La violenza politica in Venezuela

Marco Teruggi http://www.cubadebate.cu

V’è un rompicapo dei morti. Più di un centinaio in più di cento giorni di conflitto. La questione si riassume nella mediatica dell’opposizione in cui tutti furono assassinati dal governo. Non importa che non ci siano prove al momento del titolare, neppure investigazioni per fondare una affermazione del genere. Importa l’impatto, il numero, lo scandalo, il morto ammucchiato su un altro morto che lentamente costruisce quell’idea già consolidata in molte parti: è un regime autoritario, dittatoriale che viola i diritti umani.

In altri casi, non si attribuisce la responsabilità al governo, ma alla crisi/conflitto. Un vecchio trucco, come titolare “la crisi ha causato due nuovi morti” quando furono assassinati dalla polizia, sotto gli ordini del governo argentino, Darío Santillán e Maximiliano Kosteki, nel 2002. Non fu in quel momento “la crisi”, così come neppure lo è in Venezuela. Se qualcosa rimane del giornalismo in questa battaglia politica, dovrebbe almeno mantenere l’indagine come base per costruire notizie ed opinioni. Si tratta di un desiderio così ingenuo: la menzogna è diventata una forma nodale del comunicare in tali media.

Infine, c’è un ulteriore trucco: dire senza nominare. “Morti in giornata elettorale”, “incendiarono sede della magistratura”, per esempio, quando è evidente -basta solo seguire i movimenti- che la incendiarono gruppi d’assalto che in ogni manifestazione dell’opposizione sono in prima linea e ricevono ordini da dirigenti di Voluntad Popular. In questo caso non c’è nessun autore dell’azione. Né il governo né la crisi, nessuno. Tanto meno l’opposizione.

Queste tre variabili sono ripetute, ogni giorno, da decine di titoli, prime pagine, del Venezuela e del mondo. Il risultato è che la maggioranza è convinta che il governo è l’autore di tutte le violenze e le morti. Quante volte è necessario ripetere un’idea perché diventi verità? Quali media è necessario avere perché ciò avvenga? L’architettura della comunicazione nel caso dell’opposizione venezuelana è schiacciante: conta, ad esempio, con i principali media di ogni paese del continente, USA ed Europa, articolati tra loro.

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I morti allora? Chi è responsabile? Sono più di cento, il numero esatto diffuso: 125, 127? Più o meno? Difficile avere una certezza a causa dell’ampio ventaglio di cause delle morti -alcune possono essere incluse da alcune analisi ed escluse da altre-, e per le fonti di informazione, l’incrocio di dati tra autorità pubbliche, fonti giornalistiche. Le cause sono state molteplici: barricate e blocchi; saccheggi; arsi vivi o linciati; manipolazione di esplosivi; transito nei pressi di una manifestazione senza parteciparvi; lotta tra manifestanti; spari tra bande criminali; all’interno dei manifestanti; da organismi di sicurezza dello Stato; tra altri.

Di questo totale, circa 11 vittime sono state per sparo delle forze di sicurezza. Per questo esistono già 39 effettivi processati, detenuti o ricercati. Ciò significa che circa il 10% fu responsabilità dello Stato. Un altro elemento: del totale di morti, più di sette sono effettivi delle diverse forze di sicurezza. Il discorso che tutti i morti sono del governo cade rapidamente.

Chi sono i responsabili dell’altro 90%? A livello intellettuale, i dirigenti dei partiti di opposizione, in particolare Voluntad Popular e Primero Justicia, per essere coloro che guidano il piano di escalation violenta nelle strade. A livello materiale dipende da ogni singolo caso: paramilitari, gruppi d’assalto, gli stessi giovani delle proteste, persone senza freni incoraggiate ad uccidere -per una parte dell’opposizione è diventato legittimo uccidere chavisti-. La Procura Generale non ha arrestato nessuno dell’opposizione, né autore materiale né intellettuale, anche quando la prova è stata registrata sulle fotocamere, come uno dei giovani che è stato linciato e bruciato al passare per una manifestazione, in piena Caracas. Non è un caso, il suo allineamento con l’opposizione è dichiarato. La giustizia è assente e tale assenza allarga il buco della morte.

