L’incontro all’Avana “Contro il terrorismo, per la verità e la giustizia”, il ruolo del serial terrorista Posada Carriles, il piano del governo USA per isolare Cuba e rovesciare il governo venezuelano

 

VERSO L’IRACHIZZAZIONE DELL’AMERICA LATINA

Iraq come Latinoamerica, Latinoamerica come Iraq

 

“Non voglio che il mio paese conosca un’esperienza come quella che vive oggi il popolo iracheno, davanti al quale mi inchino con rispetto per la dignità e il coraggio con cui affronta l’ invasore. Però nel caso si verificasse una tale sventura, sono sicuro che i 25 milioni di venezuelani  risponderanno con la stessa dignità e con lo stesso coraggio  degli iracheni, dei cubani e di tutti i popoli liberi del mondo”
(José Vicente Rangel, vicepresidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela,
nel suo intervento all’”Incontro internazionale contro il terrorismo, per la verità e la giustizia”)

 

Fulvio Grimaldi 20 luglio

Non è stato l’unico riferimento all’Iraq udito nello storico convegno cubano del 2-4 giugno scorso, un convegno che, come nessuno mai prima, ha mostrato al mondo, alla luce del secolare terrorismo operato dagli USA nei confronti dell’America Latina, il re imperialista denudato di tutti i suoi orpelli di finta democrazia, di falsi diritti umani, di bugiarda guerra al terrorismo. Tra i momenti più drammatici e toccanti, suscitando tra i 700 delegati un’interminabile ovazione in piedi c’è stato l’intervento di Javier, giovane fratello di José Couso, il giornalista spagnolo assassinato dagli invasori USA nell’hotel Palestine, un paio di piani sopra il mio, il 9 aprile 2003, insieme ad altri giornalisti, in un albergo noto da anni al mondo intero come alloggio e base operativa dell’informazione internazionale. Javier, che fa parte della crescente schiera di famigliari di vittime dello stragismo statunitense, protagonisti i genitori di alcuni caduti britannici e statunitensi, impegnati nella denuncia del banditismo dei neonazisti attorno a Bush, non si è limitato a ricordare l’assoluta premeditazione dell’assalto ai giornalisti non embedded che, contrariamente a quanto ordinato dai generali USA, erano rimasti a Baghdad a vedere l’aggressione dalla parte della vittima. Non ha solo richiamato l’episodio di quel primo carro armato arrivato nel centro della capitale e da Shara Sadoon, a poche decine di metri dal Palestine, ha voluto centrare con un paio di cannonate proprio le stanze di noialtri giornalisti renitenti. Ha anche ricordato un mio amico, Jahoub, formidabile cronista della libera e perseguitatissima Al Jazira, con il quale fino a poche ore prima della sua uccisione nella sede della tv del Qatar, sulla riva del Tigri, avevamo commentato le scandalose balle della CNN, sopra tazze di tè arabo, forte e dolce, che, nell’inferno degli assassini seriali dall’alto, erano il momento del massimo piacere a Baghdad.
Ma soprattutto ha denunciato, Javier, l’altra faccia del terrorismo occidentale, quello parallelo e come riflesso in uno specchio, dell’emisfero opposto, da lui racchiuso nell’episodio quando, con un gruppetto di altri sette spagnoli, fu il primo a portare aiuti a Falluja, la città martire, la Dresda del nuovo millennio, la città dove le strade finirono asfaltate di corpi di donne e bambini e le case di 300.000 innocenti civili (e doppiamente innocenti sarebbero stati se avessero avuto un arma anti-barbarie in mano!) furono trasformate dai becchini USA in  tombe dei loro abitanti. Era la risposta, ha detto Javier, l’unica risposta possibile, oggi, nel controllo di marca nazista che viene fatto di quel paese occupato e saccheggiato, all’indimenticabile impegno di quei medici iracheni, una categoria senza uguali nel mondo per abnegazione ippocratica attraverso 13 anni di embargo e due guerre, “che non tralasciarono niente, nelle condizioni più difficili, per salvare la vita di mio fratello”. E poi il fratello di questo che è solo uno delle decine di giornalisti rapiti o ammazzati