Fine di un ciclo politico: analisi speciale sulle elezioni in Bolivia

Risultato tragico, ma non sorprendente

Franco Vielma

Le elezioni presidenziali e parlamentari in Bolivia hanno prodotto un sostanziale e totale rovescio nella politica del paese andino.

Il senatore Rodrigo Paz Pereira e l’ex presidente Jorge “Tuto” Quiroga si contenderanno la presidenza della Bolivia al ballottaggio del 19 ottobre.

Allo stesso modo, i risultati per il Senato e per la Camera Bassa del Congresso dello Stato Plurinazionale indicano un importante cambio nella correlazione delle forze elettorali, considerando che il partito di governo Movimiento al Socialismo (MAS) ha perso tutti i seggi del Senato e ha conquistato a malapena un posto nella Camera dei Deputati.

Questo risultato, come il lungo processo politico che lo ha preceduto, merita un’analisi ampia che includa diverse angolazioni.

SUI RISULTATI ELETTORALI

Paz e Quiroga sono stati i candidati più votati alle elezioni presidenziali di domenica 17 agosto.

Rodrigo Paz (Partito Democristiano) ha ottenuto più di 1561000 voti, pari al 32,08%. Mentre Quiroga (Alianza Libre) ha superato 1311000 voti, pari al 26,94%, secondo i risultati preliminari diffusi dal Tribunal Supremo Electoral (TSE) con oltre il 90% delle schede scrutinate.

Alle loro spalle, l’imprenditore Samuel Doria Medina – che secondo i sondaggi partiva come favorito – con il 19,93%.

Il principale candidato della sinistra e presidente uscente del Senato, Andrónico Rodríguez, ha raggiunto il quarto posto con l’8,15%. Mentre il candidato governativo (MAS), Eduardo del Castillo, ha ottenuto appena il 3,16%.

Tuttavia, le questioni più importanti – e al tempo stesso sintomatiche – di questa elezione si trovano in altri dati generali forniti dal voto.

Questa competizione segna una rottura nella dinamica politica degli ultimi 20 anni, nei quali il partito vincente garantiva la vittoria già al primo turno con un’ampia maggioranza.

La Costituzione boliviana stabilisce che un candidato può vincere al primo turno se ottiene oltre il 50% dei voti validi, o almeno il 40% con un vantaggio di 10 punti percentuali sul secondo. È la prima volta che ciò non avviene da quando esiste il ballottaggio per le presidenziali.

Un altro dato significativo: in Bolivia il voto è obbligatorio, e non recarsi alle urne può comportare multe.

In queste elezioni la partecipazione è stata dell’88,8% degli aventi diritto, ed è la prima volta che ciò accade in una presidenziale da oltre due decenni.

Un altro elemento rilevante è rappresentato dai voti nulli, che sono stati 1252449, e dai voti bianchi, 158270. Insieme fanno 1410719 voti.

A questo punto è importante chiarire che l’ex presidente Evo Morales ha invitato a votare nullo o bianco, e che il candidato vincitori al primo turno, Rodrigo Paz, ha ottenuto 1625882 voti.

Queste cifre suggeriscono che, in termini puramente politici (e non elettorali), l’appello di Morales si è trasformato nella seconda forza elettorale, poiché superano i 1356370 voti raccolti da Quiroga.

I dati riflettono una frammentazione di tutti gli spettri politici boliviani, da sinistra a destra.

Ma si percepisce anche un generale disincanto verso la politica nazionale: nessuna forza politica è abbastanza forte da sola, e le dirigenze eleggibili si sono dimostrate strutturalmente deboli di fronte al conglomerato di forze e attori.

Rodrigo Paz, nato in Spagna a causa dell’esilio di suo padre, ha avuto un ampio percorso in diverse organizzazioni politiche del paese, passando dal Movimiento de Izquierda Revolucionaria (MIR) fino a Comunidad Ciudadana (partito conservatore di Carlos Mesa).

