| 17 ottobre 2006|  M.Matteuzzi, www.ilmanifesto.it

 

Onu, sfida di Chavez

 

a Bush

 

Plebiscito per l'Italia in Consiglio di sicurezza, ma lo scontro è sul leader venezuelano
Corpo a corpo e impasse al Palazzo di vetro newyorkese. Non passano né il Venezuela né il ticket Usa-Guatemala

 


Che non sarebbe stata una passeggiata era chiaro perché lo

E nel braccio di ferro

 

l'Italia si astiene

Nonostante 100mila elettori e un «rapporto speciale», non ci sono le condizioni per votare Venezuela: così D'Alema sull'astensione italiana all'Onu nel duro scontro sul seggio dell'America latina. Quel vecchio impegno del governo Berlusconi con il Guatemala


Roma - Geraldina Colotti



L'Italia non ha votato il Venezuela come membro non permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per il Latinoamerica: fra i 76 voti ottenuti dal Venezuela al secondo scrutinio (contro i 109 del Guatemala, altro paese candidato), non c'era dunque quello di Massimo D'Alema: troppo « aspra e netta» , per il ministro degli esteri, la spaccatura tra i paesi della regione: impossibile «sostenere il Venezuela», ma neanche votargli contro. Eppure, è «del tutto speciale» il rapporto con quel Venezuela che conta «un milione di cittadini di origine italiana e oltre 100.000 elettori» (così determinanti per le sorti del nuovo governo). Eppure, c'erano state le parole di apprezzamento per la democrazia di Hugo Chavez, pronunciate dal sottosegretario agli esteri Donato Di Santo nel corso del recente Incontro internazionale di intellettuali e artisti in difesa dell'umanità. Del sistema di governo venezuelano, Di Santo aveva lodato il pluralismo dell'informazione e ribadito l'impegno dell'Italia per un nuovo protagonismo nel Latinoamerica. Eppure, c'era il parere favorevole di Russia, India e Cina, forti partner economici dell'Italia. E che dire delle relazioni commerciali con Caracas? L'Italia è il sesto paese fornitore del Venezuela, il secondo nell'Unione europea dopo la Germania e il sedicesimo cliente di Chavez, primo tra i paesi della Ue. Relazioni commerciali, ben avviate già nel precedente governo Berlusconi, che ho aveva sottolineato durante la visita del presidente venezuelano in Italia, nel 2005.
Come spiegare allora l'atteggiamento del ministro degli esteri? Hanno forse pesato gli «accordi di scambio» con il Guatemala e i condizionamenti nordamericani, a tutto campo nella precedente legislatura?
Nessun commento dalla Farnesina: tutti in attesa di un'ulteriore dichiarazione di D'Alema, e qualche speranza che l'astensione dell'Italia sia «solo iniziale». Può esserci un altro segnale?
Soddisfazione, intanto, dei grandi media, che già ieri tuonavano contro l'ardire di Chavez e i «fiumi di petrolio» promessi per influenzare la decisione dei membri del Consiglio di sicurezza. E delusione di quanti, come Luciana Castellina, Citto Maselli, Fabio Marcelli, Aldo Garzia, Alessandra Riccio... avevano rivolto al governo Prodi un appello perché sostenesse il Venezuela. «La scelta di appoggiare uno stato latinoamericano in occasione delle prossime elezioni per i membri non-permanenti del Consiglio di sicurezza - scrivono i promotori dell'appello - deve evidentemente rispondere a interessi strategici di fondo del nostro Paese, sia dal punto di vista politico che economico». E sottolineano come il Venezuela «per peso politico ed economico, presenza di una forte comunità di origine italiana, ruolo fondamentale nell'integrazione dell'America latina, ulteriormente potenziata dopo l'ingresso nel Mercosur, rappresenterebbe non tanto la scelta migliore, quanto l'unica possibile». Una scelta - concludono i firmatari - in linea con l'interesse dell'Italia e dell'Unione europea.

 

