Militarizzazione e crisi costituzionale: il re è nudo a Los Angeles

Fenomeni inediti al di là dei disordini

Franco Vielma

La città di Los Angeles (California, USA) è teatro di massicce concentrazioni pacifiche e atti di violenza, in protesta contro le misure migratorie implementate dall’amministrazione del presidente Donald Trump.

Il carattere specifico delle proteste consiste nel resistere e limitare il dispiegamento degli organismi dell’immigrazione e nel contenere così le detenzioni finalizzate alla deportazione.

Le operazioni di cattura di presunti “clandestini” condotte dal Servizio di Immigrazione e Controllo Doganale degli USA (ICE) sono sfociate in retate di massa in diverse città, svolte simultaneamente, in quella che Trump ha definito “la più grande operazione di deportazioni della storia” del suo Paese.

Oltre all’ICE, ha partecipato a tali operazioni anche l’FBI (Federal Bureau of Investigation), il che segna una svolta rilevante nelle sue competenze – in modo eccessivo e al di fuori delle sue attività ordinarie – rafforzando così l’impiego massimo delle capacità del governo federale per raggiungere i propri obiettivi.

Sebbene gli eventi nella città californiana abbiano catturato l’attenzione pubblica, in realtà la prima reazione di questo tipo si è registrata a Minneapolis (Minnesota), lo scorso 3 giugno, con una protesta spontanea per impedire detenzioni da parte dell’ICE in tale città.

La Casa Bianca comprende che queste proteste, per il loro carattere massiccio – e in certi casi violento – potrebbero innescare reazioni simili in altre città.

Inoltre, il tipo di risposta giunto dallo Studio Ovale lascia intravedere indizi di una possibile crisi costituzionale negli USA.

NON È L’ENNESIMA PROTESTA RAZZIALE

La storia delle proteste sociali pacifiche e violente negli USA per motivi razziali è molto ampia. Gli eventi in corso a Los Angeles evocano grandi sommovimenti, come quelli seguiti all’uccisione di Rodney King (1992) e George Floyd (2020), entrambi afroamericani assassinati da agenti bianchi.

Nei disordini attuali di Los Angeles, la comunità latina – in particolare quella messicana – svolge un ruolo centrale. Tuttavia, le ragioni della protesta non si riducono all’azione concreta di alcuni agenti della sicurezza, né all’uccisione di una persona.

In realtà, la reazione contro l’ICE è una risposta diretta al governo federale, alla politica anti-immigrazione di Trump e, in particolare, alla percezione degli abusi commessi dalle autorità in questa materia.

Da settimane, le reti sociali sono inondati da immagini di arresti di massa di persone senza documenti sul posto di lavoro. Non si tratta quindi di criminali.

Sono diventati virali i metodi dell’ICE nei pressi dei tribunali, dove si recano persone che stanno cercando di regolarizzare la propria posizione. Questo elemento può essere considerato una violazione de facto delle norme migratorie vigenti: lo stesso governo Trump si renderebbe quindi responsabile di abusi.

Un altro aspetto rilevante è la stigmatizzazione di massa di persone tramite le nuove leggi di Trump, che etichettano come “criminali” gli individui in situazione amministrativa irregolare. In altri casi, ha revocato in blocco gli Status di Protezione Temporanea (TPS) e i Parole Umanitari, lasciando senza protezione centinaia di migliaia di persone – inclusi venezuelani – costringendoli all’illegalità migratoria in modo involontario, sottoponendoli a detenzioni prolungate e deportazioni verso paesi terzi (come El Salvador).

In prospettiva, gli eventi odierni di Los Angeles contengono componenti sociologici differenti rispetto ad altri sommovimenti del passato.

Il catalizzatore principale è costituito da azioni strutturate, metodiche, violente e chiaramente lesive delle garanzie legali degli interessati, compiute dal governo federale.

Non si tratta questa volta del solito “caso isolato” di un agente bianco che uccide un afroamericano. Si tratta della manifestazione concreta di un presidente bianco che utilizza tutto il potere del governo di Washington contro le popolazioni razzializzate – latinoamericane, arabe, asiatiche e africane – su scala massiccia, stigmatizzante e abusiva, mediante una aporofobia esercitata apertamente a livello istituzionale.

