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America latina

2010: offensiva militare yankee contro l’America Latina

E’ un affare militarizzare il Sud America?

 

di Fernando Buen Abad Domínguez* su www.laradiodelsur.com del 09/05/2010 (www.lernesto.it)

*Collaboratore di diversi giornali e istituzioni culturali latinoamericane, è membro della World Association of Massmediatic Semiotic & Global Communication

 

Il “gerente della guerra”, con il suo “Premio Nobel della Pace”, intensifica le invasioni, i crimini, il terrorismo, le torture, come a Guantanamo.

Barack Obama, obbediente ai compiti amministrativi che gli sono stati affidati dall’imperialismo yankee, esibisce sulla scena mondiale la sua demagogia “pacifista” e il suo “Premio Nobel”.

 

E’ sorprendente la sfacciataggine del presidente nordamericano, gerente sottomesso dell’impero e delle sue guerre. La sua demagogia è pericolosa per tutti i nostri paesi: mentre, da una parte, ha annunciato tagli di bilancio per più di 250 milioni di dollari nei prossimi tre anni (tagli, ovviamente, a servizi e organismi pubblici), dall’altra ha dichiarato che chiederà 2.100 milioni di dollari per lo stesso triennio dei tagli. Vale a dire, ciò che tralascia di investire in spesa pubblica lo spenderà in avventure belliche. E’ chiaro. Solamente nel 2011 spenderà 708 mila milioni di dollari e ciò rappresenta la spesa militare, annuale, più grande della storia! Tutti i suoi predecessori diventano piccoli in paragone alla mostruosità della spesa programmata dal “pacifico” e democratico presidente Obama.

 

Le borghesie dei paesi latinoamericani composte dall’oligarchia proprietaria della terra, dalla borghesia finanziaria e dalla borghesia industriale, sono legate al capitale monopolistico degli imperi e si offrono come servitù nell’adempimento dei compiti di saccheggio e sfruttamento in cambio di alcune briciole nel festino imperiale. Nonostante le contraddizioni e le rivalità di interessi che possono esistere tra l’imperialismo e le borghesie di questi paesi, tali borghesie celebrano la presenza delle basi militari come l’arrivo degli dei. D’altra parte i militari invasori discendono dai “cieli imperiali” come messaggeri morali della depredazione e – depredatori essi stessi – si offrono per assicurare la “purezza” del saccheggio e la puntualità dello sfruttamento dei lavoratori. Il loro ruolo è di garantire l’uscita delle materie prime e dei beni semilavorati verso i paesi imperialisti. Garantire la sicurezza degli affari imperialisti in ogni paese. Sebbene tale “sicurezza” significhi la morte di molti, il genocidio, l’annichilimento degli ecosistemi e la barbarie instaurata alla stregua di fatalità morale per i poveri.

Simile mostruosità è opera di un molto ragionato e freddo lavoro per sostenere ed espandere la presenza dell’impero, le sue armi di distruzione selettiva, di volta in volta con campagne pseudo-propagandistiche, operazioni di spionaggio, sabotaggi, terrorismo, invasioni e guerra. Come in Honduras, come ad Haiti, come in Colombia… per citare solo le azioni più recenti. In questa fase della presidenza Obama, di invasione imperialista in tutto il mondo (decine di migliaia di soldati impegnati nell’invasione dell’Afghanistan, di soldati nello Yemen, di pattuglie in Grecia) aumentano le cifre multimilionarie di dollari per riposizionarsi in America Latina. E’ chiaro il messaggio? Si sta occupando territorio latinoamericano con politiche di permanenza in installazioni militari che sono vere e proprie colonie. Così si spiega, ad esempio, l’offensiva contro il Venezuela che si sta preparando dalla Colombia, contro un paese che non ha attaccato nessuno, che non ha invaso nessuno, che non ha bombardato nessuno, ma che commette il grande peccato di decidere in modo sovrano della sua vita e del suo destino.

Il “gerente della guerra”, con il suo “Premio Nobel” della pace intensifica le invasioni, i crimini, il terrorismo, le torture, come a Guantanamo. Alleato con Uribe in Colombia e il suo socio panamense, incrementa le basi militari e mantiene la “Quarta Flotta” a navigare lungo le coste sudamericane. Il messaggio è chiaro, il messaggio è quello di travolgere il Venezuela, Cuba, Ecuador, Nicaragua, Bolivia… e tutto quello che abbia a che vedere con la libertà, la solidarietà… il socialismo. Il messaggio del “gerente della guerra” è rivolto anche contro l’unificazione dell’America del Sud, Unasur ed Alba. Ad esempio.

