L’elezione di Javier Milei in Argentina mi fa pensare all’effetto boomerang: qualsiasi cosa tu lanci ti torna indietro – o contro – con la stessa forza. La domanda è se gli argentini sono pronti a ricevere ciò che questa decisione porterà indietro.
Poche ore dopo la vittoria di Javier Milei alle elezioni presidenziali argentine, come da consuetudine in materia di analisi politica ed elettorale in America Latina e nei Caraibi, abbiamo intervistato in esclusiva per Correo del Alba il noto politologo e intellettuale Atilio Boron, con il quale abbiamo riflettuto sul trionfo dell’estrema destra.
Il panorama politico di qualsiasi paese è un’arena complessa e dinamica, modellata dall’interazione di diversi fattori, tra cui le condizioni socioeconomiche e l’opinione pubblica. Negli ultimi tempi, l’Argentina ha visto un aumento del sostegno per Javier Milei, in particolare tra la popolazione più giovane. È sconcertante, tuttavia, osservare come questi giovani abbiano votato per un candidato le cui politiche andranno contro i loro stessi interessi.
Il voto in Argentina sconcerta e preoccupa. Non tanto e non solo per il destino che attende il paese gaucho finito nelle mani di un personaggio che non passerebbe nessuna selezione improntata sul Q.I., quanto per la capacità di attrazione delle sue follie su un Paese che, benché preso nella rete del peronismo agonizzante, seppur orfano della memoria dei suoi anni peggiori, quelli vissuti col terrore nelle vene ed il sangue nelle strade, è dotato di sufficiente cultura e storia politica da saper distinguere un originale da un pazzo, un social-confuso da un fascista, per giunta immerso in un delirio mistico che in Europa sarebbe affrontato con un TSO.
Nelle sue “Note sull’America” (Casa de las Américas, gennaio-marzo 2019) Roberto Fernández Retamar prevede che “arriveranno brutti tempi per tutti i popoli, non solo per alcuni”. E aggiunge: “Che sorte aspettarsi, per un mondo sempre più immerso nella barbarie, da coloro che, pur considerando inferiori le etnie che non sono le loro e trattandole come tali (così avevano agito i nazisti), negano cose tanto ovvie e pericolose per tutti, compresi ovviamente per gli USA, come il riscaldamento globale?”
Mio padre mi ripeteva sempre lo stesso detto: “Il bicchiere può essere visto come mezzo pieno e mezzo vuoto”. E poi chiariva: “Ti ho detto, mezzo pieno e mezzo vuoto, sono entrambe le cose allo stesso tempo”.
Il malcontento del popolo argentino verso la situazione del paese e l’attuale governo, rappresentato dal tandem Alberto Fernández e Cristina Fernández de Kirchner, rispettivamente presidente e vicepresidente in carica da circa quattro anni, è emerso in occasione del voto di agosto per le primarie delle presidenziali, previste per il prossimo mese di ottobre[1]. Fernández non ha preso parte alla competizione, avendo annunziato già lo scorso anno l’intenzione di non concorrere per un nuovo mandato.
In seguito al suo exploit alle elezioni primarie (PASO) in Argentina, il fenomeno Javier Milei ha attirato molta attenzione anche al di fuori dell’Argentina.
A far rumore sono soprattutto le sue proposte sul fronte caldo dell’economia argentina. Milei, un economista ultraliberista, si propone all’elettorato come un “anarco-capitalista” formato sui principi della cosiddetta ‘Scuola Austriaca’ che promette di porre fine alla “casta politica”, di ridurre lo Stato al minimo, di affidare l’amministrazione dell’istruzione e della sanità al capitale privato e, soprattutto, di risolvere l’inflazione cronica attraverso la dollarizzazione dell’economia e l’eliminazione della Banca Centrale.
Nella regione dell’America Latina si stanno verificando diverse situazioni conflittuali per i governi progressisti e le loro istituzioni interne. Nonostante l’intensità delle aggressioni contro la sua governabilità, sia dall’interno che dall’esterno del paese, negli ultimi anni, il Venezuela si distingue per non far parte di questo gruppo.
Javier Milei, economista di 52 anni, è stato la grande sorpresa delle elezioni interne argentine, conquistando il primo posto con il 30% dei voti e affermandosi così, a tempo di record, come uno dei più importanti leader politici del Paese sudamericano ed emblema dell’estrema destra mondiale.
Paula Klachko è sociologa e storica, insegna nelle Università nazionali di Jose C. Paz e di Avellaneda. È coordinatrice della sezione argentina della Rete degli Intellettuali e Artisti in Difesa dell’Umanità e fa parte della segreteria esecutiva internazionale dell’organizzazione. Con lei, abbiamo discusso della situazione in Argentina dopo la vittoria del “trumpista” Javier Milei alle primarie, e dell’ultimo libro che Paula ha scritto con Atilio Boron, “Segundo Turno. El resurgimiento del ciclo progresista en América Latina” pubblicato in agosto da Ediciones Luxemburg e UNDAV.
Il presidente dell’Argentina, Alberto Fernández, ha invitato il governatore di Jujuy, Gerardo Morales, a porre fine alla violenza nella provincia e a rispettare le norme internazionali sui diritti umani, nel contesto delle proteste in corso nel distretto settentrionale.
Il giudice federale Sebastian Casanello ha ordinato l’archiviazione della vicepresidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner in un caso di presunto riciclaggio di denaro, il cosiddetto “La ruta del dinero K”.
Il 6 aprile scorso, Santiago Cafiero, ministro degli Esteri della Repubblica argentina, ha annunciato il ritorno del suo Paese come Stato membro dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR), ribaltando così la denuncia del Trattato costitutivo fatta dall’ex presidente Mauricio Macri, nel 2019, mediante la quale si è ufficializzato l’esclusione dell’Argentina dall’organismo.
Dall’Iraq a Cuba: dalla propaganda di guerra al giornalismo sovvenzionato
José Manzaneda, coordinatore di Cubainformación
A vent’anni dall’invasione dell’Iraq, Wikileaks ricorda il suo famoso video dell’“assassinio collaterale” di “civili, compresi due giornalisti della Reuters” da parte dell’esercito USA (1).
È stato “un momento decisivo per la nostra comprensione” di ciò, afferma l’organizzazione, perché oggi, chi “rischia una condanna a 175 anni se è estradato” è il giornalista che ha pubblicato il video, Julian Assange, e non gli autori del crimine né i loro comandi (2) (3).