Politica estera cubana: 60 anni di fedeltà ai principi rivoluzionari

Sergio Alejandro Gómez  www.cubadebate.cu

Quando nel settembre scorso il presidente dei Consigli di Stato e dei Ministri di Cuba, Miguel Diaz-Canel, si è diretto al palco delle Nazioni Unite a New York, alcuni si sono fatti illusioni su un cambio nel discorso o nei principi difesi da Cuba in quell’emiciclo durante gli ultimi sei decenni.

Se fosse esistito qualche dubbio, il discorso di Diaz-Canel l’ha sgombrato per sempre: “Il cambio generazionale nel nostro governo non deve ingannare gli avversari della Rivoluzione. Siamo continuità, non la rottura”.

Da questo 23 dicembre 2018, la diplomazia rivoluzionaria inizia a percorrere i suoi 60 anni di esistenza, fedele ai principi rivoluzionari della Sierra Maestra.

2018: un anno difficile, ma con encomiabili risultati

 

Il Ministro degli Affari Esteri, Bruno Rodríguez Parrilla, ha recentemente affermato che l’anno che termina è stato tremendo: “Un anno difficile, di encomiabili ed incoraggianti risultati e di una politica estera che continua e continuerà ad essere fedele alla nostra tradizione indipendentista e patriottica ed alla nostra tradizione rivoluzionaria, che è di profondo sentire popolare”, ha riferito durante le sessioni dell’Assemblea Nazionale.

“Mi sembra molto importante la reazione internazionale che si è prodotta alla elezione del Presidente Miguel Díaz-Canel, come un riconoscimento internazionale ed un’espressione di coscienza della legittimità delle nostre elezioni su scala regionale e mondiale”, ha detto.

“E’ stata importante, senza dubbio, la visita del presidente e la sua presenza all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; il suo potente discorso, il modo in cui è stato percepito; la riunione con diversi settori della società USA, che ha evidenziato una crescente opposizione alla politica di blocco ed, ancor più, all’indurimento di questa che caratterizza l’attuale governo degli USA”.

Il suo tour per la Federazione Russa, la Repubblica Popolare Democratica di Corea, la Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica Socialista del Vietnam, la Repubblica Democratica del Laos, ha aggiunto il diplomatico, è anche stato molto importante nel senso della priorità che hanno i rispettivi vincoli in tutti gli ambiti, compresa la consultazione politica e le relazioni economiche, commerciali e finanziarie.

Per quanto riguarda le relazioni con gli USA, Rodriguez Parrilla ha affermato che, dal 17 dicembre 2014 sino al 2017, sono stati raggiunti “certi progressi nelle relazioni bilaterali con gli USA”.

“Soprattutto, è stato molto significativo il riconoscimento del blocco come obsoleto ed inefficace; la necessità di toglierlo perché causava discredito ed isolamento al governo USA. Non c’è mai stato un riconoscimento della sua natura genocida né di violazione dei diritti umani di un intero popolo, neppure del suo aspetto etico e di violazione del diritto internazionale”.

“Da allora abbiamo visto un inasprimento del blocco, che non è mai stato sostanzialmente modificato nel periodo precedente, ma che, ogni volta, somma nuove misure sempre più infondate e segna un’intenzione di settori del potere USA di avanzare verso un grado maggiore di scontro con Cuba, che può implicare addizionali misure di blocco, nuove escalation retoriche di attacchi infondati contro Cuba, maggiori azioni sovversive”, ha aggiunto.

Sulla situazione in America Latina e nei Caraibi, ha affermato che si cerca di applicare, nuovamente, la Dottrina Monroe. “Ci sono stati cambi nell’equilibrio politico regionale; sfavorevoli in alcuni casi. Abbiamo appena avuto un Vertice dell’ALBA qui all’Avana che dimostra la sua vitalità, la sua forza e la sua coerenza”.

“Dovremo difendere l’applicazione del proclama dell’America Latina e dei Caraibi come zona di pace. Dovremo difendere i suoi principi contro l’imperialismo USA, contro i poteri esterni e contro la complicità di alcune forze radicali di destra, persino neo-fasciste, che si fanno strada nella regione”, ha detto riguardo le sfide del prossimo 2019.

Una politica basata sui principi

 

Cuba è un paese piccolo e povero di risorse economiche, ma ha mantenuto, negli ultimi 55 anni, una politica estera con portata ed influenza globali, basata su principi e valori rivoluzionari.

