OpenAI apre un nuovo capitolo nella nuova guerra fredda tecnologica

Verso una corsa agli armamenti in stile MAGA

Misión Verdad

Sotto il mandato di Donald Trump, gli USA hanno ridefinito il proprio approccio all’intelligenza artificiale (IA), trasformandola in uno strumento centrale del potere geopolitico. In questo contesto, le grandi corporazioni tecnologiche (Big Tech) come OpenAI, proprietaria di ChatGPT e guidata da Sam Altman, hanno abbandonato la retorica iniziale del “beneficio per l’umanità” per allinearsi a un discorso nazionalista che privilegia gli interessi economici e strategici del Paese.

Altman, che ha donato 1 milione di $ per l’investitura di Trump, ha presentato alla Casa Bianca un documento intitolato “Proposte di OpenAI per il Piano d’Azione degli USA sull’IA”, in cui suggerisce misure quali:

-Maggiore collaborazione con il Pentagono nello sviluppo di sistemi autonomi.

-Censura preventiva dei modelli di IA non allineati ai “valori occidentali”.

-Sorveglianza ampliata degli utenti con il pretesto di combattere la “disinformazione”.

È chiaro che la Big Tech propone un modello di sviluppo tecnologico incentrato sul mantenimento della supremazia USA nei confronti della Cina. Questo piano non si basa solo sulla promozione di valori democratici —concetti vagamente definiti—, ma anche sulla creazione di barriere commerciali contro le tecnologie cinesi, garantendo così una posizione dominante per le imprese USA nel mercato globale dell’IA.

Le svolte ed i riposizionamenti ideologici di OpenAI

Ciò che un tempo veniva presentato come un bene comune, ora si presenta come un’arma strategica nella guerra fredda tecnologica. Questo cambio di rotta rappresenta una chiara rottura con il passato idealista di OpenAI, la cui missione originaria era condividere l’intelligenza artificiale in modo aperto e a beneficio dell’intera umanità, senza distinzioni nazionali. Oggi, invece, il messaggio è inequivocabile: “L’IA guidata dagli USA deve prevalere su quella guidata dal Partito Comunista Cinese”.

La narrazione della “sicurezza nazionale” viene utilizzata per giustificare restrizioni commerciali, regolamentazioni internazionali di parte e un controllo più rigido su chi può accedere a determinati modelli di IA. Ad esempio, OpenAI ha denunciato presunti gruppi cinesi che userebbero ChatGPT per fini “malevoli”, una mossa che serve a legittimare controlli più severi sulle esportazioni e blocchi tecnologici.

Ma dietro questa retorica difensiva si nasconde un interesse corporativo ben chiaro: proteggere i mercati, assicurarsi contratti governativi e consolidare monopoli globali attorno all’IA. La presunta sicurezza nazionale, in questo caso, funziona come una maschera per blindare profitti privati.

OpenAI ha celebrato il Progetto Stargate, accordo tra Casa Bianca e Big Tech, poiché contribuirebbe a “proteggere la democrazia” attraverso l’IA, omettendo che il vero obiettivo è blindare il monopolio tecnologico USA tramite un investimento privato da 500 miliardi di $.

Quando OpenAI fu fondata, nel 2015, la sua visione era chiaramente globalista. Il suo manifesto dichiarava come obiettivo quello di “far progredire l’intelligenza digitale in modo che benefici l’intera umanità”, senza vincoli finanziari o politici nazionali.

Oggi, quella visione è stata sostituita da un’impostazione profondamente nazionalista, dove la parola “umanità” è praticamente scomparsa dai documenti ufficiali.

L’IA al centro della nuova guerra fredda tecnologica

Il decreto esecutivo sull’IA, emanato solo due giorni dopo l’insediamento di Trump, ha tracciato una rotta radicalmente diversa da quella di Biden: meno regolamentazione, maggiore libertà corporativa e un’enfasi esplicita sulla competizione con la Cina.

Mentre Biden cercava di stabilire cornici etiche e multilaterali per uno sviluppo responsabile dell’IA, Trump ha eliminato quasi tutte le restrizioni, privilegiando la crescita economica e il vantaggio militare.