Molte analisi suggeriscono che Paz abbia aggregato il voto degli oppositori tradizionali, di cittadini politicamente disillusi (gruppi scontenti sia della sinistra che della destra tradizionali) e persino di ex sostenitori del MAS e di Evo Morales che rifiutavano Andrónico Rodríguez.

QUESTIONI DI FONDO DIETRO I RISULTATI

L’elezione di domenica ha un grande significato perché segna la fine di un’era politica in Bolivia. Sia Paz che Quiroga sono politici di destra: dunque il prossimo presidente sarà inevitabilmente espressione di quell’orientamento. La perdita di potere e di rappresentanza da parte della forza governativa uscente e delle forze storiche che lo hanno sostenuto è indiscutibile e grave.

Dall’ascesa del MAS come partito di governo, il paese ha assunto la forma di Stato Plurinazionale. Evo Morales ha inaugurato questo ciclo, interrotto dalla sua mancata rielezione nel 2019 a seguito di un colpo di Stato.

Come ampiamente documentato, da allora si è prodotta una contesa politica nata dall’ascesa di Luis Arce, che ha finito per scontrarsi con Morales fino alla sua giudizializzazione.

Una lettura semplice – ma incompleta, e quindi erronea – dei risultati potrebbe attribuire la sconfitta unicamente alla divisione tra gli ex attori del MAS. In realtà, vi sono molti altri fattori.

Dopo che a Evo Morales non è stata concessa l’iscrizione come candidato, egli ha chiamato al boicottaggio elettorale con voto nullo. I voti nulli e bianchi hanno rappresentato il 21,8% della partecipazione.

Il voto di Rodríguez e Del Castillo, insieme, ha raggiunto l’11,38%. In totale, lo spettro delle forze che in passato avevano composto il processo politico boliviano ha rappresentato il 33,18% della partecipazione dei voti alle presidenziali. In termini reali è un dato superiore rispetto al 32,08% ottenuto da Paz, calcolato sui soli voti validi.

Questi numeri indicano che le forze un tempo unite nel progetto della rivoluzione plurinazionale restano il maggiore blocco della politica boliviana.

Si tratta di un settore più ampio di quello che ha votato per Rodrigo Paz. E potrebbe essere ancora più grande se si considera che il 12% degli elettori registrati non si è presentato alle urne, pur rischiando multe.

I dati suggeriscono che, nonostante il lungo logoramento della sua immagine, la criminalizzazione, la persecuzione e la stigmatizzazione contro il suo mandato e i suoi alleati politici, Evo Morales nei prossimi mesi sarà il principale riferimento dell’opposizione di sinistra in Bolivia.

Dal punto di vista politologico, si comprende che l’elettorato tradizionale del MAS e del processo politico boliviano abbia finito per inclinarsi più dalla parte di Morales nel lungo conflitto interno.

Il candidato di Arce, Eduardo del Castillo, ha probabilmente raccolto uno dei peggiori risultati – forse il peggiore – mai ottenuti da un partito di governo nella storia elettorale mondiale. Il rifiuto del governo Arce è l’unico grande consenso nella politica boliviana.

Nel caso di Rodríguez, il suo risultato è stato assai deludente, pur essendo stato un dirigente giovanile del MAS, figura fresca e presidente del Senato.

Un’analisi potrebbe concludere che Rodríguez non sia arrivato al ballottaggio per la mancanza del sostegno di Morales. In realtà, Rodríguez non ha incarnato le aspirazioni né di Morales né del conglomerato originario del masismo e della rivoluzione multiculturale.

Ha cercato piuttosto di rappresentare sé stesso, proponendo un’offerta di sinistra con una campagna debole, strutture territoriali e settoriali disarticolate, un discorso moderato, centrista, che tentava di attrarre un elettorato di “centro-sinistra”. Una strategia completamente fallita.

I dati mostrano che un ampio settore di elettori è rimasto senza rappresentanza politica, senza candidato. Questo rimanda direttamente a Morales, escluso dalla competizione, e spiega fenomeni inediti di questa elezione: ballottaggio, alta astensione, gran numero di voti nulli, frammentazione e debolezza strutturale della sinistra.

