Intervista ad Atilio Boron

Atilio Boron: “Nonostante la voracità dell’Impero nordamericano, l’America Latina uscirà vittoriosa da questa sfida”

Ancora una volta su Correo del Alba ci sediamo a dialogare con Atilio Boron, eminente politologo, sociologo e scrittore argentino, noto per la sua riflessione critica sulla politica latinoamericana e sul neoliberismo.

Dottore in Scienze Politiche presso l’Università di Harvard, è una delle voci più influenti nell’analisi dell’imperialismo e delle lotte sociali. E oggi, in tempi di incertezza, ci offre una prospettiva illuminante sul destino della Regione.

L’America Latina può resistere alle pressioni di allineamento imposte dagli USA senza cadere in nuove dipendenze da Cina o Russia?

Credo che ci saranno pressioni molto forti da parte degli USA. Ho già sottolineato in diverse occasioni che la loro politica estera, sotto l’amministrazione Trump, specialmente verso questa Regione, si può riassumere in tre parole: “tenete la Cina lontana”. Questo è il mantra che guida sia i responsabili dell’area economica, come il Segretario del Tesoro —che ha recentemente visitato l’Argentina—, sia il capo del Comando Sud, l’ammiraglio Holsey, il cui obiettivo è impedire che la Cina stabilisca relazioni solide con i paesi latinoamericani.

Questa situazione appare ormai come un fatto compiuto o, perlomeno, estremamente difficile e costoso da invertire per i paesi della Regione. La Cina è il principale socio commerciale di paesi come Brasile e Cile, e il secondo per economie come Argentina e Messico, il che evidenzia un legame molto forte. Inoltre, la presenza della Russia è in crescita nella Regione. Pertanto, la risposta degli USA sarà decisa e articolata, includendo minacce e posizioni estreme.

Abbiamo già visto esempi di tali tensioni, come quando Trump minacciò Panama di riprendersi il canale, sostenendo che l’avevano costruito loro e che quindi lo volevano indietro. Tuttavia, al di là di queste minacce verbali, ha realizzato ben poco. Per questo è fondamentale prepararsi a un attacco forte, perché gli USA potrebbero anche perdere molte regioni del mondo, ma non sono disposti a perdere l’America Latina e i Caraibi.

Quali sono i rischi nel restare ancorati a un modello estrattivista-esportatore nel contesto del riordino globale? È possibile pensare a una strategia economica sovrana e regionalizzata?

L’estrattivismo è un tema complesso, da non affrontare con superficialità. Per esempio, in paesi come l’India —dove 824 mila bambini muoiono ogni anno per malattie gastrointestinali dovute alla mancanza di fognature e servizi igienici—, è necessario sviluppare infrastrutture adeguate per ridurre la mortalità infantile, e ciò implica lo sfruttamento di risorse minerarie. Non si tratta di rifiutare l’estrattivismo, bensì di equilibrarlo per rispondere a esigenze di salute pubblica.

In America Latina molte comunità dipendono dalle risorse naturali, e una posizione anti-estrattivista può favorire l’imperialismo. Preferisco parlare di “valorizzare” le risorse con attenzione, piuttosto che “sfruttarle”.

Ciò non significa dipendere da Cina, Russia o India, sebbene vi siano asimmetrie economiche con questi paesi, che tuttavia non sono paragonabili all’imperialismo USA. Il vero rischio è consolidare un’asimmetria commerciale, perciò l’America Latina deve negoziare congiuntamente per ottenere condizioni migliori.

Che ruolo possono avere organismi come la Comunidad de Estados Latinoamericanos y caribeños (Celac), la Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA) o el Mercado Común del Sur (Mercosur)nella costruzione di una voce propria nel confronto tra potenze?

Il ruolo di organizzazioni come l’ALBA, la CELAC, l’UNASUR (qualora venisse riattivata) e il Mercosur è fondamentale per rafforzare la capacità negoziale della Regione sia verso l’Asia sia verso gli USA.

