Il Venezuela è solo una scusa per Irfaan Alí

L’Esequibo come cortina fumogena

Misión Verdad

Il 25 maggio scorso, il Venezuela ha compiuto un passo storico verso il consolidamento della propria sovranità territoriale celebrando elezioni regionali nello stato della Guayana Esequiba, territorio che storicamente fa parte dello spazio geografico, culturale e giuridico venezuelano. L’ammiraglio in congedo Neil Villamizar è stato proclamato governatore con oltre il 97% dei voti, una vittoria che riflette l’appoggio popolare all’integrazione piena dell’Esequibo come parte integrale della nazione.

Questo processo elettorale è il risultato diretto del referendum consultivo del 3 dicembre 2023, nel quale più di 10,5 milioni di venezuelani hanno ratificato il loro rifiuto dell’arbitrato illegittimo del 1899 e la loro determinazione a recuperare la sovranità sull’Esequibo. La decisione di incorporare formalmente questo territorio nella struttura istituzionale venezuelana ha valore non solo simbolico, ma anche giuridico e storico.

Tuttavia, la Guyana risponde con dichiarazioni altisonanti, operazioni di falsa bandiera e movimenti militari vicino al confine, dimostrando che la sua ossessione per l’Esequibo non si basa su diritti storici, ma su interessi corporativi e geopolitici volti a mantenere il controllo su risorse strategiche, in particolare gli idrocarburi scoperti nelle acque circostanti.

Tensione prefabbricata: operazioni di falsa bandiera e minacce militari

Nelle settimane precedenti alle elezioni del 25 maggio, la Guyana ha deliberatamente aumentato la tensione al confine con il Venezuela. Il 16 maggio, le Forze di Difesa del Guyana (GDF) hanno denunciato presunti attacchi provenienti dal territorio venezuelano, senza però presentare prove concrete né testimonianze credibili. La risposta venezuelana è stata netta: si trattava di una nuova operazione di “falsa bandiera”, progettata per vittimizzare il governo di Irfaan Alí e giustificare un’escalation militare.

Queste accuse fanno parte di una narrativa ricorrente che cerca di legittimare la presenza USA nella regione e creare le condizioni per un intervento occulto. Secondo rapporti del Ministero della Difesa venezuelano, tutto fa pensare che tali azioni siano orchestrate nei laboratori del Comando Sud USA, con l’obiettivo di costruire un casus belli che legittimi un intervento militare.

Inoltre, il brigadiere Omar Khan, capo di stato maggiore della Guyana, ha effettuato diverse visite nelle comunità di confine, accompagnato da personale militare e comunicati intrisi di retorica bellicista. In mezzo a questa escalation, Khan ha persino minacciato di espulsione coloro che avessero esercitato il diritto di voto nelle elezioni venezuelane.

Il Venezuela ha risposto dichiarando di non lasciarsi distrarre da provocazioni e menzogne. La vicepresidente esecutiva e ministra degli Idrocarburi, Delcy Rodríguez, ha affermato prima della giornata elettorale che “il popolo venezuelano è deciso a difendere l’Esequibo e le sue risorse energetiche, e il 25 maggio è un’elezione cruciale perché eleggeremo il governatore e il corpo legislativo per la Guayana Esequiba”.

Il Venezuela come cortina  fumogena

Sebbene il presidente guyanese Irfaan Alí abbia adottato un discorso conflittuale e apparentemente nazionalista nei confronti del Venezuela, la sua amministrazione affronta una profonda crisi interna fatta di scandali di corruzione, proteste sociali e una gestione inefficiente dei servizi di base.

Il presidente è oggetto di denunce per corruzione sistemica in vari ambiti dello Stato. Dal saccheggio di fondi pubblici ai contratti petroliferi illegali a favore di ExxonMobil, l’amministrazione del suo Partito Popolare Progressista (PPP) è sotto scrutinio sia a livello nazionale che internazionale.

