Machado e Rubio alla ricerca di un inasprimento dell’aggressione contro il Venezuela

Misión Verdad

Per il Venezuela in particolare, e per l’America Latina e i Caraibi in generale, uno dei fatti politici di maggiore rilevanza finora quest’anno non è stata tanto la presidenza di Donald Trump, quanto l’investitura di Marco Rubio a Segretario di Stato USA.

Questa nomina ha segnato un punto di svolta, non solo all’interno dell’amministrazione Trump, ma anche nella riattivazione dell’agenda interventista di Washington nella regione, che da allora ha ripreso vigore.

Con la sua ossessione per Venezuela, Cuba e Nicaragua, Rubio ha intensificato il discorso che cerca di presentare il governo venezuelano come una minaccia per la sicurezza regionale, qualcosa di non nuovo, ma che ora assume una piega più aggressiva.

Recentemente, gli sforzi per dipingere il governo venezuelano come un pericolo reale si sono amplificati con temi come il “Tren de Aragua”, la riedizione del “Cartello de los Soles” e le continue operazioni di falsa bandiera lungo le frontiere.

Questi eventi fanno parte di una strategia più ampia volta a generare tensioni interne ed esterne che possano giustificare un intervento, sia esso diplomatico, economico o addirittura militare.

Dalle accuse infondate alle operazioni coperte con l’appoggio di agenzie USA, l’agenda di destabilizzazione contro il Venezuela segue un copione già visto, simile a quello utilizzato in passato da Washington per giustificare altre invasioni, come in Iraq.

In questo modo, il Venezuela si trova nuovamente nel mirino, sotto una narrazione che cerca di creare il pretesto perfetto per un’aggressione sistematica.

1. L’enclave guyanese e la falsa bandiera

#L’incidente del fiume Cuyuní (18 febbraio). Nella regione dell’Esequibo venezuelano, il governo della Guyana ha denunciato un presunto attacco contro le proprie truppe sulle rive del fiume Cuyuní. Secondo Georgetown, sei soldati guyanesi sarebbero stati feriti da uomini armati “venezuelani”. Caracas ha smentito categoricamente l’accusa, definendola una “vile montatura” e affermando che si trattava di un’operazione di falsa bandiera. Il ministro degli Esteri venezuelano, Yván Gil, ha denunciato che questo episodio faceva parte di una strategia per giustificare la militarizzazione dell’area con il sostegno del Comando Sud degli USA. Il Venezuela ha ricordato che le violazioni del diritto internazionale da parte della Guyana sono ricorrenti, soprattutto nella disputa territoriale sull’Esequibo.

#Visita di Marco Rubio in Guyana (27 marzo). L’agenda aggressiva si è consolidata con la visita di Marco Rubio in Guyana, dove ha firmato un memorandum d’intesa con il presidente guyanese Irfaan Ali. L’accordo, centrato sulla cooperazione in materia di sicurezza, è stato percepito nei fatti come un meccanismo per rafforzare la presenza militare USA in Guyana, utilizzando il pretesto della lotta contro il “crimine organizzato”. Rubio e altri funzionari USA hanno alimentato la narrativa sulla presenza del Tren de Aragua. Una narrativa che potrebbe sfociare in operazioni coperte, simili a quelle di falsa bandiera utilizzate in passato dagli USA per giustificare interventi militari.

“Credo che se abbiamo informazioni secondo cui qualcuno è entrato nel vostro paese [Guyana] con cattive intenzioni, vogliamo poterle condividere con il vostro governo. Abbiamo indizi su un membro della banda Tren de Aragua del Venezuela. Vogliamo assicurarci di collaborare e condividere le notizie. Se abbiamo informazioni che alcuni narcotrafficanti si stanno insediando qui e vogliono trasformare questo territorio in una base operativa, il che potrebbe generare violenza e guerra tra bande, vogliamo trasmettervele”, dichiarò all’epoca il Segretario di Stato.

#Altra operazione di falsa bandiera (15 maggio). Una nuova denuncia dell’amministrazione Ali parlò di scontri in zone ancora non delimitate della frontiera. Tuttavia, la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) ha smentito categoricamente le accuse. In un comunicato ufficiale, si è affermato che i rapporti dimostravano come le denunce facessero parte di un’operazione di falsa bandiera orchestrata per vittimizzare il governo guyanese e creare tensioni artificiali lungo la frontiera. La vicepresidente esecutiva Delcy Rodríguez ha avvertito che tali fatti facevano parte di una manovra più ampia destinata a creare un casus belli, ovvero un pretesto per giustificare un’escalation militare nella regione.

