1 aprile '08 - S.Lamrani www.prensa-latina.it

 

 

 

Perché l'UNESCO non può associarsi

 

con Reporter senza Frontiere

 

 

L’11 marzo 2008, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, l'UNESCO, decise di ritirare il suo patrocinio al “Giorno per la libertà in Internet” organizzato da Reporter senza Frontiere (RSF), previsto il 12 marzo. Marcio Barbosa, direttore generale aggiunto della Divisione della libertà di espressione, della Democrazia e della Pace dell'istituzione, si rifiutò di associarsi alle campagne politicizzate di RSF (1). RSF elaborò una lista di quindici paesi “nemici di Internet” di cui formano parte Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Etiopia, Iran, Uzbekistan, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Vietnam e Zimbabwe, la cui principale caratteristica è che sono nazioni del Terzo Mondo. Non c’è un solo paese occidentale in questa lista. Ma non è sorprendente poiché Robert Ménard, segretario generale dell'organizzazione parigina dal 1985, affermò che gli interessavano solo i paesi sottosviluppati: Decidiamo di denunciare gli attentati contro la libertà della stampa in Bosnia ed in Gabon, come le ambiguità dei mezzi di comunicazione algerini e tunisini... ma non occuparci di quelle dei mezzi di comunicazione francesi: per quale ragione? “Perché se lo facessimo, corriamo il rischio di far arrabbiare certi giornalisti, inimicarci coi grandi padroni della stampa ed irritare il potere economico. Orbene, per “mediatizzarci”, abbiamo bisogno della complicità dei giornalisti, l'appoggio dei padroni della stampa ed il denaro del potere economico” (2).  

Il segretario generale di RSF criticò la decisione dell'UNESCO in termini molto duri, falsi, irrispettosi e grossolani:   

“Non siamo ingenui. Vari degli Stati che formano parte della lista dei quindici “nemici di Internet” che abbiamo pubblicato oggi, sono intervenuti direttamente con la Direzione Generale dell'UNESCO. Marcio Barbosa, il direttore generale aggiunto dell'organizzazione, ha claudicato. L'UNESCO non è risultata migliore su questo tema. Dimostra una gran vigliaccheria, nel momento in cui gli Stati che hanno ottenuto che agisca così continuano imprigionando decine di internauti. Disgraziatamente, sembra che siamo retrocessi venti anni, siamo tornati all'epoca in cui i regimi autoritari decidevano il buono od il cattivo tempo nella Piazza di Fontenoy di Parigi. Il fatto che l'UNESCO si sia abbassata così i pantaloni, rende più chiara l'importanza della mobilitazione contro gli Stati censori” (3).  

Ma la realtà è un'altra. L'UNESCO spiegò che si vide obbligata a ritirare il suo patrocinio dopo la pubblicazione, da parte di RSF, di un’informazione che non compie l'accordo firmato tra entrambe le organizzazioni rispetto a questo evento. In effetti, RSF pubblicò materiale relativo ad una serie di Stati membri dell'UNESCO, sul quale l'UNESCO non ha ricevuto nessuna informazione e, pertanto, non poteva appoggiare. Inoltre, in quelle comunicazioni raffigurava l'emblema dell'UNESCO in modo tale che sembrava indicare l'appoggio dell'UNESCO sull'informazione presentata. Così, l'entità parigina utilizzò abusivamente e fraudolentemente il prestigioso nome dell'organismo delle Nazioni Unite per promuovere la sua propria agenda politica e concedersi una credibilità che non ha (4).  

Varie fonti diplomatiche dell'UNESCO dichiararono che l'organizzazione aveva preso la sua decisione in virtù della reiterata mancanza di etica di RSF nella sua volontà di screditare determinati paesi (5).  

I diplomatici consultati non si sbagliano. In effetti, la lotta di RSF a beneficio della libertà della stampa è molto selettiva. Ufficialmente, Robert Menard si mostra fermo e categorico: “A partire da ora, tutti i 12 marzo porteremo a capo azioni per denunciare la “cibercensura” nel mondo. La crescente repressione dei blogger e le sempre più numerose chiusure di siti di Internet, hanno bisogno di una mobilitazione, reclamano una risposta” (6).  