Questa opinione la condividono persino i suoi pochi -anche se potenti- avversari, che non hanno potuto impedire che si estendano e diversifichino i legami forgiati con popoli e governi di tutto il mondo.

Nell’essenza stessa della nazione, nella sua insularità e composizione multietnica, sono alcune delle chiavi per comprendere l’attiva relazione che Cuba ha mantenuto con il mondo esterno nel corso della sua storia.

Situata nel Mar dei Caraibi, una regione descritta dal domenicano Juan Bosh come una frontiera imperiale, il nostro paese è sempre stato soggetto ai tentativi di dominazione di grandi potenze, dalla Spagna e Gran Bretagna, sino agli USA.

In tali circostanze, il principale interesse nazionale, al di là di qualsiasi situazione, è stato ed è quello di garantire la nostra sovranità, indipendenza ed autodeterminazione.

Il trionfo della Rivoluzione, il 1 gennaio 1959, fu l’evento storico che materializzò questi obiettivi, posposti da una repubblica neocoloniale dipendente dagli USA. La scelta del cammino della costruzione del socialismo, a 90 miglia dalla principale potenza capitalista, ha fatto del consolidamento di un’efficiente politica estera una questione di vita o di morte.

Anti-imperialismo, internazionalismo ed anticolonialismo

 

Gli USA non potevano permettersi l’esempio che Cuba rappresentava per l’America Latina ed i Caraibi, così come per i paesi del Terzo Mondo. La sua politica di aggressione mirava a cercare di rovesciare il nuovo governo con tutti i mezzi possibili.

A Punta dell’Est, Uruguay, gli USA riunirono, nel 1962, i paesi dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) per imporre la propria politica di isolamento contro la Rivoluzione. Lì, la maggior parte dei governi delle oligarchie locali si inchinarono agli interessi USA.

“L’OSA rimase smascherata per ciò che è; un ministero delle colonie yankee” disse Fidel al popolo riunito nella Piazza della Rivoluzione, il 4 febbraio 1962, per ascoltare la Seconda Dichiarazione dell’Avana.

“Avremo con noi la solidarietà di tutti i popoli liberati del mondo, e avremo con noi la solidarietà di tutti gli uomini e le donne degni del mondo”, affermò poi il leader cubano.

Cuba dovette guardare a migliaia di chilometri ad est per trovare alleati nella costruzione di un nuovo tipo di società, più giusta e solidaria, sulla base di un’economia sottosviluppata e mono produttiva.

Per ragioni politiche, economiche e di sicurezza, i rapporti con il campo socialista, principalmente con l’Unione Sovietica, passarono ad occupare un ruolo di primo piano nella politica estera.

Tuttavia, giammai si chiusero le porte ad un miglioramento nelle relazioni con le nazioni dell’America Latina e dei Caraibi, ed anche con gli USA. Infatti, a misura che nei decenni successivi le dittature militari ed i governi di destra piegati agli interessi USA davano il passo a forze meno retrograde, la Rivoluzione creò importanti spazi di interscambio con il proprio spazio geografico naturale.

Inoltre, Cuba non voltò le spalle alla causa dei paesi del Terzo Mondo e fu uno dei membri fondatori, oltre ad uno dei principali attori, nel Movimento dei Paesi Non Allineati, che presiedette, per la prima volta, tra il 1979 ed il 1983, in piena auge della Guerra Fredda.

I combattenti e collaboratori cubani, fin dall’inizio, hanno offerto il loro disinteressato aiuto a diverse nazioni che lottavano per la loro indipendenza, soprattutto in Africa ed in America Latina, come prova dei principi antimperialisti ed anti-colonialisti della Rivoluzione. Allo stesso modo, decine di migliaia di medici, insegnanti e consulenti civili di vario tipo hanno collaborato con lo sviluppo sociale ed economico dei paesi del Sud.

L’indipendenza dell’Angola e della Namibia, l’inizio della fine dell’apartheid, la formazione di migliaia di professionisti che educavano, salvavano vite o costruivano i loro nuovi paesi, sono solo alcuni dei successi che si possono contare in questa fase.

La politica estera, come la Rivoluzione stessa, era mossa da ideali. Quella realtà, sebbene tardivamente, fu riconosciuta anche nelle file nemiche: “Castro era forse il dirigente rivoluzionario al potere più genuino di quei momenti”, ha scritto nelle sue memorie l’abile politico USA Henry Kissinger.

Rompere l’assedio

 

All’inizio degli anni ’90, la disintegrazione dell’Unione Sovietica e la caduta del campo socialista furono un duro colpo per Cuba, che in un lampo perse i suoi principali mercati e le fonti di forniture essenziali.