2. La frontiera con la Colombia: vecchie abitudini

#Denuncia dell’inazione da parte della Colombia (fine aprile). Il presidente Nicolás Maduro ha denunciato la totale inazione delle autorità colombiane di fronte alla crescente presenza di gruppi irregolari, narcotraffico e violenza che si riversano in territorio venezuelano. Maduro ha sottolineato il silenzio istituzionale del governo di Gustavo Petro, affermando che “i militari chiamano i militari di là e non rispondono al telefono”, e che “chiamano la polizia di là e non risponde al telefono”, mettendo in luce la mancanza di coordinamento di fronte alla crisi crescente alla frontiera.

#Operazione di sicurezza e arresti (19 maggio). Il ministro Diosdado Cabello ha annunciato un’importante operazione di sicurezza nazionale per contrastare una trama di destabilizzazione ordita dalla Colombia. Sono state arrestate 38 persone, tra cui 17 stranieri (colombiani, messicani, ucraini e un albanese con cittadinanza colombiana), coinvolti in attività di sabotaggio elettorale e attentati con esplosivi. I fermati avevano ricevuto addestramento paramilitare in Ecuador e finanziamenti da narcotrafficanti colombiani legati a figure politiche come Álvaro Uribe, Iván Duque e Juan Manuel Santos. L’obiettivo era creare caos e destabilizzare le elezioni del 25 maggio, in cui si eleggevano il governatore e il Consiglio Legislativo dello stato Guayana Esequiba.

#Cospirazione internazionale (luglio 2025). Il governo ha smantellato una complessa rete di cospirazione internazionale diretta dalla Colombia, con il sostegno di agenzie USA, per compiere attentati terroristici in territorio venezuelano. Il ministro Cabello ha rivelato che i corpi d’intelligence dello Stato avevano arrestato diversi membri di una rete criminale coinvolta nel traffico d’armi e nella pianificazione di attentati politici. Tali attori cercavano anche di creare narrazioni false per giustificare possibili aggressioni straniere. L’operazione, finalizzata a creare caos in vista delle elezioni municipali del 27 luglio, seguiva lo schema di guerra ibrida e operazioni coperte storicamente utilizzato da settori del potere USA. Cabello ha spiegato che nella rete di destabilizzazione erano coinvolti esponenti dell’ala estremista dell’opposizione, tra cui María Corina Machado, legati a figure del potere politico colombiano e ad agenzie di intelligence straniere come l’FBI.

3. Rilancio della narrativa del “narcostato”

La recente dichiarazione di colpevolezza di Hugo “El Pollo” Carvajal davanti a un tribunale federale di New York ha riattivato la narrativa del “narcostato”, un discorso usato dagli USA per criminalizzare il governo venezuelano. Carvajal si è dichiarato colpevole di cospirazione per importazione di cocaina e narcoterrorismo, ed è stato presentato come parte del cosiddetto Cartello de los Soles. Questa narrazione è stata storicamente usata da Washington per giustificare politiche di pressione, sanzioni e minacce d’intervento. Tuttavia, pur in assenza di prove concrete, il discorso si sostiene con narrazioni mediatiche e accuse giudiziarie basandosi su confessioni come quella di Carvajal.

4. María Corina Machado e l’irresponsabilità

María Corina Machado è riapparsa con la sua agenda destabilizzante, dimostrando una manifesta irresponsabilità, approfittando delle tensioni internazionali legate agli attacchi contro l’Iran per riattivare la sua logora narrativa sulla “minaccia venezuelana”. In una recente intervista ha dichiarato, senza alcuna prova: “Chi è il grande alleato di (Vladimir) Putin in America Latina? Nicolás Maduro. Chi è il grande alleato del regime iraniano in America Latina? Nicolás Maduro. (…) Il Venezuela è l’unico altro paese dell’emisfero occidentale, oltre agli USA, che ha capacità di costruzione di droni da combattimento, ovviamente di origine iraniana”.

Ha poi aggiunto con malizia: “Il Venezuela dista poche ore dalla Florida, non è lontano come Teheran”, insinuando che ciò costituirebbe una “minaccia reale”.

