Ipocrisia in cifre
Il 10 giugno il Governo Bolivariano ha risposto con chiarezza all’inclusione del Venezuela nella lista dei Paesi “ad alto rischio” pubblicata dall’Unione Europea. Ha denunciato il carattere selettivo, anacronistico e profondamente ipocrita di una burocrazia che non riesce a garantire ordine nemmeno all’interno dei propri confini.
La denuncia mette in luce una verità scomoda: oggi l’Europa è uno dei principali epicentri mondiali del riciclaggio di denaro, dove il crimine finanziario gode di un’infrastruttura solida, tollerata e protetta.
La narrazione della trasparenza e della legalità crolla se si guarda all’interno. Ciò che si presenta come controllo e sanzione, in realtà opera come un sistema di protezione per interessi selezionati. L’Europa, e di conseguenza gli USA, non combattono il riciclaggio: lo gestiscono, lo esportano e lo ripuliscono a parole. E chi non si allinea a questa logica, finisce nelle liste nere.
Panorama 2025: la mappa del denaro sporco
Le dimensioni del problema non rientrano più nei margini dei rapporti tecnici. Nel 2023, sono stati riciclati circa 750 miliardi di $ all’interno dell’UE, somma che equivale al 2,3% del PIL del blocco e che rappresenta quasi un quarto del volume globale stimato per quell’anno.
Per illustrare questi flussi, il rapporto Financial Crime Insights: Europe, elaborato da Nasdaq Verafin, scompone così la cifra:
-178 miliardi di $ provenienti dal narcotraffico
-82 miliardi dalla tratta di esseri umani
-2,7 miliardi legati al finanziamento del terrorismo
-487 miliardi derivanti da altre attività illecite, tra cui crimine organizzato, frode e corruzione
Le Nazioni Unite, da parte loro, continuano a stimare il riciclaggio tra il 2% e il 5% del PIL mondiale, una forbice che colloca l’Europa tra i principali attori nei circuiti finanziari illeciti.
L’edizione 2025 del Financial Secrecy Index mostra dove si cela questa opacità: gli USA si confermano al primo posto, seguiti dalla Svizzera. All’interno della stessa UE spiccano Lussemburgo (5°), Germania (6°) e Paesi Bassi (7°). Nemmeno il sistema britannico è estraneo: la dipendenza Guernsey* è tra le prime dieci, e il Regno Unito, pur retrocesso, è ancora al 20° posto.
Nel complesso, queste giurisdizioni occidentali concentrano oltre un quinto dell’opacità finanziaria globale, smentendo così il discorso moralista con cui Bruxelles e Washington puntano il dito contro Paesi terzi.
Il corridoio orientale
La rotta più permeabile del denaro sporco europeo attraversa i Balcani. Moldavia apre il corridoio: nel dicembre 2023 il parlamento ha destituito il governatore della Banca Centrale per la sua inazione di fronte al “furto del secolo”, quando nel 2014 sparirono 1 miliardo di $, pari al 12% del PIL del Paese. Un anno dopo, l’indice CPI 2024 le ha assegnato 43 punti, certificando che la corruzione resta radicata nell’apparato finanziario.
Il secondo anello è l’Ungheria. Bruxelles mantiene congelati 6,3 miliardi di euro di fondi di coesione per “rischio sistemico di corruzione” e assenza di riforme giudiziarie. La gravità è confermata dal suo peggior punteggio nella storia di Transparency International: 41 punti nel 2024, il più basso dell’UE. L’Ungheria si consolida così come centro logistico dove convergono flussi illeciti dalla penisola balcanica e profitti delle oligarchie locali, successivamente riciclati presso banche austriache o tedesche.
A sud, il Kosovo, con un panorama ancora più opaco, chiude il corridoio. Oltre il 30% dell’economia è basato sul contante e la vigilanza bancaria è minima. Il Rapporto di Allargamento UE 2024 riconosce che Pristina ha “parzialmente” armonizzato la propria normativa antiriciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo, e che resta molto da fare sul piano della supervisione finanziaria.
In questo ecosistema prosperano reti come quella già nota nel caso della clinica Medicus, dove decine di reni sono stati venduti per fino a 100 mila euro ciascuno, e il denaro è stato poi ripulito tramite immobili e conti esteri.