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A volte basterebbe solo applicare il ragionamento logico. Come nel caso delle elezioni di domenica. L’opposizione ha annunciato che avrebbe impedito che avessero luogo, ed ha agito di conseguenza. Ha assassinato un candidato, sabato sera, ed attaccato 206 seggi elettorali, ha gravemente danneggiato la partecipazione in cinque comuni, ha fatto esplodere una bomba sulla polizia, dispiegò gruppi paramilitari per impedire che la gente votasse, sparò sui votanti, sulle forze di sicurezza dello stato. Eppure la notizia mondiale fu la stessa, dal Clarín al segretario delll’OSA: il governo era responsabile della violenza. Perché il governo avrebbe fatto questo il giorno delle elezioni chiave di domenica? Perché avrebbe gettato granate sui seggi elettorali e fatto esplodere una bomba contro la polizia? Le matrici dei media possono distruggere il senso comune.

Il Venezuela è frontiera con la Colombia, epicentro del paramilitarismo, è stato infiltrato, per anni, da gruppi paramilitari, che a loro volta si radicarono, in alleanza con bande criminali, e crearono forza -logistica / intelligencia/struttura- propria. Sono le testimonianze delle popolazioni, le azioni come assalti alle caserme militari e di polizia con armi da guerra, le aree da loro controllate, i loro accampamenti. Non esistono, tuttavia, nei principali mezzi di comunicazione, nelle parole dei dirigenti della destra, in alcune analisi intellettuali.

Esistono sì nella vita delle persone: le case segnate, i chavisti dei villaggi che devono andarsene a causa delle minacce, i compagni assassinati, i negozi che devono chiudere se no vengono attaccate, come i trasporti, il coprifuoco. Avviene nei comuni di Tachira, Merida, Lara, Barinas, nelle attuazioni che realizzano durante le settimane di escalation del conflitto in qualsiasi punto del paese.

La formula è la seguente: ogni atto di violenza deve essere negato, e nel caso l’azione sia troppo evidente, deve essere segnalata come un auto-golpe del governo. Benché sia inverosimile, vale a dire che è stato lo stesso governo che ha lanciato granate da un elicottero sul Tribunale Supremo di Giustizia. Il piano golpista dispiega ondate di violenza, legittima una parte, occulta l’altra, e costruisce l’idea-forza di un’opposizione “pacifica, legale e di massa” che è vittima della eccessiva repressione. I media lavano la faccia, giorno dopo giorno, alla destra e non sono i soli: lo fanno anche coloro che concentrano tutte le critiche sul governo e minimizzano l’agire golpista sino a renderlo invisibile.

E’ una grande disputa sul significato e gli autori delle violenze, per smascherare, dar loro un nome e costringerli ad uscire dall’anonimato.

Non si può comprendere le risposte del chavismo, -con i suoi successi ed errori- se non si comprende la strategia implementata, o se si sceglie, deliberatamente, di nasconderla Cosa deve fare un governo ed un movimento popolare, con le sue infinità di contraddizioni, davanti ad un’opposizione che punta ad un’uscita violenta e dispiega il suo braccio armato che realizza azioni militari? Come deve agire? Le risposte sono diverse. Da un sistema di contenimento per puntare sull’usura, sino a testare forme di difesa integrale, come lo aveva pianificato Hugo Chávez attraverso le Milizie Bolivariane. Benché su questo ultimo punto esiste un altro dibattito: sembrerebbe necessario costruire modi di salvaguardia dei territori dipendenti dai territori stessi, e non solamente dalle Forze Armate Nazionali Bolivariane, -come lo è la Milizia Bolivariana- sebbene articolato con le stesse – nulla fuori dall’unità.