Gli USA, storicamente, si sono opposti ai processi di integrazione latinoamericana, a partire dalla Dottrina Monroe del 1823. La loro politica estera si basa su due direttrici: tenere la Cina fuori dalla Regione e disunire l’America Latina. Esempi di questa strategia includono il voto contrario alla creazione della Comisión Económica para América Latina y el Caribe (CEPAL) —a differenza del sostegno a iniziative simili in Africa, Asia ed Europa— e i tentativi di indebolire istituzioni regionali come CELAC e UNASUR.

L’America Latina è pronta, sul piano finanziario e tecnologico, ad affrontare una crescente dedollarizzazione globale? Quali alternative monetarie sarebbero praticabili?

L’America Latina non è pronta per affrontare una dedollarizzazione su vasta scala. Tuttavia, se i Brics+ si consolidano e portano avanti strategie come quella delle cinque R —le valute dei paesi fondatori che iniziano con R: Brasile real, Russia rublo, India rupia, Cina renminbi ed il rand del Sudafrica — si potrebbero fare progressi. Inoltre, la Cina sta sviluppando un sistema alternativo allo Swift, oggi controllato dal Dipartimento del Tesoro USA e che consente di imporre sanzioni globali, come accadde con la banca francese Paribas durante l’amministrazione Obama.

Occorre procedere con prudenza verso la dedollarizzazione. In Asia ci sono già accordi di scambio in valute locali, e l’America Latina potrebbe integrarsi gradualmente. Tuttavia, bisogna essere pronti a una possibile controffensiva USA, poiché la dedollarizzazione sta riducendo il peso del dollaro nell’economia globale.

“Gli USA hanno storicamente rifiutato i processi di integrazione latinoamericana”

Quali opportunità reali si aprono per la Regione con l’emergere del blocco BRICS+? È una via verso l’autonomia o una nuova forma di subordinazione periferica?

Lo spostamento del centro di gravità dell’economia mondiale ha un impatto forte sull’America Latina, cosa del resto prevedibile. Questo fenomeno può essere interpretato come parte di un processo più ampio di de-occidentalizzazione, che consente alle economie più importanti della regione Asia-Pacifico di stabilire con l’America Latina rapporti differenti da quelli storicamente intrattenuti con le sue antiche potenze coloniali. L’America Latina non è mai stata colonizzata da paesi asiatici, né tantomeno africani, bensì da potenze europee. In seguito, anche l’imperialismo si è radicato in Occidente consolidandosi nel corso del XX secolo, come hanno analizzato Lenin e Rosa Luxemburg, tra gli altri.

Il fatto che l’Occidente stia perdendo il predominio economico che ha mantenuto per cinque secoli può essere vantaggioso per l’America Latina, a seconda di come reagiranno i governi, della loro capacità strategica e della loro abilità nell’articolarsi a livello continentale. Sebbene il centro economico mondiale si stia allontanando geograficamente, l’emergere di un sistema multipolare apre possibilità inedite di sviluppo, crescita e prosperità per la Regione.

Come può l’America Latina proteggersi dalle guerre economiche, tecnologiche e finanziarie che le grandi potenze stanno intensificando su scala planetaria?

È fondamentale accogliere questo processo con entusiasmo e cogliere le opportunità che esso presenta. Tuttavia, il successo dipenderà dalla sagacia dei governi e dalla loro capacità di coordinarsi a livello regionale. Negoziando con la Cina come blocco di nazioni – idealmente tramite la CELAC, o almeno con alcuni paesi coordinati – si otterranno risultati molto più vantaggiosi rispetto a trattative condotte in forma individuale.

Credo che i BRICS+ abbiano un enorme futuro. I cinque paesi fondatori – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – hanno già un peso economico globale superiore a quello del G7. E con l’ingresso di altri cinque paesi, tra cui avrebbe dovuto esserci l’Argentina, poi esclusa per decisione di Javier Milei – un governante al servizio dei grandi capitali, degli USA e di Israele – il blocco continua comunque a consolidarsi. Pensiamo che i BRICS+ dispongono di una banca che consente investimenti significativi in infrastrutture senza passare per il Fondo Monetario Internazionale (FMI) né sottostare alle sue condizionalità, il che rappresenta una grande opportunità.