Se pure l’apparenza di questi eventi riguarda la razza, il fattore più distintivo è la violenza sistemica dello Stato su larga scala e in modo non circoscritto.

CRISI COSTITUZIONALE E MINACCE TRA FUNZIONARI

La crisi attuale, innescata dalle misure migratorie di Trump e dalla risposta sociale, suggerisce l’esistenza di variabili di fondo ben più profonde. Una di esse è la possibile rottura progressiva – ma visibile – del patto sociale statunitense. E questo fenomeno potrebbe verificarsi su più livelli.

Da mesi, si assiste a un conflitto tra il governo federale di Washington e vari tribunali, sia statali che federali, a causa delle misure migratorie del presidente e della loro crescente giudizializzazione in tutto il Paese.

Ciò ha generato aperte divergenze tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Inizialmente sembravano rientrare nell’ambito naturale del contrappeso tra poteri, previsto dalla Costituzione.

Ma quanto sta accadendo a Los Angeles amplia lo spettro verso una nuova forma di crisi costituzionale, specialmente per le variabili sociologiche e politologiche del caso.

Trump ha adottato un atteggiamento energico per reprimere queste proteste, alla luce della sua esperienza dopo la reazione sociale all’omicidio di George Floyd nel 2020, che indebolì il suo primo mandato.

Eppure, questo stesso presidente ha appena concesso la grazia a 1600 detenuti e processati che – in suo nome -assaltarono e vandalizzarono il Campidoglio, quattro anni fa.

L’incoerenza e la selettività nell’applicazione della forza e della legge mettono a nudo il “re”, generando una frattura tra la società USA e la sua principale istanza di rappresentanza.

D’altro canto, vi sono oggi eventi del tutto inediti, per natura e contesto.

La Guardia Nazionale della California è passata sotto il controllo del governo federale, che ha dispiegato 2000 soldati per reprimere le proteste.

Le ultime volte che la Guardia Nazionale è stata impiegata per affrontare disordini urbani furono nei casi King (1994) e Floyd (2020).

La differenza sostanziale, ora, è che Trump ha dispiegato la Guardia Nazionale senza il consenso del governatore dello stato, Gavin Newsom. Una situazione che non si verificava dal 1965, durante i “disordini di Watts”, altra protesta violenta di afroamericani sempre a Los Angeles.

Nel 1994 e nel 2020, furono i governatori della California a richiedere l’intervento della Guardia Nazionale. Ma stavolta, il governatore democratico si è opposto a Washington.

Newsom ha inviato una lettera al Dipartimento della Difesa per chiedere il ritiro delle truppe “illegalmente” inviate a Los Angeles, sostenendo che ciò “viola la sovranità statale”.

Il governatore ha annunciato che farà causa all’amministrazione federale per quella che ha definito una “interferenza illegale e senza precedenti” nelle proteste in corso, denunciando una violazione dell’autonomia statale e promettendo azioni legali.

Newsom ha anche pubblicato una lettera firmata da tutti i governatori democratici del paese, nella quale si accusa Trump di “allarmante abuso di potere”.

Intanto, durante un’intervista alla NBC News, Tom Homan, detto “lo zar della frontiera” e designato da Trump, ha dichiarato che Newsom potrebbe “essere arrestato” per il “grave reato” di protezione degli immigrati clandestini.

Homan ha affermato che “è un reato grave impedire alle forze dell’ordine di svolgere il proprio lavoro”, in allusione al rifiuto del governatore di accettare il dispiegamento dei 2000 soldati in città.

Il segretario alla Difesa Pete Hegseth ha avvertito che i marines della base di Camp Pendleton potrebbero essere mobilitati come parte della risposta federale ai disordini.

“Questi violenti attacchi della turba sono pensati per impedire l’espulsione degli immigrati clandestini e costituiscono un grave rischio per la sicurezza nazionale”, ha scritto Hegseth su X, aggiungendo che i marines sono “in massima allerta”.

Lo stesso Trump ha aggiunto un nuovo elemento alla crisi: ha ordinato tramite un post su Truth Social – e non con atto amministrativo – di “portare le truppe” a Los Angeles, senza specificare quale corpo militare, nonostante la Guardia Nazionale fosse già sul posto.

