Ernesto Guevara de la Serna nacque a Rosario il 14 giugno 1928, primogenito dei cinque figli (tre maschi e due femmine) di Ernesto Rafael Guevara Lynch e di Celia de la Serna.
«Saremo come il Che» deve essere assunto per impegno, per ispirazione, per convinzione, se davvero vogliamo dare contenuto all’esortazione di raggiungere la sua altezza.
Qual è il mistero che avvolge il comandante Ernesto Che Guevara, presente ovunque? Basta solo menzionare il suo nome perché gli anziani si contendano il privilegio di aver conosciuto uno dei più grandi uomini della storia americana, mentre i più giovani parlano del Che con il sano orgoglio di appartenere a qualcosa di straordinario.
Questo rapporto, e l’esempio che emana dalla sua figura, è ciò che motiva ogni anno l’arrivo a Santa Clara di migliaia di persone che vengono da ogni parte per recarsi al Complesso Scultoreo dove sono custoditi i suoi resti e quelli dei suoi compagni della guerriglia boliviana, per rendere loro il tributo che meritano.
Nicolás Guillén, con la meravigliosa luce della sua poesia, scrisse, di fronte alla certezza della morte del Che in terra boliviana, quei versi sconvolgenti in cui diceva: «Non perché sei caduto / la tua luce è meno alta. / Non perché sei silenzioso sei silenzio/ e non perché ti bruciano, / perché ti nascondono sotto terra, / perché ti nascondono / nei cimiteri, nei boschi, nelle lande, / impediranno che ti troviamo, / Che Comandante, / amico. / Sei ovunque, / vivo, come non ti volevano».
Dopo la sua morte, il 9 ottobre 1967, nacque un mito. Il suo ritratto fu sventolato dai manifestanti a Parigi e a Berlino, a Roma o a Rio de Janeiro. Il suo volto, leggermente malinconico, decorava innumerevoli stanze di studenti. Divenne, per un’intera generazione, il simbolo del guerrigliero costruttore di una nuova società; e il suo famoso slogan: «Creare, due, tre, molti Vietnam» fu una sorta di credo per milioni di persone in tutto il mondo.
Colui che si definiva un Don Chisciotte che sentiva di nuovo sotto i talloni la groppa di Ronzinante e tornava sulla strada con lo scudo al braccio, trovò nell’azione trasformatrice della Rivoluzione il senso essenziale della sua esistenza e, per questa causa, definì che essere rivoluzionario significava raggiungere il gradino più alto della specie umana.
Nella sua figura si riassumevano molti dei valori migliori del genere umano. In lui spiccavano l’ammirazione, la sintonia e la lealtà verso Fidel, che giustamente definì il Guerrigliero dell’America «il più straordinario dei nostri compagni di rivoluzione».
Per questo motivo, e perché lo conosceva meglio di chiunque altro, il Comandante in Capo non esitò ad affermare che «il Che ha continuato a combattere e a vincere più battaglie che mai, e il suo volto diverso, ma ugualmente luminoso, è diventato una bandiera di lotta; e le sue idee sono diventate slogan, convinzioni e inni per gridare aspirazioni o cantare sogni e realtà».
Ricordando allora l’impresa, l’attuale Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito e Presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel Bermúdez, ha dichiarato: «L’epopea scritta dal comandante Ernesto Guevara e dal suo piccolo ma agguerrito esercito negli 11 mesi di campagna in Bolivia commuove ancora oggi gli uomini e le donne sensibili di tutto il mondo. Senza arrendersi, dopo un’eroica resistenza, ferito e con l’arma inutilizzabile, fu catturato. Uccidendolo, i suoi aguzzini non si fermarono davanti alla dignità e al decoro della sua stirpe rivoluzionaria; ma della codardia di quegli assassini la storia ricorda solo questo; invece, l’esempio colossale del Che perdura e si moltiplica ogni giorno».
La sua semplicità, sincerità, cameratismo, la sua temeraria disponibilità a svolgere sempre i compiti più difficili, il suo prestigio come capo e artista della guerra rivoluzionaria e la sua disponibilità a lottare fino alla vittoria o alla morte per la libertà dei popoli, hanno reso Guevara un punto di riferimento universale.