In altre parole: l’esclusione di Morales – tramite una possibile intesa tra Arce e il potere giudiziario – ha distorto tutte le dinamiche e, di conseguenza, i risultati elettorali.

Un altro fattore decisivo è stata la politica economica e sociale erratica e fallimentare del governo Arce. Dalla sua crescente persecuzione contro Morales, il governo ha perso l’appoggio parlamentare, riducendo la sua capacità di manovra per attuare politiche.

La politica economica è crollata sistematicamente per misure rimandate, azioni mal implementate e perdita progressiva della base materiale dello Stato.

Il malcontento sociale, la perdita delle condizioni minime di vita e il deterioramento economico hanno inciso come fattore trasversale, generando disincanto e disaffezione in tutti gli spettri politici. Ma questo ha colpito soprattutto le forze associate al MAS fino al 2019. Rodríguez e Del Castillo sono stati penalizzati dall’eredità negativa del governo uscente.

IL FUTURO DELLA BOLIVIA

Il nuovo governo boliviano sarà di taglio neoliberale e di destra conservatrice. La Bolivia è un paese chiave per materie prime strategiche come il litio. È noto che l’agenda regionale degli USA, di fronte a competitori come Cina e Russia, attribuisce particolare importanza alla nazione altiplanica.

Si prevede che il nuovo governo adotterà drastiche misure di concessione, con il rischio di una perdita significativa della sovranità sulle risorse naturali.

Sul piano interno, si attendono svalutazione, aumento dei prezzi dei carburanti, riduzione del ruolo dello Stato, eliminazione di alcuni sussidi e un generale rialzo dei prezzi al consumo di molti beni.

Il futuro di figure come Evo Morales e dei movimenti sociali e cocaleros resta incerto, a seconda che vinca Paz o Quiroga. Ma la situazione di Morales dipende dal potere giudiziario ed è probabile che venga incarcerato.

Sia Paz che Quiroga hanno promesso di smantellare vent’anni di politiche, conquiste sociali e forme di direzione della sinistra boliviana, riaprendo la strada ai vecchi poteri che in passato hanno sostenuto correnti golpiste e neofasciste nel Paese, favorendo persecuzioni politiche e nuove ondate di conflitti sociali.

Tuttavia, anche la destra boliviana è attraversata da profonde divisioni, il che rappresenterà un ostacolo per la governabilità del prossimo presidente, chiunque esso sia. La sua legittimità sarà fragile e dovrà affrontare tensioni politiche, delegittimazione delle istituzioni rappresentative e inevitabile malcontento sociale legato alle misure di aggiustamento.

Un aspetto cruciale su questo Paese: le dinamiche territoriali e settoriali che un tempo costituivano la base di Morales, pur divise e indebolite, non sono state eliminate. Questo blocco potrebbe riorganizzarsi, stimolato dalle politiche di un governo neoliberale con maggioranza parlamentare assoluta.

Il contesto potrebbe favorire una riorganizzazione e ricomposizione delle forze che hanno dato vita allo Stato Plurinazionale, forse persino una riunificazione strategica tra alcuni attori escludendo Arce.

Al contempo le condizioni potrebbero suggerire l’emergere di nuovi referenti ed attori.

Il risultato elettorale è tragico, ma non sorprendente. Forse la rivoluzione plurinazionale era già persa, in termini fattuali, dal 2019. Ma solo ora si creano le condizioni reali che potrebbero permettere una riorganizzazione strategica delle forze che rifondarono la nazione quasi vent’anni fa. Tutto resta da vedere.


Resultado trágico, mas no sorprendente

Fin de un ciclo político: análisis especial sobre las elecciones en Bolivia

Franco Vielma

Las elecciones presidenciales y parlamentarias en Bolivia han tenido como resultado un revés sustancial y total en la política del país andino.

El senador Rodrigo Paz Pereira y el expresidente Jorge “Tuto” Quiroga se disputarán la presidencia de Bolivia en la segunda vuelta el 19 de octubre.