Il suo Blueprint per fare degli USA la capitale mondiale dell’IA include:

*Sussidi milionari a imprese come OpenAI, Nvidia e Palantir.

*Deregolamentazione per accelerare gli sviluppi militari.

*Pressioni diplomatiche affinché gli alleati adottino tecnologie USA ed escludano quelle cinesi.

Il discorso sull’“allineamento etico” dell’IA è una cortina fumogena. Sotto Trump, le corporazioni hanno simulato impegni per la sicurezza mentre vendevano sistemi di sorveglianza a governi che non agiscono sotto i presunti valori democratici che gli USA dicono promuovere.

Inoltre l’ordine esecutivo di Trump sull’IA opera secondo la logica “Prima gli USA, poi l’etica”, in quanto privilegia la competitività delle imprese rispetto ai diritti umani, consentendo:

*Uso discriminatorio dell’IA per promuovere la “crimigrazione”, come i sistemi che negano i visti in base alle reti sociali.

*Esportazione di strumenti invasivi della privacy a governi alleati, come i programmi di riconoscimento facciale in uso in vari paesi dell’America Latina.

*Censura e manipolazione percettiva per proteggere l’immagine di Israele e USA, mentre si accusa la Cina di fare lo stesso.

Le chiavi del futuro tecno-militare sono ormai chiare, e l’IA si profila più come un’arma di dominio globale che come uno strumento per il “progresso”. In sintonia con Trump, OpenAI ha proposto una strategia di crescita aggressiva basata su tre pilastri:

°Libertà di innovare – Eliminare ogni regolamentazione federale che possa interferire con lo sviluppo rapido dell’IA.

°Esportazione della IA democratica – Promuovere modelli sviluppati secondo standard occidentali e bloccare quelli cinesi.

°Controllo delle infrastrutture – Costruire data center globali in alleanza con gli USA, escludendo soci non allineati.

Questo riposizionamento ideologico non è un’eccezione: altre Big Tech come Google, Microsoft e Meta hanno adottato posizioni simili, mirando a trarre vantaggio dall’agenda trumpiana di deregolamentazione e protezionismo.

Un club “MAGA AI” all’orizzonte?

La narrazione dell’“esportare un’IA democratica”, promossa da OpenAI, ha un substrato ideologico che va ben oltre il semplice pragmatismo geopolitico. Definendo cosa sia “democratico” e chi possa partecipare a questo club, gli USA e i loro alleati stanno costruendo un sistema tecnologico profondamente unipolare. Solo alcuni Paesi e attori vengono considerati degni di accedere a tecnologie avanzate.

Questo approccio si riflette nella visione suprematista di OpenAI, che divide il mondo in tre categorie:

^Paesi che seguono principi “democratici” secondo gli USA.

^Paesi che ancora non li rispettano, ma che possono “migliorare”.

^Cina e i suoi alleati, automaticamente esclusi.

Questa divisione non solo esclude più di un miliardo di persone, ma chiarisce come, per Washington, ciò che conta non è la qualità reale delle istituzioni, bensì la lealtà geopolitica.

La sociologa Ruha Benjamin, professoressa presso il Dipartimento di Studi Afroamericani dell’Università di Princeton, nel suo libro La razza dopo la tecnologia: strumenti abolizionisti per il “New Jim Code” (2019), parla di “un design tecnologico che promette un futuro utopico ma serve gerarchie e pregiudizi razziali”.

In esso mostra come politiche come quelle di Trump e OpenAI siano influenzate da una visione di superiorità razziale mascherata, dove l’IA è vista come estensione dei valori “occidentali” di razionalità, efficienza e gerarchia. Una visione che legittima il controllo tecnologico e rafforza dinamiche coloniali nell’accesso alla conoscenza.

All’interno degli stessi USA, l’IA viene utilizzata come strumento di sorveglianza e controllo sociale. Dalle deportazioni automatizzate ai profili di rischio basati su algoritmi, l’IA non è neutrale: riproduce pregiudizi sistemici e rafforza le strutture di potere esistenti.

La corsa agli armamenti è tecnologica… e viceversa

Per le Big Tech, l’IA è sia uno strumento economico che un componente essenziale della guerra fredda moderna. Sotto Trump, il governo USA ha accelerato l’integrazione di sistemi di IA nelle operazioni militari, d’intelligence e difesa.

