Il presidente della Colombia, Gustavo Petro, commentando il provato complotto per deporlo, ha affermato che l’opportunista ministro degli Esteri trumpiano, Marco Rubio, non avrebbe dovuto essere coinvolto nel piano, poiché riteneva che il traditore di triste origine cubana fosse rappresentante di un governo che ha come nemico l’Iran e delle bombe nucleari puntate, un problema a Gaza e un problema in Ucraina e Russia, e che quindi “si metta a fare il cretino con un colpo di Stato nella Grande Colombia”.
Nel corso della sua dichiarazione, il capo di Stato colombiano ha rivolto commenti diretti a membri del Congresso USA e a funzionari di origine cubana residenti negli USA, che hanno espresso critiche verso il governo colombiano. Petro li ha esortati a chiarire i veri obiettivi delle loro azioni, sottolineando che la Colombia non è un nemico e, al contrario, può svolgere un ruolo di sostegno nella risoluzione dei problemi regionali.
Il presidente ha respinto con fermezza le accuse che lo collegano ad attività illecite come il narcotraffico o il terrorismo, affermando che tali accuse mirano a minare la cooperazione bilaterale in materia di sicurezza. Ha sostenuto che ci sono attori interessati a deteriorare la collaborazione tra Colombia e USA, ed ha indicato che qualsiasi rottura nelle relazioni non isolerebbe il paese, poiché ci sono alleati europei impegnati nella lotta contro il crimine organizzato.
È vero che il narcotraffico cerca di creare una frattura esplosiva tra Colombia e USA, ma non bisogna dimenticare che elementi di origine “gusaneril” (termine dispregiativo per indicare gli esiliati controrivoluzionari cubani), stanziati in Florida, vedono in Rubio il delfino incaricato di promuovere piani distruttivi e apertamente sovversivi contro Cuba, Venezuela e Nicaragua. Ha comprato il presidente panamense affinché partecipasse ai piani imperialisti contro la Cina, ha promosso l’installazione, quasi totale, di basi militari USA nell’istmo, ed ha completamente smascherato il presidente salvadoregno, usandolo nei suoi piani contro il governo di Nicolás Maduro.
E c’è molto di più, ma tanto Rubio quanto i suoi accoliti gusanerili di origine cubana vengono ben ritratti da Randy Alonso nel sito collega Cubadebate: “Niente di nuovo sotto il sole; i quattro congressisti rappresentano la Florida, il covo che accoglie il meglio della ultradestra latinoamericana e i ladri più grandi che abbia generato la regione, la piazza dove è andato a rifugiarsi per un periodo Bolsonaro, il luogo che ha appena steso il tappeto rosso a Javier Milei e alla sua motosega, il punto da cui sono partiti gli autori di numerosi attentati terroristici contro Cuba e da dove si sono mossi alcuni dei capi dell’assalto al Campidoglio USA il 6 gennaio 2021”.
Per Petro, la cospirazione internazionale per rovesciarlo ha messo Mario Díaz-Balart al centro dello scandalo. Secondo quanto rivelato dal quotidiano spagnolo El País, tutt’altro che progressista, l’ex cancelliere Álvaro Leyva, in coordinamento con dirigenti della destra colombiana, ha tenuto incontri non ufficialmente registrati con Díaz-Balart a Washington, con l’obiettivo di promuovere quello che Petro ha definito pubblicamente un tentativo di “colpo di Stato”. Questi incontri, secondo El País, hanno avuto testimoni presenti e ruotavano attorno alla narrazione secondo cui Petro non fosse in grado di governare e dovesse essere rimosso dal potere.
Il caso riflette non solo le tensioni diplomatiche tra Colombia e USA, ma conferma anche che le reti di pressione politica che operano dal sud della Florida restano attive, difendendo interessi storici e con capacità di influenzare le decisioni strategiche di Washington. Le indagini per accertare l’esistenza, la portata e i responsabili di questa cospirazione contro il presidente Petro restano aperte, sia presso la giustizia colombiana che in ambito internazionale, per capire perché si sia cercato – senza riuscirci – di far credere alla società colombiana che Petro non fosse idoneo a rimanere presidente.
PRIMA DELLA RIVELAZIONE
Prima che El País svelasse i dettagli del piano contro Petro, Díaz-Balart aveva già tenuto incontri con l’ex cancelliere Álvaro Leyva e con capi della destra colombiana. In seguito, ha rilanciato l’accusa secondo cui Petro non doveva restare presidente perché presumibilmente “drogato” – argomento usato per giustificare il complotto per farlo cadere.