Secondo il Pentagono, l’impero USA ha già 865 installazioni militari e più di 190mila soldati in più di 46 paesi e territori colpiti da abusi di ogni tipo. Le
7 nuove 'basi' militari in Colombia eleveranno ora il numero totale planetario a 872. Il progetto è quello di “rafforzare” in modo spropositato tutto quello che serve al saccheggio e allo sfruttamento. Delegittimare i governanti democratici e tutte le tradizioni di verità democratica, avallando le febbri golpiste. Questa militarizzazione è già una componente concreta della nostra storia e permette di capire da dove avanza la “ricolonizzazione” di tutto un continente pieno di ricchezze e di potenzialità di sviluppo che le oligarchie vogliono solo per sé, nonostante tali ricchezze siano proprietà storica dei popoli.

Il “gerente della guerra” entusiasma le oligarchie locali a Quito, Caracas e a La Paz…con l’obiettivo, ad esempio, di impossessarsi della falda petrolifera dell’Orinoco, che possiede giacimenti, equiparabili a quelli dell’Arabia Saudita. Inoltre si tratta di controllare l’acqua dolce del continente e la biodiversità del pianeta come in Brasile. E soprattutto si tratta di impadronirsi della manodopera di tutto il continente in cambio di centavos… o meno. Questa ricchezza spiega la mappa del posizionamento strategico delle basi militari yankee.

In America Latina la spesa militare, nell’anno 2009, è stata di mille milioni di dollari. Occorre comprendere che si tratta di un approfondimento e un ritocco dei compiti imperialisti e che tale situazione non deve essere né omessa né minimizzata in qualsiasi analisi e previsione. Se lo permetteremo, i poteri economici e politici degli Stati Uniti si scateneranno in America Latina allo scopo di “riscuotere”. Il capitalismo statunitense è affamato delle “nostre ricchezze” e la tappa attuale di militarizzazione serve a raggiungere lo scopo. Questo stanno pianificando e questo stanno già facendo là dove governi addomesticati sono pronti a vendere all’asta la patria. Sono già pronte le loro banche e i loro crediti con risorse minerarie, energetiche e agricole nostre. Queste saranno le loro condizioni e noi pagheremo il loro festino. Fino a quando non ci decideremo a cambiare le regole. Non dimentichiamo chi finanzia la campagna presidenziale yankee e come vengono ricambiati i favori.

L’America Latina dipende da noi nella misura in cui siamo capaci di superare le nostre crisi di direzione rivoluzionaria, di rafforzare le organizzazioni dei lavoratori dal basso e di avanzare verso la presa democratica del potere, passo dopo passo fino ad arrivare a farla finita con questa mostruosità sfruttatrice. Così come è avvenuto nelle nuove politiche di indipendenza in America Latina, come succede a Cuba, in Venezuela, Bolivia, Nicaragua, Ecuador e Paraguay, dove il clima tra le masse è cambiato, esiste un fermento rivoluzionario che cresce e si estende ad altri continenti. Rifuggiamo dal riformismo che in nessun modo ha aiutato i cambiamenti che veramente richiede l’America Latina. Abbiamo l’obbligo di intervenire nei movimenti di massa con le tattiche e le idee più corrette per contribuire nel miglior modo possibile, a fianco della parte più avanzata della classe operaia, e per avanzare uniti nella lotta per la trasformazione socialista della società.

L’avanzata bellicista ha padroni con nome e cognome. Il “gerente della guerra” lo sa perfettamente. I suoi capi si preparano a trasformare le conseguenze più gravi di questa offensiva in profitti. I capi del “gerente della guerra” Obama, registrano giorno per giorno novità e risultati. Investono molto denaro nelle strategie e nelle risorse belliche più efficaci e moderne. E vogliono indietro il loro denaro, rapidamente. E’ questo che dà loro energia. I loro eserciti e basi sono uno status symbol. Sono, insieme con il flusso di capitali nella rete bancaria imperiale, l’arma offensiva più poderosa in questa scalata. Avanzano o retrocedono, approfondiscono gli obiettivi, evadono le Leggi, incontrano nuovi terreni di scontro, muovono la loro artiglieria. Preparano discorsi e decreti per spiegare che vanno alla campagna contro il “terrorismo”, contro il “populismo”, contro il ritorno del “comunismo”… il tutto condito con “flash” di guerra e notiziari servili. La guerra imperiale… si libra anche nelle coscienze.