La divisione di sicurezza nazionale di OpenAI è guidata dall’ex funzionaria dell’intelligence dell’amministrazione Obama, Katrina Mulligan, e ha collaborato attivamente con agenzie come NSA, CIA e Pentagono, fornendo modelli linguistici per compiti di spionaggio, geointelligence e analisi delle minacce. Questi modelli sono stati prioritari per centri studio come la Rand Corporation.

Un esempio è l’uso di ChatGPT al simposio GEOINT 2025, dove rappresentanti di OpenAI hanno mostrato come la loro tecnologia possa aiutare a identificare località tramite immagini, facilitando operazioni militari e di sorveglianza. Questa integrazione tra impresa privata e apparato militare solleva seri interrogativi sull’indipendenza della ricerca e sul potenziale per impieghi letali.

Nel frattempo, il Dipartimento della Difesa ha lanciato programmi multimiliardari per sviluppare droni autonomi, sistemi di allerta precoce e armamenti guidati da IA, tutti giustificati dalla necessità di “contenere la Cina”.

La Cina, da parte sua, colma il divario con massicci investimenti in IA militarizzata, tra cui robot da combattimento, sistemi di difesa autonomi e reti di sorveglianza urbana.

Il conflitto tecnologico si traduce direttamente in una corsa agli armamenti in cui l’IA non solo definisce l’economia del futuro, ma anche la capacità di proiezione del potere globale.

Quello che sta accadendo oggi con OpenAI e le altre Big Tech non è un’evoluzione naturale dell’industria, ma una trasformazione ideologica spinta dal contesto politico ed economico di una potenza la cui egemonia è in pericolo.

L’amministrazione Trump delinea l’IA come uno strumento per concentrare potere e risorse, in cui questa oligarchia tecnologica rinuncia alla pretesa di neutralità per rafforzare il proprio ruolo come attore geopolitico chiave.

Svuotate le parole d’ordine sul “progresso per l’umanità”, si impone un’agenda di controllo, esclusione e dominio dove prevale l’interesse corporativo, ora camuffato da interesse nazionale.

Non si tratta più di una guerra silenziosa, ma di un’ennesima, clamorosa dimostrazione che la tecnologia è la colonna vertebrale di una disputa in cui si scontrano visioni radicalmente opposte del mondo.


Hacia una carrera armamentística estilo MAGA

OpenAI abre un nuevo capítulo en la nueva guerra fría tecnológica

Bajo el mandato de Donald Trump, Estados Unidos ha redefinido su enfoque sobre la inteligencia artificial (IA), convirtiéndola en una herramienta central de poder geopolítico. En este escenario, las grandes corporaciones tecnológicas (o Big Tech) como OpenAI, propietaria de ChatGPT y liderada por Sam Altman, han dejado atrás su retórica inicial de “beneficiar a la humanidad” para alinearse con un discurso nacionalista que prioriza los intereses económicos y estratégicos del país.

Altman, quien donó 1 millón de dólares para la investidura de Trump, presentó un documento ante la Casa Blanca titulado “Propuestas de OpenAI para el Plan de Acción de IA de Estados Unidos” que sugiere medidas como:

Mayor colaboración con el Pentágono en desarrollo de sistemas autónomos.

Censura preventiva de modelos de IA que no se alineen con los “valores occidentales”.

Vigilancia ampliada de usuarios bajo el pretexto de combatir la “desinformación”.

Claramente la Big Tech propone un modelo de desarrollo tecnológico centrado en mantener la supremacía estadounidense frente a China. Este plan no solo se basa en promover valores democráticos —conceptos vagamente definidos—, sino también en crear barreras comerciales contra las tecnologías del país asiático, garantizando así una posición dominante para empresas estadounidenses en el mercado global de IA.

Los giros y repliegues ideológicos de OpenAI

Lo que antes se vendía como un bien común, ahora se presenta como un arma estratégica en la guerra fría tecnológica. Este giro representa una ruptura clara con el pasado idealista de OpenAI, cuya misión original era compartir la inteligencia artificial de manera abierta y beneficiar a toda la humanidad sin distinciones nacionales. Sin embargo, ahora, el mensaje es inequívoco: “La IA dirigida por Estados Unidos debe prevalecer sobre la dirigida por el Partido Comunista de China”.