Durante recenti indagini su azioni destabilizzanti contro il paese, è emerso che uno scienziato in pensione, Armando José García Miragaya, ex vicepresidente del controllo di PDVSA, era in contatto con funzionari dell’FBI e forniva informazioni sensibili su infrastrutture chiave venezuelane come la raffineria di Amuay e la diga di Guri. Questa operazione di spionaggio, mirata a giustificare un’intervento straniero, è stata utilizzata direttamente per avvalorare le accuse infondate di Machado circa l’esistenza di “basi militari iraniane” in Venezuela.

5. Le agenzie mediatiche alimentano l’intossicazione

Nel marzo scorso, il New York Post ha pubblicato un articolo intitolato: “L’FBI intensifica le operazioni contro il cartello legato al regime repressivo di Maduro in Venezuela”, in cui riemergevano accuse screditate, riproponendo la solita narrazione che collega il governo venezuelano al narcotraffico.

Questo schema di accuse infondate viene usato strategicamente in momenti chiave per giustificare pressioni contro il Venezuela. L’articolo del new York Post, firmato da Diana Glebova e Jennie Taer, ripropone i miti sul “Cartello de los Soles”, ricevendo il forte appoggio di figure come Marco Rubio, che continua a promuovere una narrativa utile a giustificare un possibile intervento su larga scala.

Anche il New York Times ha pubblicato, il 15 gennaio 2025, un articolo di Bret Stephens che riflette la riattivazione della campagna contro il Venezuela, presentando il governo di Maduro come una minaccia per la sicurezza nazionale degli USA. Stephens, vicino alla lobby israeliano, sostiene un approccio di “diplomazia coercitiva” e, se necessario, l’uso della forza, riecheggiando la strategia usata in Iraq nel 2003.

Stephens sostiene che sia necessario rovesciare il governo venezuelano, poiché la permanenza di Maduro rappresenterebbe un pericolo per la stabilità regionale, evidenziandone presunti legami con il narcotraffico e la crescente influenza dell’Iran.

Questa narrativa, pur priva di prove concrete, diventa la scusa per imporre sanzioni più dure o, eventualmente, un intervento militare diretto.

L’articolo di Stephens, così come la campagna di Rubio e le dichiarazioni di altri attori politici di Washington, indica che la pressione sul Venezuela è ben lontana dall’essere cessata. Al contrario, si cerca di riattivare la strategia della “massima pressione”, ricorrendo ad accuse infondate e all’amplificazione della presunta minaccia venezuelana per continuare a portare avanti un’agenda di aggressione che, sebbene si sia indebolita, è ancora presente e persiste nell’ombra del potere USA.

La necessità di creare la minaccia

I fatti descritti riflettono una strategia meticolosamente pianificata, il cui obiettivo finale è creare le condizioni favorevoli a giustificare un’escalation contro il Venezuela. Col passare del tempo, la tattica di Washington consiste nel costruire un dossier che serva come base per un intervento, sia diplomatico, che economico o persino militare.

In questo scenario, le irresponsabili accuse di María Corina Machado svolgono un ruolo centrale. Il suo discorso, alimentato da miti e distorsioni sul governo venezuelano, ha costantemente rafforzato la narrativa secondo cui il Venezuela sarebbe una “minaccia” per la sicurezza regionale.

Nella sua più recente dichiarazione, Machado ha affermato, senza prove, che il Venezuela possiede la capacità di fabbricare droni da combattimento di origine iraniana — un’accusa tanto infondata quanto pericolosa, che richiama il noto caso “Curveball” e l’invasione dell’Iraq nel 2003.

Anche se in seguito si scoprì che quella testimonianza era falsa, la manipolazione fu sufficiente per giustificare l’invasione. La narrativa fu costruita e, con essa, si spinse per l’intervento, con conseguenze devastanti.

Allo stesso modo, Machado — al pari di Marco Rubio — si è allineata a questa macchina della disinformazione, contribuendo a costruire un racconto che giustifichi un’aggressione.

Questa narrazione, sebbene scollegata dalla realtà, viene sfruttata strategicamente per creare l’“evento scintilla”, capace di attirare l’attenzione dell’amministrazione Trump e spingerla a priorizzare un’agenda focalizzata sul Venezuela. Questi focolai di conflitto aggregati verrebbero poi utilizzati per giustificare pressioni più forti da parte di Washington contro il paese.

