua scalata, dalla legislatura della Florida fino all’attuale incarico, è stata sostenuta da gruppi imprenditoriali con forti interessi nelle politiche migratorie, carcerarie e fiscali.
Uno dei pilastri economici più influenti della sua carriera è stata l’industria penitenziaria privata, in particolare The GEO Group, con sede in Florida. Questa società non solo ha finanziato le sue campagne, ma ha anche ottenuto contratti durante il suo periodo alla Camera dei Rappresentanti della Florida.
Nel 2016 GEO Group ha donato quasi 190 mila $ alla sua candidatura presidenziale dopo aver ricevuto un contratto statale da 110 milioni di $, proprio quando Rubio presiedeva la Camera.
I contributi dell’industria carceraria non si limitano a donazioni elettorali. Rappresentano un investimento strategico volto a ottenere ritorni tramite politiche pubbliche favorevoli. GEO Group e Corrections Corporation of America hanno destinato circa 25 milioni di $ al lobbying federale dal 1989. Il voto contrario di Rubio al First Step Act, nel 2018, una riforma bipartisan del sistema penitenziario, fu un chiaro segnale del suo allineamento con questi interessi.
Nel 2018 i ricavi di GEO Group hanno superato i 2,3 miliardi di d$; oltre il 40% dei loro introiti nel 2023 proveniva da contratti con l’ICE, rafforzando il nesso tra politica migratoria e detenzione privata.
La crescente criminalizzazione della migrazione irregolare, con nuove leggi come il Laken Riley Act, rappresenta un’area di crescita per questo settore, che trae profitto direttamente dal numero di persone detenute.
Oltre all’industria penitenziaria, Rubio ha goduto del sostegno sistematico della lobby sionista e del settore immobiliare della Florida. In particolare, i costruttori e sviluppatori immobiliari sono stati donatori ricorrenti, interessati a preservare politiche fiscali e normative che favoriscano la speculazione urbana, il turismo residenziale e gli investimenti stranieri.
La sua figura incarna il modello di politico USA la cui agenda è plasmata dalla redditività garantita ai suoi finanziatori. Nel 2015 disse: “Loro investono nella mia agenda”, riferendosi ai suoi legami con GEO Group.
Il suo pensiero e la sua posizione contro la Cina
L’attuale segretario ha promosso un discorso politico incentrato sulla diagnosi di un prolungato declino USA, causato, secondo la sua visione, da un’élite che ha frainteso l’orientamento del mondo post-sovietico.
Secondo Rubio, l’errore capitale fu quello di aver dato per scontata la vittoria definitiva dell’ordine liberal-democratico e l’avvento di una globalizzazione illimitata. In base a questa logica furono smantellate le strutture produttive nazionali, delocalizzata l’industria e finanziarizzata l’economia, misure che hanno prodotto una rottura con la classe media lavoratrice che aveva sostenuto la prosperità USA del secondo dopoguerra.
Rubio attribuisce alla Cina un ruolo centrale nella decadenza nazionale, affermando che gli USA aprirono i mercati e trasferirono tecnologia nella speranza che Pechino evolvesse verso un modello più simile a quello occidentale.
Invece, accusa il Partito Comunista Cinese di aver utilizzato gli strumenti della globalizzazione per rubare, mentire e imbrogliare, consolidando così una potenza rivale grazie all’aiuto involontario dell’élite USA. Nel suo libro ‘Decenni di decadenza’ denuncia che lo status quo economico post-Guerra Fredda ha favorito solo l’élite delle coste, mentre svuotava il cuore industriale del Paese.
Il pensiero di Rubio combina protezionismo economico, critica al globalismo finanziario e una forte visione geopolitica della rivalità con la Cina.
Nella sua concezione, settori critici come la biofarmaceutica, i minerali strategici e la tecnologia avanzata non possono più dipendere da una potenza ostile. Per questo promuove un pacchetto legislativo per rilocalizzare industrie cruciali, dalla rete elettrica alla produzione di medicinali, facendo della reindustrializzazione un pilastro della sicurezza nazionale.
In ambito legislativo, Rubio ha promosso la Legge sulla Strategia Nazionale di Sviluppo, la Legge Onshore per l’esplorazione di minerali rari e la Legge MMEDS per il rimpatrio della produzione di dispositivi medici.