Questo è un punto chiave: come si difende un processo popolare? Chi sono coloro che lo difendono? Solamente l’apparato statale?

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La violenza si è normalizzata in Venezuela. Il primo uomo che ha preso fuoco in strada commosse, il secondo anche, il terzo è diventato parte del possibile, il quinto già entrò nella logica del conflitto -impattò sì, quello che dopo esser linciato e bruciato, fu preso a calci come un cane dai suoi assassini. Tale normalizzazione è parte dell’obiettivo della violenza dell’opposizione, mira a colpire il tessuto sociale, scompone, fronteggia le parti sino a legittimare il linciaggio come pratica sociale dell’opposizione nelle classi alte e medie. Sinora non si è visto nessuno linciato in un quartiere popolare per la sua posizione politica.

Il governo non si è sbagliato e ha commesso atti di violenza che non doveva commettere? Sì. Lì ci sono i numeri, la gente imprigionata, gli organi di sicurezza dello Stato che non sono quelli che vorremmo che fossero, che si è cercato di trasformare, in questo scorcio di rivoluzione, e sono rimasti a metà strada. Il chavismo ha contraddizioni, limiti, lotta di classe interna, traditori, burocrati, corrotti impuniti in posti di direzione, ed una lunga lista di problemi. Devono essere discussi, dibattuti: nella risoluzione o meno di tali punti va la possibilità del progetto.

Il problema è invertire i termini e porre il governo come autore dell’escalation di violenza, e non come chi esercita una risposta -con i suoi errori- davanti ad un tentativo di colpo di stato con la diretta partecipazione degli USA. Guardare il Venezuela attraverso lo spettacolo mediatico, la valanga estetica vittimizzante ed eroica delle sue mobilitazioni, la massiccia produzione di contenuti -che costa milioni di dollari- delle pagine dell’opposizione e Aporrea, e di qualche ricercatore di una università straniera che “analizza i collettivi” conduce ad acquisire l’intero racconto del golpismo.

Dibattere il chavismo è una necessità. Passare dal lato del blocco diretto dagli USA è un errore storico. Non sarebbe la prima volta che accade nella storia della sinistra nel continente.

(Dal blog Hasta el Nocau)


La violencia política en Venezuela

Por: Marco Teruggi

Existe un rompecabezas de las muertes. Las más de cien en más de cien días de conflicto. La cuestión se resume en la mediática opositora en que todos fueron asesinados por el gobierno. No importa que no existan pruebas a la hora del titular, tampoco investigación para fundamentar una aseveración como esa. Importa el impacto, el número, el escándalo, el muerto apilado sobre otro muerto que de a poco construye esa idea ya consolidada en muchas partes: es un régimen autoritario, dictatorial, que viola los derechos humanos.

En otros casos no se le atribuye la responsabilidad al gobierno sino a la crisis/conflicto. Un viejo truco, como titular “la crisis causó dos nuevas muertas” cuando fueron asesinados por la policía, bajo órdenes del gobierno argentino, Darío Santillán y Maximiliano Kosteki en el 2002. No fue en aquel entonces “la crisis”, así como tampoco lo es en Venezuela. Si algo queda de periodismo en esta batalla política, debería al menos conservar la investigación como base para construir noticias y opinión. Se trata de un deseo casi ingenuo: la mentira se ha vuelto una forma nodal de comunicar en esos medios.

Por último, existe otro truco más: decir sin nombrar. “Muertos en jornada electoral”, “incendiaron sede de la magistratura”, por ejemplo, cuando es evidente -solo basta seguir los movimientos- que la incendiaron grupos de choque que en cada manifestación de la oposición están en primera línea y reciben ordenes de dirigentes de Voluntad Popular. En este caso no hay autor de la acción. Ni el gobierno, ni la crisis, nadie. Menos aún la oposición.