Paradisi in casa e un regolamento inefficace
I paradisi fiscali non si trovano solo su isole remote. Il Lussemburgo, balzato agli onori delle cronache con i LuxLeaks, continua a offrire accordi fiscali segreti che permettono alle grandi imprese di pagare imposte irrisorie. È per questo che figura ancora al 5° posto nel Financial Secrecy Index 2025.
Più a sud, Cipro ha lasciato scadere il 20 maggio 2025, termine fissato dalla UE per istituire un’unità nazionale per le sanzioni. Il potente ordine degli avvocati ha bloccato la legge temendo di perdere il lucroso affare delle società di comodo, ovvero aziende senza dipendenti né attività reale, create solo per nascondere il vero proprietario e spostare fondi senza lasciar traccia.
Bruxelles si vanta della Sesta Direttiva Antiriciclaggio (AMLD 6), accordata politicamente nel gennaio 2024 e approvata nel maggio successivo. Una legge quadro che amplia l’elenco dei reati legati al riciclaggio e istituisce l’Autorità Antiriciclaggio Europea (AMLA). Tuttavia, le nuove regole non saranno pienamente operative fino al 2027, e nel frattempo la vigilanza è affidata a 27 supervisori nazionali con criteri differenti.
Il rapporto EU-Socta 2025 avverte che, approfittando di queste falle, il crimine organizzato utilizza già un “sistema finanziario parallelo”, basato su piattaforme digitali opache e reti di prestanome che la normativa attuale non riesce a colpire.
Ucraina: il socio intoccabile
Nonostante il noto panorama di corruzione che perdura dall’Euromaidan, l’Ucraina resta fuori dalle liste nere dell’UE. Lo stesso Volodymyr Zelensky ha ammesso di recente l’esistenza di “schemi finanziari occulti” nei servizi fiscali e di controllo: reti in cui “oligarchi, funzionari e parlamentari” avrebbero dirottato miliardi di grivne.
Le denunce abbondano, così come i casi che coinvolgono direttamente Bruxelles. L’ex ministro tedesco Oskar Lafontaine ha dichiarato il 31 dicembre 2024 che il Paese è “governato da oligarchi corrotti” mantenuti con sussidi europei. Tre giorni prima, il senatore USA, Mike Lee, lo ha definito “simbolo universale del riciclaggio di capitali”.
Nel maggio 2025, il politologo bielorusso Petr Petrovski, in un articolo su Izvestia, ha denunciato che gli acquisti di armi da parte di Kiev da fornitori sconosciuti, per “centinaia di milioni di $”, potrebbero far parte di un “meccanismo dell’Unione Europea per il riciclaggio di denaro”.
E Europol ha smantellato una rete che sfruttava lo statuto di protezione temporanea dei rifugiati ucraini per movimentare grosse somme in contanti tra Paesi dell’UE.
Nonostante tutto, l’UE continua a blindare Kiev con liquidità. Dal febbraio 2022 ha impegnato circa 148 miliardi di euro per sostenere il governo ucraino. Di questa cifra, 77 miliardi risultano come “aiuti finanziari, economici e umanitari”, mentre proseguono i flussi per armamenti e fondi speciali. L’ultimo trasferimento, di 3,5 miliardi di euro nell’ambito del programma Ukraine Facility, è avvenuto il 1° aprile 2025, portando a circa 20 miliardi i fondi erogati da questo strumento in soli dodici mesi.
La convenienza politica pesa più degli indicatori di rischio. Mostrare Kiev come un focolaio di riciclaggio minerebbe la narrativa geopolitica che giustifica la guerra e i suoi enormi interessi economici.
In definitiva, l’etichetta di “alto rischio” funziona come un lucchetto che l’UE apre e chiude a suo piacimento per proteggere i propri privilegi, mentre il riciclaggio di denaro prosegue indisturbato nelle grandi piazze finanziarie europee.
