Vigilia tesa del

voto a Caracas
 

Oggi si vota in Venezuela con 18 candidati. Ma quelli che contano sono 2:

Hugo Chavez, favorito, e Manuel Rosales

 

 

| Caracas domenica 3 dicembre 2006 | D.Varlese |



E' arrivata l'ora x. Oggi si vota qui Venezuela. Hugo Chavez contro Manuel Rosales.
Urne aperte dalle 6 di questa mattina alle 4 del pomeriggio, voto elettronico, i primi risultati dovrebbero essere resi noti dal Consiglio nazionale elettorale (Cne) domenica notte o lunedì mattina. Salvo sorprese. La tensione è forte e entrambi gli schieramenti si accusano reciprocamente di preparare violenze e disordini. L'ambasciata Usa ha consigliato ai cittadini statunitensi di non uscire di casa e di fare provviste di cibi e di candele in previsione di torbidi post-elettorali, ma questo avviso ha un significato politico fin troppo evidente.
Gli elettori che si sono registrati per il voto sono 16 milioni, sui 26-27 della popolazione, e il primo interrogativo è sapere quanti andranno a votare. In Venezuela il voto non è obbligatorio e l'astensione in questi ultimi vent'anni è stata sempre molto alta, anche se la polarizzazione fra i due campi è talmente forte che si potrebbe pensare a un afflusso massiccio del popolo chavista e dell'opposizione anti-chavista. I candidati sono 18 in rappresentanza di ben 86 partiti, ma quelli che contano sono solo due: il presidente Chavez, appoggiato da 24 fra partiti e gruppi, e il governatore dello stato di Zulia (lo stato di Maracaibo e del petrolio) Manuel Rosales, appoggiato da 42 partiti e gruppi. Gli altri si spartiranno le briciole, a parte forse la bizzarra candidatura di Benjamin Rausseo, un popolare comico della televisione, che non è chiaro se porterà via voti a Chavez o a Rosales.
I più recenti sondaggi, proibiti nell'ultima settimana, danno il 57% a Chavez e il 38% a Rosales, ma il campo anti-chavista dice di disporre di numeri suoi molto più favorevoli e si mostra ottimista e minaccioso allo stesso tempo: «Chavez può vincere solo con la frode», dice qualcuno dell'entourage di Rosales.
Difficile crederlo, perché in tutte le elezioni precedenti, dall'arrivo di Chavez al potere nel '98 a oggi, il Venezuela si è sempre diviso in due: 60 a 40% in favore del leader della rivoluzione bolivariana.
Da venerdì si è chiusa la campagna elettorale. Chavez è andato a Ciudad Bolivar, nel sud, e Rosales a Maracaibo, dove è stato per due volte sindaco prima di essere eletto per due volte governatore dello stato. Lo scorso fine settimana i due contendenti avevano riempito le strade di Caracas con centinaia di migliaia di persone.
Ora la capitale, solitamente caotica, respira l'aria tesa della vigilia. Per le sue strade domina rosso, colore del basco di Chavez e del suo partito, il Movimiento Quinta Republica. Gigantografie con la sua faccia meticcia e slogan con «Uh! Ah! Chavez no se va», enormi striscioni calati dai grattacieli con su scritto «vota Chavez, con coscienza rivoluzionaria».
Fino a ieri Caracas era affollata di banchetti rossi, sedie di plastica ed televisioni che ripercorrevano senza sosta la vita e i miracoli del presidente. La gente si fermava, si sedeva e dedicava mezz'ora del suo tempo a rileggere i momenti principali della rivoluzione bolivariana. Il video si dilungava in particolare sul 2002 ed il tentato golpe padronal-sindacale. Poi appariva Chavez che dal video tuonava «nunca mas».
E' innegabile che Chavez susciti grandi amori e grandi odi. E, fra i suoi avversari ma non solo, anche una certa paura. Specie dopo che giovedì ha annunciato che una volta rieletto oggi, proporrà un referendum per emendare la sua costituzione bolivariana del '99 e potersi ripresentare un'altra volta nel 2012. Ora è prevista solo una rielezione. Lui per la verità a rigore è già alla terza, essendo stato eletto la prima volta nel dicembre '98, ma il conteggio ufficiale si fa partire solo dalle elezioni del 2000, essendo la costituzione stata riscritta nel '99. Ma per questo ci sarà tempo. Adesso, forte dei suoi programmi sociali per i poveri, si appresta a godersi - salvo clamorose sorprese - una nuova vittoria, sotto gli occhi attenti di 300 osservatori internazionali, fra cui numerossimi quelli dell'Osa (l'Organizzazione degli Stati americani) e dell'Unione europea.