Già il 26 gennaio, aveva pubblicato un messaggio in cui minacciava gravi conseguenze se Petro non si fosse allineato ai voleri del governo di Donald Trump: “Il presidente Gustavo Petro sta distruggendo inutilmente la relazione speciale tra Colombia e USA. È ora che Petro riveda la sua posizione verso gli USA prima che le conseguenze diventino ancora più gravi,” scrisse il congressista di estrema destra, reagendo al rifiuto del governo colombiano di ricevere voli con migranti deportati e sottoposti a gravi umiliazioni, che Petro ha definito indegne per un essere umano: viaggiando ammanettati senza condanna né accusa formale. Questo rifiuto scatenò l’ira del presidente USA Donald Trump.
Quindici giorni dopo, l’11 febbraio, la pre-candidata presidenziale Vicky Dávila, vicina ai grandi imprenditori e all’estrema destra colombiana, si è recata negli USA per incontrare Díaz-Balart.
“Gli ho detto che la Colombia non è Petro e che dobbiamo evitare a ogni costo l’imposizione di sanzioni contro il nostro paese. Ne soffrirebbero solo i nostri 50 milioni di colombiani. Favorirebbero solo Petro e il suo progetto politico distruttivo,” ha dichiarato. Poche settimane dopo, Donald Trump impose dazi alla Colombia e ad altri paesi. Dávila rimase una settimana negli USA.
Quasi due mesi più tardi, il 24 marzo, un gruppo di congressisti colombiani dichiaratamente all’opposizione di Petro – Katherine Miranda (Partito Verde), Lorena Ríos (Colombia Giusta Libera), Honorio Henríquez (Centro Democratico), Juan Carlos Garcés (Partito della U), Mauricio Gómez (Liberale), Nicolás Echeverry (Conservatore) e Carlos Abraham Jiménez (Cambio Radical) – viaggiò negli USA per incontrare i congressisti Mario Díaz-Balart e Henry Cuellar, con l’obiettivo di riattivare un comitato bipartisan istituito nel 2009 durante il governo di Álvaro Uribe.
In quel periodo, Petro denunciava un blocco istituzionale da parte di questi partiti, che avevano affossato la riforma del lavoro nella commissione settima del Senato, senza nemmeno discuterla. La risposta del presidente fu quella di convocare una consultazione popolare, mettendo in difficoltà i congressisti, che cominciarono a parlare di un colpo contro il Congresso. Il principale “capo banda”, come lo definì Petro, era proprio il presidente del Senato, il conservatore Efraín Cepeda, anch’egli presente all’incontro di Washington.
Quel giorno, Díaz-Balart affermò: “Siamo molto preoccupati per ciò che sta accadendo in Colombia… Ci preoccupa la possibile privazione dello Stato di diritto, ma ciò che continua a essere altamente positivo è la relazione con il Congresso”. Tentò anche di paragonare il governo Petro alle “dittature della regione come quella di Nicolás Maduro in Venezuela”, lo stesso governo che l’amministrazione Trump tentò di rovesciare con la forza, come accadde con la fallita Operazione Gedeón del maggio 2020: un tentativo di incursione armata in Venezuela con la partecipazione di ex militari venezuelani e agenti legati a USA e Colombia, secondo la BBC.
Díaz-Balart insistette che l’incontro aveva lo scopo di “rafforzare questa alleanza che ha enormemente giovato a entrambi i paesi […] combattendo il narcoterrorismo e promuovendo gli interessi di sicurezza nazionale di USA e Colombia, così come lavorare con il popolo colombiano per avanzare verso obiettivi comuni di stabilità, prosperità e governance democratica”. Da parte sua, Efraín Cepeda pubblicò una dichiarazione ambigua riferendosi a “temi bilaterali” come la migrazione, il narcotraffico e le relazioni commerciali. “Il Congresso della Colombia ha tutto il sostegno del Congresso USA” concluse.
UNA POTENTE “GUSANERA”
Al di là della famiglia, c’è il potere cubano-americano che influisce sulle relazioni tra Washington e l’America Latina. Il suo esponente più noto è Marco Rubio. Quando Trump lo nominò nel suo gabinetto, Díaz-Balart dichiarò: “(farà) un lavoro eccezionale nel promuovere una politica estera ferma e mirata, offrendo esperienza e consigli inestimabili come consigliere per la Sicurezza Nazionale”. Entrambi – Rubio e Díaz-Balart – sono legati a reti politiche nella comunità cubano-americana. Oltre all’agenda “anticomunista” e alle origini comuni, li unisce il potente lobby anticastrista, uno dei più influenti a Washington. La rivista Foreign Policy lo ha descritto così: “La lobby più potente a Washington non è la NRA (armi), è l’ala di estrema destra che odia Castro, che ha terrorizzato e reso inerti i burocrati di Obama”.