Ma questa posizione iniziale si sgretola completamente davanti alla realtà. Il combattimento di RSF non tocca mai i poderosi. Un'informazione che apparve nel prestigioso New York Times illustrò la doppia facciata dell'entità francese e dimostra che in realtà RSF non è interessata in nessun modo nella “cibercensura” nel mondo.  
 

Quando Washington censura Internet  

 
Nella sua edizione del 4 marzo 2008, il celebre diario newyorkese

Impresa yankee blocca Rebelión

e un’agenzia della Bolivia

 

PL - I siti in Internet della Agenzia Boliviana d’Informazione e del media alternativo Rebelión sono stati bloccati da un’impresa  nordamericana che amministra vari servitori in Svezia e in Europa.

La censura danneggia i clienti che utilizzano la firma statale svedese Telia che fornisce Internet e telefonia e che dipende dalla statunitense CogNet, come ha detto lo stesso sito di Rebelión, a PL.

La misura è stata adottata unilateralmente e impedisce l’accesso all’agenzia boliviana e a Rebelión a tutti i clienti che usufruiscono di Internet attraverso i servitori di Telia, dice la fonte.

Questa impresa ha confermato ai suoi cienti che CogNet ha censurato l’accesso a determinate pagine di Spagna e America Latina, senza indicare se sarà ristabilito.

Secondo Rebelión, Telia è la maggior fornitrice di Internet della Svezia ed è associata ad altre entità dei paesi nordici.

 

 raccontò una storia surreale di censura in Internet che dimostra la portata irrazionale e fanatica delle sanzioni economiche che gli Stati Uniti impongono a Cuba dal 1960 (7).  

Steve Marshall, cittadino britannico che risiede in Spagna, lavora in un'agenzia di viaggi e propone ferie ai turisti, specialmente a Cuba. Nell’ottobre del 2007, l’80% dei suoi siti Web sono stati oscurati per colpa del governo di Washington. “Andai una mattina al lavoro e scoprii che non avevamo nessun sito funzionando. Pensammo che si trattava di un problema tecnico”, indicò Marshall (8).   

In realtà, i siti Internet di questo cittadino britannico erano stati ubicati nella lista nera del Dipartimento del Tesoro statunitense. L'impresa eNom che gli aveva venduto il nome del dominio, con sede a Bellevue, a Washington, aveva ricevuto da parte dell'Ufficio di Controllo dei Beni Stranieri (Office of Foreign Assets Control, OFAC) l'ordine di disattivare i siti, originando un serio danno economico a Marshall, che ha dovuto dirigersi ad un server europeo (9).   

L'impresario inglese dichiarò il suo stupore. Come è possibile che siti Web che appartengono ad un cittadino britannico ed operano per un'agenzia di viaggi spagnola possano essere colpiti dalla legge statunitense? John Rankin, portavoce del Dipartimento del Tesoro, giustificò l'azione sottolineando che l'agenzia poteva vendere soggiorni a cittadini statunitensi che, in virtù della legislazione del loro paese, non possono viaggiare a Cuba benché siano perfettamente liberi di andare in Cina, Vietnam e perfino Corea del Nord (10).  

Il New York Times ha ragione quando segnala che il bloqueo attenta alla libertà di tutti. Questo esempio illustra pertanto il carattere extraterritoriale - ed illegale - della legislazione statunitense contro Cuba. RSF non si è degnato di denunciare questa “cibercensura”. In questo caso, non c’è stata nessuna mobilitazione né risposta, perché il responsabile denunciato è la prima potenza mondiale.  

