Verso una zona economica di pace
In un contesto di riapertura delle relazioni diplomatiche, di crescente interdipendenza economica e di urgente necessità di consolidare la pace lungo un’estesa frontiera storicamente conflittuale, Venezuela e Colombia hanno compiuto il passo strategico di creare una Zona Economica Speciale di Pace.
Al di là di essere una misura di stimolo commerciale, si tratta di una scommessa strutturale sull’integrazione profonda, la cooperazione regionale e, soprattutto, sulla stabilizzazione di un’area che per decenni è stata teatro di tensioni, contrabbando e conflitti armati. In questo scenario, l’economia emerge come strumento di diplomazia attiva, capace di trasformare dinamiche di conflitto in catene di valore condivise.
Zone Economiche: un altro passo in chiave binazionale
La tabella di marcia per la costituzione delle zone economiche binazionali è stata delineata dal presidente venezuelano Nicolás Maduro in coordinamento con il governo di Gustavo Petro, a seguito della firma di un accordo quadro nel 2024 che ha posto le basi per una nuova fase d’integrazione.
Il piano si articola in tre zone-fase, con obiettivi chiaramente definiti:
>Zona Táchira-Norte de Santander/Zulia-La Guajira/Cesar: consolidamento dell’asse occidentale. Stimolare la produzione congiunta, sostituire le importazioni, generare occupazione e trasformare questo asse frontaliero in uno spazio di pace, integrazione produttiva e intesa politica. Rappresenta il nucleo del commercio binazionale attuale.
>Zona Apure-Arauca: promozione dell’agroindustria. Sviluppo agroalimentare e trasformazione dell’apparato agroindustriale.
>Zona Amazonas-Guainía/Vichada: tutela ambientale e sviluppo sostenibile. Protezione della biodiversità e lotta contro l’estrazione mineraria illegale.
Le zone saranno inizialmente situate in punti chiave come San Antonio del Táchira (Venezuela) e Cúcuta (Colombia), Arauca e Puerto Carreño, e nella zona sud del lago di Maracaibo, con prospettive di estensione verso il Catatumbo. Queste regioni godranno di incentivi fiscali, semplificazione delle procedure e accesso preferenziale a crediti binazionali. L’obiettivo non è solo riattivare il commercio formale, ma anche scoraggiare il contrabbando e l’economia informale che alimentano le reti illegali.
L’accordo si propone di replicare esperienze di successo come le zone franche dell’Unione Europea o la zona industriale di confine tra Messico e USA, adattandole al contesto latinoamericano. Petro ha sottolineato che l’iniziativa “permetterà allo Stato di controllare la frontiera come uno spazio di legalità e prosperità, libero dalle mafie”.
Si prefigura la creazione di spazi di sviluppo inclusivo, in cui la manodopera locale, la produzione agroindustriale e l’innovazione tecnologica abbiano un ruolo da protagonisti. La meta è trasformare la frontiera in un polo di sviluppo.
Impulso sostenuto all’interscambio commerciale
I dati confermano che l’integrazione economica tra Venezuela e Colombia sta vivendo una fase di accelerazione senza precedenti negli ultimi 15 anni.
Secondo i dati della Camera di Integrazione Economica Venezuelano-Colombiana (CAVECOL), durante il secondo bimestre del 2025, il commercio binazionale ha raggiunto i 379,2 milioni di $, con un aumento del 24,7% rispetto ai 304 milioni registrati nello stesso periodo dell’anno precedente. Questa dinamica si fonda su un incremento costante delle esportazioni colombiane verso il Venezuela, in particolare di alimenti trasformati, medicinali, input industriali e beni strumentali.
Tra gennaio e aprile del 2025, il commercio bilaterale è cresciuto del 25,8%, superando i 360 milioni di $. L’agenzia governativa colombiana ProColombia prevede che le esportazioni colombiane verso il Venezuela raggiungeranno 1600 milioni di $ entro la fine del 2025, superando di gran lunga il tetto dei 1000 milioni del 2024.