 

 

America latina

Militarizzazione in America Latina

 

13 febbraio 2010 - Orsetta Bellani - Solidarietà Internazionale

 

La politica di Obama per l’America Latina è la stessa delle precedenti amministrazioni: assicurare la presenza nella regione dei militari e delle industrie nordamericane attraverso atti apparentemente filantropici, come l’elargizione di aiuti.


Ne è un chiaro esempio il
Plan Colombia, accordo di cooperazione militare tra Colombia e Stati Uniti. Promosso da Clinton come strumento capace di incidere sulle cause strutturali del narcotraffico, il piano non prevede in realtà una strategia capace di ridurre la domanda di droga: l’80% dei 550 milioni di dollari che riceve annualmente è infatti destinato al settore militare. Questo perché in realtà lo scopo dei due governi è rafforzare l’apparato repressivo, in modo da avere un maggiore controllo non solo su guerriglie come le FARC, ma anche sui movimenti sociali contrari alla politica di Uribe.

Che la generosità nordamericana non sia disinteressata si evince chiaramente dalla legge statunitense che approvò il finanziamento al piano, la quale prevede la necessità di «insistere affinché il governo colombiano completi le riforme urgenti di apertura totale della sua economia per gli investimenti e il commercio estero, in particolare per l’industria petrolifera». Aprire l’economia colombiana significa permettere alle imprese statunitensi di investire nel paese, e consentire loro lo sfruttamento delle sue risorse naturali.

Il Piano ha inoltre preparato il terreno all’accordo che, a partire dal novembre 2009, permette alla potenza nordamericana l’utilizzo di 7 basi militari colombiane, causando la preoccupazione della maggior parte dei governi della regione, convinti che l’ingerenza statunitense possa attentare alla loro sovranità ed integrità.


Simile al
Plan Colombia è l’Iniziativa Mérida, da molti chiamato «Plan México», che prevede investimenti da parte degli Stati Uniti in Messico e nei paesi Centroamericani per rafforzare la lotta contro il narcotraffico. Come in Colombia, l’accordo ha spianato la strada a successive esperienze di «cooperazione militare»:
Panama ha infatti annunciato la costruzione di undici basi, causando l’ira di Chavez, convinto che verranno utilizzate dagli Stati Uniti.


Per quanto riguarda il Messico – principale beneficiario dell’omonimo piano – il Congresso statunitense stabilì di condizionare la consegna del 15% dei fondi a criteri di trasparenza in materia di diritti umani, viste le numerose violazioni commesse dai militari messicani. Gli Stati Uniti hanno quindi stabilito, attraverso un sottile atto di ipocrisia che, anche nel caso in cui vengano documentate violazioni dei diritti umani da parte delle autorità messicane, queste potranno godere dell’85% dei 1100 milioni di dollari previsti dal piano. Nonostante le proteste da parte di numerose Ong, ad agosto Obama ha annunciato la liberazione completa dei fondi per il
Plan México.


La violenza dell’esercito messicano non colpisce solo i narcotrafficanti. Come in Colombia, la militarizzazione in Messico viene portata avanti per consentire alle autorità una più stretta sorveglianza sui movimenti sociali, essenziale al mantenimento dello status quo in un paese che può già contare su riuscite esperienze di autonomia, di cui la zapatista è solo un esempio.


L’idea che sia necessario creare una cortina per proteggere gli Stati Uniti è contenuta sia nell’
Alleanza per la Sicurezza e la Prosperità dell’America del Nord [Aspan] che nel Progetto Mesoamerica, versione militarizzata del Plan Puebla Panamà. Questo «perimetro di sicurezza» deve arrivare fino a Panama, in modo da isolare il paese Nordamericano dalla minaccia rappresentata dalle esperienze izquierdiste latinoamericane, in particolare dal contagioso «socialismo bolivariano» di Chavez.