Il 26 maggio scorso, giorno dell’Indipendenza del paese vicino, Alí ha convocato unilateralmente le elezioni generali e regionali del Guyana. L’opposizione ha reagito affermando che la commissione elettorale (Gecom) non è preparata e che la data delle elezioni è stata fissata al di fuori delle procedure previste. Dal 2022, almeno, le carenze del registro elettorale rappresentano un ostacolo a elezioni trasparenti; fino alla chiusura di questo articolo, nessun attore della “comunità internazionale” si è espresso, come invece accade regolarmente quando si tratta di elezioni in Venezuela.

L’amministrazione Alí è accusata di nepotismo, opacità nella gestione dei proventi petroliferi e favoritismi nelle assegnazioni. Invece di affrontare questi problemi urgenti, ha utilizzato la disputa con il Venezuela come cortina di fumo. Con dichiarazioni massimaliste del tipo “Non cederemo nemmeno un centimetro quadrato… né ora né mai”, cerca di distogliere l’attenzione dal suo fallimento politico ed economico, promuovendo un’agenda di scontro che favorisce più gli attori stranieri che il proprio popolo.

Una rete di interessi: USA, ExxonMobil e alleati regionali

Dietro l’inasprimento del discorso di Irfaan Alí si cela una rete di interessi globali guidata dagli USA e da multinazionali come ExxonMobil, che hanno convertito la Guyana in un’enclave strategica per il controllo di nuove riserve di petrolio e gas nell’Atlantico.

Dal 2015, quando furono scoperti grandi giacimenti offshore, ExxonMobil ha mantenuto un ruolo dominante nell’economia guyanese. Tuttavia, i contratti firmati con il governo Alí sono stati definiti illegali, irrimediabilmente difettosi e frutto di corruzione o incompetenza istituzionale.

Il sostegno esplicito del segretario di Stato USA, Marco Rubio, al governo Alí non è casuale. La sua visita a Georgetown, nel marzo 2025, ha segnato una svolta nelle relazioni bilaterali, con la firma di un memorandum d’intesa in materia di sicurezza, i cui termini restano classificati. Questo accordo, insieme alla cooperazione militare e d’intelligence, rafforza il ruolo della Guyana come satellite regionale di Washington, utilizzato per contenere l’avanzata sovrana del Venezuela.

Paesi come Regno Unito, Canada e alcuni membri della Caricom appoggiano anch’essi il Guyana sul piano diplomatico. Inoltre, all’inizio di maggio, la Corte Internazionale di Giustizia ha ordinato al Venezuela di astenersi dal celebrare o preparare elezioni nella regione contesa. Si tratta di un organismo multilaterale non riconosciuto da nessuno dei due paesi.

Sia i paesi sia le istituzioni che si sono espressi contro le elezioni del 25 maggio scorso sono rimasti in silenzio quando la Guyana ha concesso aree marine non ancora delimitate per l’esplorazione petrolifera. Le loro dichiarazioni ignorano inoltre la storia coloniale che fonda l’attuale possesso dell’Esequibo da parte di Georgetown.

Questa complicità dimostra che la posizione internazionale di questi attori non risponde a principi di giustizia, ma a interessi corporativi e geopolitici ben definiti.

Il Venezuela punta al dialogo e all’integrazione regionale

Di fronte all’escalation delle tensioni e alle manovre interventiste, il Venezuela mantiene un discorso coerente basato sulla pace, sul dialogo e sull’integrazione regionale. Il paese ha ribadito la propria disponibilità a risolvere le divergenze nel quadro dell’Accordo di Ginevra, unico strumento riconosciuto da entrambe le parti per affrontare la controversia territoriale.

Durante la firma degli Accordi di Argyle, nel dicembre 2023, il Governo bolivariano ha riaffermato il suo impegno per soluzioni negoziate, evitando di cadere nelle provocazioni che potrebbero destabilizzare la regione. Inoltre, il ministro degli Esteri Yván Gil ha affermato che le accuse del Guyana sono infondate e fanno parte di una strategia progettata negli uffici di Washington.

Oltre a respingere l’ingerenza di terzi, il presidente Nicolás Maduro ha lanciato più volte appelli al dialogo diretto con Irfaan Alí, ricordando che i due popoli condividono radici culturali e hanno bisogno di collaborare su sicurezza, commercio e tutela ambientale. Tuttavia, la Guyana, condizionata dalla dipendenza economica e militare dagli USA, ha preferito seguire una rotta di scontro non necessaria.