 
Perché Reporter senza Frontiere

non è affidabile  

 
L'UNESCO si rifiutò di associarsi alla campagna politica di RSF con ragione. In effetti, gli antecedenti dell'organizzazione parigina sono gravi. Cito qui alcuni esempi:  

- RSF fece apologia dell'invasione in Iraq affermando che il rovesciamento della dittatura di Sadam Husein mise termine a trenta anni di propaganda ufficiale e ha aperto una nuova era di libertà, piena di speranze ed incertezze, per i giornalisti iracheni. L'organizzazione aggiunse che per i mezzi di comunicazione iracheni, decenni di privazione totale di libertà di stampa giunsero alla fine col bombardamento del ministero di Informazione, il 9 aprile a Baghdad (11). Come Bush, Menard pensa che la democrazia può esportarsi legittimamente mediante bombardamenti assassini.  

- RSF si è ricordato molto tardi -cinque anni dopo - del caso del giornalista della catena di televisione del Qatar Al Jazeera, Sami Al-Haj, ed unicamente dopo che si pubblicassero vari articoli criticando questa dimenticanza. Ora, l'organizzazione riconosce che il giornalista fu arrestato con falsi pretesti di relazioni con Al Qaeda. Per non sapere se Sami Al-Haj fu arrestato in qualità di giornalista e per mancanza di informazione su di lui, RSF ha aspettato di portare a termine altre azioni (12).  

Pertanto, RSF ci ha messo cinque anni per scoprire che Sami Al-Haj era stato arrestato, rapito e torturato solo per la sua condizione di giornalista. Magari sia la ragione per la quale il giornalista sudanese è sparito dalle relazioni del 2004 e del 2005, nelle quali RSF enumera tutti i giornalisti imprigionati in tutti gli angoli del pianeta (13).  

RSF riconosce che il suo silenzio in quanto a Sami Al-Haj era colpevole e che la sua dichiarazione è una confessione di questa colpevolezza. Mediante questo “mea culpa”, RSF vuole fare credere che il caso di Al-Haj non era più che una deplorevole dimenticanza che, perfino sia da cinque anni incarcerato, non ha niente a che vedere col fatto che il giornalista sia detenuto dall'esercito statunitense (14).  

In questo caso, perché RSF rimase silenzioso in quanto a Bilal Hussein, un giornalista e fotografo iracheno dell'agenzia di stampa Associated Press (AP), imprigionato dalle truppe di occupazione il 12 aprile 2006 in Irak, cioè, da più di cinque mesi, e si preoccupò solo della sua sorte dopo il 27 settembre 2006 (15), unicamente perché questa dimenticanza fu criticata? (16).  
 

- Il 15 marzo di 2004, RSF pubblicò una relazione, sugli assassini premeditati del cameraman spagnolo José Couso e del suo collega ucraino Taras Protsyuk da parte dei soldati statunitensi, dove esonerava di ogni responsabilità i militari responsabili del crimine (17). La lettera aperta che inviò la famiglia di José Couso a RSF è molto chiara:  

La famiglia Couso, davanti alla relazione pubblicata da Reporter senza Frontiere “Due assassini per una bugia”, vuole manifestare il fatto seguente:  
 

“Le conclusioni di questa relazione discolpano gli autori materiali e riconosciuti dello sparo all’Hotel Palestina, in base alla dubbiosa imparzialità dei due uccisi e nell'attestazione degli stessi autori e responsabili dello sparo, trasportando la responsabilità a persone non identificate.  

La relazione è stata firmata da un giornalista, Jean Paul Mari, che ha conosciute relazioni col colonnello Philiph de Camp, militare che riconobbe la sua implicazione nell'attacco e nell’assassinio dei giornalisti dell’Hotel Palestina; ed inoltre, detta relazione si appoggia sulle attestazioni di tre giornalisti in piena connivenza con l'esercito degli USA, tutti statunitensi, e dei quali alcuni, come Chris Tomlinson, avevano fatto parte dei servizi di intelligenza dell'esercito degli Stati Uniti durante più di sette anni. Nessuno dei giornalisti spagnoli che si trovavano nell’hotel è stato consultato per l'elaborazione di questo documento.  