Inoltre, spero che il Venezuela entri presto nei BRICS+, poiché era stato invitato. Tuttavia, il Ministero degli Esteri brasiliano, torcendo la volontà di Lula, ha imposto un veto, il che è scandaloso. Il Brasile ha bloccato l’ingresso del Venezuela nei BRICS+, così come aveva fatto in passato con il suo ingresso nel Mercosur, e ciò rivela una delle maggiori carenze del governo Lula. Quanto accaduto recentemente al vertice di Kazan dimostra che la diplomazia brasiliana continua a comportarsi come una sorta di agenzia del Dipartimento di Stato USA, ripetendo lo stesso errore.

È vero che esiste sempre il rischio di dipendenza, ma ciò vale per qualsiasi schema. Non si tratta di una fatalità, bensì del risultato di come i diversi governi si muovono sulla scacchiera geopolitica ed economica mondiale: se lo fanno con razionalità, responsabilità e con il sostegno popolare, possono ottenere risultati molto significativi.

La sinistra latinoamericana sta elaborando un progetto economico alternativo al neoliberismo che tenga conto del nuovo ordine multipolare, o è ancora ancorata a schemi del XX secolo?

A mio avviso – e sottolineo che è solo un’opinione – siamo molto in ritardo in questo compito. Tuttavia, per essere giusti con le sinistre della regione, bisogna riconoscere che nemmeno le sinistre di altre parti del mondo si sono distinte per la loro capacità di ripensare un nuovo ordine economico e politico internazionale.

L’esperienza della Cina è peculiare e non so fino a che punto sia replicabile. Anche se presenta elementi interessanti, non credo che per uscire dalla globalizzazione neoliberista – che sta sgonfiandosi – dobbiamo adottare il modello cinese. Sono contrario a questa idea, perché nessun processo storico genuino è una copia di un altro; i processi storici sono unici, e replicarli non garantisce buoni risultati. La Cina può essere fonte di ispirazione per alcune politiche, in particolare per quanto riguarda gli investimenti in infrastrutture tecnologiche e scientifiche, che sono stati fondamentali per il suo sviluppo. In America Latina, invece, si è fatto molto poco in questo senso, e nessun paese – nemmeno Cuba – è nelle condizioni di riprodurre il modello cinese.

In sintesi, credo che stiamo ancora riflettendo su un post-neoliberismo senza disporre di una proposta chiara che possa essere adottata dalla maggior parte dei paesi. A suo tempo, lo sviluppismo latinoamericano cercò di applicare una formula comune con risultati variabili, ma sempre all’interno dei limiti dell’ordine borghese. Ora ci troviamo in un contesto multipolare, con giganti economici come Cina, India, Malesia e Indonesia, che hanno ottenuto grandi progressi grazie alla forte presenza dello Stato nello sviluppo. In America Latina, perfino i settori di sinistra parlano del ruolo dello Stato con una certa cautela, per timore di essere accusati di “statalismo”.

Il contesto attuale è segnato dall’emergere di nuove ultradestre che rendono difficile immaginare e discutere pubblicamente un modello di sviluppo che non sia predatorio dell’ambiente, che promuova società eque e rafforzi la democrazia. Non esiste un modello unico da seguire, ma esistono fonti di ispirazione. Dobbiamo considerare le condizioni particolari dell’America Latina, dove qualsiasi tentativo di percorrere vie alternative può provocare una reazione aggressiva da parte degli USA, come è successo con Cuba, che ha pagato il prezzo di 65 anni di blocco e aggressioni. Per questo motivo, quando si pensa a modelli alternativi, è fondamentale tenere presente questa specificità regionale.

“L’America Latina non è mai stata colonizzata da paesi asiatici né tantomeno africani, ma da potenze europee”

È d’accordo sul fatto che stiamo attraversando una fase di de-globalizzazione a livello mondiale? E perché?

