Sì, per diverse ragioni
In un clima di crescente polarizzazione politica e sociale in Colombia, il presidente venezuelano Nicolás Maduro ha denunciato un complotto internazionale volto a rovesciare il governo del presidente colombiano Gustavo Petro.
Secondo Maduro, settori della destra colombiana, guidati dagli ex presidenti Álvaro Uribe e Iván Duque, sarebbero alleati con attori USA, come il segretario di Stato Marco Rubio. L’obiettivo sarebbe creare condizioni di ingovernabilità che impediscano l’attuazione delle riforme sociali ed economiche proposte da Petro.
In tal senso, il capo dello Stato venezuelano ha incaricato il nuovo governatore dello stato di Zulia, Luis Caldera, di “assumersi anche il compito dell’integrazione per costruire la pace insieme al popolo fratello colombiano”, come complemento alle attività di sviluppo economico, sociale e infrastrutturale nella regione.
Questo contesto di crisi in Colombia non è nuovo nella storia recente dell’America Latina, dove i governi progressisti hanno dovuto affrontare continue destabilizzazioni da parte di settori imprenditoriali, militari e dei media, così come da potenti gruppi transnazionali.
In questo caso, il Venezuela ha indicato pubblicamente Marco Rubio come uno dei capi di questa campagna di sabotaggio contro il governo di Petro, che rappresenta un’alternativa ai modelli neoliberisti tradizionali in Colombia.
La battaglia: riforme, blocco istituzionale, mobilitazioni e consultazione
Dalla sua elezione nel 2022, Gustavo Petro ha dovuto affrontare ostacoli strutturali per attuare le principali riforme, promesse politiche, economiche e sociali che lo hanno portato ad essere eletto presidente.
Il Congresso colombiano, storicamente dominato da partiti di destra e dall’élite tradizionali, ha bloccato sistematicamente progetti chiave come la riforma del lavoro, la riforma della sanità pubblica e la ristrutturazione del sistema pensionistico.
A questo blocco parlamentare si è aggiunto quello giudiziario: le alte corti hanno annullato o sospeso iniziative dell’Esecutivo anche prima della loro entrata in vigore.
Di fronte a tali ostacoli, Petro ha fatto ricorso alla Consultazione Popolare, uno strumento costituzionale che consente al presidente di sottoporre alcune riforme al giudizio dei cittadini quando il Parlamento si rifiuta di legiferare. La consultazione punta a ottenere l’approvazione popolare su tre grandi riforme:
-Lavorativa: riduzione dell’orario settimanale da 48 a 42 ore e rafforzamento dei diritti sindacali.
-Sanitaria: eliminazione delle EPS (Entità Prestatrici di Servizi) private per dare priorità a un sistema pubblico e universale.
-Pensionistica: ampliamento della copertura per i lavoratori informali.
La convocazione è stata criticata dai settori dell’opposizione, che accusano Petro di gestire un “governo plebiscitario” che minaccia l’equilibrio tra i poteri. Petro, tuttavia, la difende come uno strumento legittimo per rompere lo stallo politico causato da un’élite che antepone gli interessi corporativi ai diritti sociali.
Il presidente ha convocato manifestazioni in difesa sia delle riforme che della consultazione. Anche le centrali sindacali, favorevoli ai cambi, hanno indetto uno sciopero generale a fine maggio, in un contesto segnato da disinformazione e polemiche alimentate dai media tradizionali.
In gioco c’è molto più di una semplice contesa legislativa: si tratta dello scontro tra due modelli di Paese. Da un lato, il governo Petro punta a un’economia più regolamentata, alla redistribuzione della ricchezza e a uno Stato più presente nella vita dei cittadini. Dall’altro, l’oligarchia e il settore imprenditoriale, sostenuti da circuiti finanziari internazionali, vogliono mantenere lo statu quo che garantisce privilegi e accesso alle risorse strategiche, senza dar importanza al costo sociale.
Disuguaglianza ovunque e per tutti
La Colombia è uno dei Paesi più diseguali al mondo. Secondo dati del DANE e di organizzazioni indipendenti, il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il 12% in povertà estrema. Questo contesto è cruciale al fine di comprendere perché Petro propone una profonda trasformazione del modello economico e sociale.