dai nordamericani e dagli squadroni della morte allestiti sul modello salvadoregno da John Negroponte, ci ha ancora parlato di come il modello “Condor”, quello statunitense delle dittature, torture e stragi in Latinoamerica, sia tornato in auge a partire dal Medio Oriente, dal genocidio dei palestinesi, alla liquidazione dell’Iraq e dell’Afghanistan, dai piani di disintegrazione della nazione araba racchiusi nella formula del teocon “Grande Medio Oriente”,  fino alla destabilizzazione dell’Est europeo e dell’Asia centrale con presunte “rivoluzioni di velluto”. E lungo una scia nera di orrori, alle “matite spezzate” di Argentina, agli stadi di Pinochet, ai trecentomila indios spazzati via dagli squadristi di Negroponte, ai ragazzi della nazionale di scherma cubana disintegrati con il loro aereo da Posada Carriles su ordine della CIA, si sono affiancate le centinaia di cadaveri di scienziati e accademici iracheni eliminati dagli israeliani per decapitare un paese il cui grande corpo è già divorato giorno dopo giorno da un oceano di uranio, i corpi di religiosi e non compiacenti sunniti che affollano gli obitori delle città e dei villaggi, tutti con i segni della tortura e un colpo alla nuca, opera delle squadracce collaborazioniste curde e scite, rispettivamente di Talabani, abusivamente detto “presidente”, e dei preti Al Sistani e Al Hakim, e, ancora, i morticini di quella metà dei bambini iracheni che, prima decimati dall’embargo e dall’uranio, ora sono freddati dalla fame pianificata dai nuovi  mongoli invasori, oppure quelli tra i 70.000 e passa rastrellati a caso, per punire un popolo della sua invincibile e vittoriosa resistenza, conforto del mondo, che dalle sevizie di soldatesse e mastini lobotomizzati nelle cento Abu Ghraib sparse in Iraq e fuori, non ce la fanno a uscire vivi.
Contro il terrorismo yankee e per la verità e giustizia…Come magistralmente ha riassunto, all’indomani del convegno cubano, James Petras, latinamericanologo ed antimperialista planetario dell’Università di New York: “Il  terrorista Posada è un simbolo del para-stato internazionale nordamericano: estradarlo significherebbe che tutti gli attuali terroristi che stanno lavorando per gli USA perderebbero la fiducia nei confronti del loro principale finanziatore. Nel dover scegliere tra il rispetto del diritto internazionale e di un trattato bilaterale per l’estradizione con il Venezuela, o mantenere la “fiducia” e accordare protezione alle sue reti del terrore,
Washington ha preferito la seconda opzione. Utilizzare i terroristi è un’arma a doppio taglio. Posada dipende dalla protezione americana e Washington dipende dal fatto che Posada mantenga il silenzio a proposito dei suoi legami con la rete americana del terrore. Obbedire al diritto internazionale (e sono già tre volte che la magistratura statunitense ha “rinviato” l’udienza per esaminare “ le irregolarità immigratorie” del serial killer. N.d.r.) mette in discussione le più profonde strutture del potere imperiale americano, la sua natura violenta dietro la facciata della propaganda americana. Posada, il terrorista confesso, non è un’eccezione. E’ la dimostrazione che le torture di Abu Ghraib, Guantanamo e nelle decine di centri di tortura in tutto il mondo sono parte di una rete del terrore americano su scala mondiale. La rete del terrore opera con migliaia di agenti in Iraq, Afghanistan, Kosovo, Colombia, Cecenia  e in molti altri luoghi (come si è constatato nell’Italia dell’autorizzatissimo spadroneggiare CIA e della Guantanamo di Aviano. N.d.r.), nei quali persegue un obiettivo comune. Distruggere i movimenti antimperialisti per sostenere la dominazione americana mondiale. La campagna per forzare il governo americano ad estradare Posada non è solo diretta contro un assassino spregevole, ma mette sotto processo la rete del terrore internazionale di cui egli era un a pedina essenziale e che è cresciuta, in quanto a dimensioni, nel corso degli ultimi cinque anni”.