Nonostante le campagne diffamatorie e gli sforzi per cancellare il suo esempio dalla mente di milioni di persone nel mondo, il Che non è morto come volevano i suoi assassini. La sua figura si ingrandisce nel tempo quando nuove generazioni di cubani, crescendo sotto il suo segno e quello della sua eredità, lo assumono come paradigma.
Quanto aveva ragione Fidel quel 17 ottobre 1997, quando, ricevendolo a Santa Clara, disse: «Vedo il Che e i suoi uomini come un rinforzo, come un distaccamento di combattenti invincibili, che questa volta include non solo cubani, ma anche latinoamericani che vengono a combattere insieme a noi e a scrivere nuove pagine di storia e di gloria».
COSA HA DA DIRCI IL CHE?
Non è un segreto che Cuba stia vivendo oggi uno dei momenti più importanti della sua storia. Alla crisi globale generata dalla pandemia si è aggiunta l’intensificazione di una politica di soffocamento che mira a piegare un popolo che, nonostante le carenze di ogni tipo, non si oppone alla perdita della propria sovranità e indipendenza.
È in questo contesto che riemerge con forza la figura del Che. Di fronte alla dura realtà, in cui molti valori sono stati infranti, ci si potrebbe chiedere: cosa farebbe il Che in questi momenti di complessità ideologica? Cosa penserebbe dell’uomo nuovo che ha assunto nella sua persona e nelle sue azioni?
Nella lettera indirizzata a Carlos Quijano, pubblicata sul settimanale Marcha di Montevideo il 12 marzo 1965, poi nota come Il socialismo e l’uomo a Cuba, l’eroe della battaglia di Santa Clara diceva: «Il socialismo è giovane e ha dei difetti. Noi rivoluzionari spesso non abbiamo le conoscenze e l’audacia intellettuale necessarie per affrontare il compito di sviluppare un uomo nuovo con metodi diversi da quelli convenzionali, e i metodi convenzionali risentono dell’influenza della società che li ha creati».
Quanta verità e attualità in questa idea! Come aveva già avvertito Fidel nel gennaio 1959, d’ora in poi tutto sarebbe stato più difficile, come certamente è avvenuto. Ma, in mezzo a tante avversità, emerge ancora una volta la figura immacolata del Che per irradiare ottimismo e fede nella vittoria, per avvertire che « all’imperialismo non si può concedere nemmeno un briciolo», e per confermarci che le formule per il trionfo sono e saranno sempre l’unità e la difesa delle idee, l’esemplarità di chi guida, oltre alla morale e alla decisione di dare tutto per il bene della Patria.
Come leader e come ministro, il Che fu capace di applicare nuovi metodi di direzione, di coinvolgere i suoi subordinati con il suo esempio e con un rigoroso sistema di controllo e disciplina. Ai giovani chiese freschezza, dinamismo, audacia, coraggio, e li chiamò ad essere all’avanguardia in tutti i processi; un’idea che oggi è più attuale che mai.
Nella figura e nell’ideologia dell’eroico guerrigliero ci sono molte chiavi per comprendere il modo di affrontare le molteplici sfide di oggi.
Se vogliamo davvero essere come il Che, dobbiamo rivolgerci a lui ogni volta che c’è un pericolo o si deve prendere una decisione difficile; nei momenti di esitazione di fronte a un compito o quando vogliamo chiarire nella nostra coscienza cosa significa essere all’altezza del popolo.
L’uomo che non ha lasciato nulla di materiale ai suoi figli e alla sua donna, che ha rifiutato privilegi e adulazioni, che è stato il primo nei lavori volontari e in tutti i momenti di pericolo che il Paese ha vissuto, come fedele discepolo di Fidel, ci avverte in ogni momento che essere rivoluzionari è una condizione che si conquista con l’esemplarità di ogni giorno.
Ciò che non dobbiamo mai permettere è che quella frase, con cui siamo stati educati fin da bambini, diventi uno slogan vuoto, una semplice ripetizione di parole. «Saremo come il Che» deve essere assunto come impegno, come ispirazione, come convinzione, se davvero vogliamo dare contenuto all’esortazione di essere all’altezza di lui.
Fare nostro il suo esempio è anche un giuramento a non arrenderci mai di fronte alle avversità. Nel lavoro quotidiano c’è la possibilità di scrivere la nostra storia, che è la stessa cosa che essere all’altezza di lui.
Fonte: Granma
Traduzione: italiacuba.it