È vero, la globalizzazione è in crisi. Non sono del tutto sicuro di cosa stia succedendo, perché da un lato assistiamo a un processo di interconnessione e articolazione internazionale sempre più forte tra i paesi che partecipano all’economia mondiale. Ad esempio, per fabbricare un iPhone servono componenti, processi, progetti o brevetti provenienti da 23 paesi: questo è un dato fenomenale e assolutamente verificabile. Basta cercarlo su Internet e lo si può confermare.

Cosa significa allora dire che il mondo si sta de-globalizzando? Vuol dire che torniamo all’era degli Stati-nazione autarchici e che non esiste più un’economia mondiale? Personalmente, non vedo affatto questo processo, nemmeno in forma embrionale. Credo piuttosto che stiamo avanzando verso una globalizzazione di tipo diverso, e per questo motivo non mi è mai piaciuto il termine “globalizzazione”, preferendo invece il concetto proposto da Samir Amin: “mondializzazione”.

È evidente che vi sia stata una mondializzazione dei processi produttivi e dei conflitti sociali. C’è un’articolazione crescente tra le forze sociali che cercano di uscire da quest’ordine morente del capitalismo finanziario, del capitalismo parassitario, come diceva Lenin. Perciò, credo che ciò a cui stiamo assistendo sia piuttosto l’esaurimento di un modello di mondializzazione capitalista basato sul predominio assoluto degli USA e del capitale finanziario.

Se si osserva l’espansione della Nuova Via della Seta cinese, che ha coinvolto 149 paesi, parlare di de-globalizzazione appare in contraddizione con questo fatto che dimostra l’esistenza di un’economia sempre più globalizzata, o mondializzata. Solo che non si tratta più della mondializzazione neoliberale, bensì di una mondializzazione alternativa e irreversibile. La divisione internazionale del lavoro – su cui ha lavorato tanto David Ricardo e che è stata ben compresa e criticata da Karl Marx – è una realtà. L’esempio dell’iPhone si può riprodurre in una moltitudine di prodotti.

Come vede la realtà della Regione in termini politico-ideologici? Quali sarebbero i pericoli e le opportunità in questa nuova contingenza mondiale?

Credo che in America Latina ci siano le condizioni per pensare a un’alternativa capitalista, moderatamente post-capitalista, considerando ad esempio la demercificazione della sanità, dell’industria farmaceutica, della previdenza sociale e dell’istruzione. Mi sembra fondamentale che si possa realizzare, e in alcuni paesi si è già avanzato in questa direzione (sto pensando al caso del Messico), un grande programma di espansione dell’educazione, la difesa del carattere pubblico del sistema previdenziale e la fine del furto e della truffa gigantesca rappresentata dalle AFP, come in Cile. Credo che sia possibile progredire in questa direzione, ma sempre tenendo conto dell’onnipresenza dell’imperialismo USA, che farà l’impossibile per favorire una reazione della destra e dell’estrema destra.

La destra è sempre stata così: autoritaria ed elitaria. Ora, nel momento in cui gli USA si sentono minacciati, c’è un bisogno ancora maggiore di controllare questa parte del mondo, promuovendo formazioni politiche di destra, e hanno avuto un certo successo. Ad esempio, in Cile c’è una forte influenza della destra, così come in Argentina e in Brasile. Anche in Bolivia ci sono candidati di estrema destra; e in Colombia, Perù ed Ecuador la destra ha una presenza significativa.

Concludo dicendo che ci sono segnali di cambiamento nella Regione, che è un continente in disputa, la regione più importante per gli USA. Tuttavia, l’ingresso del Messico negli ultimi anni nel ciclo progressista con Andrés Manuel López Obrador (AMLO) e ora con Claudia Sheinbaum, Gustavo Petro in Colombia, Xiomara Castro in Honduras e il ritorno del Frente Amplio al potere in Uruguay rappresentano dei progressi. In Brasile, Lula resiste nonostante una coalizione di destra che fa parte del suo governo.