 

Luis Posada Carriles, mezzo secolo di killeraggi

per la CIA

 

Luis Posada Carriles l’abbiamo incontrato poche ore dopo essere atterrati all’Avana per l’”Incontro Mondiale” convocato a tambur battente da Fidel Castro non appena era divenuto di pubblico dominio che il terrorista-sicario numero uno del mondo se la stava passando allegramente e indisturbato nella sua patria di adozione e di lavoro, gli USA. Fu solo dopo che la banda Bush, ultimo datore di lavoro e ufficiale pagatore del settantasettenne delinquente cubano, naturalizzato venezuelano e criminale cosmopolita, aveva avuto sentore che la bomba Posada stava per essere fatta esplodere a Cuba, che alla magistratura statunitense venne suggerito di fermarlo “per violazione delle leggi sull’immigrazione”, una bagatella. Nei giorni successivi, l’operativo più efficiente del terrorismo di Stato nordamericano sotto una decina di amministrazioni USA, sarebbe diventato la patata più bollente che mai inquilini di Washington si sarebbero trovata tra le mani. Una patata così incandescente da incenerire i vestiti del re e mostrare al mondo quale rovesciamento della verità fosse la “guerra al terrorismo” condotta dalla potenza terroristica più feroce e cinica mai apparsa sul pianeta. A far bollire questo tubero è stata Cuba.

 

 

Abbiamo incontrato il superterrorista Posada nei due giorni preliminari al convegno vero e proprio, mentre si materializzava nelle parole di centinaia di testimoni da America Latina e oltre, sotto uno striscione che più inoppugnabile non si può: “L’umanità ha ansia di giustizia”, ansia che ha trovato ragioni senza confine in una serie di filmati  sulle mostruosità inflitte al Continente dalla progenie di Washington, dalle sua Scuola delle Americhe, dai suoi mandanti stragisti, alla Kissinger, alla dinastia Bush, dinastia di affinità nazi fin dai tempi in cui nonno Prescott lucrava con i gerarchi e gli industriali nazionalsocialisti sul riarmo di Hitler e poi sulle sue guerre. In quei due giorni abbiamo visto ricostruire l’identikit di Posada nel grido di dolore e di indomita rabbia di Giustino di Celmo per un figlio, Fabio, fatto a pezzi all’Avana nel 1997, da una delle tante bombe disseminate dall’operativo CIA  nelle strutture turistiche cubane e nelle sue istituzioni all’estero, in una campagna del terrore e delle guerre biologiche che ha insanguinato l’isola per buona parte del secolo scorso. Alla Scuola Cubana di Sport di Alto Rendimento abbiamo visto prendere corpo la grifagna ombra  di Posada nel racconto dei congiunti e compagni, l’indimenticabile mezzofondista olimpico Alberto Juantorena in testa, di quei giovanissimi schermidori della nazionale cubana – una targa e una foto a testa nell’atrio – che  precipitarono nel 1976 con l’aereo della “Cubana” dinamitato tra Barbados e l’Avana dal noto Posada: 73 vittime in tutto. E l’uomo, per il quale nessuna definizione è all’altezza, o piuttosto, alla bassezza, ci è venuto addosso anche tra le lacrime di Irma, figlia di Renè Gonzales, uno dei “cincos” imprigionati per l’eternità, o poco meno, per aver scoperto e denunciato ai cannonieri della “guerra al terrorismo” piani di massacri tipo Posada. Condannati  da una giustizia che è la nemesi di se stessa. Condannati, ma vittoriosi come il Che nell’affetto e nell’indignazione, foriere di lotte irriducibili, di milioni di persone perbene di oceano in oceano, di continente in continente. Condannati, ma irriducibili nella rappresentazione, attraverso la propria integrità e resistenza umana, politica, etica, di un atto d’accusa inconfutabile  ai presunti avversari del terrorismo, veri e unici autori e gestori del terrorismo.

 

 

Poi i tre giorni al Palazzo delle Convenzioni, con un Fidel presente per tutte le 12 ore giornaliere di lavoro a sottolineare, ricordare, enfatizzare, approfondire, rischiarare quanto i gruppi  dei testimoni, sopravvissuti, ricercatori e investigatori venivano raccontando e documentando su mezzo secolo e passa di orrori fascisti e terroristi statunitensi in America Latina. A questi documenti Luciano Vasapollo, della Sapienza e della Rete dei Comunisti, ha saputo affiancare retroscena, modalità ed obiettivi del terrorismo economico dei giorni nostri – causa di centinaia di milioni di vittime e della più infame disuguaglianza mai apparsa sul pianeta, con un “debito” estero del Terzo Mondo di 2,5 miliardi di dollari, quando questi paesi solo tra il 1982 e il 2004 avevano già pagato 5,4 miliardi - e collegare il filo insanguinato dell’Internazionale Nera italiana, attiva ovunque si potessero lacerare carni e anime di popoli per lo scompisciarsi nel lusso delle elites domestiche e colonialiste.