I settori più estremisti ed anti-cubani negli USA, di fronte alla possibilità di dare il colpo finale, incrementarono il blocco con l’approvazione della Legge Torricelli, nel 1992, e della Helms-Burton, nel 1996, tra altre misure. Allo stesso tempo, destinarono centinaia di milioni di dollari extra alla sovversione ed alla creazione di una presunta dissidenza interna.

Contro tutte le previsioni di coloro che contavano i giorni finali della Rivoluzione, Cuba non solo riuscì resistere, ma ne uscì rafforzata su più fronti.

Le relazioni con i paesi del Sud acquisirono una rinnovata auge, specialmente con l’America Latina ed i Caraibi, Asia ed Africa. Con ciò, si diede continuità ai nostri principi e scopi negli organismi internazionali, si privilegiò la ricerca della pace, la volontà di integrazione e collaborazione.

Le politiche aggressive, illegali ed extraterritoriali di Washington si sono rivelate così arroganti da suscitare un quasi unanime rifiuto internazionale ed hanno portato a livelli esponenziali la solidarietà con Cuba, anche all’interno di paesi tradizionalmente alleati degli USA.

La prova di questo sono le votazioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che, a partire dai primi anni ’90, ogni anno, condannano il blocco USA: se nel 1992, 59 paesi votarono a favore, 3 contro e la stragrande maggioranza, 71 si astennero; nel 1997 (un anno dopo l’approvazione della Helms-Burton), 143 paesi votarono a favore, 3 contro e 17 si astennero.

Nonostante le vicissitudini economiche, la solidarietà cubana si moltiplicò. Persino durante gli anni più difficili del Periodo Speciale, Cuba non esitò a mettere a disposizione dei popoli del mondo il suo enorme capitale umano e persino le sue scarse risorse economiche. Questo è stato il caso dell’aiuto medico gratuito offerto a diversi paesi dell’America Centrale che risultarono devastati dagli uragani George e Mitch, nel 1998.

Le scuole continuarono ad essere aperte non solo per i cubani, ma anche per migliaia di studenti stranieri che condivisero le necessità per diventare ingegneri, insegnanti ed infinite altre professioni.

Successo e minacce di un nuovo secolo

 

Il primo decennio del XXI secolo iniziava con un fatto che smosse le fondamenta della nazione: la lotta per il ritorno del bambino Elián González, trattenuto illegalmente negli USA. Questa volta, il popolo portò la politica estera nelle strade in grandi manifestazioni che non cessarono fino a quando suo padre, Juan Miguel González, toccò terra cubana con suo figlio tra le braccia.

Inoltre, in territorio USA si ospitarono e protessero organizzazioni terroristiche e noti criminali che causarono morte e distruzione a Cuba, come Luis Posada Carriles e Orlando Bosh, tra molti altri.

Invece di arrestarli e condannarli per i loro crimini, le autorità USA si dedicarono a perseguire ed arrestare un gruppo di giovani cubani la cui missione era quella di ottenere informazioni su quelle stesse strutture terroristiche che ponevano in pericolo la sicurezza dei cittadini.

Da allora, Cuba ha condotto una battaglia per la liberazione dei Cinque, dichiarati Eroi nel paese, che si estese per più di 15 anni, fino al ritorno di tutti il 17 dicembre 2014.

Fine della lunga notte neoliberale

 

Durante i primi dieci anni del XXI secolo, l’America Latina ed i Caraibi soffrirono una trasformazione radicale che cambiò la correlazione di forze, fino ad allora dominata dalla destra e dal neoliberismo.

In quel lasso di tempo, come ha affermato il presidente ecuadoriano Rafael Correa, terminò “la lunga notte neoliberale” che aveva portato alla miseria le grandi maggioranze, mentre arricchiva pochi privilegiati.

L’arrivo di Hugo Chavez alla presidenza del Venezuela, nel 1999, ed il successivo trionfo dei movimenti progressisti e di sinistra in Argentina, Uruguay, Brasile, Ecuador, Bolivia, Paraguay e Nicaragua, tra altri, crearono un nuovo clima di cooperazione e di scambio tra i paesi della regione.

All’inizio del novembre 2005, nella città argentina di Mar del Plata, ci fu un punto di svolta che evidenziò i nuovi venti che tiravano. Lì si bandì l’ALCA proposta dagli USA per creare uno spazio di libero commercio in tutto il continente.