In Colombia la giornata lavorativa media supera le 48 ore settimanali, ben oltre lo standard internazionale. Inoltre, circa il 60% dei lavoratori è impiegato nel settore informale, senza protezione sindacale né benefici sociali. Le società multinazionali, spesso legate all’estrattivismo e alla monocoltura agroindustriale, beneficiano di questa precarietà per massimizzare i profitti sfruttando manodopera a basso costo e senza tutele.
Il sistema sanitario pubblico, da parte sua, presenta gravi falle strutturali. Le EPS private funzionano secondo una logica di mercato che antepone il profitto alla cura dei pazienti. Casi di corruzione, cattiva gestione ed esclusione dei pazienti cronici sono stati denunciati a livello nazionale e internazionale. Recenti inchieste hanno rivelato contratti irregolari, occultamento di fondi e manipolazione dei dati in diverse EPS poste sotto controllo dalla Superintendencia Nacional de Salud.
Tali disfunzioni non sono solo il frutto di cattiva amministrazione, ma anche di una privatizzazione forzata al servizio di interessi transnazionali. Case farmaceutiche, compagnie assicurative e gruppi minerari hanno un peso notevole nell’attuale configurazione del sistema. Riformarlo significa colpire potenti interessi economici che non tutelano il bene comune, ma perpetuano un modello di estrazione di rendite a scapito della classe lavoratrice e dei settori popolari.
Un conflitto interno che è anche una minaccia
Petro ha denunciato più volte di aver ricevuto minacce di morte da parte dell’estrema destra e di gruppi paramilitari. In una recente intervista ha dichiarato di essere sopravvissuto a 17 tentativi di attentato dall’inizio del suo mandato. Queste affermazioni, sebbene controverse, riflettono un reale clima di insicurezza attorno al suo governo progressista.
Ha inoltre accusato pubblicamente Álvaro Uribe e la sua rete politica di orchestrare campagne di discredito, processi giudiziari selettivi e persino terrorismo psicologico contro il suo esecutivo. Sebbene Uribe abbia governato tra il 2010 e il 2018, il suo partito ha ancora peso in Parlamento e nei media, da dove si promuove una narrativa che criminalizza le riforme.
In diverse dichiarazione Petro ha affermato che il sistema giudiziario colombiano è stato politicizzato e usato come arma contro le riforme democratiche. Le sentenze della Corte Costituzionale e della Procura Generale sono state usate per bloccare progressi in materia di giustizia sociale, ambiente e diritti del lavoro, dimostrando l’uso strumentale delle istituzioni statali da parte di gruppi di potere che si oppongono al cambio.
Non è una novità che in Colombia la conflittualità politica sfoci in manovre legali a favore dell’oligarchia, ma anche in assassinii politici, massacri e sterminio di interi settori politici. Il recente attentato al precandidato uribista Miguel Uribe Turbay e i 16 attacchi armati da parte di gruppi illegali, in un solo giorno, hanno ulteriormente avvelenato il clima, già teso per i tre attentati subiti dalla vicepresidente Francia Márquez e dalla sua famiglia negli ultimi anni.
Settori corporativi che controllano l’economia finanziaria e le materie prime hanno sempre tratto vantaggio dalla violenza politica. Quando non possono contare sulle istituzioni statali per ottenere il potere, lo impongono con la forza bruta.
La minaccia è anche regionale
La crisi politica colombiana non può essere analizzata come un caso isolato. Ha implicazioni regionali evidenti, soprattutto per il Venezuela. I settori uribisti hanno partecipato apertamente a strategie di cambio di regime contro il governo venezuelano, negando il riconoscimento diplomatico e promuovendo azioni coperte come l’Operazione Gedeón, che attentano alla sovranità del Venezuela
Per il Venezuela è chiaro il pericolo rappresentato da un ritorno dell’estrema destra al potere in Colombia. Caracas ha espresso solidarietà a Petro e ha invitato le organizzazioni internazionali a intervenire. Si teme che i conflitti interni colombiani possano estendersi se non ci sia una forte risposta continentale alle cospirazione esterne.
Il vicepresidente settoriale dell’Interno, Giustizia e Pace, Diosdado Cabello, ha affermato che “la pace della Colombia, come quella del Venezuela, garantisce la stabilità della Patria Grande”. Il presidente dell’Assemblea Nazionale, Jorge Rodríguez, ha ribadito che la giustizia colombiana “deve incriminare Iván Duque e Álvaro Uribe per il loro coinvolgimento diretto nell’addestramento di paramilitari e mercenari per attaccare il Venezuela, così come per i piani di attentato contro dirigenti del Paese”.