La relazione contiene numerosi errori, contraddizioni ed irregolarità relativamente a dati importanti come la situazione delle stanze dell’hotel, il luogo di impatto dello sparo, l'ubicazione dei testimoni, etc.  

Inoltre ci sembra un'assoluta mancanza di delicatezza la biografia tanto “umana” che si fa degli assassini di José Couso Permuy e Taras Protsyuk, culminando l'offesa con la gratitudine ai militari statunitensi per la loro collaborazione nella relazione. Reporter Senza Frontiere -sezione spagnola - sollecitò la sua adesione alla polemica presentata dalla famiglia, il giorno 27 maggio 2003, contro i responsabili della morte di José Couso. Davanti alla pubblicazione di questa relazione che, secondo la sua versione, li esclude di responsabilità nell'assassinio dei giornalisti dell’Hotel Palestina, è assolutamente incoerente e contraddittoria la continuità della sua organizzazione nell'esercizio dell'azione popolare nelle diligenze aperte nell'Udienza Nazionale.  

Per questo motivo esprimiamo il desiderio della famiglia che ritirino il loro sollecito per far parte delle diligenze aperte nell'Udienza Nazionale per esercitare l'azione popolare (18)”.  

Il 16 gennaio 2007, il giudice madrileno Santiago Pedraz emise un ordine di arresto internazionale contro il sergente Shawn Gibson, il capitano Philip Wolford ed il tenente colonnello Philip de Camp, responsabili dell’omicidio di Couso e Protsyuk esonerati da RSF. Il 24 maggio 2007, il giudice Pedraz respinse l'appello del fiscale Jesús Alonso interposto il 18 maggio 2007 che allegò che gli indizi erano insufficienti, e confermò il procedimento giudiziario dei tre criminali scandalosamente assolti da RSF (19).  

- Anche Haiti, sotto la presidenza di Jean-Bertrand Aristide, fu il bersaglio di RSF. Quando il presidente fu abbattuto da un colpo di Stato che orchestrarono la Francia e gli Stati Uniti, RSF applaudì calorosamente il colpo intitolando rumorosamente: La libertà di stampa recuperata: una speranza da mantenere (20).   

- Venezuela ed il presidente Hugo Chavez, odiato dall'amministrazione Bush, sono stati anche gli obiettivi privilegiati di RSF. Durante il colpo di Stato dell’aprile del 2002, Robert Menard evitò di denunciare il ruolo principale che svolsero i mezzi privati opposti al presidente eletto democraticamente. Peggiore ancora, il 12 aprile 2002, RSF pubblicò un articolo che faceva eco senza nessuna riserva della versione dei golpisti e tentò di convincere l'opinione pubblica internazionale che Chavez aveva rinunciato:  

“Recluso nel palazzo presidenziale, Hugo Chavez firmò la sua rinuncia durante la notte sotto la pressione dell'esercito. Poi fu portato a Forte Tiuna, la principale base militare di Caracas, dove è detenuto. Immediatamente, Pedro Carmona, presidente della Confindustria del Venezuela, annunciò che dirigerebbe un nuovo governo di transizione. Affermò che il suo nome era il risultato di un “consenso” della società civile venezuelana ed il comando delle forze armate (21).  

Ancora oggi RSF persiste nella sua guerra di disinformazione contro il governo democratico di Hugo Chavez.  

- RSF riconosce che riceve denaro dal Center for a Free Cuba (22), un'organizzazione di estrema destra, finanziata dagli Stati Uniti, il cui obiettivo è abbattere il governo cubano, come stipulano i suoi statuti. Questo spiega particolarmente le violente campagne anticubane che ha orchestrato l'entità parigina, l'aggressione contro l'ambasciata cubana di Parigi nell’aprile del 2003. Perfino si vanta di non aver mai occultato queste sovvenzioni, delle quali si avvantaggia dal 2002 (23). Questo è falso perché le sovvenzioni non appaiono nei conti del 2002 e del 2003.   

