| 3 novembre 2006|  M.Matteuzzi www.ilmanifesto.it

 

Né Venezuela

 

né Guatemala

 

 

Dopo 47 round a vuoto trovato alla fine il «candidato di consenso» per il seggio latino americano in Consiglio di sicurezza: Panamà. Martedì il voto. Tutti contenti ma non troppo

 

 


Dopo tre settimane e 47 inutili votazioni, sembra si sia sbloccata la impasse sul seggio latino-americano in Consiglio di sicurezza per i prossimi due anni. Né Venezuela né Guatemala. Sarà, a meno di sorprese ormai improbabili, il Panama a prendere il posto dell'Argentina il cui mandato biennale scade il 31 dicembre prossimo.
Mercoledì con la mediazione dell'ambasciatore dell'Ecuador all'ONU, Diego Cordovez, si sono incontrati i ministri degli esteri venezuelano, Nicolas Maduro, e guatemalteco, Gert Rosenthal, e hanno accettato di ritirare le rispettive candidature indicando il Panama come alternativa «di consenso». Ieri il gruppo dei 35 paesi dell'America latina e dei Caraibi alle Nazioni unite doveva esaminare la candidatura del paese del Canale per poi presentarla all'Assemblea generale dei 192 paesi che si riunirà allo scopo martedì prossimo. Al quarantottesimo round non ci saranno problemi per raggiungere quei due terzi dei voti che è stato impossibile raggiungere prima.
Come era prevedibile dopo le prime votazioni, Venezuela e Guatemala avrebbero dovuto a un certo punto mollare e ritirarsi. La soluzione «di consenso» non è stata molto di consenso. Entrambi hanno rinunciato a malincuore e con l'amaro in bocca al di là delle dichiarazioni d'occasione. «Vogliamo confermare il nostro messaggio di fratellanza e di rispetto ai nostri fratelli guatemaltechi», ha detto Maduro; «Ci alziamo da questo tavolo amici del Venezuela come è ovvio», ha detto Rosenthal.
Ma per l'uno e per l'altro, al di là delle belle parole, si è trattato di una sconfitta. Una sconfitta per il presidente Hugo Chavez che aveva puntato forte sull'entrata del Venezuela fra i 15 del Consiglio di sicurezza e che ha dovuto incassare l'insormontabile ostilità dell'amministrazione Bush, impegnata a morte, con ricatti e lusinghe, a sbarrargli la strada. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, Chavez può vantare almeno il fatto di avere anche lui sbarrato il cammino non tanto al povero Guatemala, mandato allo sbaraglio da Washington, ma agli Stati uniti - «l'Impero» - che non sono riusciti a far passare la loro docile candidatura.
E non solo agli Usa. Perché con Bush si erano schierati per l'occasione 24 dei 25 paesi dell'Unione europea, con l'eccezione dell'Italia che si era sempre astenuta (facendo irritare la signora Rice nonostante l'amicizia con il ministro D'Alema), sulla base dell'argomentazione sottile che «politicamente» non si poteva votare il Venezuela di Chavez ma non si poteva neppure votare contro per via dei rapporti particolari esistenti fra i due paesi e della presenza di un milione di oriundi italiani nel paese latino-americano (di cui 100 mila hanno votato nelle ultime elezioni di aprile in Italia, decidendole con il loro voto). Ieri la Farnesina ha manifestato soddisfazione per il «candidato di consenso» finalmente trovato.
Le bellicosità anti-Usa di Chavez aveva incrinato anche l'appoggio, non solo dei paesi centroamericani penosamente vassalli degli Usa, ma di alcuni paesi dell'America latina che o avevano votato contro - come il Messico e la Colombia - o si erano astenuti - come il Perù, il Cile e l'Ecuador - indebolendo la posizione di Caracas nonostante il forte appoggio del Mercosud - Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay.
Anche il Guatemala è uscito con l'amaro in bocca che il ministro Rosenthal non è riuscito a nascondere: «Non posso affermare che provo una grande allegria nel dover ritirare la nostra candidatura», ammettendo che essere stato il candidato degli Usa «è stata un'arma a doppio taglio» e che la scelta del Panama è la soluzione «meno peggio».
L'opzione panamegna soddisfa più o meno tutti: il presidente socialdemocratico Martin Torrijos - figlio del presidente Torrijos, il«generale della dignità» che negoziò con il presidente Carter gli accordi per la restituzione del Canale - è anche lui «meno peggio» della signora Mireya Moscoso che l'ha preceduto, perdutamente filo-Usa. Il Panamà di Torrijos si vanta di essere in buoni rapporti con i due principali contendenti della partita: gli Stati uniti di Bush e il Venezuela di Chavez. Poi, in questo modo, è stata soddisfatta anche la richiesta di eleggere un paese del Centramerica in Consiglio di sicurezza da cui mancava da tempo. Insomma tutti contenti. In apparenza.