Il suo approccio si fonda sulla creazione di barriere economiche contro la Cina, il controllo degli investimenti a rischio per la sicurezza e la mobilitazione di fondi federali per ricostruire la base produttiva nazionale. Questa agenda combina elementi di nazionalismo economico con un impulso regolatorio e selettivo orientato al recupero delle capacità strategiche perdute.
Rubio non si limita alla confrontazione economica: ha avvertito che la Cina non ha più bisogno di copiare o rubare, poiché oggi guida settori chiave come i veicoli elettrici, l’industria navale e la biotecnologia.
Sostiene che gli USA debbano recuperare il tempo perduto attraverso una politica industriale attiva, una sorveglianza tecnologica rafforzata e un accerchiamento strategico delle ambizioni globali di Pechino. Il riferimento al programma Made in China 2025 è centrale nel suo discorso: lo considera il manuale dell’ascesa cinese e la minaccia più seria alla supremazia tecnologica ed economica del suo Paese.
Infine, Rubio si presenta come un riformista conservatore, propone di ricostruire la dignità del lavoro attraverso una rivalutazione del sindacato, di restaurare il ruolo produttivo del capitale e di articolare una coalizione di classe operaia multietnica all’interno del Partito Repubblicano, in linea con il populismo di destra tipico degli USA.
La sua frustrazione con gli inviati speciali
Nell’attuale amministrazione Trump, la figura del Segretario di Stato è stata relegata a un ruolo di secondo piano, offuscata dal peso crescente degli inviati speciali.
Nonostante ricopra uno degli incarichi più rilevanti nella struttura diplomatica USA, Rubio non fa parte del cerchio decisionale di maggiore influenza alla Casa Bianca. Il suo ruolo è percepito come più protocollare che strategico, e la sua autorità all’interno dell’esecutivo è stata frustrata da un modello di gestione in cui la diplomazia è centralizzata direttamente nella figura presidenziale e nei suoi delegati di fiducia.
Nomi come Richard Grenell, Keith Kellogg e Steve Witkoff hanno assunto responsabilità di primo piano nella politica estera USA, agendo come esecutori privilegiati delle priorità personali di Trump.
Invece di canalizzare le proprie iniziative attraverso il Dipartimento di Stato, il presidente ha scelto di conferire potere diretto a questi inviati, che operano da uffici all’interno della Casa Bianca con accesso diretto al capo dell’Esecutivo.
Questo assetto riflette una sfiducia strutturale nei confronti della burocrazia tradizionale di Foggy Bottom (sede del Dipartimento di Stato) e conferma la volontà di Trump di eludere i procedimenti convenzionali.
Rubio ha cercato di mantenere la propria rilevanza attraverso missioni diplomatiche e dichiarazioni pubbliche, ma le sue mosse sono state oscurate dalle attività parallele degli inviati speciali.
Il suo viaggio in Centroamerica non ha prodotto risultati sostanziali e, in più occasioni, è stato smentito o superato da altri funzionari che negoziavano a nome del presidente.
Mentre il Segretario di Stato tentava di consolidare accordi con Panama, Repubblica Dominicana ed El Salvador, l’attenzione era concentrata sulle trattative riservate di Grenell, che è stato ricevuto dal presidente Nicolás Maduro.
Il progressivo spostamento del Dipartimento di Stato dal centro del potere diplomatico ha avuto conseguenze dirette per Rubio. Le principali missioni in Ucraina, Gaza e Venezuela sono state assegnate a delegati speciali senza un’effettiva coordinazione con il suo ufficio.
Di fronte a questo scenario, Rubio ha scelto di cercare spazi alternativi per imporre la propria agenda, come il Senato stesso, in particolare nei circoli repubblicani e mediatici a lui vicini.
Contraddizioni con gli annunci della “Licenza Chevron”
Le recenti tensioni all’interno dell’amministrazione Trump sulla politica verso il Venezuela hanno riportato alla luce le profonde divisioni interne su come gestire il rapporto con il governo venezuelano.
Secondo quanto riportato da Bloomberg, stavolta il detonatore è stata la controversia sull’estensione della licenza che permette alla Chevron di continuare a operare nel Paese sudamericano: una decisione che ha esposto apertamente il conflitto tra diverse agende nella Casa Bianca e ha generato instabilità persino nei mercati finanziari.