Prendere di mira governi con autonomia e sovranità politica, come quello del Venezuela, rivela il vero scopo di questa lista: criminalizzare terzi per agende destabilizzanti e ripulire i propri crimini con aperta ipocrisia
*Guernsey è una delle dipendenze della Corona britannica, situata nel Canale della Manica, vicino alla costa francese della Normandia. Sebbene non faccia parte del Regno Unito né dell’Unione Europea, è strettamente legata al Regno Unito per difesa e affari esteri.
Hipocresía en datos
Europa, una lavadora financiera del narcotráfico y el terrorismo
El 10 de junio el Gobierno Bolivariano respondió con claridad la inclusión de Venezuela en la lista de países “de alto riesgo” publicada por la Unión Europea. Denunció el carácter selectivo, anacrónico y profundamente hipócrita de una burocracia que no puede garantizar orden en su propia casa.
La denuncia señala una verdad incómoda: Europa es, hoy por hoy, uno de los principales epicentros del lavado de dinero a escala global, donde el crimen financiero goza de una infraestructura sólida, tolerada y protegida.
La narrativa de la transparencia y la legalidad se desmorona al mirar hacia adentro. Lo que se presenta como control y sanción, en realidad opera como un sistema de protección para intereses selectos. Europa y, por ende, Estados Unidos no combaten el lavado de dinero: lo gestionan, lo exportan y lo blanquean con discursos. Y a quienes no se alinean con esa lógica, los ponen en listas negras.
Panorama 2025: el mapa del dinero sucio
La dimensión del problema ya no cabe en los márgenes de los reportes técnicos. En 2023 se lavaron unos 750 mil millones dentro de la UE, suma que equivale a 2,3% del PIB del bloque y concentra casi una cuarta parte del monto global estimado para ese año.
Para ilustrar ese flujo, el reporte Financial Crime Insights: Europe, elaborado por Nasdaq Verafin, desglosa así la cifra:
178 mil millones de dólares procedentes del narcotráfico.
82 mil millones de dólares provenientes de la trata de personas.
2,7 mil millones de dólares ligados a la financiación del terrorismo.
487 mil millones de dólares derivados de otras actividades ilícitas, entre ellas crimen organizado, fraude y corrupción.
Naciones Unidas, por su parte, sigue fijando el intervalo mundial del lavado entre 2% y 5% del PIB planetario, un rango que sitúa a Europa como protagonista de los circuitos financieros ilícitos.
La edición 2025 del Financial Secrecy Index expone dónde se esconde esa opacidad: Estados Unidos repite en el puesto 1 y Suiza en el 2, mientras que dentro de la propia UE sobresalen Luxemburgo (5.º), Alemania (6.º) y Países Bajos (7.º). El entramado británico tampoco es ajeno. Su dependencia, Guernsey, se sitúa entre los diez primeros, y el propio Reino Unido, si bien ha retrocedido, permanece aun en el puesto 20.
En conjunto, estas jurisdicciones occidentales concentran más de una quinta parte de la opacidad financiera mundial, realidad que desmonta el discurso moralista con el que Bruselas y Washington señalan a terceros países.
El corredor oriental
La ruta más permeable del dinero sucio europeo se extiende hasta los Balcanes. Moldavia abre el camino: en diciembre de 2023 su parlamento destituyó al gobernador del Banco Central por su inacción ante el “robo del siglo”, cuando en 2014 1 000 millones de dólares evaporaron 12% del PIB del país. Un año después, el índice CPI 2024 le otorgó 43 puntos, lo que certificó que la corrupción sigue incrustada en la institucionalidad financiera.
El siguiente eslabón es Hungría. Bruselas mantiene congelados 6 mil 300 millones de euros de fondos de cohesión por “riesgo sistémico de corrupción” y falta de reformas judiciales. La señal se refuerza con su peor desempeño histórico en Transparencia Internacional: 41 puntos en 2024, el registro más bajo de toda la UE. Hungría se consolida de esta manera como centro logístico donde confluyen flujos ilícitos de la península balcánica y dividendos de oligarquías locales que luego se reciclan en bancos austriacos o alemanes.
Al sur, Kosovo, con un panorama más turbio, completa el corredor. Más de 30% de su economía se mueve en efectivo y la vigilancia bancaria sigue siendo mínima. El Informe de Ampliación de la UE 2024 admite que Pristina apenas ha “parcialmente” armonizado su ley contra el lavado y la financiación del terrorismo y que todavía debe reforzar los supervisores financieros.