Il Venezuela respinge categoricamente l’uso strumentale dell’Esequibo come strumento di ricatto o distrazione politica. Per Caracas, il futuro della regione passa per il rafforzamento di blocchi come Caricom e Celac, dove la cooperazione – e non il conflitto – deve essere l’atmosfera delle relazioni internazionali.

Crisi e subordinazione travestite da minaccia

L’amministrazione di Irfaan Alí tenta di mascherare i propri fallimenti interni con una narrativa di minaccia esterna. Mentre le proteste urbane, gli scandali di corruzione e la grave situazione socioeconomica mettono a rischio la sua legittimità, il presidente ricorre alla guerra retorica contro il Venezuela per guadagnare consensi politici e rafforzare la propria base elettorale in vista delle elezioni di settembre, nelle quali cercherà di ottenere la rielezione.

Tuttavia, dietro questa narrativa si nasconde una realtà complessa: la Guyana si sta trasformando, sempre più, in uno stato semicoloniale, dove la volontà politica è subordinata agli interessi di ExxonMobil, influente anche nell’amministrazione Trump. Lontano dal difendere la sovranità del proprio popolo, Alí sembra aver accettato un ruolo subordinato in un gioco globale che sacrifica lo sviluppo sostenibile in nome del saccheggio petrolifero.

Da parte sua, il Venezuela continua a portare avanti con determinazione il suo storico reclamo sull’Esequibo, ma propone una soluzione negoziata, integratrice e rispettosa del diritto internazionale. Il messaggio del governo è chiaro: non permetterà che potenze straniere manipolino conflitti artificiali per perpetuare lo spossessamento storico e smantellare la possibilità che i Caraibi, insieme all’America Latina, siano un polo all’interno di un nuovo ordine globale.

L’elezione di Neil Villamizar come governatore dello stato della Guayana Esequiba non è un passo verso la conflittualità, ma un’affermazione identitaria e legalmente costituzionale. È espressione della volontà nazionale che cerca di sanare le ferite del passato e costruire un futuro condiviso per l’intera regione.

Nel frattempo, la Guyana si dibatte tra malgoverno e dipendenza imperiale. Né Alí, né tantomeno i suoi patrocinatori stranieri, possono cambiare questa realtà.


El Esequibo como cortina de humo

Venezuela es solo una excusa para Irfaan Alí

El pasado 25 de mayo, Venezuela dio un paso histórico hacia la consolidación de su soberanía territorial al celebrar elecciones regionales en el estado Guayana Esequiba, territorio que históricamente forma parte del espacio geográfico, cultural y legal venezolano. El almirante retirado Neil Villamizar fue proclamado gobernador con más del 97% de los votos, una victoria que refleja el respaldo popular a la integración plena del Esequibo como parte integral de la nación.

Este proceso electoral es resultado directo del referendo consultivo del 3 de diciembre de 2023, donde más de 10,5 millones de venezolanos ratificaron su rechazo al arbitraje ilegítimo de 1899 y su determinación por recuperar la soberanía sobre el Esequibo. La decisión de incorporar formalmente este espacio en la estructura institucional venezolana no solo tiene valor simbólico, sino jurídico e histórico.

Pero Guyana responde con declaraciones altisonantes, operaciones de bandera falsa y movimientos militares cerca de la frontera, evidenciando que su obsesión con el Esequibo no responde a derechos históricos, sino a intereses corporativos y geopolíticos que buscan mantener el control sobre recursos estratégicos, especialmente los hidrocarburos descubiertos en aguas cercanas.

Tensión prefabricada: Operaciones de bandera falsa y amenazas militares

En las semanas previas a las elecciones del 25 de mayo, Guyana incrementó deliberadamente la tensión en la frontera con Venezuela. El 16 de mayo, las Fuerzas de Defensa de Guyana (GDF) denunciaron supuestos ataques desde territorio venezolano, sin presentar pruebas tangibles ni testimonios creíbles. La respuesta venezolana fue tajante: se trataba de una nueva operación de “falsa bandera”, diseñada para victimizar al gobierno de Irfaan Alí y justificar una escalada militar.

