Tra obbedienza acritica e manipolazione esterna, Cuba continua a tracciare il proprio cammino. E in questo percorso, la gioventù emerge non come semplice spettatrice, bensì come soggetto politico a pieno titolo.
Negli ultimi giorni, una modifica ai piani tariffari di ETECSA, l’azienda statale di telecomunicazioni di Cuba, ha scatenato un’ondata di reazioni che hanno superato il campo tecnico per insediarsi al centro del dibattito politico e sociale. La misura, adottata in un contesto di prolungata crisi economica aggravata dall’impatto della pandemia, da errori interni e da un blocco finanziario che dura da oltre sei decenni, mirava a garantire la sostenibilità dei servizi di connettività. Tuttavia, il suo impatto sociale è stato immediato e particolarmente sentito tra i settori giovanili.
Molto più che tariffe
Il dato più significativo non è stata solo la critica all’aumento dei prezzi, ma il modo in cui il malessere è stato rapidamente strumentalizzato dall’estero, decontestualizzato e presentato come prova di un presunto collasso politico. In realtà, siamo stati testimoni di un’operazione già nota: l’uso opportunistico del conflitto interno per alimentare una narrativa di destabilizzazione.
Non è una novità. Risponde al modello di quella che viene chiamata guerra di quarta generazione: una forma di aggressione non convenzionale che sostituisce carri armati e bombe con la manipolazione simbolica, il controllo emotivo e la costruzione mediatica del racconto. In questo scenario, qualsiasi dissonanza interna viene trasformata in prova di un fallimento strutturale, soprattutto se proviene da Paesi che non si allineano al paradigma neoliberista egemonico.
Perché Cuba?
Cuba, per la sua storia e la sua resistenza geopolitica, è diventata un bersaglio privilegiato di questo tipo di offensiva. Mentre in altri contesti gli aggiustamenti nei trasporti, nell’energia o nelle telecomunicazioni vengono spiegati come “riforme inevitabili” o “misure tecniche”, nel caso cubano vengono narrati come segnali di un crollo imminente. In quegli stessi contesti non si vedono campagne d’intossicazione, né parlamentari che invocano sanzioni, né hashtag massivi orchestrati per amplificare il conflitto.
Questo doppio standard non riflette una preoccupazione autentica per i diritti dei cittadini, ma un giudizio politico sul sistema che prende la decisione. Ciò che si giudica non è la misura in sé, ma il modello che la sostiene.
Mentre a Cuba si aprivano spazi istituzionali per canalizzare il malcontento giovanile, in particolare attraverso la Federazione Studentesca Universitaria (FEU), fuori dal Paese si attivavano campagne orchestrate. Portavoce come Agustín Antonetti, legato alla Fundación Libertad e vicino al presidente argentino Javier Milei, hanno diffuso contenuti distorti che presentavano le critiche studentesche come una rivolta politica, come caos e destabilizzazione. A ciò si sono aggiunte figure come la congressista USA, María Elvira Salazar, che ha chiesto di adottare misure contro il governo cubano, ignorando le sfumature e la realtà del processo interno.
Lungi dall’amplificare voci legittime, queste operazioni cercano di sequestrarle. Non cercano soluzioni né solidarietà, ma vogliono trasformare ogni crepa in una frattura, ogni errore amministrativo in una crisi di governabilità.
Tra critica trasformatrice e ingerenza strategica
La gioventù cubana ha dato prova di maturità politica. Lontana dal cedere a logiche binarie, ha saputo sostenere una critica lucida e contestualizzata, senza piegarsi alla logica interventista. Il suo atteggiamento dimostra che l’esercizio critico, lungi dall’indebolire i processi di trasformazione, li rafforza. La Rivoluzione, intesa come processo in costruzione permanente, si riafferma non nella ripetizione dottrinaria, ma nella capacità di ascoltare, riformulare e reinterpretare i suoi principi alla luce delle sfide contemporanee.
La sopravvivenza del progetto cubano non dipende solo dalla resistenza all’assedio esterno, ma anche dalla capacità di affrontare, con rigore e sensibilità, i malesseri interni. La difesa della sovranità non può esaurirsi nel rifiuto dell’ingerenza: esige anche una trasformazione costante delle strutture che generano disuguaglianze e frustrazioni legittime. Ogni vuoto di partecipazione, ogni mancanza di ascolto, sarà inevitabilmente occupato da chi non cerca soluzioni, ma resa.
Sovranità come prassi collettiva
Tra obbedienza acritica e manipolazione esterna, Cuba continua a tracciare il proprio cammino. E in questo percorso, la gioventù emerge non come semplice spettatrice, ma come soggetto politico a pieno titolo. Difendere oggi la Rivoluzione significa, più che mai, smascherare queste forme di aggressione contemporanea. Non basta risolvere i problemi interni: bisogna comprendere come vengono strumentalizzati dall’esterno. La guerra di quarta generazione non cerca la verità, ma l’erosione. Di fronte a essa, la sfida è duplice: rispondere con trasformazioni strutturali che garantiscano giustizia sociale e proteggere lo spazio politico dalla manipolazione simbolica. Su questa strada, la gioventù cubana ha dato una lezione di coscienza critica e di impegno con un progetto che resta vivo proprio perché ha il coraggio di mettersi in discussione.