Ciò potrebbe essere considerato un atto ambiguo e pericoloso, per via del contesto, capace di esasperare la tensione sociale e aggravare gli eventi.

L’uso discrezionale della Guardia Nazionale, in modo unilaterale, da parte di Trump si è basato sul Codice delle Forze Armate USA (10 U.S.C. 12406).

Tale norma autorizza il presidente a utilizzare la Guardia Nazionale solo se il Paese è “invaso o a rischio di invasione da parte di una nazione straniera”, se “esiste una ribellione o il pericolo di una ribellione” contro il governo, o se “il presidente non può eseguire le leggi con le forze regolari”.

Il dibattito attuale riguarda quanto il contesto di Los Angeles somigli a quanto descritto da questo Codice, anche se Trump parla di un’“invasione” di clandestini.

Alcuni membri dell’amministrazione Trump, come il vicepresidente J.D. Vance, hanno parlato di “insurrezione”, riferendosi a un presunto stato di ribellione contro il governo.

Tuttavia, Trump ha dichiarato domenica 8 giugno che, per il momento, non è pronto a invocare la Legge sull’Insurrezione del 1807, che gli permetterebbe di federalizzare l’intera Guardia Nazionale e mobilitare le forze armate.

Tuttavia, in California, il presidente sembra voler forzare i limiti del diritto, sfruttando i vuoti legali per agire, mentre i suoi funzionari minacciano di arrestare Newsom e ventilano l’impiego dei marines.

Se negli USA le proteste razziali sono state ricorrenti, questa volta vi sono elementi chiaramente distinti, sia sociologici (nelle cause della reazione di massa) che politologici, per via del tipo di risposta giunta dalla Casa Bianca e dello scontro istituzionale che si sta verificando con lo stato della California.


Fenómenos inéditos más allá de los disturbios

Militarización y crisis constitucional: el rey está desnudo en Los Ángeles

Franco Vielma

La ciudad de Los Ángeles (California, Estados Unidos) es lugar de masivas concentraciones pacíficas y actos de violencia, en protesta contra las medidas migratorias implementadas por la administración del presidente Donald Trump.

El carácter concreto de las protestas ha sido resistir y limitar el despliegue de los organismos de inmigración y contener así las detenciones con fines de deportación.

Las acciones ejecutadas por el Servicio de Inmigración y Control de Aduanas de los Estados Unidos (ICE, por sus siglas en inglés) de captura de supuestos “ilegales” han escalado a operaciones de redadas masivas en diversas ciudades, de manera simultánea, en lo que Trump ha llamado “la operación de deportaciones más grande de la historia” de su país.

Además de ICE, la Oficina Federal de Investigaciones (FBI, por sus siglas en inglés) ha participado en estos operativos, lo cual significa un giro considerable en su ámbito de labor -de manera extralimitada y fuera de sus actividades habituales-, afianzando así el máximo uso de las capacidades del Gobierno Federal para cumplir con sus objetivos.

A pesar de que los eventos en la ciudad californiana concentran la atención pública, en realidad el primer registro de este tipo de reacciones callejeras tuvo lugar en Mineápolis (Minnesotta) el pasado 3 de junio, mediante una protesta espontánea para impedir detenciones de ICE en esa ciudad.

La Casa Blanca entiende que esas protestas, por su carácter masivo -y en ciertas instancias violento-, podría ser el detonante de reacciones similares en otras ciudades.

Además, el tipo de respuesta que ha surgido desde la Oficina Oval arroja indicios de una posible crisis constitucional en Estados Unidos.

NO ES OTRA PROTESTA RACIAL MÁS

El registro de protestas sociales pacíficas y violentas en Estados Unidos por cuestiones raciales es muy extenso. Los eventos que transcurren justo ahora en Los Ángeles evocan grandes conmociones, como las vividas luego del asesinato de Rodney King (1992) y George Floyd (2020), ambos afroamericanos, asesinados por policías blancos.