A sua volta, il Venezuela ha iniziato a esportare ferro e acciaio, fertilizzanti, alluminio e suoi manufatti, combustibili, oli e prodotti chimici organici, soprattutto verso i dipartimenti confinanti. Questa crescita avviene nonostante le occasionali tensioni politiche, segnale che gli interessi economici regionali stanno superando antiche diffidenze.
Prospettiva di integrazione energetica
Oltre al commercio di beni, l’integrazione energetica emerge come il prossimo grande passo nella relazione bilaterale. Il Venezuela, che possiede le maggiori riserve di petrolio del mondo e di gas naturale in America Latina, e la Colombia, con una infrastruttura di trasporto energetico sviluppata, hanno un’opportunità unica di complementarità.
Uno dei punti salienti dell’accordo di cooperazione e della creazione della Zona Economica Speciale di Pace è la possibilità di sviluppare congiuntamente progetti di interconnessione elettrica tra i due paesi, a beneficio sia dello sviluppo produttivo che dell’infrastruttura e dei servizi per le popolazioni su entrambi i lati del confine.
Inoltre, il memorandum prevede investimenti congiunti nell’estrazione, industrializzazione e distribuzione di gas e petrolio, con l’obiettivo di rafforzare l’integrazione energetica regionale.
Il Gasdotto Antonio Ricaurte potrebbe essere riattivato come asse centrale di un corridoio energetico che colleghi i giacimenti di gas dell’occidente venezuelano con il sistema di condotte colombiano, rifornendo non solo Cúcuta o Arauca, ma anche mercati regionali.
Il Venezuela ha già esperienza nell’integrazione delle proprie capacità energetiche con i paesi vicini. Ha firmato accordi energetici con Trinidad e Tobago per la riparazione congiunta di impianti di lavorazione del gas e lo scambio tecnologico. Questi accordi non solo rafforzano la sovranità energetica, ma posizionano i Caraibi meridionali come un blocco energetico emergente.
Inoltre, il Brasile ha iniziato a importare elettricità dal Venezuela, nel 2024, attraverso un accordo volto a diversificare le fonti energetiche dopo anni di siccità. Questi accordi hanno posto fine a 8 anni di distanziamento e aperto la strada a una rete elettrica regionale.
L’integrazione energetica tra Colombia e Venezuela non è solo tecnica, ma anche politica. L’accesso al gas venezuelano potrebbe ridurre i costi industriali nelle aree di confine colombiane, mentre il Venezuela otterrebbe valuta estera e tecnologia per modernizzare la propria infrastruttura. Per la regione, la cooperazione energetica rappresenta un’alternativa alla tutela esterna e un cammino verso l’autonomia.
Un obiettivo: rafforzare la pace e la sicurezza alla frontiera
Dietro ogni dato commerciale e ogni accordo energetico pulsa un obiettivo strategico ancora più profondo: la costruzione della pace alla frontiera. Per anni, questa regione è stata teatro di scontri tra forze di sicurezza, gruppi armati illegali e reti del narcotraffico. Il vuoto istituzionale e la marginalizzazione economica hanno favorito la presenza di attori come l’ELN, le dissidenze delle FARC e gruppi paramilitari.
La riapertura economica non è estranea a questa realtà. Molti di questi gruppi finanziano le loro attività attraverso il controllo del contrabbando e del narcotraffico. Riattivando il commercio formale, migliorando i redditi locali e generando occupazione dignitosa, le zone economiche binazionali colpirebbero le radici economiche della violenza. La frontiera smetterebbe di essere uno spazio extraterritoriale per trasformarsi in un territorio di opportunità.
Inoltre, la cooperazione militare e di intelligence tra i due paesi è aumentata, non per costruire un fronte bellico –come auspicato da USA, opposizione estremista venezuelana e uribismo–, ma per combattere insieme il crimine organizzato transnazionale. In tal modo, commercio, investimenti e integrazione sociale si trasformano in pilastri della sicurezza.