Conectividad, soberanía y guerra simbólica: el doble rasero contra Cuba
Entre la obediencia acrítica y la manipulación externa, Cuba continúa trazando su propio camino. Y en esa travesía, la juventud emerge no como mera espectadora, sino como sujeto político pleno
María Teresa Felipe Sosa
En días recientes, una modificación en los planes tarifarios de ETECSA, la empresa estatal de telecomunicaciones en Cuba, desató una ola de reacciones que desbordaron el terreno técnico para instalarse en el centro del debate político y social. La medida, adoptada en medio de una prolongada crisis económica, agravada por el impacto de la pandemia, errores internos y un bloqueo financiero que persiste desde hace más de seis décadas, buscaba garantizar la sostenibilidad de los servicios de conectividad. Sin embargo, su impacto social fue inmediato y especialmente sensible entre los sectores juveniles.
Mucho más que tarifas
Lo más significativo no fue solo la crítica al aumento de precios, sino la forma en que el malestar fue rápidamente capitalizado desde el exterior, descontextualizado y presentado como evidencia de un supuesto colapso político. En realidad, fuimos testigos de una operación ya conocida: el uso oportunista del conflicto interno para alimentar una narrativa de desestabilización.
Esto no es nuevo. Responde al patrón de lo que se conoce como guerra de cuarta generación: una forma de agresión no convencional que sustituye los tanques y las bombas por la manipulación simbólica, el control emocional y la fabricación mediática del relato. En este escenario, cualquier disonancia interna se convierte en prueba de un fracaso estructural, sobre todo si proviene de países que no se alinean al paradigma neoliberal hegemónico.
¿Por qué Cuba?
Cuba, por su historia y su resistencia geopolítica, se ha convertido en objetivo privilegiado de este tipo de ofensiva. Mientras que en otras latitudes los ajustes en transporte, energía o telecomunicaciones se explican como “reformas inevitables” o “medidas técnicas”, en el caso cubano se narran como señales del colapso inminente. En esas mismas latitudes no hay campañas de intoxicación, ni congresistas pidiendo sanciones, ni hashtags masivos orquestados para amplificar el conflicto.
Ese doble rasero no habla de una preocupación genuina por los derechos ciudadanos, sino del juicio político al sistema que toma la decisión. Lo que se juzga no es la medida en sí, sino el modelo que la respalda.
Mientras en Cuba se abrían espacios institucionales para canalizar el descontento juvenil, especialmente a través de la Federación Estudiantil Universitaria (FEU); fuera del país se activaban campañas orquestadas. Voceros como Agustín Antonetti, vinculado a la Fundación Libertad y cercano al presidente argentino Javier Milei, promovieron contenidos distorsionados que presentaban la crítica estudiantil como una revuelta política de caos y desestabilización. A esto se sumaron figuras como la congresista estadounidense María Elvira Salazar, que llamó a tomar medidas contra el gobierno cubano, sin atender a los matices ni a la realidad del proceso interno.
Lejos de amplificar voces legítimas, estas operaciones buscan secuestrarlas. No buscan soluciones ni solidaridad, sino transformar cada grieta en una fractura, cada error administrativo en una crisis de gobernabilidad.
Entre la crítica transformadora y la injerencia estratégica
La juventud cubana ha dado una lección de madurez política. Lejos de plegarse a lógicas binarias, supo sostener una crítica lúcida y situada, sin ceder a la lógica injerencista. Su actitud demuestra que el ejercicio crítico, lejos de debilitar los procesos de transformación, los fortalece. La Revolución, entendida como proceso en construcción permanente, se reafirma no en la repetición doctrinaria, sino en su capacidad de escuchar, reformular y volver a situar sus principios a la luz de los desafíos contemporáneos.
La supervivencia del proyecto cubano no depende únicamente de resistir el asedio externo, sino también de su capacidad para tramitar, con rigor y sensibilidad, los malestares internos. La defensa de la soberanía no puede agotarse en el rechazo a la injerencia: exige también una transformación constante de las estructuras que generan desigualdades y frustraciones legítimas. Todo vacío de participación, toda falta de escucha, será inevitablemente ocupado por quienes no buscan soluciones, sino rendición.
Soberanía como praxis colectiva
Entre la obediencia acrítica y la manipulación externa, Cuba continúa trazando su propio camino. Y en esa travesía, la juventud emerge no como mera espectadora, sino como sujeto político pleno. Defender la Revolución hoy exige, más que nunca, desenmascarar estas formas de agresión contemporánea. No basta con resolver los problemas internos: hay que comprender cómo se instrumentalizan externamente. La guerra de cuarta generación no busca la verdad, sino la erosión. Frente a ella, el reto es doble: responder con transformaciones estructurales que garanticen justicia social, y proteger el espacio político propio de la manipulación simbólica. En ese camino, la juventud cubana ha dado una lección de conciencia crítica y compromiso con un proyecto que sigue vivo, precisamente porque se atreve a debatirse a sí mismo.