Sono bastate 24 ore tra un annuncio e una smentita pubblica perché la politica sanzionatoria verso il Venezuela subisse una brusca inversione di rotta. Grenell ha dichiarato che l’esenzione dalle sanzioni per la compagnia USA sarebbe stata rinnovata: “Il presidente Trump ha autorizzato quell’estensione se fossimo riusciti a generare fiducia”, ha affermato nel podcast di Steve Bannon, rivelando che la misura era stata approvata direttamente dal capo dello Stato.
Tuttavia, un tweet del Segretario di Stato ha contraddetto tale affermazione, sprofondando nuovamente la posizione ufficiale in una situazione di confusione.
La dichiarazione pubblica di Rubio è arrivata poche ore prima di un voto cruciale alla Camera dei Rappresentanti sul pacchetto fiscale proposto da Trump, lasciando intuire che le pressioni dell’ala dura repubblicana venissero usate come moneta di scambio politica.
Il presidente dell’Assemblea Nazionale del Venezuela, Jorge Rodríguez, ha colto perfettamente il senso del momento, descrivendo la situazione come un autentico “Game of Thrones” all’interno del governo USA.
I contrasti tra Rubio – che rappresenta la linea più intransigente verso Caracas – e Grenell – inviato speciale con accesso diretto al presidente – sono stati evidenti fin dall’inizio della nuova amministrazione.
Mentre Rubio spinge per la fine dell’esenzione come simbolo di massima pressione sul Venezuela, Grenell cerca di allentare alcune restrizioni nell’ambito di una strategia più pragmatica, volta al raggiungimento di obiettivi immediati.
Marco Rubio, oggi diventato Segretario di Stato, è un attore politico con ambizioni presidenziali sempre più evidenti. Il suo passaggio al Senato e l’attuale incarico gli hanno conferito un capitale politico che non si limita più alla mera obbedienza partitica, ma mira a costruire una narrazione propria, fondata sulla restaurazione morale e sulla supremazia strategica degli USA, soprattutto in America Latina.
Rubio non agisce solo in funzione del lascito di Trump; sta infatti costruendo una propria struttura di potere e un proprio discorso politico, manovrando con abilità per imporre la sua agenda anche in contrasto con l’inquilino della Casa Bianca, facendo leva sulla sua base legislativa e sulla rete di appoggi nel mondo delle imprese.
In questo processo di costruzione della leadership, Rubio incarna l’espressione più estremista e pericolosa del Partito Repubblicano: una miscela di crociata ideologica, opportunismo elettorale e parassitismo cubano-americano che ha profondamente plasmato la politica USA verso l’America Latina.
Anche se all’interno del governo si trova a fronteggiare limiti evidenti, la sua ambizione non conosce soste, ed è molto probabile che cerchi di spianarsi la strada verso le elezioni presidenziali del 2028.
Entre el cinismo y la obsesión
Conociendo al enemigo: Marco Rubio
Se llama Marco Antonio Rubio, nacido en Miami en 1971, hijo de cubanos radicados en Florida. Su trayectoria combina una formación académica en ciencias políticas y derecho con una carrera política-gubernamental que agarró vuelo, desde la base local, hasta alcanzar las más altas esferas del poder en Washington.
Desde sus inicios como comisionado municipal en West Miami, pasando por su ascenso meteórico en la Cámara de Representantes de Florida, donde llegó a ser su primer presidente cubano-estadounidense, Rubio cultivó una reputación de renovación conservadora.
En 2010 Rubio irrumpió en la escena nacional al ganar un escaño en el Senado de Estados Unidos en una contienda de alto perfil, lo cual lo convirtió rápidamente en una figura emblemática del Tea Party.
Desde el Senado articuló una agenda centrada en la política exterior, especialmente en temas latinoamericanos y en los asuntos de seguridad nacional, en virtud de lo cual fue considerado en múltiples ocasiones como una especie de “secretario de Estado en la sombra” para América Latina durante el primer gobierno de Donald Trump. Su candidatura presidencial en 2016 no prosperó, pero reforzó su perfil nacional y consolidó su peso dentro del Partido Republicano.
Rubio capitalizó esta influencia al asumir un papel crucial en el Comité de Inteligencia del Senado, del cual fue presidente interino durante la publicación del informe final sobre la injerencia rusa en las elecciones de 2016, en el que se había vinculado a Trump.
Su manejo de esta investigación, con una postura que reconocía “la interferencia rusa” pero descartaba colusión criminal entre la campaña de Trump y Moscú, fue funcional desde el punto de vista político: neutralizó riesgos para el entonces presidente y le evitó consecuencias mayores.