La militarizzazione di Messico, Centroamerica e Colombia è infatti parte di una strategia di ampio respiro della geopolitica statunitense: conquistare una maggiore sorveglianza sui propri confini e il controllo dell’America Latina. Attraverso questa chiave di lettura possiamo comprendere la finalità di molte scelte degli Stati Uniti, come il riconoscimento delle elezioni che in novembre hanno legittimato il
governo golpista in Honduras
.

 

In un programma televisivo honduregno, il generale golpista García Padgett ha affermato: «Il nostro paese è parte di un piano generale, il Plan Caracas, il cui obiettivo è arrivare fino al cuore degli Stati Uniti. L’Honduras ha fermato questo piano che vuole portare fino al cuore degli Stati Uniti un socialismo, un comunismo, un chavismo travestito da democrazia».

 

America latina

Una portaerei

chiamata Haiti

Sulle macerie di Port-au-Prince si gioca una partita assai ampia. L'arrivo della IV flotta a La Hispaniola dopo il terremoto del 12 gennaio ha permesso un aumento della presenza militare USA nella regione. Per accerchiare il Venezuela di Chavez, ma soprattutto per contrastare il Brasile, unico vero avversario per l'egemonia statunitense sull'America latina
 

 

6 febbraio 2010 - Raúl Zibechi (Il Manifesto)

 

La reazione degli Stati Uniti di militarizzare la parte haitiana dell'isola di Hispaniola dopo il devastante terremoto del 12 gennaio dovrebbe essere considerata nel contesto generato dalla crisi economica e finanziaria e dall'arrivo alla Casa bianca di Barack Obama. Se le tendenze strategiche erano già presenti, la crisi le ha accelerate. Quello ad Haiti è stato il primo intervento di un certo tenore della IV Flotta, da quando è stata ristabilita poco tempo fa.

 

Con la crisi haitiana, la militarizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e America Latina fa un passo avanti, come parte della militarizzazione di tutta la politica estera di Washington. In questo modo, la superpotenza in declino cerca di ritardare il processo che la trasformerà in una delle sei o sette altre potenze del mondo. L'intervento è talmente sfacciato che il giornale governativo cinese Diario del popolo si chiedeva (il 21 gennaio) se gli Stati Uniti non volessero incorporare Haiti come un nuovo stato dell'Unione.

 

Il giornale cinese riportava un'analisi della prestigiosa rivista Time, in cui si sostiene che «Haiti è già diventata il 51esimo stato degli Stati Uniti e, anche se non lo fosse, va considerato il suo cortile di casa». In effetti, in appena una settimana il Pentagono aveva mobilitato verso l'isola una portaerei, 33 aerei di soccorso e numerose navi da guerra, oltre a 11mila soldati. La Minustah, missione ONU per la stabilizzazione di Haiti, ha appena 7mila soldati. Secondo la Folha de Sao Paulo (20 gennaio) gli Stati uniti hanno scalzato il Brasile dalla guida dell'intervento militare sull'isola, dal momento che nel giro di poche settimane avranno «il doppio dei soldati che ha Brasile ad Haiti», arrivando a 16mila effettivi.

 

Lo stesso Diario del Popolo, in un articolo sull'«effetto statunitense» nei Caraibi, dice che l'intervento militare di Washington ad Haiti influenzerà la strategia statunitense nei Caraibi e in America Latina, dove continua lo scontro con Cuba e con il Venezuela. Nella lettura di Pechino, questa regione è la «porta del cortile di casa», che gli USA cercano di «controllare rigidamente» per «continuare ad allargare il raggio della loro influenza verso sud».


Tutto ciò non è nulla di nuovo. La cosa importante è che si inserisce in un'escalation cominciata con il
golpe militare in Honduras e continuata con gli accordi con la Colombia per l'utilizzo di sette basi militari nel paese. Se a questo si aggiunge l'uso di quattro basi che il presidente di Panama Ricardo Martinelli ha ceduto a Washington a ottobre, e a quelle già esistenti ad Aruba e Curaçao (isole vicine al Venezuela appartenenti all'Olanda), ormai sono tredici le basi che circondano il Venezuela di Chavez. Ora c'è anche un'enorme portaerei nel mezzo dei Caraibi.