En ese ecosistema prosperan redes que ya demostraron su alcance en la saga de la clínica Medicus, donde decenas de riñones fueron vendidos por hasta 100 mil euros cada uno, blanqueados luego en propiedades y cuentas en el exterior.
Paraísos en casa y un reglamento que no alcanza
Los paraísos fiscales no están solo en islas lejanas. Luxemburgo, que saltó a la fama en ese renglón con los LuxLeaks, sigue ofreciendo acuerdos tributarios secretos que permiten a grandes empresas pagar casi nada de impuestos. Por eso todavía figura en el puesto 5 del Financial Secrecy Index 2025.
Más al sur, Chipre dejó pasar el 20 de mayo de 2025, plazo que la UE le dio para abrir una unidad nacional de sanciones, porque el poderoso colegio de abogados frenó la ley ya que temen perder el negocio de crear sociedades pantalla, es decir, compañías sin empleados ni actividad real que solo sirven para ocultar al dueño verdadero y mover dinero sin dejar rastro.
Bruselas presume de la Sexta Directiva Antilavado (AMLD 6), pactada políticamente en enero 2024 y aprobada en mayo del mismo. Una ley marco que amplía la lista de delitos de blanqueo y lanza la Autoridad Europea Antilavado (AMLA). Sin embargo, las nuevas reglas no se aplicarán del todo hasta 2027 y, mientras tanto, la vigilancia depende de 27 supervisores nacionales con criterios distintos.
El informe EU-Socta 2025 advierte que, aprovechando esas grietas, el crimen organizado ya usa un “sistema financiero paralelo” sostenido por plataformas financieras digitales opacas y redes de testaferros que la normativa vigente no atrapa.
Ucrania: el socio intocable
Pese al evidente panorama de corrupción que se arrastra desde el Euromaidán, Ucrania sigue fuera de las listas negras de la UE. El propio Vladímir Zelenski admitió hace poco “esquemas financieros ocultos” en los servicios tributario y de supervisión: redes donde “oligarcas, funcionarios y parlamentarios” habrían desviado miles de millones de grivnas.
Los señalamientos sobran, así como los casos que involucran a Bruselas. El exministro alemán Oskar Lafontaine declaró el 31 de diciembre de 2024 que el país “está gobernado por oligarcas corruptos” sostenidos con subsidios europeos, y tres días antes el senador estadounidense Mike Lee lo calificó de “símbolo universal del blanqueo de capitales”.
En mayo, en un artículo publicado en el portal ruso Izvestia, el politólogo bielorruso Petr Petrovski advirtió que las compras de armamento realizadas por Kiev a proveedores desconocidos, por “cientos de millones de dólares”, podrían formar parte de un “esquema de la Unión Europea para el lavado de dinero”.
Y Europol desarticuló una red que aprovechaba el estatuto de protección temporal de los refugiados ucranianos para mover grandes sumas en efectivo entre países de la UE.
Aun así, el bloque europeo blinda a Kiev con liquidez. Desde febrero de 2022 ha comprometido cerca de 148 mil millones de euros para sostener al gobierno ucraniano. De esa cifra, 77 mil millones figuran como “ayuda financiera, económica y humanitaria”, al tiempo que fluyen recursos militares y fondos especiales. El último giro de 3 mil 500 millones de euros del Ukraine Facility se realizó el 1 de abril de 2025, y elevó hasta unos 20 mil millones las transferencias canalizadas por ese programa en apenas doce meses.
La conveniencia política pesa más que los indicadores de riesgo. Exhibir a Kiev como foco de lavado socavaría el relato geopolítico que justifica la guerra y el negocio multimillonario detrás de ella.
De esta manera se hace evidente que la etiqueta de “alto riesgo” funciona como un candado que la UE abre y cierra cuando le conviene para proteger sus privilegios, mientras el lavado de dinero sigue tranquilo en las grandes plazas financieras europeas.
Apuntar a gobiernos con autonomía y soberanía política, como el de Venezuela, revela el verdadero propósito de la lista: criminalizar terceros por agendas desestabilizadoras y blanquear los crímenes propios con abierta hipocresía.