De igual manera, los resultados para el Senado y la Cámara Baja del Congreso del Estado Plurinacional sugieren un importante giro en la correlación de fuerzas electorales, considerando que el partido gobernante Movimiento al Socialismo (MAS) ha perdido todos los escaños del Senado y apenas ha alcanzado un curul en la Cámara de Diputados.

Este resultado, como el extenso proceso político que le ha precedido, merece un análisis amplio que incluya diversas aristas.

SOBRE LOS RESULTADOS ELECTORALES

Paz y Quiroga fueron los candidatos más votados en las elecciones presidenciales de este domingo 17 de agosto.

Rodrigo Paz (Partido Demócrata Cristiano) obtuvo más de 1.561.000 votos, un 32,08%. Mientras que Quiroga (Alianza Libre) superó los 1.311.000, un 26,94%, según los resultados preliminares emitidos por el Tribunal Supremo Electoral (TSE) con más del 90% de votos escrutados.

Por detrás quedaron el empresario Samuel Doria Medina -quien, según las encuestas, partía como favorito- con el 19,93%.

Por su lado, el principal aspirante de la izquierda y presidente saliente del Senado, Andrónico Rodríguez, alcanzó el cuarto puesto con el 8,15%. Mientras que el candidato oficialista (MAS) Eduardo del Castillo obtuvo un 3,16%.

Sin embargo, las cuestiones más importantes, y de igual manera sintomáticas, sobre la elección yacen en los otros datos generales que arrojaron estos comicios.

Esta contienda marcaría un quiebre en la dinámica política de los últimos 20 años en el país, en las que el partido ganador aseguraba su victoria con una amplia mayoría en primera vuelta.

La Constitución boliviana establece que un candidato puede ganar la presidencia en primera vuelta si obtiene más del 50% de los votos válidos, o al menos el 40% con una diferencia de diez puntos porcentuales sobre el segundo. Es la primera vez que esto no ocurre desde la existencia de la segunda vuelta por las presidenciales.

Otro dato significativo es que Bolivia es un país con elecciones de voto obligatorio y no acudir a las urnas puede acarrear multas.

En estas elecciones, se reportó una participación de 88,8% del padrón electoral y es la primera vez que esto ocurre en una elección presidencial en más de dos décadas.

Otro dato relevante es el del voto nulo, de 1.252.449, y 158.270 votos en blanco. En conjunto, estos equivalen a 1.410.719 votos.

En este punto es importante aclarar que el expresidente Evo Morales llamó al voto nulo y al voto en blanco, y que el candidato ganador en la primera vuelta, Rodrigo Paz, alcanzó 1.625.882 sufragios.

Lo que sugieren las cifras es que, en términos puramente políticos (y no electorales), el llamado de Morales se convirtió en la segunda fuerza política electoral, pues superan el 1.356.370 que consiguió Quiroga.

Los datos reflejan una atomización de todos los espectros de la política boliviana, de manera diametral, de izquierda a derecha.

Pero también es apreciable un desencanto general por la política nacional. Ninguna fuerza política es lo suficientemente fuerte por sí sola, y los liderazgos elegibles fueron estructuralmente débiles frente al conglomerado de fuerzas y actores.

Rodrigo Paz, nacido en España a causa del exilio de su padre, ha tenido un extenso recorrido en organizaciones políticas de su país, pasando desde el Movimiento de Izquierda Revolucionaria (MIR) hasta Comunidad Ciudadana (partido conservador, de Carlos Mesa).

Varios análisis sugieren que Paz habría aglutinado el voto de opositores tradicionales, desafiliados políticos (grupos descontentos con la izquierda y la derecha tradicionales) e, incluso, antiguos seguidores del MAS y de Evo Morales que rechazaban a Andrónico Rodríguez.

CUESTIONES DE PROFUNDIDAD DETRÁS DE LOS RESULTADOS

La elección del domingo tiene un gran significado por traducirse en el fin de una era política en Bolivia. Sea Paz o Quiroga, el próximo presidente de Bolivia será un político de derecha. La pérdida del poder y las instancias de representación por parte del oficialismo saliente y las fuerzas históricas que le apoyaron son indiscutibles y graves.