RSF omette anche che il direttore di questo organismo è un certo Franck Calzon che fu uno dei presidenti della Fondazione Nazionale Cubano-Americana nel passato (FNCA), la quale, come dichiarò José Antonio Llama, uno dei suoi antichi direttori, è gravemente implicata nel terrorismo contro Cuba (24). Llama aveva confessato: Eravamo impazienti per la sopravvivenza del regime di Castro dopo il crollo dell'Unione Sovietica ed il sistema socialista. Volevamo accelerare la democratizzazione di Cuba usando qualunque mezzo per ottenerlo (25).  

Così, RSF riceve finanziamento da un organismo il cui direttore è un ex dirigente di un'organizzazione terrorista.  

- RSF confessa anche che Washington la sovvenziona mediante la National Endowment for Democracy (NED): Effettivamente, riceviamo denaro dalla NED… e questo non ci porta nessun problema (26). La NED fu creata dal governo di Ronald Reagan nel 1983, in un'epoca in cui la violenza militare aveva rimpiazzato la diplomazia tradizionale nella messa a fuoco dei temi internazionali. Grazie alla sua poderosa capacità di penetrazione economica, la NED ha come obbiettivo quello di debilitare i governi che si oppongono alla politica estera egemonica di Washington (27).  

Che cosa è esattamente la NED? Semplicemente un ufficio schermo della CIA, secondo il New York Times, che segnalava nel marzo del 1997 che la NED si creò 15 anni fa per portare pubblicamente a termine quello che ha fatto segretamente la CIA per decenni. Spende 30 milioni di dollari all'anno per appoggiare partiti politici, sindacati, movimenti dissidenti e mezzi informativi in dozzine di paesi (28).  

Nel settembre del 1991, Allen Weinstein, che contribuì a far passare la legge dove si stabiliva la NED, dichiarava al Washington Post: Oggi molto di quello che facciamo lo faceva già la CIA in maniera segreta 25 anni fa (29).  

Carl Gershman, primo presidente della NED, spiegò la ragione di essere della Fondazione nel giugno del 1986: Sarebbe terribile per i gruppi democratici di tutto il mondo presentarsi come finanziati dalla CIA. Ci siamo resi conto di questo negli anni 60 e per questo motivo mettemmo fine a tutto ciò. È perché non potevamo continuare a farlo, per questo che si creò la NED (30).  

RSF, in realtà, è finanziato da un ufficio schermo della CIA secondo Weinstein, il New York Times e Gershman, cosa che spiega le sue posizioni contro l'Iraq, Haiti, Cuba, Venezuela ed altre nazioni nel mirino di Washington. Il lavoro di RSF è tanto apprezzato dalla Casa Bianca che la prima relazione della Commissione di Assistenza ad una Cuba Libera -il cui obiettivo è far tornare un'altra volta Cuba al suo status neocoloniale - pubblicato da Colin Powell nel maggio del 2004 che aumenta drasticamente le sanzioni contro Cuba, cita una sola organizzazione non governativa come esempio da seguire: quella che dirige Robert Menard (31).   

Orgoglioso di questa distinzione, Menard arrivò perfino a legittimare la tortura, seguendo la decisione del Congresso statunitense di legalizzarla nell’ottobre del 2006 (32). L’8 marzo 2008, il presidente George W. Bush mise il suo veto ad un disegno di legge il cui obiettivo era proibire l'uso del waterboarding, una crudele tecnica di tortura che infligge alla vittima una terribile sensazione di soffocamento (33). Durante il programma di radio Contre-expertise, presentato da Xavier de la Porte in France Culture il 16 agosto 2007 dalle 12:45 alle 13:30h., il segretario generale di RSF affermò che era legittimo torturare i sospetti per salvare la vita di innocenti, riprendendo l'argomento delle più spaventose dittature e naturalmente dell'amministrazione Bush. “Se mia figlia fosse sequestrata non ci sarebbe nessun limite, glielo dico, glielo dico, non ci sarebbe nessun limite per la tortura”, affermò. Non solo legittima la tortura, posizione moralmente insostenibile anche contro dei criminali, ma inoltre mette in tessuto di giudizio la presunzione di innocenza (34).  
 