Alcuni mesi prima, c’era stata un’altra pietra miliare nella ricerca dell’unione dei popoli latinoamericani. Nel dicembre 2004 il Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Hugo Chavez, ed il dirigente storico della Rivoluzione, Fidel Castro, firmarono la Dichiarazione Congiunta per la creazione dell’ALBA (Alternativa Bolivariana per i Popoli d’America) e si realizza, in L’Avana, il primo vertice di questo organismo.

Negli anni seguenti avrebbero aderito a questa iniziativa Bolivia, Nicaragua, Dominica, Ecuador, Sant Vincent e le Grenadine, Antigua e Barbuda ed Hondura. Quest’ultimo abbandonò l’organismo nel 2009, dopo il colpo di stato che rimosse dal potere il presidente costituzionale Manuel Zelaya.

“Affermiamo che il principio cardine che deve guidare l’ALBA è la solidarietà più ampia tra i popoli dell’America Latina e dei Caraibi, che si regge sul pensiero di Bolívar, Martí, Sucre, O’Higgins, San Martin, Hidalgo, Petion, Morazán, Sandino e molti altri eroi, senza nazionalismi egoisti che neghino l’obiettivo di costruire una Patria Grande in America Latina, come lo sognarono gli eroi delle nostre lotte emancipatrici”, afferma il suo documento costitutivo.

Solidarietà: Principio e fine

 

In questo nuovo scenario e dopo aver lasciato alle spalle le più gravi vicissitudini economiche, la portata della cooperazione internazionalista cubana si sarebbe convertita in un esempio di ciò che un paese può ottenere quando si muove secondo principi di giustizia.

Sorse il Programma Integrale di Salute che cercava estendere i servizi medici ad un centinaio di paesi, principalmente in Africa ed in America Latina. Ciò includeva anche la formazione ed addestramento di risorse umane nelle aree in cui i medici cubani lavorano come sull’isola. La Scuola Latinoamericana di Medicina, che nell’anno accademico 1999-2000 aveva più di 3000 studenti provenienti da 23 nazioni, moltiplicò le sue iscrizioni per convertire i giovani poveri in medici per le proprie comunità.

Nel 2005, le gravi inondazioni causate dall’uragano Katrina negli USA, spinsero Cuba ad organizzare la Brigata Medica Henry Reeve, intitolata così da Fidel in onore di un medico di New York che lottò per l’indipendenza di Cuba.

Quella brigata, respinta dagli USA, sarebbe stata dispiegata, poco dopo, sul suolo pakistano, colpito da un forte terremoto, considerato la peggiore catastrofe naturale di quel paese, con un bilancio stimato di 80000 morti e oltre tre milioni di vittime.

La Henry Reeve ha sommato, da allora, più di una dozzina di missioni al verificarsi di terremoti, alluvioni ed altre situazioni di disastri in Guatemala, Pakistan, Bolivia, Indonesia, Belize, Perù, Messico, Ecuador, Cina, Haiti, El Salvador e Cile.

Sebbene l’area della salute sia stata il fiore all’occhiello della cooperazione internazionale, in altri settori, come l’educativo, il contributo non è stato meno importante. Attraverso il metodo cubano ‘Yo sí puedo’, sviluppato da specialisti cubani all’inizio del decennio, milioni di adulti, in tutto il mondo, sono stati alfabetizzati.

Inoltre, come parte dell’ALBA, Cuba e Venezuela hanno svolto congiuntamente missioni internazionali, come nel caso dell’Operazione Miracolo, che si proponeva l’obiettivo di operare sei milioni di persone con diverse patologie oftalmologiche in dieci anni. Il piano iniziato in Venezuela ha coinvolto una trentina di paesi in America Latina, Caraibi, Asia e Africa.

I professionisti si sono anche dispiegati in territorio venezuelano in missioni sociali che hanno cambiato la fisionomia di quel paese. Come nel caso di Barrio Adentro, che ha portato salute a milioni di poveri cittadini di quella ricca nazione.

Nel 2014, i medici cubani sono stati protagonisti di una delle pagine più eroiche della storia della maggiore delle Antille, essendo la chiave per la sconfitta dell’epidemia di Ebola che ha colpito l’Africa occidentale.

La brigata cubana che ha partecipato a questi compiti ha ricevuto importanti premi dall’Organizzazione Mondiale della Salute.

La cooperazione internazionale cubana, per la sua portata e trascendenza, è diventata un elemento centrale nelle relazioni di Cuba con il Terzo Mondo.

Senza abbandonare i principi di solidarietà che l’hanno sempre guidata, si è andata trasformando in un sistema di cooperazione Sud-Sud, che risulta vantaggioso per entrambe le parti.