 

Secondo quanto sostiene Ignacio Ramonet in Le Monde Diplomatique di gennaio «tutto indica un'imminente aggressione». Questo non sembra in realtà lo scenario più probabile, anche se se ne può accettare il ragionamento di fondo: che gli Stati Uniti hanno scelto il militarismo come palliativo per il loro declino e che hanno bisogno del petrolio di Colombia, Ecuador e soprattutto del Venezuela per finanziare la propria posizione egemonica o, per lo meno, rallentare il declino. Tuttavia, le cose non sono così semplici.

 

Per il mensile francese, «la chiave è a Caracas». Sì e no. Sì, perché in effetti il 15% delle importazioni di petrolio dagli Stati uniti provengono da Colombia, Venezuela ed Ecuador, percentuale uguale a quella importata dal Medioriente. Inoltre, il Venezuela si trasformerà nella maggior riserva di greggio nel pianeta, una volta che verranno certificate le riserve della fascia dell'Orinoco scoperte di recente. Secondo il servizio geologico statunitense, sarebbero il doppio di quelle saudite. Tutto ciò sarebbe sufficiente perché Washington desiderasse, come desidera, sostituire Hugo Chávez alla guida del processo bolivariano.

 

A mio modo di vedere, il problema centrale per l'egemonia USA nel «cortile di casa» però è il Brasile. Il petrolio sottoterra è una ricchezza importante, ma deve essere estratto e trasportato; il che richiede investimenti, ossia stabilità politica. Il Brasile è già una potenza mondiale, il secondo più importante paese del Bric (Brasile, Russia, India, Cina) dopo la Cina. Delle dieci maggiori banche del mondo, tre sono brasiliane (e cinque cinesi). Nessuna invece viene dagli Stati uniti, né dall'Inghilterra. Il Brasile detiene le seste riserve mondiali di uranio (e sono state fatte prospezioni solo sul 25 per cento del suo territorio) e avrà tra le prime cinque riserve mondiali di greggio quando saranno terminate le prospezioni nella zona di Santos. Le multinazionali brasiliane sono tra le maggiori del mondo: Vale do Rio Doce è la seconda nel settore minerario e la prima nei minerali ferrosi; Petrobras è la quarta compagnia petrolifera del mondo e la quinta impresa globale per valore di mercato; Embraer è la terza aeronautica dietro solo a Boeing e Airbus; Braskem è l'ottava petrolchimica del pianeta. E si potrebbe seguire ancora.


A differenza della Cina, il Brasile è autosufficiente in materia di energia e sarà un grande esportatore. La sua maggiore vulnerabilità, quella militare, sta per essere risolta grazie all'associazione strategica con la Francia: nel decennio appena iniziato il Brasile fabbricherà caccia di ultima generazione, elicotteri da combattimento e sottomarini, visto che la Francia gli trasferirà le tecnologie necessarie. Verso il 2020, se non prima, sarà la quinta economia del pianeta. E tutto ciò accade sotto il naso degli Stati uniti.

 

Il Brasile già controlla buona parte del Prodotto interno lordo della Bolivia, del Paraguay e dell'Uruguay. Ha una presenza importante in Argentina, di cui è socio strategico, così come di Ecuador e Perù, che gli facilitano l'accesso al Pacifico. Questo è l'osso più duro della IV flotta. Ecco perché il Pentagono ha disegnato per il Brasile la stessa strategia che applica alla Cina: generare conflitti alla frontiera per impedirgli di allargarsi. Corea del Nord, Afghanistan e Pakistan, oltre alla destabilizzazione della provincia a maggioranza musulmana dello Xinjiang.

 

In Sud america, una pletora di installazioni militari del Comando sud circonda il Brasile. La tenaglia si chiude con il conflitto Colombia-Venezuela e Colombia-Ecuador. Ora bisognerà contare anche la portaerei haitiana. È una strategia di ferro, freddamente calcolata e rapidamente eseguita.

 

Il problema che si trovano di fronte le nazioni e i popoli della regione è che le catastrofi naturali diventino moneta corrente dei prossimi decenni. Questo è appena l'inizio. La IV flotta sarà la porzione militare più sperimentata e miglior preparata per gli interventi «umanitari» in situazioni di emergenza. Haiti non sarà l'eccezione, ma il primo capitolo di una serie che mira al riposizionamento militare in tutta la regione. Detto in altro modo: noi latino-americani siamo in serio pericolo, ed è ora che ce ne rendiamo conto.