La logica di tale operazione è chiara: se il Venezuela viene presentato come un nemico regionale, il governo USA — specialmente sotto Trump — sarà più incline a considerare il Sud America e i Caraibi come una priorità della sua politica estera.

Questo tipo di operazione mediatica e psicologica punta a normalizzare l’idea che il Venezuela sia una minaccia reale per la sicurezza internazionale. Una volta consolidata questa percezione, si aprirebbero le porte a sanzioni più dure, sostegno militare o addirittura a un intervento diretto. L’obiettivo è che la Casa Bianca, con l’appoggio di un Congresso dominato da figure come Marco Rubio, promuova risoluzioni o leggi che intensifichino l’aggressione contro il Venezuela.

Questa dinamica non è nuova. Creare una minaccia fittizia per giustificare un intervento è stata una strategia ricorrente nella politica estera USA. Basti ricordare l’invasione dell’Iraq del 2003, quando il governo di George W. Bush utilizzò la falsa testimonianza di “Curveball” per giustificare un intervento militare basato sulla minaccia delle armi di distruzione di massa. Sebbene poi si scoprì che le accuse fossero infondate, la manipolazione dell’informazione aveva già spianato la strada all’esecuzione dell’intervento.

Allo stesso modo, ciò che all’inizio si presentava come una difesa dei “diritti umani” nel caso del Venezuela, si è col tempo trasformato in un pretesto per imporre sanzioni illegali e spingere per un intervento più diretto. Fin dal 2014, Rubio e l’opposizione estremista venezuelana hanno lavorato per costruire un dossier che presentasse il governo di Nicolás Maduro come una minaccia, elaborando una narrativa utile a giustificare misure estreme, proprio come accadde con l’Iraq.

Lo schema si ripete: prima si crea la minaccia, poi si presenta la “prova” manipolata, infine si usa quella prova per giustificare un’aggressione. Se l’amministrazione Trump riuscisse a convincere il Congresso a procedere con nuove sanzioni e misure drastiche, il ciclo dell’intervento si ripeterebbe, secondo lo stesso copione imperiale già ben noto al Sud Globale.


Machado y Rubio en busca de recrudecer la agresión contra Venezuela

 

Para Venezuela en particular, y en América Latina y el Caribe en general, uno de los hechos políticos con mayor repercusión en lo que va de año ha sido, más que la presidencia de Donald Trump, la investidura de Marco Rubio como Secretario de Estado de Estados Unidos.

Esta designación marcó un punto de inflexión, no solo en la administración de Trump, sino en la reactivación de una agenda injerencista de Washington en la región, la cual, desde entonces, ha venido tomando vuelo.

Con su obsesión por Venezuela, Cuba y Nicaragua, Rubio ha intensificado el discurso que busca presentar al gobierno venezolano como una amenaza para la seguridad regional, algo que no es nuevo, pero que ahora toma un giro más agresivo.

Recientemente, los esfuerzos para retratar al gobierno venezolano como un peligro real se han amplificado con temas como el “Tren de Aragua”, la reedición del “Cartel de los Soles” y las continuas operaciones de bandera falsa en las fronteras.

Estos eventos son parte de una estrategia más amplia para generar tensiones internas y externas que justifiquen una intervención, ya sea diplomática, económica o incluso militar.

Desde acusaciones infundadas hasta operaciones encubiertas con el respaldo de agencias estadounidenses, la agenda de desestabilización contra Venezuela sigue una pauta histórica que recuerda a las justificaciones previas usadas por Washington en otras intervenciones, como en Irak.

De este modo, Venezuela se encuentra nuevamente en la mira, bajo un discurso que intenta crear la excusa perfecta para una agresión sistemática.

  1. El enclave guyanés y la falsa bandera

El incidente del río Cuyuní (18 de febrero). En el Esequibo venezolano, el gobierno de Guyana denunció un supuesto ataque contra sus tropas en la ribera del río Cuyuní. Según Georgetown, seis soldados guyaneses resultaron heridos por hombres armados “venezolanos”. Caracas desmintió categóricamente la acusación, calificándola como un “vil montaje” y señalando que era parte de una operación de falsa bandera. El canciller venezolano, Yván Gil, denunció que este incidente formaba parte de una estrategia para justificar la militarización de la zona con el respaldo del Comando Sur de Estados Unidos. Venezuela recordó que las violaciones al marco jurídico internacional por parte de Guyana son recurrentes, especialmente en la disputa territorial sobre el Esequibo.