Nonostante la voracità dell’Impero nordamericano nel distruggere i nostri tentativi di indipendenza, credo che l’America Latina affronterà con successo questa sfida. Il nuovo contesto internazionale, l’era del multipolarismo che è arrivata per restare, ci offre una certa protezione. Garantisce che alcune azioni scandalose del passato, come l’invasione della Repubblica Dominicana nel 1965, oggi non sarebbero più tollerate nel nuovo scenario internazionale. Questo mi dà un po’ dell’ottimismo della volontà di cui parlava Gramsci, anche se sempre temperato dal pessimismo della ragione.

Cris González – Fondatrice di Correo del Alba


Atilio Boron: “a pesar de la voracidad del Imperio norteamericano América Latina saldrá airosa de este desafío

Una vez más en Correo del Alba nos sentamos a dialogar con Atilio Boron, destacado politólogo, sociólogo y escritor argentino, reconocido por su reflexión crítica sobre la política latinoamericana y el neoliberalismo.

Doctor en Ciencias Políticas por la Universidad de Harvard, es una de las voces más influyentes en el análisis del imperialismo y las luchas sociales. Y hoy, en tiempos de incertidumbre, nos ofrece una perspectiva esclarecedora sobre el rumbo de la Región.

¿Puede América Latina resistir las presiones de alineamiento impuestas por los Estados Unidos sin caer en nuevas dependencias con China o Rusia?

Creo que habrá presiones muy fuertes por parte de los Estados Unidos. He señalado en varias ocasiones que su política exterior, bajo la administración Trump, especialmente para esta Región puede resumirse en tres palabras: “mantengan a China lejos”. Esta consigna guía tanto a los encargados del área económica, como el Secretario del Tesoro —que visitó Argentina hace poco—, como al jefe del Comando Sur, el almirante Holsey, cuyo objetivo es impedir que China establezca relaciones sólidas con los países latinoamericanos.

Esta situación parece ya un hecho consumado o, al menos, extremadamente difícil y costoso de revertir para los países de la Región. China es el principal socio comercial de países como Brasil y Chile, y el segundo en economías como Argentina y México, lo que muestra un relacionamiento muy fuerte. Además, la presencia de Rusia está en aumento en la Región. Por lo tanto, la respuesta de los Estados Unidos será contundente y diversificada, incluyendo amenazas y posturas extremas.

Ya hemos visto ejemplos de estas tensiones, como cuando Trump amenazó a Panamá con recuperar el canal argumentando que lo construyeron y lo quieren de vuelta. Sin embargo, más allá de estas amenazas verbales, poco logró concretar. Por eso es fundamental prepararse para una embestida fuerte, ya que los Estados Unidos podrían perder muchas regiones del mundo, pero no están dispuestos a perder América Latina y el Caribe.

¿Cuáles son los riesgos de seguir insertos en un modelo extractivista-exportador dentro del reordenamiento global? ¿Es posible pensar en una estrategia económica soberana y regionalizada?

El extractivismo es un tema complejo que no debe abordarse de manera superficial. Por ejemplo, países como India –donde 824 mil niños mueren anualmente por enfermedades gastrointestinales debido a la falta de alcantarillado y saneamiento– necesitan desarrollar infraestructuras adecuadas para reducir la mortalidad infantil, lo que implica explotar recursos minerales. No se trata de rechazar el extractivismo, sino de equilibrarlo para atender necesidades de salud pública.

En América Latina muchas comunidades dependen de los recursos naturales y una postura antiextractivista puede favorecer al imperialismo. Prefiero hablar de “aprovechar” los recursos cuidadosamente en lugar de “explotarlos”.

No significa depender de China, Rusia o India, aunque hay asimetrías económicas con estos países, pero no son comparables con el imperialismo estadounidense. El verdadero riesgo es consolidar una asimetría comercial, por lo que América Latina debe negociar conjuntamente para obtener mejores condiciones.

¿Qué papel podrían jugar mecanismos como la Comunidad de Estados Latinoamericanos y caribeños (Celac), la Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América (ALBA) o el Mercado Común del Sur (Mercosur) para construir una voz propia en medio de la confrontación entre potencias?