Tuttavia, non è stato esente da provocazioni ed attacchi, come è stato il recente caso del presidente eletto del Brasile, Jair Bolsonaro, le cui aggressive dichiarazioni hanno comportato la fine della partecipazione di Cuba al programma Mas Medicos, grazie al quale milioni di brasiliani hanno avuto accesso, per la prima volta nella loro vita, ad un medico.


Política exterior cubana: 60 años de fidelidad a los principios revolucionarios

Por: Sergio Alejandro Gómez

Cuando en septiembre pasado el presidente de los Consejos de Estado y de Ministros de Cuba, Miguel Díaz-Canel, se dirigió al estrado de las Naciones Unidas en Nueva York, algunos se hicieron ilusiones sobre un cambio en el discurso o los principios defendidos por Cuba en ese hemiciclo durante las últimas seis décadas.

Si existía alguna duda, el discurso de Díaz-Canel la despejó para siempre: “El cambio generacional en nuestro gobierno no debe ilusionar a los adversarios de la Revolución. Somos la continuidad, no la ruptura”.

Desde este 23 de diciembre del 2018, la diplomacia revolucionaria comienza a recorrer sus 60 años de existencia, fiel a los principios revolucionarios de la Sierra Maestra.

2018: Un año difícil, pero con resultados encomiables

El ministro de Relaciones Exteriores, Bruno Rodríguez Parrilla, refirió recientemente que el año que termina ha sido tremendo: “Un año difícil, de resultados encomiables y alentadores y de una política exterior que sigue y seguirá siendo fiel a nuestra tradición independentista y patriótica y a nuestra tradición revolucionaria, que es de profunda entraña popular”, refirió durante las sesiones de la Asamblea Nacional.

“Me parece muy importante la reacción internacional que se produjo a la elección del presidente Miguel Díaz-Canel, como un reconocimiento internacional y una expresión de conciencia de la legitimidad de nuestras elecciones a escala regional y mundial”, dijo.

“Fue importante, sin dudas, la visita del presidente y su presencia en la Asamblea General de las Naciones Unidas; su potente discurso, la manera en que fue percibido; su reunión con sectores diversos de la sociedad norteamericana, que evidenció una oposición creciente a la política de bloqueo y, más aún, al endurecimiento de esta que caracteriza al gobierno actual de los Estados Unidos”.

Su gira por la Federación de Rusia, la República Popular Democrática de Corea, la República Popular China, la República Socialista de Vietnam, la República Democrática Lao, agregó el diplomático, fue también muy importante en el sentido de la prioridad que tienen los vínculos respectivos en todos los ámbitos, incluida la concertación política y las relaciones económicas, comerciales y financieras.

Respecto a las relaciones con Estados Unidos, Rodríguez Parrilla refirió que desde el 17 de diciembre del 2014 hasta el 2017, se alcanzó “cierto progreso en la relación bilateral con los Estados Unidos”.

“Sobre todo, fue muy significativo el reconocimiento del bloqueo como obsoleto e inefectivo; la necesidad de levantarlo porque provocaba descrédito y aislamiento al gobierno de Estados Unidos. Nunca hubo un reconocimiento de su carácter genocida ni violatorio de los derechos humanos de un pueblo entero, ni tampoco de su aspecto ético y violatorio del derecho internacional”.

“Desde entonces hemos estado viendo un endurecimiento del bloqueo, que nunca fue substancialmente modificado en el periodo anterior, pero que suma cada vez nuevas medidas cada vez más infundadas y marca una intención de sectores de poder en los Estados Unidos de avanzar hacia un grado mayor de confrontación con Cuba, que puede implicar medidas adicionales de bloqueo, nuevas escaladas retóricas de ataques infundados contra Cuba, mayores acciones subversivas”, añadió.

Sobre la situación en América Latina y el Caribe dijo que se intenta aplicar nuevamente la Doctrina Monroe. “Ha habido cambios en el balance político regional; desfavorables en algunos casos. Acabamos de tener la Cumbre del Alba aquí en La Habana que demuestra su vitalidad, su pujanza y su coherencia”.

“Habrá que defender la aplicación de la proclama de América Latina y el Caribe como zona de paz. Habrá que defender sus postulados frente al imperialismo norteamericano, frente a poderes externos y frente a la complicidad de algunas fuerzas radicales de extrema derecha, e incluso neofascistas, que se abren paso en la región”, dijo sobre los retos del próximo año 2019.

