Ha Trump un mandato cubano-americano?

Victor Martinez https://lapupilainsomne.wordpress.com

mafia-miami-elezioni-trumpAlcuni media hanno pubblicato che Trump ha vinto, in Florida, grazie al voto dei cubani-americani. È sintomatico che uno dei sostenitori di questa idea è il presentatore della NBC, a Miami, Jose Diaz Balart, un cubano-americano, http://www.nbcnews.com fratello di un congressista e di un altro ex congressista che ha dovuto dimettersi per le accuse di corruzione. Entrambi sostengono le posizioni più dure contro Cuba.

Non dobbiamo dimenticare in questa “comparsa” Andres Oppenheimer, http://www.elnuevoherald.com che dettò ‘l’ultima ora di Castro’, più di 20 anni fa, e ora minacciava, sei giorni prima delle elezioni, che Trump può vincere in Florida con il voto cubano.

Ora si può immaginare la seconda parte del macabro piano “Trump paga quel che devi” diranno gli stessi che favoleggiarono che i cubani diedero la vittoria floridiana ed in cambio dovrebbe fermare la politica di riavvicinamento con Cuba.

Tuttavia, tutti omettono che Trump è stato il presidente repubblicano che ha ottenuto il secondo peggior risultato raggiunto da un candidato del suo partito tra i cubani residenti in Florida, che dovrebbe essere un avviso se nelle sue intenzioni c’è di ritornare alle ripudiate misure dell’ex presidente repubblicano George W. Bush.

Ora non si può avvertire, chiaramente, che l’egemonia politica nel sud della Florida l’ha una tendenza che rappresenta i cubani che rifiutano i passi di Obama verso Cuba. Piuttosto, si può affermare che vi è un forte conflitto tra le correnti di cubano-americani, maggioritarie quelle che sono a favore del rapporto con Cuba ma con meno partecipazione al voto. Anche così, di quelli che votarono, Trump è stato in grado di prenderne solo la metà.

Coloro che oggi sostengono che Trump ha vinto per il voto cubano in Florida, nascondono che un numero crescente di questo gruppo sociale ha cambiato le sue idee proprio per quanto riguarda la politica USA verso Cuba e assume come dogma che è congelata la sua evoluzione ideologica. In questo modo si tenta presentare i cubano-americani come soggetti immobili, che non si sono mossi dalle concezioni politiche della destra o ad averlo fatto per “errore”, lo hanno rettificato l’8 novembre 2016 e sono ritornati a difendere il blocco e le sanzioni a Cuba. Ma i numeri non lo confermano. Trump ha potuto aver raggiunto il 50%, forse il 52%, del voto cubano in Florida, ben al di sotto di Reagan (80% nel 1980 e 88% nel 1984) Bush (85% nel 1988 e 72% nel 1992) Bob Dole 65% nel 1996; George W. Bush (78% nel 2000 e 71% nel 2004) e McCain il 65% nel 2008.

E’ spesso dibattuto se la migrazione è uno strumento della politica USA nei confronti di Cuba o meno. Questo potrebbe essere un argomento che affronta il presidente Trump e il suo team di sicurezza nazionale. Anche se è generalmente accettato che le diverse amministrazioni USA hanno usato l’emigrazione e la politica migratoria verso i cubani che vivono negli USA e verso i potenziali migranti cubani, come un’importante componente della sua politica contro il governo cubano, molti di questi hanno accettato il ruolo di buon grado perché rappresentano il settore di pensiero cubano che solo concepisce il successo di Cuba subordinata agli USA.

Tuttavia, nella misura in cui queste organizzazioni si rafforzarono all’interno di Miami e raggiunsero una certa indipendenza dal governo federale e dalle sue istituzioni, ed in particolare quelle che si inserirono con successo nei meccanismi del sistema politico USA, hanno ottenuto, episodicamente, esercitare influenze e pressioni per ottenere che le diverse amministrazioni intraprendessero azioni su Cuba che soddisfacciano i loro interessi. Questa influenza ha garantito loro una certa autonomia, che poteva alterare il rapporto di strumento a cui, apparentemente, sono state destinate.

Tuttavia, le pressioni e l’autonomia di Miami, finiscono dove cominciano gli interessi della sicurezza nazionale USA, sui quali non cede né un partito, né un altro e dove Trump dovrà esercitare il suo pragmatismo e difendere l’interesse nazionale se vuole mantenere la sua promessa in campagna elettorale di creare posti di lavoro e ricchezza che con le misure del blocco a Cuba, indicherebbero il contrario, perché priverebbe gli agricoltori USA, le agenzie di viaggi, l’industria, il settore delle comunicazioni e altri, di un mercato così vicino e promettente come quello cubano.