En los disturbios de Los Ángeles, justo ahora, la comunidad latina -especialmente mexicana- tiene un rol sobresaliente. Pero los motivos de las protestas no se reducen a una acción concreta de algunos agentes de la seguridad, ni por la muerte de alguna persona.

En realidad, la reacción contra ICE es una respuesta contra el Gobierno Federal, la política anti-inmigración de Trump, y especialmente por la sensibilidad de los presuntos abusos de las autoridades en esta materia.

Durante semanas, las redes sociales se han inundado de imágenes de casos de detenciones masivas de personas en condición ilegal y en sus puestos de trabajo. Por ende, no se trata de criminales.

Se han vuelto virales los métodos de ICE en las inmediaciones de los tribunales, donde han acudido personas en cumplimiento de los pasos para la regularización de su status. Este ítem podría considerarse una ruptura de facto de las normas migratorias vigentes, por lo que el mismo gobierno de Trump estaría cometiendo abusos.

Otro elemento es la estigmatización masiva de personas mediante las nuevas leyes de Trump, al catalogar de “criminales” a personas en situación administrativa irregular. O en otros casos, al derogar masivamente los Estatus de Protección Temporal (TPS, por sus siglas en inglés) y los Paroles Humanitarios, dejando sin protección a cientos de miles, incluyendo población venezolana, sometiéndolos a la ilegalidad migratoria de manera involuntaria, aplicando detenciones prolongadas y deportaciones a terceros países (El Salvador).

En perspectiva, en los eventos de Los Ángeles de hoy se hallan componentes sociológicos distintos a los de otras conmociones.

Su principal catalizador son las acciones estructuradas, metódicas, violentas y claramente transgresoras de las garantías legales de los afectados, cometidas por el Gobierno Federal.

Esta vez no se trata de un policía blanco a modo de “caso aislado” asesinando a un afroamericano. Se trata de la expresión concreta de un mandatario blanco, quien afinca todo el poder del gobierno de Washington contra la población racializada, latina, árabe, asiática y africana, en escalas claramente masivas, estigmatizantes y abusivas, mediante una aporofobia abiertamente ejercida desde el ámbito institucional.

Si bien la apariencia de estos eventos yace en la raza, el factor de fondo más distintivo es la violencia funcional del Estado en escalas abiertas no particularizadas.

CRISIS CONSTITUCIONAL Y AMENAZAS ENTRE FUNCIONARIOS

La crisis actual, a expensas de las medidas migratorias de Trump y la respuesta social, sugiere la existencia de variables de fondo mucho mayores. Una de ellas es la posible ruptura progresiva -pero a la vista de todos- del pacto social estadounidense. Y este es un fenómeno que podría estar ocurriendo de manera multidimensional.

Durante meses, se ha producido un choque entre el gobierno ejecutivo de Washington y diversas instancias judiciales, tanto estatales como federales, en razón de las medidas migratorias del mandatario y la judicialización de muchos casos particulares en todo el país.

Ello ha dado pie a abiertas diferencias entre el Ejecutivo y el Judicial. Estas parecían transcurrir entre la diatriba natural y contrapeso constitucional entre los poderes del país.

Pero lo que ocurre en Los Ángeles abre el abanico a nuevas denominaciones de una crisis constitucional en ciernes, especialmente por las variables sociológicas y politológicas del caso.

Trump ha sido completamente enérgico para repeler estas protestas, considerando su propia experiencia luego de la gran reacción social por el asesinato de George Floyd en 2020, la cual debilitó su primer mandato.

Pero el mandatario aplica esta fuerza, a pocos meses de indultar a 1 mil 600 detenidos y judicializados quienes -en su nombre- asaltaron y vandalizaron el Capitolio en Washington hace cuatro años.

La incongruencia y selectividad en el empleo de la fuerza y la ley son factores que exponen al “rey desnudo”, generando una ruptura de vínculos entre la sociedad norteamericana y su principal instancia de representación.

Por otro lado, hay situaciones que ocurren justo ahora y que deben considerarse inéditas por sus características y contexto.

La Guardia Nacional de California pasó a control del Gobierno Federal y ha dispuesto a 2 mil soldados para reprimir las protestas.

Las últimas veces que se ha empleado a la Guardia Nacional para repeler la violencia callejera fue durante los casos de King y Floyd, en 1994 y 2020, respectivamente.