Una política basada en principios

Cuba es un país pequeño y pobre en recursos económicos, pero ha mantenido durante los últimos 55 años una política exterior con alcance e influencia global, basada en principios y valores revolucionarios.

Esta opinión la comparten incluso sus pocos —aunque poderosos— adversarios, quienes no han podido evitar que se extiendan y diversifiquen los lazos forjados con pueblos y gobiernos del mundo entero.

En la propia esencia de la nación, en su insularidad y composición multiétnica, están algunas de las claves para comprender la activa relación que ha mantenido Cuba con el exterior a lo largo de su historia.

Ubicada en el Mar Caribe, una región que el dominicano Juan Bosh calificó de frontera imperial, nuestro país ha estado siempre sometido a los intentos de dominación de grandes potencias, desde España y Gran Bretaña, hasta los Estados Unidos.

En tales circunstancias, el principal interés nacional, más allá de cualquier coyuntura, ha sido y es garantizar nuestra soberanía, independencia y autodeterminación.

El triunfo de la Revolución el primero de Enero de 1959 fue el acontecimiento histórico que materializó esos objetivos, pospuestos por una república neocolonial dependiente de Estados Unidos. La elección del camino de la construcción del socialismo a 90 millas de la principal potencia capitalista, hizo de la consolidación de una eficiente política exterior un asunto de vida o muerte.

Antimperialismo, internacionalismo y anticolonialismo

Estados Unidos no podía permitirse el ejemplo que representaba Cuba para América Latina y el Caribe, así como para los países del Tercer Mundo. Su política de agresión se dirigió a intentar derrocar al nuevo gobierno por todas las vías posibles.

En Punta del Este, Uruguay, Estados Unidos reunió en 1962 a los países de la Organización de Estados Americanos (OEA) para imponerle su política de aislamiento contra la Revolución. Allí, la mayoría de los gobiernos de las oligarquías locales se plegaron a los intereses norteamericanos.

“La OEA quedó desenmascarada como lo que es; un ministerio de colonias yanquis”, le dijo Fidel al pueblo reunido en la Plaza de la Revolución el 4 de febrero de 1962, para escuchar la Segunda Declaración de La Habana.

“Vamos a tener con nosotros la solidaridad de todos los pueblos liberados del mundo, y vamos a tener con nosotros la solidaridad de todos los hombres y mujeres dignos del mundo”, afirmó entonces el líder cubano.

Cuba tuvo que mirar a miles de kilómetros hacia el este para encontrar aliados en la construcción de un nuevo tipo de sociedad, más justa y solidaria, sobre la base de una economía subdesarrollada y monoproductora.

Por razones políticas, económicas y de seguridad, las relaciones con el campo socialista, principalmente con la Unión Soviética, pasaron a ocupar un papel protagónico en la política exterior.

Sin embargo, jamás se cerraron las puertas a una mejoría en las relaciones con las naciones de América Latina y el Caribe, e incluso, con los Estados Unidos. De hecho, a medida que en las siguientes décadas las dictaduras militares y los gobiernos de derecha plegados a los intereses de Estados Unidos fueron dando paso a fuerzas menos retrógradas, la Revolución creó importantes espacios de intercambio con su espacio geográfico natural.

Además, Cuba no dio la espalda a la causa de los países del Tercer Mundo y fue miembro fundador, a la vez que un actor de peso, en el Movimiento de Países No Alineados, que presidió por primera vez entre 1979 y 1983, en pleno auge de la Guerra Fría.

Los combatientes y colaboradores cubanos, desde un inicio, ofrecieron su ayuda desinteresada a varias naciones que luchaban por su independencia, principalmente en África y América Latina, como prueba de los principios antimperialistas y anticolonialistas de la Revolución. Asimismo, decenas de miles de médicos, maestros, y asesores civiles de diversos tipos colaboraron con el desarrollo social y económico de los países del Sur.

La independencia de Angola y Namibia, el comienzo del fin del Apartheid, la formación de miles de profesionales que educaban, salvaban vidas o construían sus nuevos países, son solo algunos de los éxitos que se pueden contar en esta etapa.

La política exterior, como la Revolución misma, se movía por ideales. Esa realidad, aunque tardíamente, fue reconocida incluso en las filas enemigas: “Castro era tal vez el líder revolucionario en el poder más genuino de aquellos momentos”, escribió en sus memorias el habilidoso político estadounidense Henry Kissinger.

Romper el cerco

A comienzos de los noventa, la desintegración de la Unión Soviética y la caída del campo socialista supusieron un duro golpe para Cuba, que de la noche a la mañana perdió sus principales mercados y fuentes de suministros esenciales.