El papel de organizaciones como el ALBA, la Celac, la Unión de Naciones Suramericanas (Unasur) (si se logra reactivar) y el Mercosur es fundamental para equilibrar la capacidad negociadora frente a Asia y los Estados Unidos.

Estados Unidos históricamente ha rechazado los procesos de integración latinoamericana, desde la Doctrina Monroe de 1823. Su política exterior se centra en dos puntos: mantener a China fuera de la Región y desunir a América Latina. Ejemplos de esta estrategia incluyen el voto en contra de la creación de la Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal) –a diferencia de su apoyo a iniciativas similares en África, Asia y Europa– y los intentos de debilitar instituciones regionales como la Celac y la Unasur.

¿Está América Latina preparada financiera y tecnológicamente para enfrentar una mayor desdolarización global? ¿Qué alternativas monetarias viables podrían adoptarse?

América Latina no está preparada para enfrentar una mayor desdolarización global. Sin embargo, si los Brics+ se consolidan y avanzan en estrategias como la propuesta de las cinco R –monedas de los países fundadores que comienzan con R: Brasil real, Rusia rublo, India rupia, China renminbi y el rand de Sudáfrica– podrían lograrse avances. Además, China está desarrollando un sistema alternativo al Swift, controlado este por el Departamento del Tesoro de los Estados Unidos y que permite imponer sanciones globales, como ocurrió con el banco francés Paribas durante el gobierno de Obama.

Hay que avanzar cautelosamente hacia la desdolarización. En Asia ya existen acuerdos de intercambio de monedas locales y América Latina podría incorporarse gradualmente, aunque debe prepararse para una posible contraofensiva de los Estados Unidos ya que la desdolarización está disminuyendo el peso del dólar en la economía global.

“Estados Unidos históricamente ha rechazado los procesos de integración latinoamericana”

¿Qué oportunidades reales se abren para la Región con la emergencia del bloque Brics+? ¿Es una vía para la autonomía o un nuevo tipo de subordinación periférica?

El desplazamiento del centro de gravedad de la economía mundial tiene un fuerte impacto en América Latina, lo cual era previsible. Este fenómeno puede interpretarse como parte de un proceso más amplio de desoccidentalización, lo que permite a las economías más importantes de la región Asia-Pacífico establecer relaciones con América Latina distintas a las que históricamente mantuvo con sus antiguas potencias coloniales. América Latina nunca fue colonizada por países asiáticos ni menos africanos, sino por potencias europeas. Posteriormente, el imperialismo también se asentó en Occidente consolidándose durante el siglo XX, como lo analizaron Lenin y Rosa Luxemburgo, entre otros.

Que Occidente pierda el predominio económico que tuvo durante cinco siglos puede ser beneficioso para América Latina, dependiendo de cómo reaccionen los gobiernos, su capacidad estratégica y su habilidad para articularse a nivel continental. Aunque el centro de gravedad económico se aleje geográficamente, el surgimiento de un sistema multipolar abre posibilidades inéditas de desarrollo, crecimiento y prosperidad para la Región.

¿Cómo puede América Latina blindarse frente a las guerras económicas, tecnológicas y financieras que las grandes potencias están intensificando a escala planetaria?

Es clave recibir este proceso con entusiasmo y aprovechar las oportunidades que presenta. No obstante, el éxito dependerá de la sagacidad de los gobiernos y de la capacidad de articulación regional. Negociar con China de manera conjunta, como bloque de naciones –idealmente a través de la Celac o al menos de algunos países coordinados–, es mucho más ventajoso que hacerlo de forma individual.

Creo que los Brics+ tienen un enorme futuro. Los cinco países originarios –Brasil, Rusia, India, China y Sudáfrica– ya tienen una gravitación económica mundial superior al G7. Y con la incorporación de otros cinco países, entre los cuales iba a estar Argentina pero que finalmente no se incorporó por decisión de  Javier Milei –gobernante al servicio de los grandes capitales, Estados Unidos e Israel–, el bloque sigue consolidándose. Pensemos que los Brics+ tienen un banco que permite realizar inversiones significativas en infraestructura sin pasar por el Fondo Monetario Internacional (FMI) ni sus condicionalidades, lo que significa una gran oportunidad.