 scontro fra il Venezuela di Chavez e gli Stati uniti di Bush (per interposto vassallo guatemalteco) sul seggio latino-americano in Consiglio di sicurezza durava da mesi. Ma, arrivati al dunque, ieri, le cose sono apparse ancor più difficili del previsto. Al Palazzo di vetro di New York non c'è stata storia per gli altri 4 seggi in palio per i prossimi due anni: Italia (186 voti, uno «storico» plebiscito: per fare che?) e Belgio per l'Europa, Sudafrica per l'Africa, Indonesia per l'Asia.
La vera partita è cominciata quando si è preso a votare per il posto, occupato finora dall'Argentina, riservato all'America latina nel biennio 2007-2009. Al primo voto il binomio Usa-Guatemala ha avuto 109 dei 192 voti dell'assemblea ONU, il Venezuela 76, con 7 astensioni, fra cui, anche se il voto è segreto, quella dell'Italia annunciata ieri dal ministro degli esteri D'Alema sulla base di un singolare ragionamento che, stando alle agenzie, suona: vista la spaccatura «così netta e aspra» e considerato «che il nostro paese ha un rapporto speciale con il Venezuela (dove vive oltre un milione di cittadini di origine italiana e oltre 100 mila elettori) abbiamo ritenuto che non ci fossero le condizioni per sostenere il Venezuela». Ma neanche «per votare contro». Per cui, astensione e poi si vedrà.
Essendo necessario il quorum dei due terzi, 124 voti, dopo il primo round al ticket Usa-Guatemala sono mancati 15 voti. Nelle 3 votazioni successive confermata la impasse: Usa-Guatemala 114 e Venezuela 74, 110 e 75, 103 e 83 (e 1 al Messico: la svolta?). Si proseguirà a oltranza con quello che Chavez domenica ha definito «il corpo a corpo» al Palazzo di vetro. Tutti citano il caso del '79 quando Cuba propose la sua candidatura e gli Usa contrapposero il vassallo di turno, la Colombia. Ci vollero 154 votazioni prima che uscisse l'auspicata «alternativa», il Messico.
Un mese fa Chavez, che ha speso tempo e (petro)dollari negli ultimi sei mesi per garantirsi i voti necessari, era sicuro di potercela fare. Era garantito, diceva, l'appoggio dei 4 del Mercosud - Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay - più Cuba e Bolivia, dei 15 del Caricom (i paesi e paesini dei Caraibi), i 22 della Lega araba, una parte dell'Unione africana, più Cina e Russia, India, e l'Iran, la Corea del nord, lo Zimbabwe, la Bielorussia e via discendendo lungo «l'asse del male». Previsioni troppo ottimistiche, fondate sull'efficace diplomazia petrolifera di Chavez e sulla sua esuberanza (a volte controproducente) di «leader dell'opposizione globale» all'egemonia Usa come ha scritto il Washington Post.
Con il Guatemala si sono schierati, oltre al suo sponsor Bush, Canada, Australia, parte degli africani, quasi tutti i 25 dell'Unione europea (perfino la Spagna di Zapatero), quasi tutto il Centramerica ritornato all'ovile e i latino-americani che ruotano intorno agli Stati uniti e sono alle strette con Chavez: il Messico di Fox (definito «il cagnolino dell'impero»), il Perù di Garcia («uno svergognato e corrotto»), la Colombia del filo-americanissimo Uribe. Il Cile del presidente socialista Michelle Bachelet, unito agli Usa da un trattato di libero scambio, ha annunciato solo domenica la sua decisione: astensione in mancanza di un «candidato di consenso» e nei «superiori interessi del paese». Una decisione che ha suscitato polemiche all'interno della coalizione di governo, con i socialisti che sembravano propensi a votare sia pure a malincuore Chavez e i democristiani decisamente contrari («gli stessi che appoggiarono il colpo di stato contro Allende e il golpe in Venezuela del 2002», tanto per gradire).
«La nostra guerra non è contro il Guatemala», ha detto il ministro degli esteri venezuelano Nicolas Maduro. Evidente. Il rappresentante guatemalteco si accuccerebbe sulle ginocchia di John Bolton, l'ambasciatore Usa, e garantirebbe una presenza discreta e «responsabile» contro quella «destabilizzante» di Chavez. Mandare avanti il Guatemala non è stata una buona scelta per Bush. Nel suo intervento all'assemblea generale, in settembre, il presidente Oscar Berger arrivò a dire che era stato Kofi Annan a dirgli «personalmente» che l'elezione del Venezuela avrebbe significato la fine del Consiglio di sicurezza, costringendo il segretario generale a una secca smentita. Poi il Guatemala, 10 anni dopo la fine della guerra civile, è l'esempio della più assoluta impunità per i crimini che provocarono almeno 200 mila morti, con criminali come Efrain Rios Montt e Humberto Mejia che scorazzano liberi mentre la miseria, la delinquenza, il narco-traffico, il crimine organizzato e la corruzione sono in continua crescita. Non è una buon biglietto da visita.
Per questo, a meno di sorprese, in molti aspettano l'auspicato «candidato di consenso». Circolano i nomi di Uruguay, Messico, Cile, Perù, Costa Rica, Repubblica dominicana. Guarda caso tutti nomi che, in seconda battuta, andrebbero bene a Bush. Vedremo.
Forse non si ripeterà la scena dell'82, quando l'ambasciatore Usa all'ONU, la reaganiana Jeane Kirkpatrick, dovette ingoiare scompostamente l'elezione del Nicaragua sandinista in Consiglio di sicurezza, e Bush riuscirà a bloccare la candidatura di Chavez. Ma già ora si può dire che la bocciatura della sua prima scelta testimonia di quanto in basso sia caduto il potere e il prestigio degli Stati uniti.