Desde el auge del MAS como partido de gobierno, el país tomó la forma de Estado Plurinacional. Evo Morales impulsó este ciclo, hasta ver truncada su reelección en el año 2019 con un golpe de Estado.

Tal como ha sido ampliamente registrado, ha ocurrido una pugna política que surgió desde el ascenso de Luis Arce, quien confrontó a Morales hasta su judicialización.

Una lectura fácil -pero incompleta, y por ende errónea- de los resultados electorales podría concluir que la división entre actores del antiguo MAS es en esencia la causa de los resultados. Pero hay muchos otros elementos sobre la mesa.

Luego de que a Evo Morales no se le permitiera la inscripción como candidato, este llamó a un boicot electoral clamando por el voto nulo. El voto nulo y blanco representaron el 21,8% de la participación electoral.

Mientras tanto, el voto de Rodríguez y Del Castillo representaron en conjunto un 11,38%. En suma, el espectro de las fuerzas que anteriormente constituyeron el proceso político boliviano representa un 33,18% de la participación en las presidenciales. Este dato, en términos reales, es holgadamente superior si se toma en cuenta que el porcentaje de apoyo que obtuvo Paz (32,08%) se calcula sobre la base de votos válidos.

Estas cifras sugieren que las fuerzas que alguna vez estuvieron unidas en el marco de la revolución plurinacional siguen siendo el mayor conjunto de la política boliviana.

Se trata de un sector más grande que el que votó por Rodrigo Paz. Y es una fuerza político-social que podría ser considerablemente mayor, tomando en cuenta que 12% de los electores registrados no se presentó a las urnas a riesgo de multas.

Los datos sugieren que, a pesar del gran periodo de agotamiento de su imagen, criminalización, persecución y estigmatización a su mandato y allegados políticos, Evo Morales será en los próximos meses el principal referente de la oposición de izquierda en Bolivia.

Por politología básica, se entiende que el conglomerado de votantes tradicionales del MAS y del proceso político de Bolivia otorgó la razón o se inclinó más por Morales en el desenlace del largo historial de la diatriba interna.

El candidato de Arce, Eduardo del Castillo, habría cosechado uno de los peores resultados -quizá el peor- jamás obtenido por un partido en el gobierno en toda la historia electoral en el mundo. El rechazo al gobierno de Arce es el único gran consenso que hay en la política boliviana.

Mientras que, en el caso de Rodríguez, este ha tenido un resultado sumamente pobre, pese a ser un antiguo referente juvenil del MAS, una figura fresca y presidente del Senado.

Un ángulo de análisis podría concluir que Rodríguez no pasó a la segunda vuelta a causa de la falta del apoyo de Morales. El problema real podría ser que Rodríguez no representó las aspiraciones de Morales ni del conglomerado original del masismo y la revolución multicultural.

Más bien, Rodríguez se representó a sí mismo tratando de disputar un espacio con la creación de una oferta política de izquierda, pero con una campaña débil, con orgánicas territoriales y sectoriales desarticuladas, con un discurso moderado, centrista, intentando encantar electores de “centro-izquierda”. Su estrategia fue absolutamente fallida.

Los datos sugieren que, en efecto, hubo un gran sector de electores sin representación política, sin abanderado electoral. Esto alude directamente a Morales, quien fue truncado a participar y con ello se explicarían elementos inéditos que ha dejado esta elección, como la segunda vuelta presidencial, la alta abstención, el gran número de votos nulos y la sedimentación orgánica y estratégica de la oferta electoral de la izquierda.

Dicho de otra forma: truncar a Morales -mediante una posible componenda entre Luis Arce y el Poder Judicial- distorsionó todas las dinámicas y, en consecuencia, los resultados de la elección.

Otro de los grandes componentes fue la política económica y social, errática y fallida, del gobierno de Arce. Desde que acentuó su persecución a Morales, el gobierno perdió el apoyo de parlamentarios, limitando su maniobra para realizar políticas.

