15 Giugno 2006  Salim Lamrani - Voltaire, édition international da http://www.eurasia-rivista.org


Dottrina Monroe.

La minaccia statunitense

plana sul Venezuela

 

 

Washington non si accontenta di desiderare apertamente il rovesciamento delle autorità di Caracas democraticamente elette, né di fare dell’ingerenza nella politica interna del Venezuela, ma esercita su di esso una pressione militare. In occasione delle manovre navali « Partnership of the Americas », Salim Lamrani ci offre un giro d’orizzonte delle minacce statunitense.

 



Nei mesi di aprile-maggio, gli Stati uniti hanno effettuato impressionanti manovre militari nei Cairaibi. L’operazione, denominata Partnership of the Americas, ha comportato la presenza di 6500 soldati, diverse portaerei e sommergibili nucleari, e un numero spettacolare di aerei da caccia F16. Una nave da guerra si è pure recata nell’isola olandese di Aruba a sole 15 miglia dalle coste venezuelane
[1].

Questo spiegamento di forza ha seriamente inquietato il governo di Hugo Chávez, che ha denunciato un tentativo di aggressione militare. Il ministro degli Esteri, Ali Rodríguez, ha sottolineato il pericolo di una iniziativa violenta contro il Venezuela da parte della Casa Bianca. «Siamo ben consci di questo rischio […]. Non avete sentito il linguaggio usato da Bush? E’ un linguaggio manicheo tra il Bene e il Male, ‘quelli che sono con noi sono buoni, quelli che non sono con noi, sono malvagi e dobbiamo distruggerli ’», ha dichiarato. Secondo lui, solo il pantano iracheno e «la situazione molto critica» nel Medio Oriente hanno messo un freno ad un’offensiva diretta contro il Venezuela
[2].

Rodriguez ha pure affermato di non augurarsi una rottura con gli Stati Uniti : «La nostra posizione è avere relazioni normali, cordiali e la sola condizione che poniamo al governo nordamericano è il rispetto della sovranità del Venezuela, il non intervento negli affari interni del Venezuela [e] il rispetto della Carta delle Nazioni unite»
[3].

Da parte sua, l’ambasciatore statunitense a Caracas, William Brownfield, ha minimizzato l’importanza delle esercitazioni militari effettuate dal Southern Command. «Non è la prima volta che il governo degli Stati Uniti compie manovre navali nei Caraibi e non sarà l’ultima», ha segnalato
[4]. Quanto al Pentagono, esso ha annunciato che la parata militare era destinata unicamente a fronteggiare, in compartecipazione con paesi della regione, delle minacce non convenzionali come il traffico di droga e quello di persone. Tuttavia, dato l’arsenale dispiegato, egli non ha precisato se esso comportasse l’utilizzo di armi nucleari per mettere fine a tali minacce non convenzionali [5].

Questo nuovo progredire delle tensioni tra il Venezuela e l’amministrazione Bush fa seguito a tutta una serie di dichiarazioni bellicose emesse negli ultimi mesi da Washington. Il 16 febbraio 2006, Condoleezza Rice, segretario di Stato, ha affermato che il Venezuela costituiva «uno dei più grandi problemi» per gli Stati Uniti e ha definito «particolarmente pericolose» le sue relazioni con Cuba. Ella ha espresso la sua intenzione di creare un fronte comune regionale contro il governo del presidente Chávez in occasione della sua audizione di fronte alla Commissione Affari Esteri della camera dei rappresentanti, al fine di giustificare lo stanziamento di 33 miliardi di dollari assegnato al suo ministero per l’anno 2007
[6].

La signora Rice ha accusato Chávez di influenzare «i suoi vicini ad uscire dal processo democratico», attraverso le sue politiche di rifiuto dell’accordo di libero scambio (ALCA) preteso dagli Stati Uniti. In effetti, dal suo accesso al potere, l’attuale governo venezuelano sostiene un’integrazione economica latino-americana (ALBA) al fine di favorire lo sviluppo della regione ; progetto che è completamente opposto al neoliberismo che vuole imporre Washington e che favorisce solo le grandi transnazionali. Per contrastare «l’influenza negativa» del Venezuela, ha proposto la moltiplicazione delle relazioni con «i governi responsabili, compresi i governi responsabili di sinistra, come il Brasile e il Cile» ; vale a dire quelli che accettano il modello economico ultraliberista
[7].