Además, espero que Venezuela se incorpore rápidamente a los Brics+, ya que había sido invitada. Con todo, la Cancillería brasileña, torciendo la voluntad de Lula, impuso un veto, lo cual es un escándalo. Brasil vetó el ingreso de Venezuela a los Brics+, tal como lo hizo anteriormente con su ingreso al Mercosur, lo que refleja una de las mayores falencias del gobierno de Lula. Lo que pasó recientemente en la Cumbre de Kazán demuestra que la Cancillería brasileña sigue siendo una especie de agencia del Departamento de Estado estadounidense, repitiendo el mismo error.

Es cierto que la posibilidad de una dependencia existe siempre, pero en cualquier esquema. No es una fatalidad, sino un producto de cómo se juegan en el tablero de la geopolítica y economía mundial los distintos gobiernos: si juegan con racionalidad, con responsabilidad y con apoyo popular pueden hacer algo muy valioso.

¿Está la izquierda latinoamericana articulando un proyecto económico alternativo al neoliberalismo que contemple el nuevo orden multipolar o sigue anclada a esquemas del siglo XX?

En mi opinión –y subrayo que es solo una opinión–, estamos muy demorados en esa tarea. Sin embargo, para hacer justicia a las izquierdas de la Región, hay que reconocer que tampoco las izquierdas de otras partes del mundo han sobresalido por su capacidad de repensar un nuevo orden económico y político internacional.

La experiencia de China es peculiar y no sé hasta qué punto sea universalizable. Aunque tiene elementos valiosos, no creo que para salir de la globalización neoliberal –que está desinflándose– debamos adoptar el modelo chino. Estoy en contra de eso, porque ningún proceso histórico genuino es copia de otro; los procesos históricos son únicos y replicarlos no garantiza buenos resultados. China puede ser una fuente de inspiración para algunas políticas, especialmente en lo referente a la inversión en infraestructura tecnológica y científica, que ha sido clave en su desarrollo. En América Latina, en cambio, eso se ha hecho muy poco, y ningún país –ni siquiera Cuba– está en condiciones de reproducir el modelo chino.

En resumen, creo que aún estamos pensando en un postneoliberalismo sin contar con una propuesta clara que pueda ser adoptada por la mayoría de los países. En su momento el desarrollismo latinoamericano intentó aplicar una fórmula común con resultados variados, pero siempre dentro de los límites del orden burgués. Ahora enfrentamos un contexto multipolar, con gigantes económicos como China, India, Malasia e Indonesia, que han conseguido grandes avances gracias a la fuerte presencia del Estado en el desarrollo. En América Latina incluso los sectores de izquierda mencionan el papel del Estado con cierta cautela, temiendo ser acusados de “estatistas”.

El contexto actual está marcado por el surgimiento de nuevas ultraderechas que dificultan visualizar y debatir públicamente un modelo de desarrollo que no sea depredador del medio ambiente, que fomente sociedades igualitarias y fortalezca la democracia. No hay un modelo único a seguir, pero sí fuentes de inspiración. Debemos considerar las condiciones particulares de América Latina, donde cualquier intento de seguir caminos alternativos puede enfrentar una respuesta agresiva de los Estados Unidos, como ocurrió con Cuba, que ha pagado el precio de 65 años de bloqueo y agresiones. Por eso al pensar en modelos alternativos es clave tener presente esta especificidad regional.

“América Latina nunca fue colonizada por países asiáticos ni menos africanos, sino por potencias europeas”

¿Está de acuerdo en que atravesamos por una etapa de desglobalización a nivel mundial? ¿Y por qué?

Es cierto, la globalización está en crisis. No estoy muy seguro de lo que está pasando, porque, por una parte, vemos que hay un proceso de interconexión y articulación internacional cada vez más fuerte entre los países que participan en la economía mundial. Por ejemplo, para hacer un iPhone se necesitan partes, procesos, diseños o patentes de 23 países, esto es un dato fenomenal y está absolutamente comprobado. Pueden buscarlo en Internet y verán.