 

 

Posada Carriles come perno della strategia delle dittature, dei desaparecidos, delle torture, degli assassini mirati, insomma del più scientifico e feroce terrorismo di Stato della storia umana. Posada al servizio della CIA dai primi anni ’60, quando ad ammaestrare e criminalizzare quella che poi sarebbe diventata la mafia cubana, condizionatrice di ogni esito presidenziale negli USA, c’era un certo Porter Goss, oggi bushianamente capo della Cia. Posada assuntore di manodopera mercenaria per Kennedy e la sua Baia dei Porci, probabilmente non estraneo a quella vendetta di Dallas contro un presidente che non arrivò a impegnare per la bisogna le sue forze aeronavali, venendo meno all’annoso sodalizio criminale.

 

 

Testimoni del terrore

 

 

Hanno saputo gelarci il sangue con ricordi, documenti, immagini, i congiunti, ricercatori, perseguitati, incarcerati, torturati da Posada e dal progetto genocida di cui era protagonista insieme all’immancabile compare, Orlando Bosch (oggi libero e prospero a Miami). Hebe de Bonafini, madre di una e poi di tutte le “matite spezzate” di Argentina, che ci ha toccato nel profondo con parole che vogliamo contribuire a far vere: “I nostri figli vivono in tutti i rivoluzionari del mondo, nei popoli che lottano contro l’imperialismo”. E Fidel: ”Una cosa straordinaria: madri che hanno preso il posto dei loro figli e si sono fatte avanguardie politiche del mondo!”. Vicente Rangel, acclamatissimo vicepresidente della rivoluzione bolivariana, “che ora – ha detto – diventa socialista, il socialismo del XXI secolo”, ribadisce la richiesta di estradizione venezuelana entro 60 giorni, a termini del trattato del 1922: Posada è naturalizzato venezuelano, a Caracas, con Bosch, ha pianificato il delitto della “Cubana”; a Caracas, divenuto sotto presidenze filo-yankee dirigente della Disip (la Digos venezuelana), trasmette ai suoi dipendenti i metodi di tortura appresi dai maestri statunitensi, ordisce i piani per assassinare gli ex.-ministri di Allende, Letelier e Pratts, con mogli e collaboratrici, il dirigente democristiano cileno Bernardo Leighton a Roma; sempre a Caracas mette in piedi una facciata, detta “Impresa di Investigazioni Commerciali e Industriali”, per attività terroristiche commissionategli, oltre che dalla Cia, da altri servizi segreti latinoamericani. E’ il tempo delle bombe nelle ambasciate, nei consolati,  negli istituti cubani e di altri paesi da “avvertire”, nonché dei primi tentativi di assassinare Fidel (Fidel:”Ricordo che avevano trasformato una telecamera in fucile, ma poi l’attentatore non se l’è sentita”); infine, è a Caracas che Posada, imprigionato per l’attentato contro l’aereo cubano, sotto la presidenza di Carlos Andres Perez, servo e sodale di Washington, nel 1985 è fatto evadere uscendo indisturbato dalla porta principale del carcere. Recuperato ai buoni uffici degli USA in Centroamerica, ammaestra i contras salvadoregni nel terrorismo e nella tortura contro il governo sandinista del Nicaragua supportato da quattrini contribuiti dall’Iran di Khomeini in cambio dell’assistenza militare e delle armi fornitegli da USA e Israele per la guerra contro l’Iraq laico ed antimperialista. Ed è qui che ancora e sempre torna il parallelo con l’Iraq, dove lo stesso mallevadore degli squadroni della morte salvadoregni, Negroponte, ha rilanciato la strategia delle carneficine di civili, nemici veri, presunti,o solo di pensiero e degli assassini, abusi, rapimenti, decapitazioni da condurre in proprio, ma da attribuire alla Resistenza.  Nel 2000, Posada piazza 15 kg di tritolo nell’Aula Magna dell’università di Panama, sotto il palco da cui Fidel dovrebbe indirizzarsi al vertice dei Capi di Stato. E’ scoperto e arrestato insieme a tre complici, ma la presidente Mireya Moscoso, intima di Bush, lo grazia nel 2004, due giorni prima della scadenza del suo mandato.