La narrativa de “seguridad nacional” se utiliza para justificar restricciones comerciales, regulaciones internacionales sesgadas y un control más estricto sobre quién puede acceder a ciertos modelos de IA. Por ejemplo, OpenAI denunció haber detectado grupos chinos usando ChatGPT con fines “maliciosos”, lo cual sirve para legitimar mayores controles de exportación y bloqueos tecnológicos.

Pero detrás de esta retórica de defensa nacional subyace un interés corporativo claro: proteger mercados, asegurar contratos gubernamentales y consolidar monopolios globales en torno a la IA. La supuesta seguridad nacional, en este caso, funciona como una capa discursiva para blindar beneficios privados.

OpenAI celebró el Proyecto Stargate, acordado entre la Casa Blanca y las Big Tech, porque contribuiría a “proteger la democracia” mediante la IA, omitiendo que su verdadero objetivo es blindar el monopolio tecnológico estadounidense a partir de una inversión privada de 500 mil millones de dólares.

Cuando OpenAI fue fundada en 2015, su visión era claramente globalista. Su manifiesto afirmaba que el objetivo era “avanzar en la inteligencia digital de forma que beneficie a la humanidad en su conjunto”, sin ataduras financieras ni políticas nacionales.

En la actualidad, esa visión ha sido sustituida por un enfoque profundamente nacionalista, donde la palabra “humanidad” prácticamente desaparece de sus documentos oficiales.

La IA en el centro de la guerra fría tecnológica

La orden ejecutiva sobre IA, emitida apenas dos días después de que Trump asumiera el cargo, marcó un rumbo radicalmente diferente al de Biden: menos regulación, mayor libertad corporativa y un énfasis explícito en la competencia con China.

Mientras Biden intentaba establecer marcos éticos y multilaterales para el desarrollo responsable de la IA, Trump eliminó casi todas las restricciones, priorizando el crecimiento económico y la ventaja militar.

Su “Blueprint para convertir a Estados Unidos en la capital mundial de la IA” incluye:

Subsidios millonarios a empresas como OpenAI, Nvidia y Palantir.

Relajación de regulaciones para acelerar desarrollos militares.

Presión diplomática para que aliados adopten tecnología estadounidense y excluyan a China.

El discurso de la “alineación ética” de la IA es una cortina de humo. Bajo Trump, las corporaciones han falsificado compromisos con la seguridad mientras venden sistemas de vigilancia a gobiernos que no funcionan precisamente bajo los supuestos valores democráticos que Estados Unidos dice promover.

Además, la orden ejecutiva de Trump sobre IA funciona bajo la premisa de “Estados Unidos primero, la ética después” porque prioriza la competitividad corporativa sobre los derechos humanos al permitir:

Uso discriminatorio de la IA para promover la “crimigración”, como el sistema que niega visas basado en redes sociales.

Exportación de herramientas de vulneración a la privacidad a gobiernos aliados, como ocurre con los softwares de reconocimiento facial usados en varios países de América Latina.

Censura y manipulación de la percepción en función de proteger las imágenes de Israel y Estados Unidos mientras se acusa a China de ello.

Las claves del futuro tecno-militar que se avizora están claras y la IA apunta más a ser un arma con pretensiones de dominación global que una herramienta para el “progreso”. En sintonía con Trump, OpenAI ha propuesto una estrategia de crecimiento agresivo basada en tres pilares:

Libertad para innovar. Eliminar cualquier regulación federal que pudiera interferir con el desarrollo rápido de IA.

Exportación de la IA democrática. Promover modelos desarrollados bajo estándares occidentales mientras se bloquean tecnologías chinas.

Control de infraestructura. Construir centros de datos globales aliados con Estados Unidos, excluyendo a socios no alineados.

Su repliegue ideológico no es exclusivo: otras Big Tech como Google, Microsoft y Meta también han adoptado posturas similares, buscando aprovechar la agenda trumpista de desregulación y protección comercial.

¿Un club “MAGA AI” en el horizonte?