Per dare un’idea del loro radicalismo: nel 2014, quando le star del pop Jay-Z e Beyoncé celebrarono il loro anniversario di nozze a Cuba, Rubio pretese un’indagine per violazione dell’embargo USA contro l’isola. L’analista William LeoGrande, docente alla American University di Washington, scrisse su Foreign Policy: “Questa lobby aggressiva di politica estera è riuscito a impedire un dibattito razionale su una politica anacronistica, intimidendo chiunque osasse metterla in discussione”.
In effetti, persino articoli accademici hanno messo in dubbio l’efficacia di quella lobby cubana, che in oltre cinquant’anni non è riuscita a rovesciare il governo socialista dell’Avana. È stato anche indicato come una facciata che, sotto la pretesa difesa dei diritti umani, cela altri interessi.
Ricercatori dell’Università di Denver lo riassumono così: “La politica USA verso Cuba non è altro che un’estensione della politica della Florida con altri mezzi.”
Quella politica dura della Florida, che sostiene carriere come quelle di Mario Díaz-Balart e Marco Rubio, è stata protagonista di diverse ingerenze in America Latina: dal sostegno militare a gruppi anticastristi addestrati dalla CIA e sconfitti a Playa Girón, fino ai recenti tentativi mercenari nella fallita Operazione Gedeón, che mirava alla cattura di Nicolás Maduro in Venezuela.
Esistono anche appoggi meno visibili, come quello di un’organizzazione che ha ricevuto fondi dal governo USA e che da oltre 40 anni cerca di influenzare politicamente l’isola dal sud della
Florida: la Fondazione Nazionale Cubano-Americana (FNCA), fondata da un esiliato cubano e accusata di finanziare terroristi come Luis Posada Carriles, morto nel 2018. Carriles ammise in un’intervista al New York Times di aver ricevuto più di 200000 $ dal fondatore della FNCA per le sue operazioni. Accusato per decenni di terrorismo internazionale, morì a Miami senza mai aver affrontato un processo per molti degli attentati da lui compiuti.
Questa organizzazione, la FNCA, ha sostenuto Marco Rubio e altri politici cubano-americani conservatori. Col tempo, la sua agenda si è diversificata e ha cercato di influenzare anche altri paesi, come il Venezuela.
Lo mismo da Rubio que sus “hermanos”
Arnaldo Musa / Cubasí
El presidente de Colombia, Gustavo Petro, al referirse al demostrado complot para deponerlo, consideró que el aprovechado canciller trumpista, Marco Rubio, no debía haber tenido participación del plan, porque consideraba que el traidor de lamentable origen cubano es representante de un gobierno que tiene como enemigo a Irán y unas bombas nucleares apuntando, un problema en Gaza y un problema en Ucrania y Rusia “se ponga a pendejear con un golpe de Estado en la Gran Colombia”.
A lo largo de su pronunciamiento, el jefe de Estado colombiano dirigió comentarios directos a congresistas estadounidenses y a funcionarios de origen cubano residentes en ese país, que han hecho críticas hacia el gobierno de Colombia. Petro los exhortó a definir los verdaderos objetivos de sus acciones, remarcando que Colombia no constituye un enemigo y, por el contrario, puede jugar un papel de apoyo en la resolución de problemas regionales.
El presidente rechazó rotundamente las acusaciones que lo vinculan con actividades ilícitas como el narcotráfico o el terrorismo, afirmando que estos señalamientos buscan minar la cooperación bilateral en materia de seguridad. El mandatario sostuvo que existen actores interesados en deteriorar la colaboración entre Colombia y Estados Unidos, e indicó que cualquier ruptura en las relaciones no aislaría al país, ya que existen aliados europeos comprometidos en la lucha contra el crimen organizado.
Cierto, el narcotráfico trata de crear un cisma explosivo entre Colombia y Estados Unidos, pero no hay que olvidar que elementos de origen gusaneril, afincados en Florida, tienen a Rubio como delfín para promover planes de destrucción y plenamente subversivos contra Cuba, Venezuela y Nicaragua, compró al presidente panameño para que participara en los planes imperialistas contra China, promovió la entrada casi total de enclaves militares norteamericanos en el istmo, y deschavó totalmente al mandatario salvadoreño, utilizándolo en sus planes contra el gobierno de Nicolás Maduro.