 

 

All’Avana continuiamo a essere inondati dal sangue della macelleria statunitense applicata al “cortile di casa” e ora dallo Stato del terrore promessa nuovamente ed esplicitamente a Cuba e, prima ancora, al Venezuela dell’irrefrenabile motore antimperialista e anticapitalista che è Hugo Chavez. Ci raggela e commuove il lamento poetico del grande Thiago de Mello che denuncia gli istruttori USA della sanguinaria dittatura brasiliana; Eva Golinger, la quasi ancora adolescente investigatrice nordamericana che nel suo “Codice Chavez” ha rivelato i retroscena del golpismo e terrorismo antivenezuelano della cosca Bush presentando circa 5000 documenti, l’80% di provenienza statunitense, che rivelano come Washington abbia finanziato con almeno 27 milioni di dollari  i golpisti anti-Chavez dell’11 aprile 2002 e li avesse indirizzati a uccidere le decine di vittime di quei giorni; Hernan Uribe famoso giornalista cileno, che illustra gli antecedenti latinoamericani degli USA nell’eliminazione di giornalisti scomodi, poi perfezionati in Iraq. Sangue, fiumi di sangue, di orrori. Fidel si copre la faccia. 700 delegati di 67 paesi ammutoliscono. Ma sugli schermi scorrono le immagini della marcia “per la verità e la giustizia” del milione e mezzo sul Malecon il 17 maggio. In contemporanea, Posada Carriles azzardava una conferenza stampa televisiva in cui, tra l’altro, irrideva, da psicopatico schizzato, all’uccisione di Fabio di Celmo. Poco dopo viene fermato, per contravvenzione alle regole immigratorie. Non per essere lo strumento assassino di una potenza cronicamente assassina. E come potrebbe? Come potrebbe Bush? Che, se lo estrada, o lo processa sul serio, non solo mette sotto accusa se stesso e tutta la genìa dei suoi predecessori, ma si mette contro i micidiali padrini della mafia cubana. E se non lo fa, forse incominceremmo a capire dove sta il terrorismo globale, a partire da Posada e a finire con l’11 settembre. Il re è nudo e la patata è bollente.  E oggi a ridere, per la verità resuscitata, se non ancora per la giustizia, siamo Fidel, Chavez, tutti noi. E gli occhi dei milioni di violentati di America Latina, Iraq, mondo, saranno un po’ più asciutti.

 

 

Il convegno si è chiuso sull’impegno sottoscritto da delegati di numerosi paesi di istituire un Tribunale permanente sul terrorismo USA nell’emisfero. che operi in commissioni giuridiche, di ricerca e analisi e di comunicazione. 

 

 

Irachizzare l’America latina,
a partire da Cuba e dal Venezuela.
Un documento riservato di Washington.

 

 

E’ ancora Vicente Rangel, vicepresidente venezuelano e uno dei più applauditi e combattivi tra i testimoni della tre giorni cubana, a riportarci dalla storia di un secolo di crimini USA nel continente, alla cronaca macabra dei nostri giorni. Un’attualità che esige da parte dello schieramento antimperialista la massima vigilanza, un’assoluta autonomia di fonti dell’informazione, una puntuale denuncia dell’immancabile propaganda mistificatrice dei media di regime. Ne va per tutti della sopravvivenza e dell’avanzata della più forte esperienza rivoluzionaria ed antimperialista, a Cuba e in Venezuela, ma anche della grande offensiva sociale di massa in atto in tanti altri paesi del continente, Colombia, Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Argentina, Brasile… Rangel denuncia un piano dell’intelligence nordamericana per collegare il “terrorismo latinoamericano” al “terrorismo islamico”, a partire da un nuovo evento alla 11 settembre che dovrebbe, tanto autoprodotto quanto quello delle Torri Gemelle, ma attribuito subito a una rete composita di islamici, guerriglia delle FARC colombiane e rivoluzionari bolivariani, fornire il pretesto per installare la “guerra antiterrorista” globale in America latina. Ispiratore della manovra, nientemeno che il vecchio arnese della mafia cubana a Miami, Porter Goss, oggi direttore della CIA.