Non si tratta di un esperimento isolato per inaugurare mercati, condotte o fabbriche condivise: queste zone fanno parte di una visione di integrazione regionale che unisce economia, energia e pace. Con dati commerciali in crescita, progetti energetici integrati e volontà politica, i due paesi hanno l’opportunità di trasformare una frontiera storicamente lacerata in un modello di cooperazione sud-sud.
Hacia una zona económica de paz
Una geopolítica del desarrollo se instala en la frontera con Colombia
En un contexto de reapertura de relaciones diplomáticas, la creciente interdependencia económica y la urgencia de consolidar la paz en una extensa frontera históricamente conflictiva, Venezuela y Colombia han dado el paso estratégico de crear la Zona Económica Especial de Paz.
Más allá de ser una medida de estímulo comercial, se trata de una apuesta estructural por la integración profunda, la cooperación regional y, sobre todo, por la estabilización de una zona que durante décadas ha sido escenario de tensión, contrabando y confrontación armada. En este contexto, la economía emerge como un instrumento de diplomacia activa, capaz de transformar dinámicas de conflicto en cadenas de valor compartidas.
Zonas Económicas: Un paso más en clave binacional
La hoja de ruta para la conformación de las zonas económicas binacionales fue delineada por el presidente venezolano Nicolás Maduro en coordinación con el gobierno de Gustavo Petro, tras la firma de un acuerdo marco en 2024 que sentó las bases para una nueva etapa de integración.
El plan se desarrolla en tres zonas-fases cuyos objetivos están claramente definidos:
Zona Táchira-Norte de Santander / Zulia-La Guajira / Cesar: consolidación del eje occidental. Estimular la producción conjunta, sustituir importaciones, generar empleos y convertir este eje fronterizo en un espacio de paz, integración productiva y entendimiento político. Es el núcleo del actual comercio binacional.
Zona Apure-Arauca: impulso agroindustrial. Desarrollo agroalimentario y la transformación del aparato agroindustrial.
Zona Amazonas-Guainía/Vichada: protección ambiental y desarrollo sostenible. Protección de la biodiversidad y la lucha contra la minería ilegal.
Las zonas se ubicarán inicialmente en puntos clave como San Antonio del Táchira (Venezuela) y Cúcuta (Colombia), Arauca y Puerto Carreño, y en el sur del lago de Maracaibo, con proyecciones hacia el Catatumbo. Estas regiones contarán con incentivos fiscales, simplificación de trámites y acceso preferencial a créditos binacionales. El objetivo es no solo reactivar el comercio formal, sino también desincentivar el contrabando y la economía informal que ha alimentado redes de ilegalidad.
El acuerdo busca replicar experiencias exitosas como las zonas francas de la Unión Europea o la zona industrial fronteriza entre México y Estados Unidos, adaptadas al contexto latinoamericano. Petro destacó que la iniciativa “permitirá llevar el Estado a controlar la frontera como un espacio de prosperidad legal y sin mafias”.
Se prefigura que sean espacios de desarrollo inclusivo, donde la mano de obra local, la producción agroindustrial y la innovación tecnológica tengan un rol protagónico. La meta es convertir la frontera en un polo de desarrollo.
Impulso sostenido al intercambio comercial
Los números confirman que la integración económica entre Venezuela y Colombia está en una fase de aceleración sin precedentes en los últimos 15 años.
Según datos de la Cámara de Integración Económica Venezolano Colombiana (Cavecol), durante el segundo bimestre de 2025, el comercio binacional alcanzó un volumen de 379,2 millones de dólares, lo que significa un aumento del 24,7% respecto a los 304 millones de dólares registrados en el mismo período del año anterior. Este dinamismo se sustenta en un aumento sostenido de las exportaciones colombianas hacia Venezuela, especialmente de alimentos procesados, medicinas, insumos industriales y bienes de capital.
Entre enero y abril de 2025, el comercio bilateral creció un 25,8%, superando los 360 millones de dólares. La agencia gubernamental colombiana ProColombia proyecta que las exportaciones colombianas hacia Venezuela alcancen los 1.600 millones de dólares al cierre de 2025, lo que superaría de lejos los 1.000 millones alcanzados en 2024.
