Da anni le potenze occidentali e la Casa Bianca lavorano per ridurre la percezione del pericolo rappresentato dalle armi atomiche e dai loro effetti, fino al punto di far credere – e credere loro stessi – di poter sopravvivere.
Una guerra di proporzioni incalcolabili è iniziata, con uno sfondo adornato da foto di politici baldanzosi, avidi di pose napoleoniche, accompagnate da discorsi altisonanti fondati sulla più crassa ignoranza.
Il bullismo da strada ha preso il posto dell’azione diplomatica; fino a poco tempo fa si poteva contare su politici e funzionari dotati, almeno, del più elementare istinto di sopravvivenza.
Si può affermare che i tamburi di questa nuova contesa hanno cominciato a rullare quando George H. W. Bush dichiarò, nel 1992, che «l’America ha vinto la Guerra Fredda», ignorando ciò che era stato concordato con Michail Gorbačëv: che lo scontro tra i due blocchi sarebbe terminato senza vincitori né vinti.
Gli USA puntarono sulla politica del “il vincitore prende tutto” e non solo violarono gli accordi – come quello di non estendere la NATO fino ai confini della Russia – ma si lanciarono, insieme all’Europa, come avvoltoi sulle ricchezze degli ex paesi socialisti.
La politica del “vincitore in terra occupata” svolse un ruolo fondamentale nella reazione nazionalista della Russia, un paese che non poteva accettare lo spoglio e l’umiliazione da parte di chi si supponeva fosse un alleato nella costruzione della “democrazia” e della “libertà”.
Con la caduta dell’URSS e la scomparsa del blocco socialista, l’egemonia mondiale USA raggiunse il suo apice: il furto a ‘mano armata’ delle risorse e il saccheggio delle ricchezze di paesi dipendenti segnarono gli anni successivi alla fine della Guerra Fredda.
Euforici, i paladini del capitalismo proclamarono la fine della storia, il trionfo totale dell’egoismo e della depredazione, ma l’aggressore si arenò nelle nuove guerre coloniali.
La lotta per i mercati e le divergenze nella concezione delle relazioni internazionali tra l’egemone e le nuove potenze emergenti portarono a una rottura dell’equilibrio mondiale, che oggi si manifesta nello scontro tra due blocchi sempre più definiti: uno guidato da Russia e Cina, e l’altro dagli USA.
Nel frattempo, il vecchio assioma della deterrenza attraverso la paura dell’annientamento ha lasciato il posto alla dottrina dell’eliminazione dei rivali. Washington e i suoi accoliti non vedono altra via per salvare il proprio dominio.
DOMANI FU LA GUERRA: LA FINE DELLA PAURA NUCLEARE
Così, in un mondo che sembra non comprendere bene ciò che sta accadendo, con una parte importante della sinistra divisa e ancorata a una sorta di limbo, con i suoi principali fondamenti teorici riposti in soffitta, lo scenario somiglia sempre di più a quello vissuto dall’umanità nei giorni che precedettero la I e II Guerra Mondiale.
Il piano sembra sempre più chiaro: distruggere, uno a uno, i rivali dell’egemonia USA, indebolire la Russia spingendola in una guerra contro il suo vicino riarmato e assistito dalla NATO: l’Ucraina.
Una volta che il gigante eurasiatico sarà sull’orlo del collasso, iniziare lo scontro con la Cina; ma prima è necessario eliminare tutti i suoi alleati attuali e potenziali. Qualsiasi di queste opzioni implica generare un caos globale.
Tuttavia, il piano per indebolire la Russia è fallito. I laboratori e i “centri studio” USA non sono più quelli di una volta, né hanno molta esperienza nel vincere guerre. Ora sono loro a trovarsi sull’orlo del baratro.
Dopo l’aggressione alla Siria, il passo successivo era occuparsi dell’Iran. Accusare la nazione persiana di fabbricare armi nucleari richiama alla mente l’accusa di armi di distruzione di massa con cui si giustificò l’invasione e l’occupazione dell’Iraq.
Questa volta, l’entità sionista fu incaricata di portare a termine la missione, ma nemmeno stavolta le cose sono andate come speravano: l’Iran non si è piegato. Allora è accaduto ciò che non sarebbe mai dovuto accadere: gli USA sono intervenuti direttamente nella guerra.
«È stato lanciato un intero arsenale di bombe sull’impianto principale, Fordow; nessun altro esercito al mondo sarebbe capace di fare una cosa simile», ha dichiarato euforico il presidente statunitense Donald Trump.
E ha ragione: solo loro possono essere tanto barbari e arroganti. Bombardare centrali nucleari può scatenare una catastrofe mondiale, ma nessuna considerazione razionale li ha fermati. Chi altro sarebbe tanto sprovveduto?
È quasi certo che l’Iran risponderà di conseguenza, attaccando le basi USA e l’impianto nucleare sionista di Dimona, senza dimenticare il blocco dello Stretto di Hormuz.
Da anni, le potenze occidentali e la Casa Bianca lavorano per ridurre la percezione del pericolo rappresentato dalle armi atomiche e dai loro effetti, fino al punto di far credere – e credere loro stessi – di poter sopravvivere.
«Usare armi nucleari non è uno strumento di deterrenza, è un suicidio globale», ha affermato il meteorologo Alan Robock, una delle figure più autorevoli nello studio degli effetti ambientali e climatici dell’uso di tali armi nel contesto attuale.