Hay mucho más, pero tanto Rubio como sus adláteres gusaneriles de origen cubano quedan bien retratados por Randy Alonso en el colega Cubadebate: “Nada nuevo bajo el sol; los cuatro congresistas representan la Florida, el cubil que acoge a lo más selecto de la ultraderecha latinoamericana y a los ladrones más grandes que ha parido la región, la plaza a donde fue a refugiarse un tiempo Bolsonaro, el lugar que acaba de tender alfombra roja a Javier Milei y su motosierra, el sitio de dónde han partido los ejecutores de numerosos actos terroristas contra Cuba y desde donde marcharon algunos de los líderes del asalto al Capitolio de Estados Unidos el 6 de enero de 2021”.
Para Petro, la conspiración internacional para derrocarlo ha puesto a Mario Díaz-Balart en el centro del escándalo. Según reveló el diario nada progresista El País, de España, el excanciller Álvaro Leyva, en articulación con líderes de la derecha colombiana, sostuvo reuniones no registradas oficialmente con Díaz-Balart en Washington, con el propósito de promover lo que Petro calificó públicamente como un intento de “golpe de Estado”. Estas reuniones, que contaron con testigos presenciales según El País, tendrían como eje la narrativa de que Petro no estaba en condiciones de gobernar y que debía ser removido del poder.
El caso no solo refleja las tensiones diplomáticas entre Colombia y Estados Unidos, sino que también confirma que las redes de presión política que operan desde el sur de Florida continúan activas, defendiendo intereses históricos y actuando con capacidad de incidencia sobre las decisiones estratégicas de Washington. Las investigaciones para establecer la existencia, alcance y responsables de esta conspiración contra el presidente Petro siguen abiertas, tanto en la justicia colombiana como en la esfera internacional, para entender por qué se buscó, fracasadamente, que la sociedad colombiana creyera que Petro no era apto para seguir siendo el presidente de Colombia.
ANTES DE LA REVELACIÓN
Antes de que El País revelara cómo se fraguó el plan contra Petro, Díaz-Balart ya había sostenido reuniones con el excanciller Álvaro Leyva y con líderes de la derecha colombiana. Luego, replicó la acusación de que Petro no debía seguir siendo presidente por supuestamente ser un “drogadicto”, argumento que intentaron posicionar como justificación del complot para tumbarlo.
Ya el 26 de enero, publicó un mensaje anunciando consecuencias “graves” si Petro no se plegaba a los designios del gobierno de Donald Trump: “El presidente Gustavo Petro está destruyendo innecesariamente la relación especial entre Colombia y EE.UU. Es hora de que Petro reconsidere su postura hacia los EE.UU. antes de que las consecuencias sean aún más graves”, escribió el congresista de extrema derecha, en respuesta al gobierno colombiano que se negó a recibir vuelos con migrantes deportados y sometidos a graves humillaciones que fueron calificadas por Petro como indignas para un ser humano: viajar esposados sin tener sentencias condenatorias o tan siquiera una acusación. Esta negativa desató la ira del presidente norteamericano, Donald Trump.
Quince días después, el 11 de febrero, la precandidata presidencial Vicky Dávila, cercana a grandes empresarios y a la extrema derecha colombiana, se reunió en Estados Unidos con Díaz-Balart.
“Le dije que Colombia no es Petro y que debemos evitar a toda costa la imposición de sanciones contra nuestro país. Con ellas solo sufrirían nuestros 50 millones de colombianos. Esto solo favorecería a Petro y a su proyecto político destructivo”, dijo. Semanas después, Donald Trump impuso aranceles a Colombia y a otros países. Dávila permaneció una semana en Estados Unidos.
Casi dos meses más tarde, el 24 de marzo, un grupo de congresistas colombianos, declarados en oposición a Petro, Katherine Miranda (Partido Verde), Lorena Ríos (Colombia Justa Libres), Honorio Henríquez (Centro Democrático), Juan Carlos Garcés (Partido de la U), Mauricio Gómez (Liberal), Nicolás Echeverry (Conservador) y Carlos Abraham Jiménez (Cambio Radical), viajaron a Estados Unidos para reunirse con los congresistas Mario Díaz-Balart y Henry Cuellar, con el propósito de reactivar un comité bipartidista que se instauró en el 2009 durante el gobierno de Álvaro Uribe.
En ese momento, Petro denunciaba un bloqueo institucional por estos partidos, que habían hundido la reforma laboral en la comisión séptima del Senado, sin siquiera ser debatida. La respuesta del primer mandatario fue convocar a una consulta popular, lo que puso en un lugar incómodo a estos congresistas que empezaron a hablar de un golpe contra el Congreso. El principal “líder de la banda”, como Petro lo denominó, era justamente el presidente del Senado, el conservador Efraín Cepeda, quien también participó en la reunión en Washington.