Estas tres variables son repetidas diariamente por decenas de titulares, portadas, de Venezuela y el mundo. El resultado es que una mayoría está convencida que el gobierno es autor de toda la violencia y las muertes ¿Cuántas veces es necesario repetir una idea para que se haga verdad? ¿Qué medios de comunicación es necesario tener para que eso suceda? La arquitectura comunicacional en el caso de la oposición venezolana es aplanadora: cuenta, por ejemplo, con los principales medios de cada país del continente, Estados Unidos y Europa, articulados entre sí.

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Los muertos entonces ¿Quién es responsable? Son más de cien, el número exacto difuso: ¿125, 127? ¿Más, menos? Difícil tener una certeza debido al amplio abanico de causas de las muertes -algunas pueden ser incluidas por algunos análisis y excluidas por otros-, y por las fuentes de información, el cruce de datos entre poderes públicos, fuentes periodísticas. Las causas han sido múltiples: barricadas y bloqueos; saqueos; quemados vivos o linchados; manipulación de explosivos; tránsito cerca de una manifestación sin participar en la misma; pelea entre manifestantes; disparos de bandas criminales; desde adentro de los manifestantes; por cuerpos de seguridad del Estado; entre otras.

De ese total, unas 11 víctimas fueron por disparos de los cuerpos de seguridad. Ante eso ya existen 39 efectivos procesados, detenidos o solicitados. Es decir que cerca de un 10% fue responsabilidad del Estado. Otro elemento: del total de muertos, más de siete son de efectivos de algunas de las fuerzas de seguridad. El discurso de que todos los muertos son del gobierno se cae rápidamente.

¿Quiénes son responsables del otro 90%? En el nivel intelectual, los dirigentes de los partidos opositores, en particular Voluntad Popular y Primero Justicia, por ser quienes conducen el plan de escalada violenta en la calle. En el nivel material depende de cada caso: paramilitares, grupos de choque, los mismos jóvenes de las protestas, gente suelta alentada a matar -para una parte de la oposición se ha vuelto legítimo matar chavistas-. La Fiscalía General no ha detenido a nadie de la oposición, ni autor material ni intelectual, aún cuando la evidencia haya quedado grabada en cámaras, como uno de los jóvenes que fue linchado y prendido fuego al pasar por una manifestación en plena Caracas. No es casualidad, su alineamiento con la oposición es declarado. La justicia está ausente y esa ausencia agranda el agujero de la muerte.

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A veces solo bastaría aplicar un razonamiento lógico. Como en el caso de las elecciones del domingo. La oposición anunció que impediría que tuvieran lugar, y actuó en consecuencia. Asesinó a un candidato el sábado por la noche, atacó 206 centros de votación, afectó gravemente la participación en cinco municipios, detonó una bomba sobre la policía, desplegó grupos paramilitares para impedir que la gente votara, disparó sobre votantes, sobre cuerpos de seguridad del Estado. Y sin embargo la noticia mundial fue la misma, desde Clarín hasta el secretario de la OEA: el gobierno fue responsable de la violencia ¿Por qué el gobierno habría hecho eso el día de las elecciones claves del domingo? ¿Para qué hubiera lanzado granadas sobre centros electorales y detonado una bomba contra la policía? Las matrices de los medios pueden destruir el sentido común.

Venezuela es frontera con Colombia, epicentro del paramilitarismo, ha sido infiltrada durante años por grupos paramilitares, que a su vez se enraizaron, en alianza con bandas criminales, y conformaron de fuerza -logística/inteligencia/estructura- propia. Están los testimonios de las poblaciones, las acciones como asaltos a cuarteles militares y policiales con armas de guerra, las zonas controladas por ellos, sus campamentos. No existen, sin embargo, en los grandes medios de comunicación, en las palabras de los dirigentes de la derecha, en algunos análisis de intelectuales.

Existen sí en la vida de la gente: las casas marcadas, los chavistas de los pueblos que deben irse debido a las amenazas, los compañeros asesinados, los comercios que deben cerrar sino son atacados, al igual que los transportes, los toques de queda. Ocurre en municipios de Táchira, Mérida, Lara, Barinas, en los despliegues que realizan durante las semanas de escalada del conflicto en cualquier punto del país.