Los sectores más extremistas y anticubanos en Estados Unidos, ante la posibilidad de dar la estocada final, arreciaron el bloqueo con la aprobación de la Ley Torricelli, en 1992, y la HelmsBurton, en 1996, entre otras medidas. Al mismo tiempo, destinaron cientos de millones de dólares extras a la subversión y la creación de una supuesta disidencia interna.

Contra todos los pronósticos de quienes contaban los días finales de la Revolución, Cuba no solo logró resistir, sino que salió fortalecida en diversos frentes.

Adquirieron un renovado auge las relaciones con los países del Sur, en especial con América Latina y el Caribe, Asia y África. Con ello, se dio continuidad a nuestros principios y propósitos en los organismos internacionales, se privilegió la búsqueda de la paz, la voluntad de integración y colaboración.

Las políticas agresivas, ilegales y extraterritoriales de Washington resultaron ser tan arrogantes, que suscitaron un casi unánime rechazo internacional y llevaron a niveles exponenciales la solidaridad con Cuba, incluso dentro de países tradicionalmente aliados de los norteamericanos.

Prueba de ello son las votaciones de la Asamblea General de las Naciones Unidas que desde comienzos de los noventa condenan anualmente el bloqueo estadounidense: si en 1992, 59 países votaron a favor, tres en contra y la inmensa mayoría, 71, se abstuvieron; en 1997 (un año después de la aprobación de la Helms-Burton), 143 países votaron a favor, tres en contra y 17 se abstuvieron.

A pesar de las vicisitudes económicas, la solidaridad cubana se multiplicó. Incluso durante los años más duros del Periodo especial, Cuba no vaciló en poner a disposición de los pueblos del mundo su ingente capital humano, y hasta sus magros recursos económicos. Ese fue el caso de la ayuda médica gratuita ofrecida a varios países centroamericanos que resultaron devastados por los huracanes George y Mitch en 1998.

Las escuelas continuaron abiertas no solo para los cubanos, sino para miles de estudiantes extranjeros que compartieron necesidades para convertirse en ingenieros, maestros e infinidad de otras profesiones.

Éxito y amenazas de un nuevo siglo

La primera década del siglo XXI iniciaba con un hecho que removió los cimientos de la nación: la lucha por el regreso del niño Elián González, retenido ilegalmente en Estados Unidos. Esta vez, el pueblo sacó la política exterior a las calles en masivas manifestaciones que no cesaron hasta que su padre, Juan Miguel González, tocó suelo cubano con su hijo en brazos.

Además, en territorio norteamericano se albergaron y protegieron organizaciones terroristas y declarados criminales que causaron muerte y destrucción en Cuba, como Luis Posada Carriles y Orlando Bosh, entre muchos otros.

En lugar de apresarlos y condenarlos por sus crímenes, las autoridades estadounidenses se dedicaron a perseguir y apresar a un grupo de jóvenes cubanos cuya misión era obtener información sobre esas mismas estructuras terroristas que ponían en peligro la seguridad de los ciudadanos.

Desde entonces, Cuba libró una batalla por la liberación de Cinco declarados Héroes en el país que se extendió por más de 15 años, hasta el regreso de todos el 17 de diciembre del 2014.

Fin de la larga noche neoliberal

Durante los primeros diez años del siglo XXI, América Latina y el Caribe sufrieron una transformación radical que cambió la correlación de fuerzas, hasta entonces dominada por la derecha y el neoliberalismo.

En ese lapso de tiempo, como ha dicho el presidente ecuatoriano Rafael Correa, se terminó “la larga noche neoliberal” que había llevado a la miseria a las grandes mayorías, mientras enriquecía a unos pocos privilegiados.

La llegada de Hugo Chávez a la presidencia venezolana en 1999, y el posterior triunfo de movimientos progresistas y de izquierda en Argentina, Uruguay, Brasil, Ecuador, Bolivia, Paraguay y Nicaragua, entre otros, crearon un nuevo ambiente de cooperación e intercambio entre los países de la región.

A comienzos de noviembre del año 2005, en la ciudad argentina de Mar del Plata, se produjo un punto de inflexión que evidenció los nuevos aires que corrían. Allí se desterró el ALCA que proponían los Estados Unidos para crear un espacio de libre comercio en todo el continente.