La preoccupazione di Caracas nasce, in parte, dal timore che qualsiasi rottura istituzionale o crisi prolungata in Colombia possa avere ripercussioni dirette sul Venezuela, soprattutto in termini di sicurezza, migrazione e di sicurezza.
L’obiettivo reale di queste manovre sarebbe ristabilire un regime funzionale al mantenimento dell’influenza USA nella regione, rallentando i processi di integrazione latinoamericana sostenuti da Petro, come la riapertura diplomatica con il Venezuela e altri paesi non allineati con Washington.
Petro ha cercato di costruire un ponte diplomatico con Caracas, impensabile durante decenni di governi uribisti. Colombia e Venezuela hanno iniziato a coordinare piani di sicurezza della frontiera comune, specialmente per combattere l’azione di gruppi armati illegali che operano nelle zone frontaliere finanziati da attori esterni e protetti da reti politiche locali.
Tuttavia, questa cooperazione è stata stigmatizzata ideologicamente da Washington, che preferisce mantenere la Colombia come megabase militare sudamericana e come baluardo contro i governi progressisti del continente. Di qui la reazione sproporzionata di Rubio contro Petro dopo l’attentato a Turbay. Ecco perché la tensione tra Bogotá e Caracas è attentamente monitorata da vicino dagli USA, che temono di perdere influenza sulla regione. Ciò spiega la reazione sproporzionata di Rubio contro Petro dopo l’attentato a Turbay.
La lotta è per avere voce
Lo scontro in Colombia non è solo tra Petro e l’opposizione politica; è una battaglia per il senso e il futuro di un Paese segnato da ferite profonde. Si tratta delle aspirazioni popolari contrapposte a una coalizione di interessi oligarchici, imprenditoriali e transnazionali che cercano di contenere ogni cambiamento con processi giudiziari, campagne mediatiche e minacce fisiche.
Il sostegno di Maduro riflette una realtà geopolitica: i processi di cambiamento in America Latina non possono svilupparsi in modo isolato, poiché l’élite agiscono in modo coordinato con il sostegno di Washington attraverso attori politici che esse stesse formano e finanziano.
Sí, por diversas razones
¿EE.UU. y la oligarquía colombiana quieren derrocar a Petro?
Eder Peña
En medio de una creciente polarización política y social en Colombia el presidente venezolano, Nicolás Maduro, denunció un complot internacional para derrocar el gobierno del primer mandatario de Colombia, Gustavo Petro.
Según Maduro, sectores de la derecha colombiana encabezados por los expresidentes Álvaro Uribe e Iván Duque estarían en alianza con actores de Washington, como el secretario de Estado Marco Rubio. El objetivo sería generar condiciones de ingobernabilidad que impidan avanzar en las reformas sociales y económicas propuestas por Petro.
En este sentido, el jefe del Estado venezolano orientó al nuevo gobernador del Zulia, Luis Caldera, a “asumir también las tareas de la integración para construir la paz junto al hermano pueblo colombiano” como complemento de las tareas de desarrollo económico, social y de infraestructura en la entidad regional.
Este contexto de crisis en Colombia no es nuevo en la historia reciente de América Latina, donde gobiernos progresistas han enfrentado la desestabilización constante desde sectores empresariales, militares y medios de comunicación influyentes, así como desde poderosos grupos transnacionales.
En este caso, Venezuela ha señalado públicamente a Marco Rubio como uno de los líderes de esta campaña de sabotaje contra el gobierno de Petro, quien representa una alternativa a los modelos neoliberales tradicionales en Colombia.
La batalla: reformas, bloqueo institucional, movilizaciones y consulta
Desde su llegada al poder en 2022 Gustavo Petro ha enfrentado obstáculos estructurales para implementar sus principales reformas, promesas políticas, económicas y sociales que lo llevaron a ser elegido presidente.
El Congreso colombiano, históricamente dominado por partidos de derecha y élites tradicionales, ha bloqueado sistemáticamente proyectos claves como la reforma laboral, la reforma a la salud pública y la reestructuración del sistema pensional.
Esta resistencia parlamentaria se suma a la judicial, donde altas cortes han anulado o suspendido iniciativas presentadas por el Ejecutivo, incluso antes de su entrada en vigor.