Una saggia decisione dell'UNESCO  

 
L'UNESCO prese una saggia decisione decidendo di non associarsi con un'entità tanto tenebrosa come Reporter senza Frontiere. La difesa della libertà di stampa non è altro che fumo negli occhi. La sua agenda politica occulta è già troppo evidente ed il suo accanimento contro alcune nazioni che si trovano nella lista nera degli Stati Uniti non è assolutamente frutto del caso. Reporter senza Frontiere è, realmente, al servizio di governi e di poderosi interessi economici e finanziari.  

 

Note

 

(1) Reporteros sin Fronteras, «L’Unesco retire son patronage à la Journée pour la liberté sur Internet organisée par Reporters sans frontières», 12 de marzo de 2008. http://www.rsf.org/article.php3?id_article=26183 (sitio consultado el 12 de marzo de 2008).

(2) Reporteros sin Fronteras, «Reporters sans frontières lance sur www.rsf.org la deuxième Journée pour la liberté sur Internet», 12 de marzo de 2008. http://www.rsf.org/article.php3?id_article=26085 (sitio consultado el 12 de marzo de 2008).
Para las citas de Robert Ménard ver Marianne, «Reporters sans frontières, les aveux de Robert Ménard», 5 al 11 de marzo de 2001, p. 9.

(3) Reporteros sin Fronteras, «L’Unesco retire son patronage à la Journée pour la liberté sur Internet organisée par Reporters sans frontières», op. cit.

(4) UNESCO, «Comunicado de la UNESCO sobre la retirada del patrocinio al Día Internacional de la Libertad de Expresión en Internet, organizado por Reporteros sin Fronteras», 12 de marzo de 2008.

http://portal.unesco.org/es/ev.php-URL_ID=42051&URL_DO=DO_TOPIC&URL_SECTION=201.html (sitio consultado el 12 de marzo de 2008).
 
(5) Prensa Latina, «Retira UNESCO coauspicio a Reporteros sin Fronteras», 12 de marzo de 2008.

(6) Reporteros sin Fronteras, «Reporters sans frontières lance sur www.rsf.org la deuxième Journée pour la liberté sur Internet», op. cit.

(7) Adam Liptak, «A Wave of the Watch List, and Speech Disappears», The New York Times, 4 de marzo de 2008.

(8) Ibid.

(9) Ibid.

(10) Ibid.

(11) Reporteros sin Fronteras, «Irak – rapport annuel 2004». http://www.rsf.org/article.php3?id_article=9884 (sitio consultado el 18 de julio de 2005).
 

(12) Reporteros sin Fronteras, «Lettre ouverte à ses détracteurs», Réseau Voltaire, 12 de septiembre de 2006. http://www.voltairenet.org/article143413.html?var_recherche=Reporters+sans+fronti%C3%A8res?var_recherche=Reporters%20sans%20frontières (sitio consultado el 12 de septiembre de 2006).

(13) Reporteros sin Fronteras, «Rapport annuel 2004», 2004. http://www.rsf.org/rubrique.php3?id_rubrique=408 (sitio consultado el 29 de septiembre de 2007); Reporters sans frontières, «Rapport annuel 2005», 2005. http://www.rsf.org/rubrique.php3?id_rubrique=497 (sitio consultado el 29 de septiembre de 2007).

(14) Reporteros sin Fronteras, «Lettre ouverte à ses détracteurs», op.cit.

(15) Reporteros sin Fronteras, «Arrestations et assassinats de journalistes: le cauchemar irakien continue», 19 de septiembre de 2006. http://www.rsf.org/article.php3?id_article=18900 (sitio consultado el 21 de septiembre de 2007).

(16) Salim Lamrani, «Reporters sans frontières et ses contradictions», Réseau Voltaire, 27 de septiembre de 2006. http://www.voltairenet.org/article127332.html (sitio consultado el 21 de septiembre de 2007).

