Il venezuela, il generale e il falco

 

 domenica, 12 Febbraio 2006 - 00:06 - di Fabrizio Casari

 

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Il generale James Hill, Comandante del Comando Sud delle forze armate degli Stati Uniti, quella cioè che ha come teatro di operazioni l'America latina, non ha affatto le stimmate del diplomatico. In una recente dichiarazione a proposito della situazione dell'area, ha ritenuto di dover precisare che "il Venezuela e la Bolivia rappresentano una minaccia emergente in America latina, in quanto al narcotraffico e alle guerriglie si unisce ora il populismo radicale". Il generale ha dunque aggiunto che la minaccia rappresentata da questo insieme di elementi è espressamente rivolta agli "interessi degli Stati Uniti". Si potrebbe obiettare che il generale Hill non è un diplomatico ed addebitare a questo la carenza di prudenza e tatto nel linguaggio. Cosa avrebbe detto un diplomatico o un politico al suo posto? E come avrebbero preso le sue parole, certo imprudenti, i suoi vertici politici?

A riassettare pensieri e parole del generale è dunque intervenuto il suo capo, il Segretario di Stato alla Difesa, Donald Rumsfield, che invece di smentire il suo generale ha equiparato il Presidente del Venezuela Hugo Chavez ad Hitler. Così, anche per sfoggiare i suoi studi e l'alto livello raggiunto in storia. Del resto basta ascoltare una delle sue conferenze stampa per capire la ricchezza delle argomentazioni e la finezza espositiva. Ma in questo caso la chiarezza emerge con forza: l'uomo di Abu Ghraib e del fosforo di Falluja, quando parla di Hitler, sa perfettamente di cosa sta parlando. Dunque l'alto militare statunitense ha espresso in concetti quello che il vertice politico statunitense esprime in grugniti.

Da parte sua, il Generale James Hill è, per l'appunto, un generale e non un diplomatico, si può dunque pensare che, nell'affanno di tenere sotto controllo quello che non riesce a controllare, possa spingersi ad identificarlo quale nemico. A West Point non insegnano il rispetto per chi la pensa diversamente, semmai come schiacciarlo. E la fulgida carriera di questo man of war si è giovata di un intenso quanto istruttivo passaggio alla "Escuela de las Americas", in apparenza scuola militare Usa a Panama, in realtà una palestra per torturatori dove i militari statunitensi insegnavano alle loro truppe e ad i loro amici latinoamericani, le tecniche di ogni tempo per la tortura, l'assassinio e il terrore.
Mica una casa chiusa di perversi stranamore: solo un efficace quanto barbaro laboratorio di sperimentazione e formazione. In quella scuola si formarono due generazioni di assassini; militari con aspirazioni da politici e presunti politici con disposizione d'animo militare.

Ma le esternazioni di Hill e i grugniti di Rumsfield non hanno nulla di estemporaneo, Né sono il frutto di una verbosità incontinente messa a dura prova da microfoni insistenti. Si va disegnando così, la futura aggressione alla "minaccia emergente"? Se per quanto riguarda il nuovo governo boliviano è ancora presto per implementare una strategia sovversiva, per quanto riguarda il Venezuela, che gli Stati Uniti stiano tentando con ogni mezzo di rovesciare il legittimo governo di Caracas è ormai un dato che trova conferme quotidiane: da ultima quella della settimana scorsa in ordine alle rivelazioni di fonte statunitense che informano sulla presenza d'incursori della marina militare Usa in alcune zone del Venezuela: militari clandestini con l'incarico di procedere ad azioni clandestine contro uomini ed installazioni chaviste.

L'espulsione di un diplomatico statunitense dal Venezuela, decisa da Chavez pochi giorni or sono, mirava esattamente ad avvisare Washington e Langley: le covert action statunitensi sono già state abbondantemente scoperte. Non è difficile immaginare quali siano i compiti di queste pattuglie nascoste nella selva amazzonica o in qualche altro pertugio confindustriale dall'animo avventuroso. Quello che invece è ancora da stabilire è se la strategia statunitense prevede l'innesco di un conflitto interno al Venezuela attraverso una serie di atti terroristici, magari utili a forzare la mano al governo in termini di controllo poliziesco nel paese. Oppure se si tratta di una strategia destinata ad innalzare lo scontro politico-diplomatico con annessa escalation di minacce militari. E' realistico ipotizzare che le due strade possano unirsi in un'unica performance: se è difficile prevedere nell'immediato un'azione militare diretta da parte di Washington, si può certamente intuire il tentativo di creare un clima di ostilità su tutta la regione che preluda ad un isolamento venezuelano, elemento indispensabile per qualunque azione di forza eventualmente eseguibile.

In questo senso, le prossime elezioni in Colombia ed il conseguente dispiegarsi militare a garantire la rielezione di Uribe con la scusa di garantire la sicurezza delle operazioni di voto, trasformeranno la frontiera in un teatro particolarmente delicato, dove potrebbero trovare spazio provocazioni ad arte costruite. Si tratta di vedere se Caracas vorrà farsi sorprendere.