 

 

Siamo riusciti a consultare il documento riservato del governo USA che delinea in ogni dettaglio questa strategia di “guerra preventiva” che gli USA intendono lanciare contro governi e popoli del Caribe e del Sud America. E’ a firma  di J.Michael Walzer, un likudnik vicepresidente per le Informazioni del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale, l’organismo istituito da Bush per sovrintendere al terrorismo statunitense sotto le mentite spoglie della guerra al terrorismo (www.centerforsecuritypolicy.org). Si intitola “Che fare a proposito del Venezuela” e, premessa l’urgenza prioritaria di isolare Cuba e il suo governo neutralizzandone il riferimento politico-economico più importante, il Venezuela,  tratteggia in termini di totale mistificazione il percorso della rivoluzione bolivariana dal 1999 ad oggi: golpismo, demagogia e dittatura militare all’insegna di una mescolanza di maoismo, marxismo-leninismo, nasserismo, castrismo e populismo nazionalista (definizione, quest’ultima, curiosamente ripresa pari pari dal subcomandante Marcos nel suo recente abbecedario per l’unità delle sinistre buoniste e disarmate mondiali, nel quale getta discredito su tutte le figure della più o meno coerente opposizione latinoamericana all’imperialismo statunitense). Denunciate tutte le “aberrazioni” del “regime chavista”, roba buona a malapena per un Giuliano Ferrara, a partire della “confisca della proprietà privata”, massimo crimine per capitalisti, riformisti e sinistre sedicenti radicali, e dalla sostituzione delle istituzioni democratiche di Stato e della “società civile” (torna sempre questa limacciosa mistificazione, anche nei fiabeschi proclami di Marcos) con istituzioni rivoluzionarie, per finire con le “interferenze in altri paesi sudamericani”, con la “repressione politica, la tortura, gli assassini politici”, il documento prevede due fasi di un programma di destabilizzazione che si concluda con il solito “regime change”.

 

 

Prima fase: “democrazia e diritti umani”

 

 

La prima fase è modellata sulle “rivoluzioni colorate”, perpetrate con i soldi del bandito della speculazione Gorge Soros e della National Endowment for Democracy (NED, Fondazione Nazionale per la Democrazia, vetrina CIA creata da Reagan nel 1983 a cui, tra tante ONG, attinge sistematicamente anche “Reporters Sans Frontieres” che se ne avvale per i suoi nascondimenti sugli orrori USA e Nato e per le sue diffamazioni di Cuba e Venezuela) in Jugoslavia, Ucraina, Georgia, Kirghizistan e per quelle tentate in Uzbekistan e Libano. Prevede una forsennata campagna di menzogne e diffamazioni, nella quale i Circoli Bolivariani, strutture di massa  della rivoluzione sul territorio, nei luoghi di lavoro e di studio e nelle amministrazioni, sono descritti come assembramenti paramilitari, privati, anticostituzionali incaricati di minacciare, colpire e uccidere oppositori politici. Ai corifei si raccomanda di parlare dell’amicizia di Caracas con le forze e i governi progressisti della regione denunciando, però,  che si tratta di manovre destabilizzatrici e di appoggio a organizzazioni guerrigliere e criminali.  Dell’opposizione golpista e reazionaria in Venezuela si afferma che rappresenta la maggioranza della popolazione, dai profondi sentimenti democratici e di amicizia per gli USA, gravemente repressa, perseguitata, frodata nelle elezioni e costretta all’esilio, un’opposizione di cittadini, imprenditori, politici, militari, clero che da anni “implora l’amministrazione Bush di sostenerla e fornirle appoggio”. Si passa poi ai “delitti” geostrategici del governo venezuelano: le alleanze strutturali con “paesi patrocinatori del terrorismo” come Cuba, Iran, l’Iraq di Saddam Hussein, la Libia del tempo delle sanzioni, con trasferimenti di tecnologie e personale militari; l’aver sottratto la gestione del monopolio petrolifero di Stato, PDVSA, ai legittimi manager e averlo affidato a manutengoli di Saddam e di Gheddafi per trarne ricchezze a uso personale; l’aver fuso i propri servizi di sicurezza e spionaggio con quelli di Cuba.

 

 

Chavez e Osama Bin Laden

 

 

Gli elementi scatenanti per un intervento a difesa della “democrazia”, dei “diritti umani” e contro la minaccia del “terrorismo globale” emergono dall’accusa  di “aiutare, istigare e ospitare organizzazioni terroristiche islamiche” (ecco l’obbiettivo finale della campagna: creare il collegamento Chavez-Bin Laden, come a suo tempo quello tra Saddam e l’agente CIA saudita in servizio permanente effettivo), nonché da quella, per quanto grottesca, di permettere a Hamas e agli Hizbollah di operare liberamente nell’isola di Margarita (che sarebbe come allestire campi di addestramento per terroristi a Capri); di fornire carte d’identità e documenti di viaggio nientemeno che ad agenti musulmani ricercati negli Stati Uniti per i loro collegamenti con gli attentatori, presunti di Bin Laden, dell’11/9! Di  simpatizzare apertamente con coloro che attaccano le truppe statunitensi e della  Coalizione in Iraq; di aiutare e istigare narcotrafficanti e narcoterrorismi regionali; di aiutare, istigare, ospitare la “narcoguerriglia” delle FARC che intende rovesciare il “legittimo democratico governo colombiano”; di invadere il territorio colombiano per dare protezione a unità delle FARC che si infiltrano dal Venezuela…