La fórmula es la siguiente: cada hecho de violencia debe ser negado, y en caso de que la acción sea demasiado evidente, debe ser señalada como un auto-golpe del gobierno. Aunque sea inverosímil, como decir que fue el mismo gobierno quien lanzó las granadas desde un helicóptero sobre el Tribunal Supremo de Justicia. El plan golpista despliega oleadas de violencia, legitima una parte, oculta otra, y construye la idea-fuerza de una oposición “pacífica, legal y masiva” que es víctima de la represión desmesurada. Los medios de comunicación le lavan la cara día tras día a la derecha, y no son los únicos: también lo hacen quienes centran toda la crítica sobre el gobierno y minimizan el accionar golpista hasta invisibilizarlo.

Es una gran disputa por el sentido y los actores de la violencia, por desenmascarar, ponerle nombre a la muerte y obligarlos a salir del anonimato.

No se puede comprender las respuestas del chavismo -con sus aciertos y errores- si no se comprende la estrategia desplegada, o si se opta deliberadamente por esconderla ¿Qué deber hacer un gobierno y un movimiento popular, con su infinidad de contradicciones, ante una oposición que apuesta por una salida violenta y despliega un brazo armado que realiza acciones militares? ¿Cómo debe actuar? Las respuestas son varias. Desde un esquema de contención para apostar al desgaste, hasta ensayar formas de defensa integral, como lo había planteado Hugo Chávez a través de las Milicias Bolivarianas. Aunque en este último punto existe otro debate: parecería necesario construir formas de resguardo de los territorios dependientes de los mismos territorios, y no solamente de la Fuerza Armada Nacional Bolivariana -como lo es la Milicia Bolivariana- aunque articulado con las mismas -nada por fuera de la unidad.

Se trata de un punto clave: ¿Cómo se defiende un proceso popular? ¿Quiénes lo defienden? ¿Solamente desde el aparato del Estado?

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La violencia se ha normalizado en Venezuela. El primer hombre prendido fuego en la calle conmocionó, el segundo también, el tercero pasó a ser parte de lo posible, el quinto ya entró en la lógica del conflicto -impactó sí, aquel que luego de linchado e incendiado, fue pateado como un perro por sus asesinos-. Esa normalización es parte del objetivo de la violencia opositora, apunta a golpear el tejido social, descomponer, enfrentar a las partes hasta legitimar el linchamiento como práctica social opositora en las clases altas y medias. No se ha visto hasta el momento a nadie linchado en un barrio popular por su postura política.

¿El gobierno no se ha equivocado y cometido violencia que no debía cometer? Sí. Ahí están los números, la gente encarcelada, los órganos de seguridad del Estado que no son los que quisiéramos que fueran, que han intentado ser transformado en este tiempo de revolución y han quedado a medio camino. El chavismo tiene contradicciones, límites, lucha de clases interna, traidores, burócratas, corruptos impunes en puestos de dirección, y una lista larga de problemas. Se los debe debatir, disputar: en la resolución o no de esos puntos se nos va la posibilidad del proyecto.

El problema es invertir los términos y poner al gobierno como autor de la escalada de violencia, y no como quien ejerce una respuesta -con sus errores- ante un intento de Golpe de Estado con participación directa de los Estados Unidos. Mirar Venezuela a través del show mediático, la avalancha estética victimizante y heroica de sus movilizaciones, la producción masiva de contenidos -que cuesta millones de dólares- las páginas opositoras y Aporrea, y algún investigador de una universidad extranjera que “analiza los colectivos”, conduce a comprar el cuento completo del golpismo.

Debatir el chavismo es una necesidad. Pasar del lado del bloque conducido por los Estados Unidos es un error histórico. No sería la primera vez que sucede en la historia de la izquierda en el continente.

(Tomado del blog Hasta el Nocau)

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