Ese gesto, que operó como un favor político de alto calibre, le sumó puntos en el tablero de las lealtades internas. En el argot político, una deuda así no queda impaga y fue precisamente eso lo que en gran medida lo aproximó a la Secretaría de Estado en 2025, cuya confirmación del Senado con 99 votos a favor y ninguno en contra mostró también el capital político que supo construir a lo largo de más de dos décadas de carrera pública en esa instancia.
La cínica obsesión contra Venezuela
Cuando fungió como senador republicano por el estado de Florida fue el principal arquitecto de la política sancionatoria de Estados Unidos contra Venezuela. Su accionar legislativo y discursivo reveló su agenda de hostigamiento político, económico y diplomático hacia el país latinoamericano, y esto se sumó con la estrecha complicidad con sectores de la oposición extremista venezolana.
Rubio convirtió el tema venezolano en una bandera ideológica y estratégica para capitalizar votos en el sur de la Florida, utilizando el aparato legislativo norteamericano para promover una narrativa de desestabilización sistemática en ese país.
Ya en febrero de 2012 Rubio declaraba al Wall Street Journal que la administración de Barack Obama debía hacer más para “defender las instituciones democráticas” que, según él, estaban amenazadas en países como Venezuela. A este paquete también ha incluido a Cuba y Nicaragua, en un coctel de obsesiones ideológicas y agendas desestabilizadoras.
Su postura fue escalando rápidamente: en abril del mismo año planteó ante el Senado una propuesta de formar una alianza energética con países como Canadá, México, Brasil, Colombia y “una Venezuela postChávez”, con el objetivo de desplazar a “Medio Oriente” y Rusia como centros de producción energética mundial, incluida Venezuela, con lo cual dejaba explícito que la idea se trataba de relegar el petróleo venezolano del mercado global.
Durante aquel año Rubio dedicó su agenda en el brazo legislativo a presionar a la administración Obama con que se debía reconocer la supuesta amenaza —inusual y extraordinaria— que representaba la República Bolivariana para Estados Unidos. Desde ese momento el senador intensificó sus ataques, denunciando en marzo de 2013 una supuesta “violación del orden constitucional” en Venezuela y, un mes después, instando a la Casa Blanca a no legitimar al gobierno del presidente Nicolás Maduro.
A lo largo de 2013 Rubio profundizó su estrategia; en agosto presentó, junto con otros senadores como Bill Nelson y John McCain, una resolución que pretendía avalar a la oposición venezolana y condenar lo que llamaban “intimidación y violencia”.
La narrativa estaba servida: Venezuela debía ser aislada, sancionada ilegalmente y su economía cercada con la excusa de prevenir “la amenaza”.
De hecho, en medio de este proceso legislativo Rubio llegó incluso a mentir abiertamente para evitar obstáculos a la aprobación del proyecto de ley. Cuando la senadora demócrata por Luisiana, Mary Landrieu, expresó su preocupación por los efectos que la ley podría tener en la refinería de Citgo en su estado, que importa petróleo venezolano y sostiene empleos locales, Rubio respondió asegurando que “el proyecto de ley no afectaría los empleos de Luisiana y no tiene relación con las operaciones de Citgo en Estados Unidos”.
Afirmó que “la legislación de sanciones tiene que ver con los derechos humanos y está dirigida específicamente a personas del gobierno de Venezuela que abusan de ellos”, y así negó cualquier conexión con el sector energético o el empleo en Estados Unidos. “No tiene nada que ver con una refinería de petróleo de Citgo en Luisiana, como Landrieu y el régimen venezolano quisieran hacer creer”, una mentira a favor de su agenda.
Estas declaraciones formaban parte de un relato cuidadosamente construido para minimizar la naturaleza real de las sanciones. En su artículo de ese mismo año Rubio alegó que “las sanciones se introdujeron específicamente para sancionar a individuos, no a empresas”, una farsa absoluta que intentaba encubrir los efectos estructurales del bloqueo a PDVSA y al sistema financiero venezolano.
El punto de inflexión llegó en 2014 cuando el 27 de febrero el obsesivo senador presentó una resolución que instaba al presidente Obama a imponer de inmediato sanciones contra Venezuela. Tan solo un mes después introdujo el proyecto de ley que se transformaría en el marco legal para la política sancionatoria que ahorcó al país durante más de una década en el plano económico y financiero.