La distinción de este hecho, ahora, es que Trump dispuso de la Guardia Nacional en California, sin el consentimiento del gobernador del estado, Gavin Newson. Esto no se registraba desde 1965, desde los “Disturbios de Watts”, otra protesta violenta de afroamericanos, también en la capital californiana.

Durante 1994 y 2020, fueron los gobernadores de California quienes solicitaron a Washington el uso de la Guardia Nacional en su estado para contener la violencia. Pero esta vez el gobernador demócrata se ha plantado frente a Washington.

Newson envió una carta al Departamento de Defensa para que retire las tropas que “ilegalmente” desplazó a la ciudad de Los Ángeles, argumentando que está “vulnerando la soberanía estatal”.

El gobernador anunció que demandará a la administración federal, por lo que calificó como una “intervención ilegal y sin precedentes” en las recientes protestas. En ese sentido, denunció una violación a la autonomía estatal y prometió llevar el caso a los tribunales.

Gavin Newson también publicó una carta respaldada por todos los gobernadores demócratas del país, en la que calificaron las acciones de Trump como un “alarmante abuso de poder”.

Por su parte, durante una entrevista a la cadena NBC News, Tom Homan, el llamado “zar de la frontera” designado por Trump, indicó que dicho gobernador podría “enfrentar arresto”, por cometer el “delito grave” de resguardar a inmigrantes ilegales.

Homan indicó que “es un delito grave impedir que las fuerzas del orden hagan su trabajo”, en alusión al rechazo de Newson por el despliegue de 2 mil tropas militares en la ciudad.

El secretario de Defensa, Pete Hegseth, advirtió que los marines en servicio activo de la base naval de Camp Pendleton podrían ser movilizados como parte de la respuesta federal a los disturbios.

“Estos violentos ataques de la turba están diseñados para evitar la expulsión de inmigrantes ilegales de nuestro territorio y un enorme riesgo para la seguridad nacional”, publicó Hegseth en su cuenta de X. El funcionario agregó que los marines están “en máxima alerta”.

El propio Trump agregó un nuevo componente a esta crisis: ordenó de manera comunicacional y no administrativa, desde Truth Social, “traer a las tropas” a Los Ángeles. Lo hizo sin especificar cuál componente militar y considerando que la Guardia Nacional ya tenía presencia en el terreno.

Este podría considerarse un acto ambiguo y peligroso por el contexto, pues ello podría inducir la exasperación social y generar un incremento de los eventos.

El uso discrecional de la Guardia Nacional, de manera unilateral, por parte de Trump se ejecutó mediante el Código de las Fuerzas Armadas de Estados Unidos (10 U.S.C. 12406).

Este solo autoriza al presidente a usar la Guardia Nacional en caso de que el país sea “invadido o está en peligro de invasión por una nación extranjera”, si “existe una rebelión o peligro de rebelión” contra el gobierno, o si “el presidente no puede ejecutar las leyes de Estados Unidos con las fuerzas regulares”.

El debate, justo ahora, es en qué medida el contexto de Los Ángeles se asemeja a lo descrito en este Código, aunque Trump refiera una “invasión” de ilegales.

Varios funcionarios de la administración Trump, como el vicepresidente J.D. Vance, han hablado de una “insurrección” para referir un supuesto estado de rebelión contra el gobierno.

Pero Trump dijo el domingo 8 de junio que, por ahora, no está preparado para invocar la Ley de Insurrección de 1807, la cual le facultaría para federalizar a toda la Guardia Nacional del país y desplegar a las fuerzas armadas.

Sin embargo, en California, el mandatario parece estar estirando las fronteras del Derecho y aprovecha los posibles boquetes legales para tomar acciones, mientras sus funcionarios de gabinete amenazan con detener al gobernador Newson y azuzan con el uso de marines.

Si bien en Estados Unidos las protestas por razones de raza han sido recurrentes, en esta oportunidad hay componentes claramente distintos, tanto en lo sociológico por los causales de la reacción de masas, como en lo politológico, debido al tipo de respuesta que ha surgido desde la Casa Blanca y el choque institucional que se está produciendo respecto al estado de California.

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