(17) Reporteros sin Fronteras, «‘Deux meurtres pour un mensonge’», 15 de enero de 2004. http://www.rsf.org/article.php3?id_article=9043 (sitio consultado el 10 de enero de 2008).

(18) Familia Couso, «La familia de José Couso pide a Reporteros Sin Fronteras que se retire de la querella», 17 de enero de 2004. www.josécouso.info (sitio consultado el 18 de julio de 2005).

(19) Reporteros sin Fronteras, «Le juge Santiago Pedraz confirme l’inculpation de trois soldats américains pour la mort de José Couso», 25 de mayo de 2007. http://www.rsf.org/article.php3?id_article=20438 (sitio consultado el 19 de febrero de 2008).

(20) Reporteros sin Fronteras, «La liberté de la presse retrouvée: un espoir à entretenir», julio de 2004. www.rsf.org/article.php3?id_article=10888 (sitio consultado el 23 de abril de 2005).

(21) Reporteros sin Fronteras, «Un journaliste a été tué, trois autres ont été blessés et cinq chaînes de télévision brièvement suspendues», 12 de abril de 2002. www.rsf.org/article.php3?id_article=1109 (sitio consultado el 13 de noviembre de 2006).

(22) Center for a Free Cuba, «About us», 2005. http://www.cubacenter.org/about_us/index.html (sitio consultado el 18 de julio de 2005).

(23) Reporteros sin Fronteras, «Lettre ouverte à ses détracteurs», op.cit.

(24) Salim Lamrani, «La Fondation nationale cubano-américaine est une organisation terroriste », Mondialisation, 27 de julio de 2006.

(25) Wilfredo Cancio Isla, «Revelan un plan para atentar contra Castro», El Nuevo Herald, 22 de junio de 2006.

(26) Robert Ménard, «Forum de discussion avec Robert Ménard», Le Nouvel Observateur, 18 de abril de 2005. www.nouvelobs.com/forum/archives/forum_284.html (sitio consultado el 22 de abril de 2005).

(27) National Endowment for Democracy, «About Us». www.ned.org/about/about.html (sitio consultado el 27 de abril de 2005).

(28) John M. Broder, «Political Meddling by Outsiders: Not New for U.S.», The New York Times, 31 de marzo de 1997, p. 1.

(29) Allen Weinstein, Washington Post, 22 de septiembre de 1991.

(30) David K. Shipler, «Missionaries for Democracy: U.S. Aid For Global Pluralism», The New York Times, 1 de junio de 1986, p. 1.

(31) Colin L. Powell, Commission for Assistance to a Free Cuba, (Washington: United States Department of State, mayo de 2004). www.state.gov/documents/organization/32334.pdf (sitio consultado el 7 mayo de 2004), p. 20.

(32) Michel Muller, «Quand Washington légalise la torture», L’Humanité, 16 de octubre de 2006.

(33) Deb Riechmann, «Fustigan a Bush por vetar ley contra ‘submarino’», El Nuevo Herald / Associated Press, 9 de marzo de 2008.

(34) Jean-Noël Darde, «Quand Robert Ménard, de RSF, légitime la torture», 26 de agosto de 2007, http://rue89.com/2007/08/26/quand-robert-menard-de-rsf-legitime-la-torture#transcript (sitio consultado el 28 de agosto de 2007).

 

 


* Salim Lamrani
è professore, scrittore e giornalista francese, specialista delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti. Ha pubblicato i libri: Washington contre Cuba (Pantin: Le Temps des Cerises, 2005), Cuba face à l’Empire (Genève: Timeli, 2006) e Fidel Castro, Cuba et les Etats-Unis (Pantin: Le Temps des Cerises, 2006). Ha appena pubblicato Double Morale. Cuba, l’Union européenne et les droits de l’homme (Paris: Editions Estrella, 2008).

Contatto: lamranisalim@yahoo.fr

tradotto da Ida Garberi