Es importante señalar que esta legislación no surgió de un vacío pues fue el resultado de una campaña sostenida desde el Senado, con respaldo bipartidista, y con una activa colaboración de figuras como María Corina Machado, Leopoldo López, Julio Borges y Carlos Vecchio, quienes operaron como catalizadores internos de la estrategia de presión internacional.
La elección del petróleo para el fuego sancionatorio no fue casual ya que, siendo el corazón económico de Venezuela e intrincado en su tejido socioeconómico, se convirtió en el blanco neurálgico. Así, las medidas fueron la guinda del pastel que llevaba años preparándose, respaldadas por calificadoras de riesgo que ya degradaban la posición de PDVSA antes de 2014, y por una narrativa política interna y externa que justificaba la agresión.
Marco Rubio, con respaldo de operadores tanto dentro como fuera del Congreso estadounidense, se consolidó como el principal impulsor de una política de agresión sistemática contra Venezuela mediante la instrumentalización de los mecanismos del poder legislativo norteamericano para imponer una agenda de cambio de régimen.
La agenda contra Venezuela continúa
Ahora bien, desde su llegada al Departamento de Estado no ha descansado en su cruzada contra Venezuela.
Su nombramiento marcó la continuidad de una política exterior enfocada en sabotear cualquier vía de diálogo con Caracas, operar como un obstáculo sistemático en los procesos de negociación política y alimentar una campaña de criminalización contra los migrantes venezolanos, convertidos en blanco de un lucrativo negocio carcelario transnacional.
Bajo su dirección esta agenda ha escalado hacia nuevas formas de agresión encubierta, y Guyana se ha transformado en el enclave de su estrategia.
En el diseño geopolítico de Rubio la República Cooperativa es una plataforma fundamental para facilitar operaciones de falsa bandera que justifiquen acciones coercitivas y eventualmente militares contra el Estado venezolano.
La gira de Rubio a Jamaica, Surinam y Guyana entre el 26 y 27 de marzo de este año fue presentada oficialmente como parte de los esfuerzos por “impulsar las prioridades de política exterior del presidente Trump en el Caribe”.
Sin embargo, tanto la selección de los destinos como el momento de la visita, en medio de aquellas amenazas de aranceles secundarios sobre Venezuela y renovadas referencias a la “seguridad energética”, indican que el verdadero objetivo estaba centrado en reconfigurar el entorno geopolítico inmediato de nuestro país.
Mauricio Claver-Carone, el entonces enviado especial para América Latina, declaró que el Caribe es “nuestra tercera frontera” y planteó la necesidad de control sobre rutas marítimas y recursos energéticos históricamente asociados con Venezuela. Su frase “todo eso ha terminado y ha llegado el momento de pasar página”, en alusión a Petrocaribe, reveló con claridad la intención de desmontar los mecanismos de cooperación regional creados por Caracas con vistas a sustituirlos por una red de subordinación alineada con los intereses estadounidenses.
Desde años antes de ocupar el cargo de Secretario de Estado operó para instalar un gobierno más dócil en Georgetown; en 2020 presionó abiertamente al entonces presidente David Granger y celebró el ascenso de Irfaan Ali, a quien ha cultivado como socio estratégico en la región.
Tras su nominación como jefe de la diplomacia estadounidense en enero de 2025, su primera llamada internacional fue precisamente a Ali, con quien acordó “fortalecer la integridad territorial de Guyana”, en abierta alusión al conflicto sobre el Esequibo.
Este alineamiento ha sido celebrado por la élite gobernante guyanesa: el vicepresidente Bharrat Jagdeo expresó su “enorme complacencia” por la designación de Rubio y su expectativa de recibir un respaldo firme en la controversia fronteriza con Venezuela. Desde entonces, Georgetown ha ofrecido territorio, infraestructura y colaboración política para facilitar la agresión velada de Washington contra Caracas.
Durante su visita del 27 de marzo a Georgetown, Rubio participó en reuniones con altos funcionarios guyaneses y presenció ejercicios militares conjuntos entre la Armada estadounidense y la Fuerza de Defensa Guyanesa.