 

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Per la giustizia sociale, di fronte

 

all’Aggressione Permanente
 

Intervista alla ricercatrice e avvocato
venezuelana-statunitense Eva Golinger

 

1 febbraio 2010 - Olga Díaz Ruiz e Geisy Guía www.granma.cu

 

La Fiera del Libro dell’Avana ci ha abituati alle buone notizie letterarie. La sua XIX edizione ci porta la giovane scrittrice e avvocato venezuelano-statunitense Eva Golinger, che presenterà il libro “USAID, NED e CIA, L’aggressione permanente”, un ambizioso progetto di ricostruzione ed analisi di situazioni attuali, scritto a quattro mani dalla stessa Golinger e dal giornalista canadese radicato a Cuba Jean-Guy Allard.

 

Questa volta l’acutezza dell’invitata, che partecipa per la seconda occasione all’evento internazionale del libro, le fa denunciare l’aggressione costante dell’impero statunitense in America Latina”, che fino al momento non abbiamo potuto frenare”, dopo aver studiato i casi di Cuba, Bolivia, Honduras e Venezuela.

 

“È una visita di denuncia, per ottenere il massimo impatto, e questo libro è in una certa forma un pretesto per lanciare tale messaggio e far riflettere sulle continue aggressioni imperiali e le loro diverse manifestazioni”. Inoltre mette in tavola “tutto ciò che di meraviglioso abbiamo raggiunto”, nella sotto-regione, precisa in un’intervista a Granma.

 

Golinger propone di prendere una selezione di successi politici, economici, culturali e sociali che mettono in evidenza le tattiche e le strategie di Washignton durante il 2009, per continuare con la sua ingerenza nel continente, come uno “strumento di difesa delle nostre rivoluzioni”.

 

Durante l’intervista la Golinger si detiene a segnalare che il colpo di Stato in Honduras dello scorso giugno “ci ha insegnato la necessità di proteggere i nostri spazi, di riconoscere che il nemico è dappertutto”, e, ha inoltre aggiunto, che quest’anno il libro sarà presentato anche in Honduras.

 

Autrice di “Il codice Chávez” (2005), e “Bush Vs. Chávez: la guerra di Washington contro il Venezuela”, la scrittrice ha considerato che il rafforzamento dell’integrazione latinoamericana, fondamentalmente con l’Alleanza Bolivariana per i Popoli di Nuestra America (ALBA), è stata la causa dell’aumento dell’aggressione della destra statunitense “per costituire una minaccia al suo dominio nella regione”.

 

Un’integrazione che ha espanso le sue frontiere al resto del mondo e che “cerca di risollevare i nostri paesi senza sfruttamento, né competizione, ma attraverso dei principi di solidarietà, integrazione e cooperazione”, ha puntualizzato, aggiungendo che Cuba e Venezuela costituiscono l’avanguardia della unione Sud-Sud.

 

A dispetto di essere nata e cresciuta negli Stati Uniti e di “parlare come una gringa”, la Golinger concentra tutta la sua energia e la sua passione nella lotta per la giustizia sociale, e sottolinea che la cooperazione tra i paesi dell’ALBA “si vede fuori dal gruppo con molta speranza, perché stiamo costruendo un modello sociale più giusto”.

 

Cita l’esempio della Rivoluzione Bolivariana, che ha trasformato tutti i settori della società venezuelana, oltre all’impatto causato a livello internazionale per quello che significa la nazione per il mondo, e Chávez come figura. “Stiamo costruendo un paese che era in rovine, a dispetto delle sue risorse naturali. Allora arriva questo presidente, oltre tutto senza esperienza, e guarda che ha fatto!”, ha indicato.

 

In questa lotta contro l’aggressione permanente, la scrittrice ha avvisato circa l’importanza dei media internazionali, e ha promosso delle lezioni di giornalismo, che consistono nell’argomentare ed evidenziare i fatti”.

 

L’autrice ha anche mostrato entusiasmo rispetto ad uno dei primi esemplari stampati del Diario dell’Orinoco, l’unico giornale pubblicato nella lingua di William Shakespear in Venezuela. “È la prima volta che ci sono informazioni in inglese prodotte dalla prospettiva venezuelana, dalla rivoluzione venezuelana” ha spiegato orgogliosa.

 

La Golinger ha assicurato che continuerà con le denuncie sulle principali manovre dei potenti in America Latina, e che, a tal proposito, conterà sul suo amico e collega Jean-Guy Allard.