La guerra è cominciata, anche se l’opinione pubblica non ne è ancora consapevole. Non esiste più il “giardino del vicino”: adesso viviamo tutti nello stesso giardino, e con le armi nucleari non ci sono recinzioni.
Caos global: la nueva era de la confrontación sin límites
Desde hace años, las potencias occidentales y la Casa Blanca vienen trabajando en la disminución de la percepción del peligro de las armas atómicas y sus efectos, al punto de hacer creer, y creer ellos mismos, que pueden sobrevivir
Raúl Antonio Capote
Una guerra de proporciones inestimables comenzó, con un telón de fondo adornado por fotos de políticos retozones, ávidos de poses napoleónicas, acompañada por discursos altisonantes basados en la ignorancia más supina.
El matonismo barriotero ha reemplazado a las acciones diplomáticas; hasta hace poco, se podía contar con políticos y funcionarios dotados, al menos, del más elemental instinto de conservación.
Se puede afirmar que los redobles de esta nueva contienda comenzaron cuando George H. W. Bush declaró, en 1992, que «América ganó la Guerra Fría», ignorando lo acordado con Mijaíl Gorbachov, de que la confrontación entre los dos bloques finalizaría sin ganadores ni perdedores.
Estados Unidos apostó por la política del «ganador se lo lleva todo», y no solo incumplió los acuerdos, como el de no extender la OTAN hacia las fronteras de Rusia, sino que se lanzó, junto a Europa, como buitres sobre las riquezas de los antiguos países socialistas.
La política de «vencedores en tierra ocupada» desempeñó un papel importante en la reacción nacionalista de Rusia, un país que no podía admitir el despojo y la humillación de quienes se suponían aliados en la construcción de la «democracia» y la «libertad».
Con la caída de la URSS y la desaparición del bloque socialista, la hegemonía mundial estadounidense alcanzó su apogeo: el robo a «mano armada» de recursos y el saqueo de las riquezas de países dependientes marcaron los años posteriores al fin de la Guerra Fría.
Eufóricos, los adalides del capitalismo proclamaron el fin de la historia, el triunfo total del egoísmo y la depredación, pero el agresor se estancó en las nuevas guerras coloniales.
La lucha por los mercados y las diferencias en la concepción de las relaciones internacionales entre el hegemón y las nuevas potencias emergentes, dio lugar a una ruptura del equilibrio mundial, que se expresa en la confrontación entre dos bloques cada vez más definidos: uno encabezado por Rusia y China, y el otro por Estados Unidos.
En tanto, el viejo axioma de la persuasión mediante el miedo al aniquilamiento ha dado paso a la doctrina de la destrucción de los rivales. Washington y sus adláteres no ven otro camino para salvar su dominio.
MAÑANA FUE LA GUERRA: EL FIN DEL MIEDO NUCLEAR
Así, en un mundo que parece no comprender bien lo que ocurre, con una parte importante de la izquierda dividida y anclada en una especie de limbo, con sus principales fundamentos teóricos guardados en las alacenas, el escenario se parece cada vez más al que vivió la humanidad en los días previos a la primera y segunda guerras mundiales.
El plan parece cada vez más claro: destruir uno por uno a los rivales de la hegemonía estadounidense, debilitar a Rusia, enfrentándola a una guerra contra su vecino rearmado y asistido por la OTAN, Ucrania.
Una vez con el gigante euroasiático al borde del colapso, emprender la confrontación con China; sin embargo, primero es necesario destruir a todos sus aliados actuales y potenciales. Cualquiera de estas variables requiere generar el caos global.
No obstante, el plan de debilitar a Rusia fracasó. Los laboratorios y «tanques pensantes» estadounidenses ya no son los de antes, tampoco tienen mucha experiencia ganando guerras. Ahora son ellos quienes están al borde del abismo.
Ocuparse de Irán era el siguiente paso después de agredir a Siria. Culpar a la nación persa de fabricar armas nucleares recuerda aquella acusación de armas de exterminio masivo con la que justificaron la invasión y ocupación de Iraq.
Esta vez, la entidad sionista fue la encargada de cumplir la misión, pero tampoco las cosas salieron como deseaban: Irán no se arrodilló. Entonces ocurrió lo que no debió pasar: Estados Unidos intervino directamente en la guerra.
«Se lanzó un conjunto completo de bombas sobre la instalación principal, Fordow; no hay otro ejército en el mundo capaz de hacer esto», expresó eufórico el presidente estadounidense Donald Trump.
Y tiene razón: solo ellos pueden ser tan bárbaros y arrogantes. Bombardear centrales nucleares puede desencadenar una gran catástrofe mundial, pero no los detuvo ninguna razón. ¿Quién más sería tan torpe?
Es casi seguro que Irán responderá en consecuencia, con un ataque a las bases estadounidenses y a la instalación atómica sionista de Dimona, sin dejar de contar el bloqueo al Estrecho de Ormuz.
Desde hace años, las potencias occidentales y la Casa Blanca vienen trabajando en la disminución de la percepción del peligro de las armas atómicas y sus efectos, al punto de hacer creer –e incluso creer ellos mismos– que pueden sobrevivir.
«Usar armas nucleares no es una herramienta de disuasión, es un suicidio global», afirmó el meteorólogo Alan Robock, una de las figuras más prominentes en el estudio de los efectos ambientales y climáticos del uso de tales armas en el escenario actual.
La guerra ha comenzado, aunque la opinión pública aún no es consciente de ello. Ya no existe el «patio del vecino»: ahora todos convivimos en el mismo jardín, y con armas nucleares no hay cercas.