Algunos meses antes, se había producido otro hito en pos de la unión de los pueblos latinoamericanos. En diciembre del 2004 el presidente de la República Bolivariana de Venezuela, Hugo Chávez, y el líder histórico de la Revolución, Fidel Castro, firmaron la Declaración Conjunta para la creación del ALBA (Alternativa Bolivariana para los Pueblos de América) y se realiza en La Habana la primera cumbre de este organismo.

En los años siguientes se sumarían a esta iniciativa Bolivia, Nicaragua, Dominica, Ecuador, San Vicente y las Granadinas, Antigua y Barbuda y Honduras. Este último abandonó el organismo en el 2009, luego del golpe de Estado que removió del poder al presidente constitucional Manuel Zelaya.

“Afirmamos que el principio cardinal que debe guiar el ALBA es la solidaridad más amplia entre los pueblos de América Latina y el Caribe, que se sustenta con el pensamiento de Bolívar, Martí, Sucre, O’Higgins, San Martín, Hidalgo, Petión, Morazán, Sandino, y tantos otros próceres, sin nacionalismos egoístas que nieguen el objetivo de construir una Patria Grande en la América Latina, según lo soñaron los héroes de nuestras luchas emancipadoras”, refiere su documento constitutivo.

Solidaridad: Principio y fin

En este nuevo escenario y después de dejar atrás las más graves vicisitudes económicas, el alcance de la cooperación internacionalista cubana se convertiría en un ejemplo de lo que puede lograr un país cuando se mueve por principios de justicia.

Surgió el Programa Integral de Salud que buscaba extender los servicios médicos a un centenar de países, fundamentalmente en África y América Latina. Este incluía también la formación y capacitación de recursos humanos en las áreas donde laboran los galenos cubanos como en la Isla. La Escuela Latinoamericana de Medicina, que en el curso 1999-2000 contaba con más de 3 000 estudiantes de 23 naciones, multiplicó sus matrículas para convertir a jóvenes pobres en doctores para sus propias comunidades.

En el 2005, las graves inundaciones provocadas por el huracán Katrina en Estados Unidos, motivaron que Cuba organizara la Brigada Médica Henry Reeve, bautizada así por Fidel en honor a un médico neoyorquino que luchó por la independencia de Cuba.

Esa brigada, rechazada por los norteamericanos, sería desplegada poco tiempo después en suelo paquistaní, afectado por un fuerte terremoto, considerado la peor catástrofe natural de ese país, con un saldo aproximado de 80 mil muertos y más de tres millones de damnificados.

La Henry Reeve sumó desde entonces más de una decena de misiones ante la ocurrencia de terremotos, inundaciones y otras situaciones de catástrofes en Guatemala, Paquistán, Bolivia, Indonesia, Belice, Perú, México, Ecuador, China, Haití, El Salvador y Chile.

Si bien el área de la salud ha sido el buque insignia de la cooperación internacional, en otras áreas como la educativa el aporte no ha sido menos importante. Mediante el método cubano Yo sí puedo, desarrollado por especialistas de la Isla a principios de la década, se han alfabetizado millones de personas adultas en todo el mundo.

Además, como parte del ALBA, Cuba y Venezuela han llevado a cabo misiones internacionales de manera conjunta, como es el caso de la Operación Milagro, que se planteó el objetivo de operar a seis millones de personas de diferentes padecimientos oftalmológicos en diez años. El plan que se inició en Venezuela, abarcó una treintena de países de América Latina, el Caribe, Asia y África.

Los profesionales se desplegaron también en territorio venezolano en Misiones sociales que han cambiado la fisionomía de ese país. Como es el caso de Barrio Adentro, que llevó salud a millones de ciudadanos pobres de esa rica nación.

Los galenos cubanos protagonizaron en el 2014 una de las páginas más heroicas de la historia de la mayor de las Antillas, al ser claves en la derrota de la epidemia de Ébola que afectó África occidental.

La brigada cubana que participó en esas labores recibió importantes premios de la Organización Mundial de la Salud.

La cooperación internacional cubana, por su alcance y trascendencia, ha devenido un elemento troncal en las relaciones de Cuba con el Tercer Mundo.

Sin abandonar los principios solidarios que siempre la han guiado, se ha ido transformando en un sistema cooperación Sur-Sur, que resulta beneficioso para ambas partes.

Sin embargo, no ha estado exenta de provocaciones y ataques, como fue el caso reciente del presidente electo de Brasil, Jair Bolsonaro, cuyas declaraciones agresivas supusieron el fin de la participación cubana en el programa Más Médicos, gracias al cual millones de brasileños tuvieron acceso a un médico por primera vez en sus vidas.

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