Visita de Marco Rubio a Guyana (27 de marzo). La agenda de agresión se consolidó con la visita de Marco Rubio a Guyana, donde firmó un memorando de entendimiento con el presidente guyanés Irfaan Ali. Este acuerdo se centró en la cooperación en seguridad, pero en la práctica se percibe como un mecanismo para reforzar la presencia militar estadounidense en Guyana, utilizando el pretexto de combatir el “crimen organizado”. Rubio y otros funcionarios estadounidenses alimentaron la narrativa de la presencia del Tren de Aragua. Esta narrativa puede tener como consecuencia operaciones encubiertas, similares a las operaciones de bandera falsa que Estados Unidos ha utilizado en el pasado para justificar intervenciones militares.

“Así que creo que si tenemos información de que alguien ha entrado a su país [Guyana] con malas intenciones, queremos poder compartirla con su gobierno. Tenemos pistas sobre un miembro de la pandilla Tren de Aragua de Venezuela. Queremos asegurarnos de que colaboremos y compartamos noticias. Si tenemos información de que algunos narcotraficantes se están estableciendo aquí y han decidido convertir esto en una base de operaciones, lo cual podría generar violencia y guerra, como guerra entre pandillas, queremos proporcionársela”, declaró en ese entonces el Secretario de Estado.

Otra operación de bandera falsa (15 de mayo). Hubo otra denuncia por parte de la administración de Ali sobre enfrentamientos en zonas aún no delimitadas de la frontera. Sin embargo, la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) desmintió rotundamente tales acusaciones. En un comunicado, se afirmó que los informes demostraban que las denuncias eran parte de una operación de falsa bandera orquestada para victimizar al gobierno de Guyana y fabricar tensiones artificiales en la línea fronteriza. En este sentido, la vicepresidenta ejecutiva, Delcy Rodríguez, advirtió que estos hechos son parte de una maniobra más amplia destinada a crear un casus belli, es decir, una excusa para justificar una escalada militar en la región.

  1. La frontera con Colombia no pierde la costumbre

Denuncia de inacción por parte de Colombia (finales de abril). El presidente Nicolás Maduro denunció la total inacción de las autoridades colombianas frente a la creciente presencia de grupos irregulares, narcotráfico y violencia que cruzan hacia territorio venezolano. El mandatario venezolano enfatizó el silencio institucional del gobierno de Gustavo Petro, afirmando que “los militares llaman a los militares de allá y no les contestan el teléfono” y que “llaman a la policía de allá y no les contesta el teléfono”, lo que subrayaba la falta de respuesta ante la creciente crisis en la frontera.

Operativo de seguridad y detenciones (19 de mayo). El ministro Diosdado Cabello anunció un importante operativo de seguridad nacional para hacer frente a una trama de desestabilización orquestada desde Colombia. Se detuvieron a 38 individuos, entre los cuales había 17 extranjeros (colombianos, mexicanos, ucranianos y un albanés con nacionalidad colombiana), quienes estaban involucrados en actividades de saboteo electoral y atentados con explosivos. Los capturados habían recibido entrenamiento paramilitar en Ecuador y contaban con el financiamiento del narcotráfico colombiano, vinculado a figuras políticas como Álvaro Uribe, Iván Duque y Juan Manuel Santos. Esta red criminal tenía como objetivo crear caos y desestabilizar las elecciones del 25 de mayo, donde se eligió al gobernador y el Consejo Legislativo del estado Guayana Esequiba.

Conspiración internacional (julio 2025). El gobierno desmanteló una compleja trama de conspiración internacional dirigida desde Colombia, con el respaldo de agencias estadounidenses, que buscaba ejecutar atentados terroristas en territorio venezolano. El ministro Cabello reveló en rueda de prensa que los cuerpos de inteligencia del Estado lograron capturar a varios miembros de una red criminal involucrada en el tráfico de armas y la planificación de atentados políticos. Estos actores también estaban comprometidos en la creación de matrices falsas con el objetivo de justificar posibles agresiones extranjeras contra Venezuela. La operación, que tenía como principal objetivo generar caos en el país previo a las elecciones municipales del 27 de julio, seguía el patrón de guerra híbrida y operaciones encubiertas utilizadas históricamente por sectores de poder en Washington. El ministro Cabello, explicó que en esta red de desestabilización participaban actores de la facción extremista de la oposición que incluye a María Corina Machado, quienes estaban vinculados con figuras del poder político colombiano y agencias de inteligencia extranjeras, como el FBI.