Estas acusaciones forman parte de una narrativa repetida que busca legitimar la presencia estadounidense en la región y crear condiciones para una intervención encubierta. Según informes del Ministerio de Defensa venezolano, todo indica que estas acciones están orquestadas desde laboratorios del Comando Sur de Estados Unidos, con el objetivo de construir un casus belli que legitime la intervención militar.

Además, el brigadier Omar Khan, jefe del Estado Mayor de Guyana, realizó múltiples visitas a comunidades limítrofes, acompañado de personal militar y comunicados cargados de retórica belicista. En medio de esta escalada, Khan incluso amenazó con deportación a quienes ejercieran su derecho al voto en las elecciones venezolanas.

Venezuela respondió que no se distraería con provocaciones ni mentiras. La vicepresidenta ejecutiva y ministra de Hidrocarburos, Delcy Rodríguez, afirmó antes de la jornada electoral que “el pueblo venezolano está decidido a defender el Esequibo y sus recursos energéticos, y el 25 de mayo es una elección trascendental porque vamos a elegir gobernador y cuerpo legislativo para la Guayana Esequiba”.

Venezuela como cortina de humo

Aunque el presidente guyanés, Irfaan Alí, ha adoptado un discurso confrontativo y supuestamente nacionalista frente a Venezuela, su administración enfrenta una profunda crisis interna que incluye escándalos de corrupción, protestas sociales y una gestión deficiente de servicios básicos.

El mandatario enfrenta denuncias de corrupción sistémica en distintas áreas del Estado. Desde el saqueo de fondos públicos hasta contratos petroleros ilegales que benefician a ExxonMobil, la administración de su Partido Popular Progresista (PPP) está bajo escrutinio nacional e internacional.

El pasado 26 de mayo, día de la Independencia del vecino país, Alí convocó a las elecciones generales y regionales de Guyana de forma unilateral. La oposición reaccionó afirmando que la comisión electoral (Gecom) no está preparada y que la fecha de la elección fue declarada fuera de los procedimientos adecuados. Desde 2022, por lo menos, las fallas en el Registro Electoral aparecen como limitantes para unos comicios transparentes; hasta el cierre de esta nota, ningún actor de la “comunidad internacional” se ha manifestado, lo que sí acostumbran a hacer cuando se trata de elecciones en Venezuela.

La administración de Alí es señalada por nepotismo, opacidad en la gestión de ingresos petroleros y favoritismo en adjudicaciones. Lejos de atender estos asuntos urgentes, ha utilizado la disputa con Venezuela como cortina de humo. A través de declaraciones maximalistas como “Ni un centímetro cuadrado será cedido… ni ahora ni nunca”, busca desviar la atención de su fracaso político y económico, mientras promueve una agenda de confrontación que beneficia más a actores extranjeros que a su propio pueblo.

Una red de intereses: Estados Unidos, ExxonMobil y aliados regionales

Detrás del endurecimiento del discurso de Irfaan Alí se encuentra una red de intereses globales liderada por Estados Unidos y empresas multinacionales como ExxonMobil, que han convertido a Guyana en un enclave estratégico para el control de nuevas reservas de petróleo y gas en el Atlántico.

Desde 2015, cuando se descubrieron grandes yacimientos offshore, ExxonMobil ha mantenido un rol dominante en la economía guyanesa. Sin embargo, los contratos firmados con el gobierno de Alí han sido calificados como ilegales, irreversiblemente defectuosos y producto de corrupción o ineptitud institucional.

El apoyo explícito del secretario de Estado estadounidense, Marco Rubio, al gobierno de Alí no es casual. Su visita a Georgetown en marzo de 2025 marcó un giro en la relación bilateral, con la firma de un memorando de entendimiento en materia de seguridad, cuyos términos permanecen clasificados. Este acuerdo, junto con la cooperación militar y de inteligencia, refuerza la posición de Guyana como satélite regional de Washington, utilizado para contener el avance soberano de Venezuela.