Ante estos obstáculos Petro recurrió a la Consulta Popular, un mecanismo constitucional que permite al presidente someter ciertas reformas a la opinión ciudadana cuando el Legislativo se niega a tramitarlas. La consulta busca avalar tres grandes reformas:
Laboral. Reducción de la jornada laboral (de 48 a 42 horas semanales) y fortalecimiento de derechos sindicales.
Sanitaria. Eliminación de las EPS privadas para priorizar un sistema público universal.
Pensional. Ampliación de cobertura para trabajadores informales.
La convocatoria ha sido criticada por sectores de la oposición, quienes acusan su gestión de “gobierno plebiscitario” que amenaza el equilibrio entre poderes. Sin embargo, Petro la defiende como una herramienta legítima para romper el estancamiento político generado por una élite que prioriza los intereses corporativos sobre los derechos sociales.
El mandatario colombiano ha convocado movilizaciones para defender tanto las reformas como la consulta popular. Además, las centrales obreras, que apoyan los cambios, convocaron una huelga general a finales de mayo pasado en medio de la desinformación y la controversia creada por medios tradicionales.
Lo que está en juego es más que una disputa normativa: es un choque entre dos modelos de país. Por un lado, el gobierno de Petro apuesta por una economía más regulada, una redistribución de la riqueza y un Estado más presente en la vida de los ciudadanos. Por otro, la oligarquía y el sector empresarial, respaldados por ciertos circuitos financieros internacionales, buscan mantener un statu quo que les garantice privilegios y acceso a recursos estratégicos, sin importar el costo social.
La desigualdad en todo y todos
Colombia es uno de los países más desiguales del mundo. Según datos del DANE y estudios de organizaciones independientes, 40% de la población vive bajo la línea de pobreza, mientras que 12% sobrevive en condiciones de pobreza extrema. Este contexto es crucial para entender por qué Petro propone una transformación profunda del modelo económico y social.
La jornada laboral promedio en Colombia supera las 48 horas semanales, muy por encima del estándar internacional. Además, cerca de 60% de los trabajadores está en empleos informales, sin protección sindical ni prestaciones sociales. Las empresas multinacionales, muchas veces vinculadas con el extractivismo y con el monocultivo agroindustrial, se benefician de esta precarización ya que pueden maximizar ganancias explotando fuerza laboral barata y sin regulación efectiva.
El sistema de salud público, por su parte, muestra grietas estructurales. Las EPS privadas operan bajo un esquema mercantilizado que prioriza el lucro sobre la atención médica. Casos de corrupción, mala gestión y exclusión de pacientes crónicos han llevado a múltiples denuncias nacionales e internacionales. Recientemente, investigaciones revelaron contratos irregulares, ocultamiento de fondos y manipulación de datos en varias EPS intervenidas por la Superintendencia Nacional de Salud.
Estas fallas no solo son resultado de la mala administración sino también de una privatización forzada que responde a intereses transnacionales. Empresas farmacéuticas, aseguradoras y conglomerados mineros tienen un peso importante en la configuración actual del sistema. Reformarlo implica tocar intereses económicos poderosos que, lejos de defender el bienestar colectivo, buscan perpetuar un esquema de extracción de rentas a costa de la clase trabajadora y de los sectores populares.
Un conflicto interno que también es amenaza
Petro ha denunciado en múltiples ocasiones haber recibido amenazas de muerte por parte de actores de la ultraderecha y grupos paramilitares. En una reciente entrevista afirmó haber sobrevivido a 17 intentos de magnicidio desde el inicio de su mandato. Estas declaraciones, aunque polémicas, reflejan un clima de inseguridad real que rodea al gobierno progresista.
Además, ha acusado públicamente a Álvaro Uribe y a su red de aliados políticos de orquestar campañas de descrédito, judicialización selectiva y hasta de terrorismo psicológico contra su gobierno. Aunque Uribe fue presidente entre 2010 y 2018, su partido sigue teniendo peso en el Congreso y en los medios de comunicación, desde donde se impulsa una narrativa que criminaliza las reformas.
En múltiples declaraciones ha señalado que el sistema judicial colombiano ha sido politizado y utilizado como un arma contra las reformas democráticas. Los fallos de la Corte Constitucional y la Procuraduría General han sido utilizados para frenar avances en materia de justicia social, ambiente y derechos laborales, lo que evidencia una instrumentalización del aparato estatal en manos de grupos de poder opuestos al cambio.