 

America latina

Campagna mondiale contro

le basi in America Latina

 

29 gennaio 2010 - www.granma.cu (ain)

 

Le Organizzazioni del Forum Sociale Mondiale hanno annunciato ieri nella città brasiliana di Porto Alegre l’inizio di una campagna globale contro le basi militari straniere e l’infiltrazione dei servizi di intelligence degli Stati Uniti in America Latina e nei Caraibi.

 

Gli attivisti si sono scagliati soprattutto contro le basi che le truppe statunitensi potranno usare in Colombia e a Panama, e hanno annunciato che la campagna sarà simile a quella realizzata contro l’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), un progetto di Washington rifiutato qualche anno fa.

 

Un articolo di EFE indica che nello stesso scenario è stato diffuso un manifesto nel quale si avvisa che “di fronte alla nuova escalation di aggressioni dell’imperialismo” contrario al “processo di cambio che si vive in America Latina” è necessario preparare la mobilitazione per la resistenza.

 

Secondo il documento, “l’invasione di Haiti successiva al terremoto del passato 12, la riattivazione della IV Flotta, le iniziative golpiste appoggiate dagli Stati Uniti in Honduras, il blocco di Cuba e le aggressioni in Venezuela, Bolivia e altri paesi” rivelano le intenzioni imperialiste statunitensi rispetto all’America Latina.

 

Allo stesso modo, ha elogiato che gli attentati alla pace promossi da Washington si rafforzano in altre regioni del mondo, con la presenza di truppe in Asia centrale, Iraq e nella Palestina occupata, il cui popolo continua ad essere vittima di un genocidio.

 

L’iniziativa, promossa dall’organizzazione brasiliana Cebrapaz ha ricevuto l’appoggio di numerosi gruppi del Forum Sociale Mondiale come la Via Contadina, la Piattaforma dei Diritti Umani argentina e la Marcia Mondiale delle Donne.

 

Le organizzazioni boliviane hanno anticipato che la Riunione Mondiale dei Movimenti Sociali sul Cambio Climatico che il presidente boliviano, Evo Morales, ha proposto di celebrare a Cochabamba tra il 19 e il 22 aprile, sarà teatro di proteste contro le basi degli Stati Uniti in America Latina e dei Caraibi.

 

Da parte sua, il paraguayano Daniel Amado, dell’organizzazione La Comune, ha convocato gli attivisti a preparare un’altra grande mobilizzazione per la metà di agosto a Asunción, quando si celebrerà in quella città il Forum Sociale America.

 

Così, è stato accordato che la campagna sarà promossa in tutti gli eventi che il Forum celebrerà nel corso del 2010 in una trentina di paesi.

 

America latina

Fermiamo la scalata aggressiva imperialista

contro l’America Latina e i Caraibi

 

22 gennaio 2010 - Appello della Rete delle Reti in Difesa dell’Umanità* www.lernesto.it

 

All’Avana la X Riunione della Commissione Intergovernativa Cuba-Venezuela e, nell’VIII Vertice di ALBA, i capi di Stato e di Governo hanno affrontato e valutato la situazione internazionale alla luce degli avvenimenti più recenti accaduti nella regione.

L’arrivo al potere negli Stati Uniti dell’Amministrazione Obama aveva fatto supporre una revisione delle posizioni della potenza del Nord rispetto all’America Latina e ai Caraibi. Ma si è reso evidente alle forze progressiste e amanti della pace che quella era solo un’illusione.

Persistono e sono aumentate le minacce all’integrità territoriale e alla sovranità dei nostri paesi. Come ha segnalato il comandante Fidel Castro, “il colpo di Stato in Honduras e l’installazione di sette basi militari in Colombia sono fatti recenti avvenuti posteriormente alla presa di possesso delle sue funzioni del nuovo Presidente degli Stati Uniti. Il suo predecessore aveva già ristabilito la IV Flotta, mezzo secolo dopo la fine dell’ultimo conflitto mondiale, e non esisteva più né la Guerra Fredda né l’Unione Sovietica. Sono ovvie le intenzioni reali dell’Impero, dietro il sorriso amabile e il volto afro-americano di Barack Obama”.

I piani dell’impero sono chiari alle forze del progresso e invisibili ai grandi media. L’egemonia mediatica serve all’imperialismo per ingannare l’opinione pubblica, confonderla e utilizzarla per i propri fini di dominio.