En ese marco se firmó un memorando de entendimiento para “fortalecer la colaboración en seguridad”, centrado en el intercambio de información, lucha contra el crimen organizado y cooperación militar. Este acuerdo consolida la transformación de Guyana en un enclave militar al servicio de los intereses de Washington, a espaldas del legítimo reclamo venezolano sobre el Esequibo.
Rubio fue enfático en describir Venezuela como una “amenaza regional” y dejó abierta la posibilidad de represalias militares en caso de una escalada del conflicto territorial.
El presidente Ali se sumó a esta narrativa acusando a Caracas de violar la orden de la Corte Internacional de Justicia y la Declaración de Argyle, y agradeciendo el respaldo estadounidense para consolidar “una agenda bilateral” en defensa, infraestructura y energía.
Pero el objetivo de fondo quedó aun más expuesto cuando Rubio advirtió que cualquier acción venezolana contra Guyana o ExxonMobil “no terminaría bien para ellos”. ExxonMobil, empresa clave en la explotación ilegal de los recursos del Esequibo, es también un brazo operativo de la estrategia estadounidense en la región.
Al ofrecerle protección explícita, Rubio confirmó el nexo entre seguridad energética, ocupación militar y dominación geopolítica.
En su discurso Rubio no perdió la oportunidad de introducir el expediente del Tren de Aragua como pretexto para ampliar la securitización regional. Al referirse a supuestos miembros de esta banda presentes en Guyana, justificó el establecimiento de mecanismos de vigilancia y detención que criminalizan a los migrantes venezolanos y habilitan operaciones de bandera falsa.
La cláusula de intercambio de información incluida en el nuevo acuerdo de seguridad permite a Estados Unidos compartir cualquier “sospecha” con las autoridades guyanesas, con lo cual se facilitarían detenciones arbitrarias bajo acusaciones infundadas.
Esta maniobra repite el patrón usado por Washington en otras regiones, basado en exagerar amenazas, inflar problemas de seguridad y fabricar un estado de alarma permanente que justifique mayor intervención militar.
Rubio incluso llegó al extremo de comparar a migrantes venezolanos con prisioneros de Guantánamo y miembros de Al Qaeda, en un discurso que no solo desinforma sino que degrada los principios básicos del derecho internacional y los derechos humanos.
Rubio, convertido hoy en Secretario de Estado, ha transformado su fijación personal con Venezuela en una política oficial de Estado. En su ofensiva, Guyana es el frente más evidente.
La empresa de servicios carcelarios que lo respalda
La proyección política de Rubio ha estado acompañada por un sólido entramado de intereses corporativos y lobbies sectoriales que exceden con creces su capital político individual. Su ascenso, desde la legislatura de Florida hasta su actual cargo como Secretario de Estado, ha sido respaldado por grupos empresariales con fuertes intereses en políticas migratorias, carcelarias y fiscales.
Uno de los pilares económicos más influyentes en su carrera ha sido la industria penitenciaria privada, particularmente The GEO Group, con sede en Florida. Esta empresa no solo ha financiado sus campañas sino que ha obtenido beneficios contractuales durante su paso por la Cámara de Representantes de Florida.
En 2016 GEO Group aportó casi 190 mil dólares a su candidatura presidencial luego de haber recibido un contrato estatal por 110 millones de dólares, coincidiendo con el período cuando Rubio presidía la Cámara.
Los aportes de la industria carcelaria a Rubio no se limitan a contribuciones electorales. Representan una inversión estratégica que busca retornos mediante políticas públicas favorables. GEO Group y Corrections Corporation of America han destinado cerca de 25 millones de dólares al cabildeo federal desde 1989. La votación de Rubio contra la First Step Act en 2018, una iniciativa bipartidista de reforma penitenciaria, fue un indicio claro de su alineamiento con los intereses de estas compañías.
Los ingresos de GEO Group en 2018 superaron los 2,3 mil millones de dólares; más de 40% de sus ingresos en 2023 provino de contratos con el Servicio de Inmigración y Control de Aduanas (ICE, por sus siglas en inglés), relación que fortalece la conexión entre la política migratoria estadounidense y la expansión del sistema de detención privado.
La creciente criminalización de la migración irregular, con nuevas leyes como la Ley Laken Riley, representa un campo de crecimiento para este sector, que obtiene ganancias directamente proporcionales al número de personas detenidas.