  1. Relanzamiento del “narcoestado”

La reciente declaración de culpabilidad de Hugo “El Pollo” Carvajal ante una corte federal de Nueva York ha reactivado la narrativa del “narcoestado”, un discurso utilizado por Estados Unidos para criminalizar al gobierno venezolano. Carvajal, quien se declaró culpable de conspiración para importar cocaína y narcoterrorismo, ha sido presentado como parte del llamado Cartel de los Soles. Este relato ha sido usado históricamente por Washington como base para justificar políticas de presión, sanciones y amenazas de intervención. Sin embargo, a pesar de la falta de pruebas contundentes, el discurso se sostiene con narrativas mediáticas y acusaciones judiciales, basándose en confesiones como la de Carvajal.

  1. María Corina Machado y la irresponsabilidad

María Corina Machado ha reaparecido con su agenda desestabilizadora y, sobre todo, con una irresponsabilidad manifiesta, aprovechando la tensión internacional generada por los ataques contra Irán para reavivar su desgastada narrativa sobre la “amenaza venezolana”. En una reciente entrevista, Machado sin ningún tipo de evidencia dijo: “¿Quién es el gran aliado de (Vladímir) Putin en América Latina? Nicolás Maduro. ¿Quién es el gran aliado del régimen iraní en América Latina? Nicolás Maduro. (…) Venezuela es el único otro país en el hemisferio occidental, además de Estados Unidos, que tiene capacidad de construcción de drones de combate, obviamente de origen iraní”.

Además, señaló con cizaña que “Venezuela está a horas de la Florida (Estados Unidos), no a la distancia de Teherán”, lanzando la acusación de que esto constituye una “amenaza real”.

Durante las investigaciones recientes sobre las acciones desestabilizadoras contra el país, se descubrió que un científico retirado, Armando José García Miragaya, exvicepresidente de Control de PDVSA, estaba en contacto con funcionarios del FBI, suministrando información crítica sobre infraestructuras venezolanas clave, como la refinería de Amuay y la represa de Guri. Este operativo de espionaje, que buscaba justificar una intervención extranjera en Venezuela, fue directamente utilizado para intentar respaldar las acusaciones infundadas de Machado sobre la existencia de “bases militares iraníes” en el país.

  1. Las agencias mediáticas suman a la intoxicación

En marzo, el New York Post publicó un artículo titulado “El FBI intensifica operaciones contra cartel vinculado al régimen represivo de Maduro en Venezuela”, donde reavivaron acusaciones desacreditadas, reutilizando la narrativa habitual que vincula al gobierno venezolano con el narcotráfico.

Este patrón de acusaciones infundadas es estratégicamente utilizado en momentos clave para justificar medidas de presión contra Venezuela. La publicación en el New York Post, firmada por Diana Glebova y Jennie Taer, repite los mismos mitos sobre el “Cartel de los Soles”, recibiendo un fuerte respaldo de figuras como Marco Rubio, quien sigue impulsando una narrativa que busca generar condiciones para una intervención de mayor escala.

Asimismo, el New York Times publicó el 15 de enero de 2025, un artículo de Bret Stephens que refleja la reactivación de la campaña contra Venezuela, presentando al gobierno de Maduro como una amenaza para la seguridad nacional de Estados Unidos. Stephens, cercano al lobby israelí, aboga por un enfoque de “diplomacia coercitiva” y, si fuera necesario, la opción de usar la fuerza, haciendo eco de la estrategia utilizada en Irak en 2003.

En su artículo, Stephens plantea la necesidad de derrocar al gobierno venezolano, argumentando que la permanencia de Maduro pone en peligro la estabilidad regional, señalando su presunta vinculación con el narcotráfico y la creciente influencia de Irán.