A su vez, Venezuela ha comenzado a exportar hierro y acero, abonos, aluminio y sus manufacturas, combustibles y aceites y productos químicos orgánicos, especialmente hacia departamentos limítrofes. Este crecimiento ocurre a pesar de tensiones políticas ocasionales, lo que demuestra que los intereses económicos regionales están superando viejas desconfianzas.
Visión hacia la integración energética
Más allá del comercio de bienes, la integración energética emerge como el próximo gran peldaño en la relación bilateral. Venezuela, poseedora de las mayores reservas de petróleo en el mundo y de gas natural en América Latina, y Colombia, con una infraestructura de transporte energético desarrollada, tienen una oportunidad única de complementarse.
Uno de los puntos destacados del acuerdo de cooperación y el establecimiento de la Zona Económica Especial de Paz es la posibilidad de desarrollo conjunto de proyectos de interconexión eléctrica entre ambos países para favorecer tanto el desarrollo productivo como la infraestructura y los servicios para la población a ambos lados de la frontera.
Pero, además, el memorándum establece la realización de inversiones conjuntas en la explotación, industrialización y distribución de gas y petróleo, con miras a fortalecer la integración energética regional.
El Gasoducto Antonio Ricaurte podría ser reactivado como eje central de un corredor energético que conecte los campos de gas del occidente venezolano con el sistema de ductos colombiano, abasteciendo no solo a Cúcuta o Arauca, sino también a mercados regionales.
Venezuela tiene experiencia en la integración de sus capacidades energéticas con los países vecinos. Ha firmado acuerdos energéticos con Trinidad y Tobago para la reparación conjunta de plantas de procesamiento de gas y el intercambio de tecnología. Estos acuerdos no solo fortalecen la soberanía energética, sino que posicionan al Caribe Sur como un bloque energético emergente.
Por otra parte, Brasil comenzó a importar electricidad de Venezuela en 2024 mediante un acuerdo que busca diversificar sus fuentes energéticas tras años de sequía. Estos acuerdos marcaron el fin de ocho años de distanciamiento y han abierto la puerta a una red eléctrica regional.
La integración energética entre Colombia y Venezuela no es solo técnica, sino política. El acceso al gas venezolano podría reducir los costos industriales en la frontera colombiana, mientras que Venezuela obtendría divisas y tecnología para modernizar su infraestructura. Para la región, la cooperación energética es una alternativa a la tutela externa y un camino hacia su autonomía.
Una meta: afianzar la paz y la seguridad en la frontera
Detrás de cada estadística comercial y cada acuerdo energético late un objetivo estratégico aún más profundo: la consolidación de la paz en la frontera. Durante años, la región fronteriza ha sido escenario de confrontaciones entre cuerpos de seguridad, grupos armados ilegales y redes de narcotráfico. El vacío institucional y la marginalización económica alimentaron la presencia de actores como el ELN, disidencias de las FARC y grupos paramilitares.
La reapertura económica no es ajena a esta realidad. Muchos de estos grupos financian sus operaciones con el control del contrabando y el narcotráfico. Al reactivar el comercio formal, mejorar los ingresos locales y generar empleo digno, las zonas económicas binacionales atacarían las raíces económicas de la violencia. La frontera dejaría de ser un espacio de extraterritorialidad para convertirse en un territorio de oportunidades.
Además, la cooperación militar y de inteligencia entre ambos países ha aumentado, no para construir un frente bélico –que ha sido la aspiración desde Estados Unidos, la oposición extremista venezolana y el uribismo–, sino para combatir en conjunto al crimen organizado transnacional. Es así como el comercio, la inversión y la integración social se convierten en pilares de la seguridad.
No se trata de un experimento aislado para inaugurar mercados, ductos y fábricas compartidas: estas zonas son parte de una visión de integración regional que combina economía, energía y paz. Con datos comerciales en alza, proyectos energéticos integrales y voluntad política, ambos países tienen la oportunidad de transformar una frontera históricamente fracturada en un modelo de cooperación sur-sur.