Además de la industria penitenciaria Rubio ha contado con el respaldo sistemático del lobby sionista y del sector inmobiliario de Florida. En particular, los desarrolladores inmobiliarios han sido donantes recurrentes de sus campañas, interesados en preservar políticas fiscales y regulatorias que favorezcan la especulación urbana, el turismo residencial y las inversiones de capital extranjero.
Su figura sintetiza el modelo de político estadounidense cuya agenda es moldeada por la rentabilidad que garantiza a sus donantes. En 2015 dijo que “ellos invierten en mi agenda”, al referirse a sus vínculos con Geo Group.
Su pensamiento y postura contra China
El ahora secretario ha promovido un discurso político centrado en el diagnóstico de un prolongado declive estadounidense, provocado, según su visión, por una élite que malinterpretó el rumbo del mundo postsoviético.
El error capital, sostiene, fue haber asumido el triunfo definitivo del orden liberal-democrático y el advenimiento de una globalización irrestricta. Bajo esa lógica se desmantelaron las estructuras productivas nacionales, se deslocalizó la industria y se financierizó la economía, medidas que generaron una ruptura con la clase media trabajadora que había sostenido la prosperidad estadounidense de la posguerra.
Rubio atribuye a China un rol central en la decadencia nacional pues afirma que Estados Unidos abrió mercados y transfirió tecnología bajo la expectativa de que Beijing evolucionaría hacia un modelo más parecido al occidental.
En cambio, acusa al partido comunista chino de haber utilizado las herramientas de la globalización para robar, mentir y hacer trampa, y asi consolidó una potencia rival con ayuda involuntaria de las élites norteamericanas. En su libro Décadas de decadencia denuncia que el statu quo económico postGuerra Fría solo benefició a las élites costeras, mientras vaciaba el corazón industrial del país.
El pensamiento de Rubio combina proteccionismo económico, crítica al globalismo financiero y una fuerte visión geopolítica de la rivalidad con China.
En su concepción, sectores críticos como la biofarmacia, los minerales estratégicos y la tecnología avanzada no pueden seguir dependiendo de una potencia hostil. Por ello impulsa un paquete legislativo para relocalizar industrias cruciales, desde la red eléctrica hasta la producción de medicamentos, lo cual convierte la reindustrialización en un eje de seguridad nacional.
En el ámbito legislativo Rubio ha promovido la Ley de Estrategia Nacional de Desarrollo, la Ley Onshore, para exploración de minerales raros y la Ley Mmeds para repatriar la producción de equipos médicos.
Su enfoque se basa en crear barreras económicas frente a China, fiscalizar las inversiones con riesgos de seguridad y movilizar fondos federales para reconstruir la base productiva nacional. Esta agenda combina elementos del nacionalismo económico con un impulso regulador y selectivo, orientado a recuperar capacidades estratégicas perdidas.
Rubio no se limita a la confrontación económica debido a que ha advertido que China ya no necesita copiar o robar pues lidera sectores importantes como los vehículos eléctricos, la industria naval o la biotecnología.
Sostiene que Estados Unidos debe recuperar tiempo perdido mediante una política industrial activa, vigilancia tecnológica reforzada y un cerco estratégico a las ambiciones globales de Beijing. La referencia al programa Made in China 2025 es central en su discurso: lo concibe como el manual del ascenso chino y la amenaza más seria a la supremacía tecnológica y económica de su país.
Finalmente, Rubio se presenta como un reformista conservador, propone reconstruir la dignidad del trabajo mediante revalorización sindical, restaurar el papel productivo del capital y articular una coalición de clase obrera multiétnica dentro del Partido Republicano, en línea con el populismo derechista típico estadounidense.
Su pertubación con los enviados especiales
En la actual administración Trump, la figura del Secretario de Estado ha quedado relegada a un segundo plano, desdibujada por el peso creciente de los enviados especiales.
Pese a ocupar uno de los cargos más relevantes en la estructura diplomática de Estados Unidos, Rubio no forma parte del círculo decisorio de mayor influencia en la Casa Blanca. Su rol es percibido como más protocolar que estratégico, y su autoridad en el Ejecutivo ha sido frustrada por un modelo de gestión en el que la diplomacia se centraliza directamente en la figura presidencial y sus delegados de confianza.
Nombres como Richard Grenell, Keith Kellogg y Steve Witkoff han asumido responsabilidades de primer orden en la política exterior estadounidense actuando como ejecutores privilegiados de las prioridades personales de Trump.