Sin embargo, la política económica colapsó sistemáticamente a causa de medidas diferidas, otras acciones mal implementadas y una acumulación sostenida de la pérdida de base material del Estado.

El malestar social, la pérdida de condiciones elementales de vida y el deterioro económico pasaron a ser un elector transversal, dando forma al desencanto y a la desafiliación que se ha impuesto en todos los espectros políticos. Pero esto recayó de manera más perjudicial sobre todas las fuerzas asociadas al masismo hasta 2019. Rodríguez y Del Castillo resultaron perjudicados por el extenso acumulado económico del gobierno saliente.

EL FUTURO BOLIVIANO

El nuevo gobierno boliviano será de corte neoliberal y de derecha conservadora. Bolivia es un enclave crucial de materias primas claves como el litio. Como es sabido, la agenda regional de Estados Unidos ante sus competidores estratégicos como China y Rusia tiene un énfasis especial en la nación altiplana.

Se espera que el nuevo gobierno aplique medidas drásticas en materia concesionaria, a riesgo de una importante pérdida de soberanía del país sobre sus recursos naturales.

En cuanto a políticas económicas domésticas, también se espera un importante ajuste cambiario así como de los precios de combustibles, reducción del Estado, fin de ciertos subsidios y un ajuste general de precios al consumidor en muchos bienes.

El futuro de los actores políticos como Evo Morales y otros pertenecientes a movimientos sociales y cocaleros queda en entredicho, considerando quien asuma el mandato entre Paz y Quiroga. Pero la situación de Morales está en manos del Poder Judicial y es probable que sea encarcelado.

Tanto Paz como Quiroga han prometido desmantelar 20 años de políticas, acciones de gobierno, progresividad de derechos sociales, orgánicas y formas de liderazgo de la izquierda boliviana, lo cual supone el surgimiento de viejos factores de poder que han conformado corrientes golpistas y neofascistas en el país alentando la persecución política y la reproducción de conmociones de agitación social.

Pero las fuerzas de derecha de Bolivia mantienen divisiones estructurales y extendidas, lo cual también sugiere obstáculos para la gobernanza del nuevo próximo mandatario, el cual, sea quien sea, tendrá una legtimidad endeble. Este va a encarar un contexto de crispación política, deslegitimación de las instancias de representación y un indudable malestar social que vendrá con las próximas medidas de ajuste.

Un elemento importante sobre este país es que las dinámicas territoriales y sectoriales que antiguamente conformaron el piso de apoyo de Morales, si bien se han dividido y debilitado, no han sido suprimidas. Ahora, este conglomerado de actores podría tomar una nueva forma, aupado por los nuevos rasgos del ejercicio de poder de un gobierno neoliberal, con absoluta mayoría parlamentaria.

El contexto va a sugerir condiciones clave para una reorganización y una recomposición de las fuerzas que otrora han dado forma al Estado Plurinacional, y hasta es posible considerar que las nuevas circunstancias permitan una reunificación estratégica entre algunos actores, descartando a Arce.

De igual manera, las condiciones sugieren el surgimiento de nuevos referentes y actores.

El resultado electoral es trágico, pero no sorprendente. Tal vez la revolución plurinacional se sabía perdida en términos fácticos desde 2019, pero es ahora que se conjugarán las condiciones reales que permitan la reorganización estratégica entre las fuerzas que refundaron esta nación hace casi 20 años. Todo está por verse.


Rodrigo Paz e Jorge ‘Tuto’ Quiroga si sfideranno nel secondo turno delle elezioni presidenziali in Bolivia

Il duo Rodrigo Paz-Edman Lara ha sorpreso tutti alle elezioni generali di oggi in Bolivia, classificandosi al primo posto con il 32,16% dei voti , secondo i dati ufficiali preliminari del Tribunale Supremo Elettorale (TSE).

Secondo i dati diffusi dal Sistema dei risultati elettorali preliminari (Sirepre), il figlio dell’ex presidente Jaime Paz e capitano di polizia in pensione, diventato popolare per le sue denunce di corruzione all’interno delle forze armate e per le quali è stato pubblicamente rimproverato, ha raccolto 1,5 milioni di voti.