La narrativa de “exportar una IA democrática”, promovida por OpenAI, tiene un trasfondo ideológico que va más allá del simple pragmatismo geopolítico. Al definir qué es “democrático” y quién puede participar en ese club, Estados Unidos y sus aliados están construyendo un sistema tecnológico profundamente unipolar. Solo ciertos países y actores son considerados dignos de acceso a tecnologías avanzadas.

Este enfoque se refleja en la visión supremacista de OpenAI de dividir el mundo en tres categorías:

Países que siguen principios “democráticos” según Estados Unidos.

Países que aún no cumplen con estos estándares pero pueden mejorar.

China y sus aliados, excluidos automáticamente.

Esta división no solo excluye a más de mil millones de personas, sino que deja claro cómo, para Washington, lo importante no es la calidad real de las instituciones sino la lealtad geopolítica.

Por otra parte, Ruha Benjamin, socióloga y profesora del Departamento de Estudios Afroamericanos de la Universidad de Princeton, se refiere en su libro La raza después de la tecnología: Herramientas abolicionistas para el ‘New Jim Code’ (2019) a “un diseño tecnológico que promete un futuro utópico pero que sirve a jerarquías raciales y prejuicios raciales”.

Allí evidencia que políticas como las dispuestas por Trump y OpenAI están influenciadas por una visión de superioridad racial encubierta, donde la IA es vista como una extensión de los valores “occidentales” de racionalidad, eficiencia y jerarquía. Esta visión no solo legitima el control tecnológico, sino que también refuerza dinámicas coloniales en el acceso al conocimiento.

Dentro de Estados Unidos, la IA se utiliza como herramienta de vigilancia y control social. Desde deportaciones automatizadas hasta perfiles de riesgo basados en algoritmos, la IA no es neutral: reproduce sesgos sistémicos y refuerza estructuras de poder existentes.

La carrera armamentística es tecnológica… y viceversa

Para las Big Tech, la IA es tanto una herramienta económica como un componente fundamental de la guerra fría moderna. Bajo Trump, el gobierno estadounidense ha acelerado la integración de sistemas de IA en operaciones militares, inteligencia y defensa.

La división de seguridad nacional de OpenAI es liderada por la exfuncionaria de inteligencia de la administración Obama, Katrina Mulligan. y ha colaborado activamente con agencias como la NSA, la CIA y el Pentágono, proporcionando modelos de lenguaje para tareas de espionaje, geointeligencia y análisis de amenazas. Estos han sido priorizados por tanques de pensamiento como la Corporación Rand.

Un ejemplo es el uso de ChatGPT en el simposio GEOINT 2025, donde representantes de OpenAI mostraron cómo su tecnología puede ayudar a identificar ubicaciones desde imágenes, facilitando operaciones militares y de vigilancia. Esta integración entre empresa privada y aparato militar plantea serias dudas sobre la independencia de la investigación y el potencial para usos letales.

Mientras tanto, el Departamento de Defensa ha lanzado programas multimillonarios para desarrollar drones autónomos, sistemas de alerta temprana y armamento guiado por IA, todos ellos justificados por la necesidad de “contener a China”.

China, por su parte, reduce la brecha en la competencia y responde con inversiones masivas en inteligencia artificial militarizada, incluyendo robots de combate, sistemas de defensa autónomos y redes de vigilancia urbana.

El conflicto tecnológico se traduce directamente en una carrera armamentística donde la IA no solo define la economía futura, sino también la capacidad de proyección de poder global.

Lo que ocurre hoy con OpenAI y otras Big Tech no es una evolución natural de la industria, sino una transformación ideológica impulsada por el contexto político y económico de una potencia cuya hegemonía está en riesgo.

La administración Trump perfila a la IA como un instrumento para la concentración de poder y recursos en el que esta oligarquía tecnológica renuncia a la pretensión de neutralidad para profundizar su rol de actor geopolítico clave.

Vaciadas las consignas de “progreso para la humanidad”, se impone una agenda de control, exclusión y dominación donde prevalece el beneficio corporativo, ahora disfrazado de interés nacional.

Ya no se trata de una guerra silenciosa, sino de otra escandalosa muestra de que la tecnología es la columna vertebral de una disputa con profundas diferencias en la forma de concebir el mundo.

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