I nostri popoli vogliono la pace per lavorare e creare società più giuste e più eque. L’aggressione imperialista costringe a sforzi che ci distraggono da questi obiettivi.

Di fronte alla scalata aggressiva dell’imperialismo si rende imprescindibile la mobilitazione degli scrittori e degli artisti, dei professionisti, degli strumenti alternativi di comunicazione, delle organizzazioni e dei movimenti sociali e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che sono disposti a lottare per la pace e la sopravvivenza della specie umana.

Chiamiamo tutte le persone e le organizzazioni che fanno parte della Rete delle Reti in Difesa dell’Umanità, a denunciare in ogni modo possibile i piani bellicisti dell’imperialismo, ad aderire a questo appello e a farlo conoscere alle organizzazioni internazionali, ai governi, ai parlamenti e ai partiti politici.

Per la pace e l’umanità, fermiamo la scalata aggressiva imperialista contro l’America Latina e i Caraibi.
 

Rete delle Reti in Difesa dell’Umanità

 


Adolfo Pérez Esquivel (Argentina), Pablo González Casanova (México), Miguel d'Escoto Brockmann (Nicaragua), Eduardo Galeano (Uruguay), François Houtart (Bélgica), Oscar Niemeyer (Brasil), Howard Zinn (Estados Unidos), Peter Goldfarb (Estados Unidos), Atilio A. Boron (Argentina), Theotonio Dos Santos (Brasil), Thiago de Mello (Brasil), Marilia Guimaraes (Brasil), Stella Calloni (Argentina), Víctor Flores Olea (México), Gilberto López y Rivas (México), Ana Esther Ceceña (México), Fernando Buen Abad Domínguez (México), Norman Girvan (Jamaica), Roberto Fernández Retamar (Cuba), Miguel Barnet (Cuba), Alfonso Sastre (España), José Ramón Rodriguez (Cuba), Fernando Martínez Heredia (Cuba), Eduardo Torres Cuevas (Cuba), Hildebrando Pérez Grande (Perú), Hugo Moldiz (Bolivia), James Cockcroft (Estados Unidos), Roberto Montoya (España), Chiara Varese (Perú), Arturo Corcuera (Perú), Winston Orrillo (Perú), Pascual Serrano (España), Julio Anguita (España), Carlos Fernández Liria (España), Santiago Alba Rico (España), Luis Alegre Zahonero (España), Montserrat Ponsa Tarres (España), Salim Lamrani (Francia), Julio C. Gambina (Argentina), Vicente Feliu (Cuba), Ricardo Flecha (Paraguay), Techi Cusmanich (Paraguay), Angel Guerra (Cuba), Alquimia Peña (Cuba), Roxanne Dunbar-Ortiz (Estados Unidos), Daniel del Solar (Estados Unidos), Ricardo Rosales Román (Guatemala), Leticia Spiller (Brasil), Luciano Vasapollo (Italia), Rita Martufi (Italia), Marco Martos (Perú), Reynaldo Naranjo (Perú), Juan Cristóbal (Perú), César Lévano (Perú), Federico García (Perú), Delfina Paredes (Perú), Vicente Otta (Perú), Grazia Ojeda del Arco (Perú), Bruno Portugués (Perú), Fanny Izquierdo (Perú), Etna Velarde (Perú), Sonia Delgado (Perú), José Luis García Krauss (México), Orlando Caputo (Chile), Aram Aharonian (Uruguay), Aurelio Alonso (Cuba), Angel Guerra (Cuba), Roberto Verrier (Cuba), Carlos Walter Porto Gonçalves (Brasil), Tomás Palau (Paraguay), Pierre Mouterde (Canadá).

 

 

* La Rete delle Reti in Difesa dell’Umanità è nata nel 2003 per iniziativa di prestigiosi intellettuali latinoamericani e si è consolidata nel dicembre 2004 a Caracas nel corso dell’Incontro Mondiale degli Intellettuali e degli Artisti “in Difesa dell’Umanità”.Tra i suoi obiettivi c’è l’impegno a opporsi “all’imperialismo e alle sue politiche neoliberali, alla guerra al terrorismo, ai progetti di uniformità socioculturale e al monopolio della conoscenza”. Informazioni sulla attività della “Rete” sono reperibili nel sito cubano http://www.defensahumanidad.cu/