Dei 4,8 milioni di voti validi espressi, l’ex presidente di estrema destra Jorge Tuto Quiroga si è classificato al secondo posto, insieme all’imprenditore Juan Pablo Velazco, rappresentante dell’Alleanza Libera, con 26,88% (1,3 milioni di voti).

Questi due partiti si sfideranno in un ballottaggio entro 60 giorni per determinare il presidente e il vicepresidente, poiché la Costituzione stabilisce che per vincere il seggio presidenziale e l’Assemblea legislativa plurinazionale (ALP), devono ottenere più del 50% dei voti, ovvero 40 voti su 100, e una differenza di 10 punti percentuali rispetto al secondo classificato.

Il grande sconfitto è stato il duo Samuel Doria Medina-José Luis Lupo , che la stragrande maggioranza dei sondaggi pubblicati da mesi dava in testa, e che ora ha ottenuto solo 967123 voti, pari al 20%.

Dopo questo risultato, l’ex ministro della Pianificazione e candidato presidenziale senza successo in numerose elezioni nell’arco di oltre 20 anni ha dichiarato che manterrà la parola data e sosterrà il candidato di destra che arriverà primo, e ha ribadito il suo sostegno a Paz.

Al quarto posto si è classificato il rappresentante dell’Alleanza Popolare, Andrónico Rodríguez, con 391546 voti (8,1%), un risultato fortemente influenzato dall’appello rivolto dall’ex presidente Evo Morales alle forze a lui vicine affinché esprimessero un voto nullo.

È sorprendente che questo tipo di voto abbia rappresentato il 20% delle schede espresse, la stessa percentuale di Doria Medina.

Un altro dei grandi perdenti di questa giornata è stato il sindaco di Cochabamba, Manfred Reyes Villa, che, all’inizio della sua campagna a metà del 2024, quando fondò Autonomía Para Bolivia-Súmate (APB-Súmate), si distinse nei sondaggi e per tutta la campagna passò da più a meno.

Reyes Villa ha ricevuto il sostegno di 321340 elettori (6,6% di schede valide).

Un sapore agrodolce è rimasto per il più grande partito nella storia della Bolivia, il Movimento verso il socialismo – Strumento politico per la sovranità dei popoli (MAS-IPSP), con più di un milione di iscritti e tutti i sondaggi che lo collocano al di sotto del tre percento richiesto per mantenere il suo status legale.

Il duo che rappresenta quel partito, Eduardo del Castillo-Milán Berna, ha ottenuto 152218 voti (3,1%) e ha la consolazione di aver salvato il frammentato MAS-IPSP come forza politica.

Il sindaco di Santa Cruz de la Sierra e leader dell’Unità Civica di Solidarietà (UCS), Jhonny Fernández, è risultato il più grande perdente di queste elezioni, con solo l’1,6% dei voti (77400 schede), motivo per cui questo partito perderà la sua rappresentanza politica.

Stessa sorte spetta alla Alianza Libertad y Progreso-ADN, rappresentata da Pavel Aracena, che con 70124 voti ha accumulato solo l’1,4% delle schede valide.

Per ora, le quattro principali forze di destra detengono già oltre l’85% dei seggi nell’Assemblea legislativa plurinazionale, una cifra che potrebbe consentire loro di convocare un’Assemblea costituente dopo il loro insediamento nel novembre di quest’anno, con l’obiettivo di restaurare la Repubblica razzista e neoliberista ed eliminare lo Stato plurinazionale.

Un blocco popolare nazionale, rappresentato da oltre il 20% degli elettori boliviani, potrebbe rappresentare un freno. È stato estromesso dal controllo del potere legislativo, principalmente a causa della sua mancanza di unità. Ora potrebbe rappresentare una minaccia alla governabilità del paese andino-amazzonico, partendo dalle strade.

Fonte: http://www.cubadebate.cu/…/rodrigo-paz-y-jorge-tuto…/

Traduzione: italiacuba.it

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