Países como Reino Unido, Canadá y algunos miembros de Caricom también respaldan a Guyana en el frente diplomático. Además, a comienzos de mayo, la Corte Internacional de Justicia ordenó a Venezuela abstenerse de celebrar o preparar elecciones en la región en disputa. Se trata de un ente multilateral que no es reconocido por ninguno de los dos países.

Tanto los países como las instituciones que declararon en contra de las elecciones del pasado 25 de mayo hicieron silencio cuando Guyana otorgó mar pendiente por delimitar para exploraciones petroleras. Además, sus declaraciones desconocen la historia colonial que fundamenta la actual posesión del Esequibo por parte de Georgetown.

Esta complicidad revela que la postura internacional de estos no obedece a principios de justicia, sino a intereses corporativos y geopolíticos bien definidos.

Venezuela apuesta por el diálogo y la integración regional

Frente a la escalada de tensiones y las maniobras injerencistas, Venezuela mantiene un discurso coherente basado en la paz, el diálogo y la integración regional. El país ha reiterado su disposición a resolver diferencias dentro del marco del Acuerdo de Ginebra, único instrumento reconocido por ambas partes para abordar la controversia territorial.

Durante la firma de los Acuerdos de Argyle en diciembre de 2023, el Gobierno Bolivariano reafirmó su compromiso con soluciones negociadas, evitando caer en provocaciones que podrían desestabilizar la región. Además, el canciller Yván Gil ha señalado que las acusaciones de Guyana carecen de fundamento y forman parte de una estrategia diseñada en los despachos de Washington.

Además de rechazar la intromisión de terceros, el presidente Nicolás Maduro ha llamado en varias ocasiones al diálogo directo con Irfaan Alí, recordando que ambos pueblos comparten raíces culturales y necesitan colaborar en temas de seguridad, comercio y protección ambiental. Sin embargo, Guyana, condicionado por la dependencia económica y militar de Estados Unidos, ha preferido seguir una ruta de confrontación innecesaria.

Venezuela rechaza rotundamente la instrumentalización del Esequibo como herramienta de chantaje o distracción política. Para Caracas, el futuro de la región pasa por el fortalecimiento de bloques como Caricom y Celac, donde la cooperación y no el conflicto debe ser la atmósfera de las relaciones internacionales.

Crisis y subordinación disfrazadas de amenaza

La administración de Irfaan Alí intenta maquillar sus fracasos internos con una narrativa de amenaza externa. Mientras las protestas urbanas, los escándalos de corrupción y la crítica situación socioeconómica ponen en riesgo su legitimidad, el mandatario recurre a la guerra retórica contra Venezuela para ganar puntos políticos y cohesionar a su base electoral de cara a las elecciones de septiembre próximo en las que intentará reelegirse.

Sin embargo, detrás de esa narrativa se esconde una realidad compleja: Guyana se convierte cada vez más en un estado semicolonial, donde la voluntad política está subordinada a los intereses de ExxonMobil, influyente en la administración Trump. Lejos de defender la soberanía de su pueblo, Alí parece haber aceptado un papel subordinado en un juego global que sacrifica el desarrollo sostenible en aras del saqueo petrolero.

Por su parte, Venezuela continúa firme en su reclamo histórico sobre el Esequibo, pero con una propuesta de solución dialogada, integradora y respetuosa del derecho internacional. El mensaje del gobierno es claro: no permitirá que potencias foráneas manipulen conflictos artificiales para perpetuar el despojo histórico y desarticular la posibilidad de que el Caribe sea, junto a América Latina, un polo dentro de un nuevo orden global.

La elección de Neil Villamizar como gobernador del estado Guayana Esequiba no apunta hacia la confrontación, sino a la afirmación identitaria y constitucionalmente legal. Es una expresión de la voluntad nacional que busca cerrar heridas del pasado y construir un futuro compartido en toda la región.

Mientras tanto, Guyana se debate entre el desgobierno y la dependencia imperial. Ni Alí, mucho menos sus patrocinadores extranjeros, pueden darle vuelta a esta situación.

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