En lugar de canalizar sus iniciativas a través del Departamento de Estado, el presidente ha optado por empoderar directamente a estos enviados, quienes operan desde oficinas en la Casa Blanca con acceso directo al mandatario.
Este diseño refleja una desconfianza estructural hacia la burocracia tradicional de Foggy Bottom y confirma la voluntad de Trump de eludir los procedimientos convencionales.
Rubio ha intentado sostener su relevancia a través de giras diplomáticas y declaraciones mediáticas, pero sus movimientos han sido opacados por el despliegue paralelo de los enviados especiales.
Su periplo por Centroamérica no logró resultados sustantivos, y en múltiples ocasiones fue desautorizado o superado por otros funcionarios que negociaban en nombre del presidente.
Mientras el Secretario de Estado trataba de consolidar acuerdos en Panamá, República Dominicana y El Salvador, la atención en aquel entonces se concentraba en las gestiones reservadas de Grenell, quien fue recibido por el presidente Nicolás Maduro.
El ligero desplazamiento del Departamento de Estado del centro del poder diplomático ha tenido consecuencias directas para Rubio. Las principales misiones en Ucrania, Gaza y Venezuela han sido atribuidas a delegados especiales sin que medie coordinación efectiva con su oficina.
Ante este escenario Rubio ha optado por buscar espacios alternativos para imponer su agenda, como el propio Senado, especialmente en los círculos republicanos y mediáticos alineados con él.
Contradicciones con los anuncios de la “Licencia Chevron”
Las recientes tensiones en la administración Trump sobre la política hacia Venezuela han vuelto a poner de relieve las profundas divisiones internas en torno a cómo abordar la relación con el gobierno venezolano.
Señala Bloomberg que, esta vez, el detonante ha sido la controversia acerca de la extensión de la licencia para que Chevron continúe operando en el país sudamericano, una decisión que ha expuesto abiertamente el choque de agendas dentro de la Casa Blanca y ha generado inestabilidad, incluso, en los mercados financieros.
Apenas transcurridas 24 horas entre un anuncio y una desautorización pública, la política de sanciones hacia Venezuela dio un giro brusco. Grenell informó que la exención de sanciones para la empresa estadounidense sería renovada: “El presidente Trump autorizó esa extensión si lográbamos generar confianza”, aseguró en el podcast de Steve Bannon, revelando que la medida había sido aprobada directamente por el mandatario.
Sin embargo, un tuit del Secretario de Estado contradijo dicha afirmación, lo cual sumió la postura oficial en una nueva confusión.
La declaración pública de Rubio se produjo horas antes de una votación importante en la Cámara de Representantes sobre el paquete fiscal propuesto por Trump, dejando entrever que las presiones del ala dura republicana estaban siendo utilizadas como moneda de cambio política.
El presidente de la Asamblea Nacional de Venezuela, Jorge Rodríguez, capturó la esencia del momento al describir la situación como un auténtico “Juego de Tronos” al interior del gobierno de Estados Unidos.
Y es que los choques entre Rubio, que representa la línea más dura hacia Caracas, y Grenell, enviado especial con acceso directo al presidente, han sido notorios desde el inicio de la nueva administración.
Mientras Rubio impulsa el fin de la exención como símbolo de presión máxima contra Venezuela, Grenell ha buscado flexibilizar ciertas restricciones como parte de una estrategia más pragmática orientada a objetivos inmediatos.
Marco Rubio, hoy convertido en Secretario de Estado, es un actor con pretensiones presidenciales cada vez más evidentes. Su paso por el Senado y su actual cargo lo han dotado de un capital político que ya no se limita a la obediencia partidista sino que busca construir una narrativa propia, de restauración moral y supremacía estratégica estadounidense, especialmente en América Latina.
Rubio no actúa únicamente en función del legado de Trump; está montando su propia estructura de poder y discurso a la vez que maniobra con destreza para imponer su agenda, incluso a contrapelo del jefe del Ejecutivo, aprovechando su base legislativa y su red de apoyos corporativos.
En esa construcción de liderazgo Rubio encarna la expresión más extremista y peligrosa del Partido Republicano: una mezcla de cruzada ideológica, oportunismo electoral y parasitismo cubano-americano que ha moldeado buena parte de la política estadounidense hacia América Latina.
Aunque enfrenta límites claros dentro del propio gobierno, su ambición no se detiene porque es muy probable que buscará pavimentar su camino hacia las presidenciales de 2028.