 

 

Seconda fase, intervento, possibilmente multilaterale

 

Quest’ultima calunnia, nel contesto dell’accusa più vasta di finanziare e appoggiare tutti i movimenti sovversivi, di minacciare di aggressione i paesi dell’area , di armarsi (100.000 fucili AK47 dalla Russia!) per passare da un esercito di 40.000 effettivi a una Riserva di un milione e attaccare gli Stati Uniti e i loro amici, è quella che dovrà trovare martellante eco nei soliti grandi media, ma anche in quelli piccoli sedicenti di sinistra (basta ricordare la risonanza data da “Liberazione” e dal Dipartimento Esteri del PRC alle calunnie circa i “terroristi” iracheni, i terroristi cubani fatti passare per “dissidenti”, o la “dittatura” di Milosevic e la sua “pulizia etnica”, sostenute anche da un entusiasta Sandro Curzi al TG3).  Una volta  consolidata un’opinione pubblica inorridita dalle violazioni dei diritti umani in Venezuela, è tempo per passare alla fase due dell’operazione, denominata “Strategia per un cambio di regime: sfide e opportunità”.  E qui viene il bello ancora più bello, senza tema del ridicolo di fronte a menzogne, inganni, truffe già cento volte praticati e altrettante volte ripetuti, seppure a bassa voce, dalle sinistre d’ordine, a partire dalla Sarajevo da bombardare per l’assoluto pacifista Alexander Langer, dall’intero arco della stampa celebrato nel decimo del suicidio, o dal martire della giustizia Adriano Sofri, neocon, teocon e likudnik, ma degno e pieno di grazia.

 

 

Nel caso che la campagna di diffamazione, sul “terrorismo venezuelano” e per i “diritti umani” non riesca neanche stavolta, come fallì nel 2002, a suscitare quella mobilitazione interna e quel consenso internazionale che porterebbero a una qualche “rivoluzione del Pampero”, sul modello dei golpe bianchi arancioni in Europa orientale, ecco per primo il “casus belli” offerto alla Colombia per gli sconfinamenti venezuelani (mai avvenuti) e per l’appoggio alle FARC, visto che questi comportamenti lascerebbero anche presagire una promozione venezuelana di FARC brasiliane, peruviane, boliviane e chi più ne ha più ne metta. Si creerebbero le condizioni per una “risposta” della superarmata, dagli USA, Colombia, con occupazione dell’adiacente stato venezuelano di Zulia (opportunamente retto dal penultimo dei governatori di destra sopravvissuti alle regionali del 2004), il più ricco di petrolio, e immediata installazione dei latitanti a Miami o a Bogotà del golpe 2002, con proclamazione di un governo “democratico” provvisorio e invocazione di aiuti della “comunità internazionale”.

 

 

Il documento del Centro per la Sicurezza  Nazionale ipotizza un’azione multilaterale senza il consenso dell’ONU: “Non v’è necessità che le Nazioni Unite siano coinvolte. L’Organizzazione degli Stati Americani è il migliore foro per un’azione multilaterale (cosa di cui non essere troppo certi dopo l’elezione a presidente dell’OSA del cileno Inzulza, con evidente dispiacere degli USA. N.d.r.) L’OSA ha il potere di espellere Stati membri che non si attengano ai principi fondamentali della democrazia, come ha fatto nel caso di Cuba. Il Brasile e altri paesi si sono mostrati soci affidabili e operativi nell’intervento con forze di pace nel bacino del Caribe, che è l’area dove si trova il Venezuela (il riferimento è alla  vergognosa partecipazione di forze brasiliane e argentine all’occupazione colonialista di Haiti. N.d.r.). Prosegue il documento:” Se potessimo presentare tutti i dati a nostra conoscenza sul Venezuela, ne sarebbe allarmata l’intera opinione pubblica, compresi gli scettici più intransigenti, verrebbe meno al regime l’appoggio interno ed esterno e ci sarebbe una richiesta generale di azione immediata”. Tipo quella, già tentata varie volte, dell’assassinio di Hugo Chavez: piani in quella direzione sono stati ripetutamente scoperti e smascherati dalle autorità venezuelane e, in almeno due casi, sventati nella fase dell’esecuzione.