Non vi è alcun mandato dei cubani, negli USA, perché Trump sviluppi una politica di retrocessione nel rapporto degli USA con Cuba.

¿Tiene Trump un mandato cubano-americano?

Por Víctor Martínez

Algunos medios de comunicación han publicado que Trump ganó la Florida gracias al voto de los cubano-americanos. Resulta sintomático que uno de los defensores de esta idea sea el presentador de NBC en Miami, José Díaz Balart, cubano americano, http://www.nbcnews.com/nightly-news/video/how-the-cuban-american-vote-helped-trump-in-florida-804395587520 hermano de un congresista y de otro ex –congresista que debió renunciar por acusaciones de corrupción. Ambos sostienen las posiciones más duras contra Cuba. No debemos olvidar en esta “comparsa” a Andrés Oppenheimer, http://www.elnuevoherald.com/opinion-es/opin-col-blogs/andres-oppenheimer-es/article112054622.html que dictó la última hora de Castro hace más de 20 años y ahora amenazaba 6 días antes de las elecciones que Trump puede ganar Florida con el voto cubano.

Ahora puede uno imaginarse la segunda parte del macabro plan: “Trump paga lo que debes”, dirán los mismos que fabularon que los cubanos dieron el triunfo floridano y a cambio debería detener la política de acercamiento con Cuba.

Sin embargo, todos omiten que Trump ha sido el presidente republicano que obtuvo el segundo peor resultado que ha alcanzado un candidato de su partido dentro de los cubanos residentes en la Florida, lo que debe ser una voz de alerta si en sus intenciones está regresar a las repudiadas medidas del anterior presidente republicano George W. Bush.

Ahora no puede advertirse con claridad que la hegemonía política en el Sur de la Florida la tiene una tendencia que representa a los cubanos que rechazan los pasos de Obama hacia Cuba. Más bien puede confirmarse que hay un fuerte conflicto entre las corrientes de cubano-americanos, mayoritarias las que favorecen la relación con Cuba, pero con menos participación electoral. Aun así de los que votan, Trump pudo sacar apenas la mitad.

Los que hoy aducen que Trump ganó por el voto cubano en la Florida, ocultan que un número creciente de ese grupo social ha modificado sus ideas precisamente en lo referente a la política norteamericana hacia Cuba y asume como un dogma que está congelada su evolución ideológica. De esa manera se intenta presentar a los cubanoamericanos como sujetos inmóviles, que no se han desplazado de las concepciones políticas de derecha o que de haberlo hecho por “error”, lo han rectificado el 8 de noviembre de 2016 y han regresado a defender el bloqueo y las sanciones a Cuba. Pero los números no lo confirman. Trump pudo haber alcanzado el 50%, tal vez el 52% del voto cubano en la Florida, muy por debajo de Reagan (80% en 1980 y 88 % en 1984) Bush (85% en 1988 y 72 % en 1992) Bob Dole 65% en 1996; George W. Bush (78% en el 2000 y 71% en el 2004) y McCain 65% en 2008.

Se debate con frecuencia si la emigración es un instrumento de la política norteamericano hacia Cuba o no. Pudiera este ser un tema que enfrente el Presidente Trump y su equipo de seguridad nacional. Aunque usualmente se asume que las diferentes administraciones norteamericanas han utilizado la emigración y su política migratoria hacia los cubanos residentes en los EEUUU y hacia los potenciales migrantes cubanos, como un componente importante de su política contra el Gobierno cubano, muchas de estas aceptaron el papel con beneplácito porque representan al sector del pensamiento cubano que sólo conciben el éxito de Cuba subordinada a los EEUU.

Sin embargo, en la medida que dichas organizaciones se fortalecieron a lo interno de Miami y alcanzaron cierta independencia del Gobierno federal y sus instituciones, y sobre todo las que se insertaron exitosamente en los mecanismos del sistema político norteamericano, han logrado episódicamente ejercer influencias y presiones para conseguir que las diferentes administraciones tomen medidas sobre Cuba que satisfagan sus intereses. Esta influencia les ha garantizado cierta autonomía, que pudiera alterar la relación de instrumento a la que aparentemente han sido destinadas.

Ahora bien, las presiones y autonomía de Miami, terminan donde comienzan los intereses de seguridad nacional de los EEUU, sobre los que no cede ni un Partido ni otro y donde Trump deberá ejercer su pragmatismo y defender el interés nacional, si quiere satisfacer su promesa de campaña de crear empleos y riqueza que con medidas de bloqueo a Cuba, indicarían lo contrario, porque privaría a los agricultores norteamericanos, a las agencia de viajes, a la industria, al sector de las comunicaciones y a otros, de una mercado tan cercano y prometedor como el cubano.

No hay un mandato de los cubanos en EEUU para que Trump desarrolle una política de retroceso en la relación de EEUU con Cuba.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.