¿Qué quiere decir eso cuando decimos que se desglobaliza el mundo? ¿Quiere decir que volvemos a la era de los Estados-nacionales autárquicos y que ya no hay más una economía mundial? Personalmente no veo ese proceso ni siquiera en ciernes, de ninguna manera. Creo que estamos avanzando hacia una globalización de otro tipo, y por eso a mí no me gustó mucho el término y siempre preferí usar lo que proponía Samir Amin, que hablaba de “mundialización”.

Evidentemente ha habido una mundialización de los procesos productivos y de los conflictos sociales. Hay una creciente articulación entre las fuerzas sociales que pugnan por salir de este orden caduco del capitalismo financiero, el capitalismo parasitario, como decía Lenin. De manera tal que yo creo que lo que estamos viendo más bien es el agotamiento de un modelo de mundialización capitalista basado en el predominio absoluto de los Estados Unidos y del capital financiero.

Cuando uno observa la expansión de la Franja y la Ruta de China, que ha incorporado a 149 países en este esquema económico, pensar que hay una desglobalización resulta contradictorio con este hecho que demuestra que tenemos una economía cada vez más globalizada o mundializada. Solo que no es la mundialización neoliberal, sino una mundialización alternativa e irreversible. La división internacional del trabajo –sobre la cual trabajó tanto David Ricardo y que, por supuesto, entendió y criticó muy bien Karl Marx– es una realidad. El ejemplo del iPhone se puede reproducir en infinidad de productos.

¿Cómo percibe la realidad de la Región en términos políticos-ideológicos? ¿Cuáles serían los peligros y las oportunidades en esta nueva contingencia mundial?

Creo que en América Latina hay condiciones para pensar en una alternativa capitalista, moderadamente postcapitalista, considerando, por ejemplo, la desmercantilización de la salud, la industria farmacéutica, la seguridad social y la educación. Me parece importantísimo que pudiera hacerse, en algunos países se ha avanzado en esa dirección (estoy pensando en el caso de México), un gran programa de expansión educacional, la defensa del carácter público del sistema de seguridad social y acabar con el robo y la estafa gigantesca que son las AFP, por ejemplo, en Chile. Creo que es posible avanzar en esa dirección, pero siempre teniendo en cuenta la omnipresencia del imperialismo norteamericano, que hará lo imposible para fomentar una reacción de derecha y de extrema derecha.

La derecha siempre ha sido así: autoritaria y elitista. Ahora, cuando los Estados Unidos se sienten amenazados, hay más necesidad que nunca de controlar esta parte del mundo, fomentando formaciones políticas de derecha, y han tenido bastante éxito. Por ejemplo, en Chile hay una fuerte influencia de la derecha, al igual que en Argentina y Brasil. En Bolivia también hay candidatos de extrema derecha; y en Colombia, Perú y Ecuador hay una fuerte presencia de la derecha.

Termino diciendo que hay signos de cambio en la Región, que es un continente en disputa, la región más importante para los Estados Unidos. Sin embargo, la incorporación de México en los últimos años al ciclo progresista con Andrés Manuel López Obrador (AMLO) y ahora con Claudia Sheinbaum, Gustavo Petro en Colombia, Xiomara Castro en Honduras y el retorno del Frente Amplio (FA) al poder en Uruguay muestran avances. En Brasil, Lula se sostiene a pesar de una coalición derechista que forma parte de su gestión gubernamental.

A pesar de la voracidad del Imperio norteamericano para acabar con nuestros intentos de independencia, creo que América Latina saldrá airosa de este desafío. El nuevo contexto internacional, la era del multipolarismo que llegó para quedarse, nos ofrece cierta protección. Garantiza que algunas acciones escandalosas del pasado, como la invasión a República Dominicana en 1965, no serían permitidas en el nuevo contexto internacional. Eso me da un poco del optimismo de la voluntad del que hablaba Gramsci, aunque siempre moderado por el pesimismo de la razón.

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Cris González Fundadora de Correo del Alba

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