Il segretario di Stato ha inoltre rimproverato al governo bolivariano di fornire il suo sostegno politico alla coalizione dei due ex presidenti nicaraguesi Daniel Ortega e Arnaldo Alemán, in vista delle prossime scadenze presidenziali del novembre 2006. Secondo la Rice, questo appoggio potrebbe «generare una situazione in cui un governo democraticamente eletto in Nicaragua non potrebbe funzionare», facendo allusione ad un’eventuale vittoria della sinistra e al probabile rifiuto che essa susciterebbe a Washington
[8].

Tuttavia il segretario di Stato, che flagella costantemente «il populismo latino-americano», ha omesso di rilevare che il suo ambasciatore nel Nicaragua, Paul Trivelli, ha avuto delle riunioni con i capi della destra e ha preteso da loro la formazione di una sola lista per le elezioni presidenziali e legislative, al fine di evitare ad ogni costo un successo elettorale del Fronte sandinista
[9]. Ma Washington non c’entra, ingerenza e contraddizione a parte.

Il presidente Chávez si è mostrato sorpreso dalla dichiarazioni della Rice e ha affermato che il tentativo d’isolamento del suo governo da parte degli Stati uniti è destinato al fallimento. «Sono diversi anni che [Washington] cerca di isolarci, di imporci un blocco [ed] essi hanno fallito e falliranno, perché la ragione non è dalla loro parte e perché non dispongono di alcuna morale. Ogni giorno i popoli e i governi del mondo scoprono la verità a proposito del Venezuela», ha notato
[10].

Il Dipartimento di Stato ha inoltre fornito il suo sostegno a certi sindacati venezuelani che propugnano lo sciopero per destabilizzare la nazione. In una dichiarazione alla stampa, la signora Rice a ha parlato anche di una paralisi dei trasporti pubblici del paese, mai avvenuta. Questi annunci fanno pensare che Washington abbia già elaborato dei piani con l’opposizione allo scopo di deporre il presidente Chávez e confermano le inquietudini di quest’ultimo
[11].

A titolo di risposta, le autorità venezuelane hanno agitato la minaccia di sospendere le consegne di petrolio. Il Venezuela, quinto produttore mondiale di oro nero, esporta quotidianamente esporta quotidianamente verso gli Stati Uniti 1,5 milioni di barili. «Il governo statunitense deve capire che, se supera i limiti, non avrà più petrolio venezuelano», ha avvertito Hugo Chávez. «Se crede che io non possa prendere tale misura […], si sbaglia di grosso [perché] numerosi paesi ci chiedono petrolio», ha aggiunto
[12].

Nella provincia di Zulia, regione ricchissima di riserve petrolifere, ha fatto la sua comparsa un movimento separatista sospettato di connivenza con gli Stati Uniti. Lo Stato conta circa 4 milioni di abitanti e fornisce una parte essenziale della produzione di petrolio. È diretto dal governatore Manuel Rosales, opposto al governo centrale, attualmente sotto esame per aver partecipato nell’aprile 2002 al colpo di Stato contro il presidente Chávez. In effetti nell’aprile 2002 egli aveva firmato un decreto emesso dalla giunta golpista di Pedro Carmona, attualmente fuggiasco in Colombia
[13].

Néstor Suárez è il presidente del gruppo d’opposizione Rumbo Propio in favore dell’autonomia. Egli si definisce di estrema destra e ha manifestato la sua determinazione ad installare un governo «capitalista liberale» : «Noi vogliamo un governo nostro [e] siamo contro i grandi governi centrali». Le dichiarazioni dell’ambasciatore statunitense Brownfield, che ha parlato della «Repubblica di Zulia», non hanno fatto che attizzare i sospetti verso l’amministrazione Bush
[14]. In segno di protesta, hanno avuto luogo immense manifestazioni contro quello che il procuratore generale del Venezuela, Isaías Rodríguez, ha definito «tradimento della patria» [15].

Da parte sua, il Ministro della Comunicazione e dell’Informazione William Lara ha richiamato l’articolo 130 della Costituzione bolivariana del Venezuela : «I Venezuelani e le Venezuelane hanno il dovere di onorare e di difendere la patria, i suoi simboli e i suoi valori culturali ; di proteggere la sovranità, la nazionalità, l’integrità territoriale, l’autodeterminazione e gli interessi della nazione». Ha anche affermato che il coinvolgimento di Washington in questa crisi era un segreto di Pulcinella, vista l’importanza strategica della regione e «l’interesse degli Stati Uniti a controllare il petrolio venezuelano». «E’ la ragione per cui siamo consci del pericolo e della minaccia contro l’integrità territoriale del Venezuela», ha concluso
[16].