 

 

Quanto alla “coalizione” da mettere in piedi sul modello dalla ciurmaglia impegnata in Iraq, i pianificatori dell’attacco al Venezuela opinano:”Qualunque strategia nei confronti del Venezuela implica necessariamente la partecipazione di altri governi latinoamericani. E’ indispensabile un fronte unito contro la minaccia emisferica presentata dal governo venezuelano. Il governo venezuelano preferirebbe un conflitto (!) bipolare. La sua autoproclamata levatura morale si  disintegrerebbe nel momento in cui altri attori emisferici si impegnassero (con noi)”. All’orizzonte si intravedono reparti salvadoregni, del Costarica, forse messicani, di Haiti chissà.  In tutto questo, non manca un occhio di riguardo a quanto, sottratto da Chavez al controllo dei parassiti di obbedienza USA, per l’economia dell’elite statunitense rappresenta un  elemento di sopravvivenza: il petrolio venezuelano. Si  raccomanda, per l’eventualità del conflitto, di “impedire che il dittatore (mentalmente instabile quanto Saddam Hussein) distrugga le infrastrutture del Venezuela. Gli USA devono prepararsi ad agire immediatamente perché il dittatore non distrugga il suo paese nel disperato tentativo di perpetuare il suo regime. Preoccupa soprattutto, nel momento della crisi, la possibilità che il dittatore venezuelano (confermato in ben 6 tornate elettorali assolutamente limpide N.d.r.) possa distruggere le installazioni petrolifere, con pregiudizio per gli Stati Uniti, per altri paesi e per i venezuelani dell’opposizione”.

 

 

OSA o non OSA, il piano include l’azione militare diretta degli Stati Uniti, ma solo, per salvare le apparenze, “in quanto membro dell’OSA”. “Una strategia militare può funzionare solo dopo una pubblica campagna diplomatica che comporti l’esauriente e precisa rivelazione delle minacce del regime alla sicurezza emisferica e ai diritti umani. Nel frattempo, l’unica speranza residua per una soluzione pacifica alle minacce attuali sono le elezioni presidenziali del 2006, pur alla luce della possibilità di brogli come quelli del referendum 2004” (dichiarati inesistenti da tutte le istanze internazionali di controllo N.d.r.). E sempre nel frattempo “urge incrementare significativamente la collaborazione con gli amici dell’emisfero per monitorare e denunciare la presente associazione tra il regime venezuelano e gli Stati che patrocinano il terrorismo, rivelare i legami tra bolivariani e terroristi. Una volta compiuto questo lavoro, che tutte le ipotesi d’azione ricevano l’appoggio della comunità internazionale”. In conclusione:”Il regime bolivariano di Caracas presenta un evidente e incombente pericolo per la pace e la democrazia nell’emisfero. Occorre cambiare. La situazione può cambiare autonomamente, o  si può imporre il cambio attraverso l’invito ad intervenire fatto a forze (armate) dell’emisfero con l’appoggio della vasta opposizione democratica interna ed esterna. In un modo o nell’altro, la strategia degli Stati Uniti deve consistere nell’aiutare il Venezuela a ottenere un cambio pacifico prima del prossimo anno.

 

 

Siamo, come risulta evidente, all’irachizzazione del Venezuela e dell’America Latina, ultima opzione rimasta ai terroristi denunciati all’Avana, per isolare e circondare Cuba e arrestare l’impetuosa avanzata delle forze progressiste e rivoluzionarie in quell’enorme spicchio di mondo che ospita 550 milioni di sfruttati e oppressi da mezzo millennio. Ma potremmo anche essere a un’irachizzazione dell’America Latina in senso opposto, funesto sia  per gli USA, sia per i suoi subsoci dell’imperialismo occidentale. Quell’irachizzazione che prende il nome, non dagli eserciti fantoccio, dalla polizia collaborazionista e dagli squadroni della morte curdi e sciti allestiti da Negroponte, ma dall’eroica resistenza di un popolo da sempre indomabile, quello a cui José Vicente Rangel ha reso un omaggio senza se e senza ma, condiviso all’Avana  da tutti i rappresentanti dell’umanità che ha “ansia di giustizia”.