No es nuevo que en Colombia la conflictividad política derive en maniobras legales a favor de sectores oligárquicos, pero también en magnicidios, masacres y exterminio de sectores políticos. El reciente atentado al precandidato uribista Miguel Uribe Turbay y los 16 actos terroristas de grupos ilegales armados en un día enrarecen aun más la atmósfera política, que ya lo estaba con los tres atentados a la vicepresidenta Francia Márquez y su familia en los últimos años.
Sectores corporativos que controlan la economía financiera y los commodities siempre han tomado ventaja a partir de la violencia política. Cuando no cuentan con la institucionalidad del Estado para hacerse del poder, la ejecutan a mansalva con el mismo propósito.
la amenaza también es regional
Por otra parte, la crisis política en Colombia no puede ser analizada como si fuera un caso aislado. Sus implicaciones regionales son claras, especialmente en relación con Venezuela. Sectores uribistas han participado de forma evidente en estrategias de cambio de régimen contra el gobierno venezolano, negando reconocimiento diplomático y fomentando acciones encubiertas como la Operación Gedeón, que atentan contra la soberanía venezolana.
Para Venezuela es claro el peligro que supone que Colombia sea gobernada por la extrema derecha, por lo que ha expresado su solidaridad con Petro y ha llamado a los organismos internacionales a tomar cartas en el asunto. Se ha sugerido que los conflictos internos podrían desbordarse si no hay una respuesta continental firme frente a las conspiraciones externas.
El vicepresidente sectorial de Interior, Justicia y Paz, Diosdado Cabello, afirmó que “la paz de Colombia, así como la de Venezuela, garantiza la estabilidad de la Patria Grande”. Entretanto, el presidente de la Asamblea Nacional (AN), Jorge Rodríguez, ha insistido en que la justicia colombiana “tiene que imputar a Iván Duque y a Álvaro Uribe por su vinculación directa en entrenamientos de paramilitares y mercenarios para atacar Venezuela, así como por los planes de magnicidio contra dirigentes del país”.
La preocupación desde Caracas se debe, en parte, a que cualquier ruptura institucional o crisis prolongada en Colombia podría afectar directamente Venezuela, especialmente en temas fronterizos, migratorios y de seguridad.
El objetivo real detrás de estas maniobras sería restablecer un régimen que permita mantener la influencia estadounidense sobre la región, lo cual frenaría los procesos de integración latinoamericana que Petro ha apoyado, incluida su reapertura diplomática con Venezuela y otros países no alineados con Washington.
Petro ha tratado de construir un puente diplomático con Venezuela, algo impensable durante décadas de gobiernos uribistas. Colombia y Venezuela han comenzado a coordinar planes de seguridad en la frontera común, especialmente para combatir la acción de grupos ilegales que operan en las zonas fronterizas financiados por actores externos y protegidos por redes políticas locales.
Sin embargo, esta cooperación ha sido estigmatizada ideológicamente desde Washington, que prefiere mantener a Colombia como su megabase militar en Sudamérica y como un baluarte contra los gobiernos progresistas del continente. De ahí que la tensión entre Bogotá y Caracas sea monitoreada de cerca por Estados Unidos, que teme perder influencia sobre la región. Esto explica la desmedida reacción de Rubio contra Petro luego del atentado a Turbay.
La pugna es por tener voz
La pugna en Colombia no es únicamente entre Petro y la oposición política; es una lucha por el horizonte de sentido de un país al que le sobran heridas. Se trata de aspiraciones populares enfrentadas con una coalición de intereses oligárquicos, empresariales y transnacionales que buscan contener los cambios profundos mediante la judicialización, la campaña mediática y la amenaza física.
Por su parte, el apoyo de Maduro refleja una realidad geopolítica: los procesos de cambio en América Latina no pueden realizarse aislados porque las élites, con el sostén de Washington, operan de manera articulada a través de los actores políticos que forman y financian.
La crisis incubada por Uribe y sus aliados es parte de una nueva oleada de intervencionismo disfrazado de “democracia” y “libertades”. Mientras tanto, el pueblo colombiano observa cómo se juegan batallas invisibles, pero decisivas, en tribunales, cámaras legislativas y salones cerrados en los que solo opinan los intereses corporativos.
Ese mismo pueblo también sale a las calles, marcha y se organiza para exigir que el voto popular prevalezca sobre los intereses minoritarios. La consulta popular, aunque todavía en debate, simboliza su lucha por levantar la voz por encima del ruido de las amenazas y las balas.