Per ravvivare ulteriormente la tensione, il Dipartimento di Stato ha pure accusato il Venezuela di essere il «punto chiave di transizione» per la droga colombiana e ha stigmatizzato la «corruzione rampante nelle più alte sfere poliziesche e il fragile sistema giudiziario». Quest’accusa deriva dal rifiuto delle autorità venezuelane di ricevere i funzionari della Drug Enforcement Agency (DEA), il Dipartimento statunitense di lotta anti-droga, accusati di spionaggio dal presidente Chávez
[17].

Il vicepresidente venezuelano José Vicente Rangel, ha respinto il rapporto emesso da Washington sottolineando che l’amministrazione Bush non dispone di alcuna autorità per ergersi a leader anti-droga. [Il presidente statunitense] utilizza la lotta contro questo flagello come semplice bandiera politica », ha denunciato
[18]. Secondo un’indagine del 2005 dell’Unione Europea, solo lo 0,47% della popolazione venezuelana consuma droga, mentre il 9,47% degli statunitensi vi ricorrono in maniera regolare. In effetti, con 35 milioni di tossicomani, gli Stati Uniti sono il primo importatore di stupefacenti del pianeta [19].

A tale critica si aggiunge la pubblicazione di Strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, divulgata dal presidente Bush, in cui i principali governi nel mirino sono quelli di Hugo Chávez e Fidel Castro. «Non si deve permettere che la fraudolenta attrattiva del populismo contro il libero mercato eroda le libertà politiche», sancisce il documento
[20].

Bush ha riaffermato il diritto degli Stati Uniti ad intervenire unilateralmente contro ogni Stato considerato ostile agli interessi di Washington. Egli ne ha approfittato per classificare il presidente venezuelano come un «demagogo che fluttua sul denaro del petrolio e che mina la democrazia e pretende di destabilizzare la regione». Per quando riguarda Cuba, il presidente Castro è definito un «dittatore anti-americano che continua ad opprimere il suo popolo e che cerca di sovvertire la libertà nella regione». Quanto alla Colombia, è citata come «un alleato democratico [che] combatte i persistenti attacchi dei terroristi marxisti e dei narco-trafficanti»
[21].

«L’alleato colombiano» è giustamente sospettato di essere implicato nella destabilizzazione del Venezuela. L’ex comandante del Dipartimento amministrativo di sicurezza (DAS) di Colombia, Rafael García, ha confessato che un ex direttore dei servizi d’informazione del DAS, dei paramilitari colombiani e degli oppositori venezuelani avevano cospirato per assassinare il presidente Chávez. «Secondo mie informazioni, eravamo in due a saperlo : un ex direttore del DAS [Jorge Noguera, attualmente console a Milano] ed io. E ci sono sei persone coinvolte tra i vertici del governo colombiano, ma io non vi farò nomi. Il progetto era contro alti funzionari venezuelani, compreso il presidente Chávez», ha dichiarato
[22].

Il presidente colombiano Alvaro Uribe, ha negato di essere implicato nell’affaire, anche se ha riconosciuto di aver ricevuto delle foto che mostravano dei militari venezuelani che avevano partecipato al colpo di Stato dell’aprile 2002, mentre stavano entrando nell’edificio del DAS a Bogotà. Dopo numerose indagini, il governo di Uribe ha confermato lo svolgimento di una riunione tra oppositori venezuelani e alti responsabili dell’esercito con agenti del DAS, in un edificio dello Stato
[23].

Di fronte a queste persistenti minacce, il governo venezuelano è stato costretto ad accelerare i preparativi militari, al fine di impedire un’eventuale invasione del paese. Dopo aver acquistato 33 elicotteri da difesa dalla federazione di Russia per un ammontare di 200 milioni di dollari, ha raccomandato all’esercito di prepararsi ad una guerra di resistenza, attivando la formazione di una riserva nazionale composta da civili
[24].