Esta narrativa, a pesar de su falta de pruebas concretas, se convierte en una excusa que alimenta la justificación para imponer sanciones más severas y, eventualmente, una intervención militar directa.

El artículo de Stephens, al igual que la campaña de Rubio y las declaraciones de otros actores políticos de Washington, indica que la presión sobre Venezuela está lejos de cesar. En cambio, se busca reavivar la estrategia de “máxima presión”, utilizando acusaciones infundadas y la amplificación de la supuesta amenaza venezolana para seguir avanzando en una agenda de agresión que, si bien se ha debilitado, sigue presente y persiste en las sombras del poder estadounidense.

La necesidad de crear la amenaza

Los eventos descritos reflejan una estrategia meticulosamente planificada, cuyo objetivo final es crear el caldo de cultivo necesario para justificar una escalada contra Venezuela. Con el paso del tiempo, la táctica de Washington busca construir un expediente que sirva como base para una intervención, ya sea diplomática, económica o incluso militar.

En este escenario, las irresponsables acusaciones de María Corina Machado juegan un papel central. Su discurso, que se alimenta de mitos y distorsiones sobre el gobierno venezolano, ha reforzado constantemente la narrativa de que Venezuela es una “amenaza” para la seguridad regional.

En su más reciente declaración, Machado afirmó, sin pruebas, que Venezuela tiene la capacidad de fabricar drones de combate de origen iraní, una acusación tan infundada como peligrosa, que evoca paralelismos con el famoso caso de “Curveball” y la invasión de Irak en 2003.

Aunque más tarde se descubrió que este testimonio fue falso, la manipulación ya había sido suficiente para justificar la invasión. La narrativa se construyó, y con ella, se impulsó la intervención, que resultó ser devastadora.

De igual forma, Machado, al igual que Marco Rubio, se ha alineado con esta maquinaria de desinformación, contribuyendo a la construcción de un relato que justifique una intervención.

Esta narrativa, aunque desconectada de la realidad, es aprovechada estratégicamente para crear el “evento chispa”, el cual pueda captar la atención de la administración de Trump y presionar para que priorice la agenda enfocada en Venezuela. Estos conatos de conflicto de manera aglutinada se utilizarían como justificaciones para presionar a Washington a tomar medidas más duras contra el país.

La lógica detrás de esta operación es clara: si Venezuela se presenta como un enemigo regional, el gobierno de Estados Unidos, especialmente bajo la administración de Trump, se vería más inclinado a considerar a Sudamérica y el Caribe como un punto clave para su política exterior y la necesidad de tomar medidas contra el país.

Este tipo de operación mediática y psicológica tiene como fin normalizar la idea de que Venezuela es una amenaza real para la seguridad internacional. Una vez que esta percepción se haya asentado, se abrirían las puertas para sanciones más severas, apoyo militar o incluso una intervención directa. El objetivo es que la Casa Blanca, respaldada por un Congreso controlado por figuras como Marco Rubio, impulse resoluciones o proyectos de ley que recrudezcan la agresión contra Venezuela.

Esta dinámica no es nueva. La creación de una amenaza ficticia para justificar una intervención ha sido una estrategia recurrente en la política exterior de Estados Unidos. Recordemos la invasión de Irak en 2003, cuando el gobierno de George W. Bush utilizó el falso testimonio de “Curveball” para justificar una invasión militar basada en la amenaza de armas de destrucción masiva. Aunque más tarde se reveló que esas acusaciones eran falsas, la manipulación de la información ya había permitido que la intervención se llevara a cabo.

De manera similar, lo que comenzó como un relato de “defensa de los derechos humanos” en el caso de Venezuela, se ha convertido, con el tiempo, en un pretexto para imponer sanciones ilegales y presionar por una intervención más directa. Desde 2014, Rubio y la oposición extremista venezolana han trabajado arduamente para construir el expediente necesario que presentara al gobierno de Nicolás Maduro como una amenaza, creando una narrativa que justificara medidas extremas, al igual que ocurrió con Irak.

El patrón se repite: primero se crea la amenaza, luego se presenta la evidencia manipulada, y finalmente se usa esa evidencia para justificar una agresión contundente. Si la administración de Trump logra convencer al Congreso de seguir adelante con nuevas sanciones y medidas más drásticas, el ciclo de intervención se repetirá, siguiendo el mismo guion imperial que tanto conocemos en el Sur Global.

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