Ese día, Díaz Balart aseguró: “estamos muy preocupados por lo que está pasando en Colombia…Nos preocupa la posible privación del Estado de derecho, pero lo que se sigue manteniendo altamente positivo es la relación con el Congreso”. También intentó comparar el gobierno de Petro con “las dictaduras de la región como la de Nicolás Maduro en Venezuela”, el mismo gobierno al que en el pasado la administración de Donald Trump intentó derrocar por la fuerza, como ocurrió con la fallida operación Gedeón en mayo del 2020, un intento de incursión armada hacia Venezuela en el que participaron exmilitares venezolanos y agentes vinculados a Estados Unidos y Colombia, según reportó British Brodcasting Corporation.
Díaz-Balart insistió en que la reunión buscaba “fortalecer esta alianza que ha beneficiado enormemente a ambos países […] combatiendo el narcoterrorismo y promoviendo los intereses de seguridad nacional de Estados Unidos y Colombia, así como trabajar con el pueblo colombiano para avanzar en los objetivos comunes de estabilidad, prosperidad y gobernanza democrática”. Efraín Cepeda, por su parte, publicó una declaración ambigua refiriéndose a “temas bilaterales” como la migración, el narcotráfico y la relación comercial. “El Congreso de Colombia tiene todo el respaldo del Congreso de los Estados Unidos”, concluyó.
PODEROSA GUSANERA
Más allá de la familia está el poder cubano-americano que influye en la relación entre Washington y América Latina. Su exponente más destacado es Marco Rubio. Cuando Trump lo nombró en el gabinete, Díaz-Balart manifestó sobre Rubio: “(hará) un trabajo excepcional promoviendo una política exterior firme y enfocada, y ofrecerá experiencia y asesoramiento invaluables como asesor de Seguridad Nacional”
Ambos —Rubio y Díaz-Balart— han estado ligados a redes políticas dentro de la comunidad cubanoamericana, además de la agenda “anticomunista” y su origen, los une el lobby anticastrista. Uno de los más poderosos en el capitolio. La revista Foreign Policy lo describió así “el lobby más poderoso en Washington no es la NRA (de armas), es el ala de derecha de odio hacia Castro que tiene a los burócratas de Obama aterrorizados e inertes”.
Para ilustrar su radicalismo: en 2014, cuando los ídolos del pop Jay-Z y Beyoncé celebraron su aniversario de bodas en Cuba, Rubio exigió investigarlos por violar el embargo estadounidense a la isla. El analista William LeoGrande, profesor de American University en Washington, escribió en Foreign Policy: “Ese lobby de política exterior agresivo logró impedir el debate racional sobre una política anacrónica, intimidando a cualquiera que se atreviera a cuestionarla”.
Lo cierto es que incluso artículos académicos han cuestionado la eficacia de ese lobby cubano, que en más de cincuenta años no ha logrado su objetivo de derrocar al gobierno socialista en La Habana. También ha sido señalada como una fachada, disfrazada de defensa de derechos humanos, para encubrir otros intereses.
Investigadores de la Universidad de Denver lo resumen así: “La política de EE.UU. hacia Cuba no es más que una extensión de la política de Florida por otros medios”.
Esa política dura de Florida, que impulsa carreras como las de Mario Díaz-Balart y Marco Rubio, ha sido protagonista de distintas intervenciones en América Latina. Desde el apoyo militar a grupos anticastristas entrenados por la CIA, que fueron derrotados en Playa Girón y cuya operación se gestó en EE.UU., hasta los recientes intentos de mercenarios en la fallida Operación Gedeón que buscaba la captura de Nicolás Maduro en Venezuela.
También existen apoyos menos visibles, como el de una organización que ha recibido recursos del gobierno estadounidense y que desde el sur de Florida lleva más de 40 años intentando incidir políticamente en la isla: la Fundación Nacional Cubano-Americana (CANF), fundada por un exiliado cubano y acusada de financiar a terroristas como Luis Posada Carriles, quien murió en el 2018. Posada Carriles aceptó en una entrevista con The New York Times haber recibido más de 200.000 dólares del fundador de la CANF para sus operaciones. Posada Carriles, señalado durante décadas de terrorismo internacional, murió en 2018 en Miami sin haber enfrentado juicio por muchos de los atentados que cometió.
Esta organización, la FNCA, ha respaldado a Marco Rubio y a otros políticos conservadores cubanoamericanos. Con los años, su agenda se ha diversificado y ha buscado incidir en otros países, como Venezuela.