L’America latina è attualmente attraversata da un’immensa ondata di cambiamento. La speranza di rinnovamento suscitata dalla Rivoluzione bolivariana, le cui trasformazioni sociali sono impressionanti, non risponde ai gusti di Washington che vede sminuita la sua influenza. Frattanto, il prestigio di leader progressisti quali Hugo Chávez non cessa di crescere come dimostrato dalle espressioni ammirate dell’ex presidente cileno Ricardo Lagos, sia pure ritenuto conservatore : «Hugo è una forza della natura, è un uomo dotato di un grande carisma ed io credo che i suoi sforzi per vincere la povertà l’abbiano condotto a seguire un percorso di profondo impegno in certi settori»
[25]. E’ una delle ragioni per le quali l’amministrazione Bush sembra pronta a tutto per mettere un termine a questa « influenza negativa ».

 


Salim Lamrani è ricercatore francese presso l’università Denis-Diderot (Parigi VII), specialista delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Ultimo lavoro pubblicato: Cuba face à l’empire: Propagande, guerre économique et terrorisme d’état, Éditions Timéli.
 


 

Note



[1] Elsa Claro, « Extrañas maniobras en el Caribe. A solas con el enemigo », Granma, 17 aprile 2006. (sito consultato il 18 aprile 2006).

[2] Fabiola Sanchez, « Entrevista AP : Venezuela ve riesgo de ataque de EEUU », El Nuevo Herald, 4 aprile 2006.

[3] Ibid.

[4] Associated Press, « U.S. Defends Its Naval Exercise », 30 marzo 2006.

[5] Greg Brosnan, « Chavez Says US Warships Threaten Venezuela, Cuba », Reuters, 18 aprile 2006.

[6] El Nuevo Herald, « Condoleezza Rice insta a frenar a Chávez », 17 febbraio 2006.

[7] Ibid.

[8] Ibid.

[9] Blanca Morel, « EEUU quiere impedir el triunfo de la izquierda en Nicaragua », El Nuevo Herald, 19 aprile 2006.

[10] El Nuevo Herald, « Chávez : EEUU quiere aislar a Venezuela », 17 febbraio 2006.

[11] Agencia Bolivariana de Noticias, « Chávez reiteró llamado al país de oponerse a maniobras imperialistas », 17 febbraio 2006.

[12] El Nuevo Herald, « Chávez amenaza con suspender el petróleo a EEUU », 18 febbraio 2006.

[13] Steven Dudley, « Autonomía de Zulia desata batalla en Venezuela », El Nuevo Herald, 6 aprile 2006.

[14] Ibid.

[15] EFE, « Fiscalía venezolana investiga grupo separatista en Zulia », 7 mars 2006 ; Granma, « Ratifican en Venezuela como traición a la Patria proyecto secesionista », 8 marzo 2006. (sito consultato il 10 marzo 2006) ; Granma, « Inician en Venezuela movilizaciones contra proyecto secesionista », 7 marzo 2006. (sito consultato il 10 marzo 2006).

[16] Agencia Bolivariana de Noticias, « Ministro Lara lidera jornadas en Zulia contra acciones separatistas », 10 marzo 2006.

[17] Néstor Ikeda, « EEUU denuncia que Venezuela no cumple tratados antidrogas », El Nuevo Herald, 1 marzo 2006 ; El Nuevo Herald, « Señalan a Venezuela de ‘ruta de la droga’ », 2 marzo 2006 ;

[18] EFE, « A favor y en contra del informe sobre drogas », 3 marzo 2006.

[19] Agencia Bolivariana de Noticias, « Venezuela refutó ante Naciones Unidas inflorme de EEUU sobre narcóticos », 10 marzo 2006.

[20] The White House, « The National Security Strategy of the United States », mars 2006. Téléchargement (site consulté le 17 mars 2006).

[21] Ibid.

[22] Prensa Latina, « Revelan participación colombiana en atentados contra Chávez », 9 aprile 2006.

[23] Javier Baena, « Venezuela pide a Colombia aclarar complot contra Chávez », El Nuevo Herald, 19 aprile 2006.

[24] Agencia Bolivariana de Noticias, « Inversión en helicópteros rusos ascenderá a unos 200 millones de dólares », 3 aprile 2006 ; El Nuevo Herald, « Chávez Busca actualizar entrenamiento militar », 26 marzo 2006.

[25] El Nuevo Herald, « Lagos : no hay que demonizar a presidente venezolano », 2 marzo 2006.


Fonte: Voltaire, édition international