Chico Buarque contro il golpe istituzionale

Alessandra Riccio https://nostramerica.wordpress.com

brasile-golpe-35101_210x210Eric Nepomuceno, scrittore e traduttore di Sao Paulo, è soprattutto un grande giornalista. E’ stato uno dei grandi divulgatori della musica brasiliana e del boom della letteratura latinoamericana. In questo articolo comparso su La Jornada dell’11 aprile scorso, dà il giusto rilievo all’intervento pubblico contro il tentativo di golpe istituzionale in Brasile del cantante, compositore, romanziere più popolare del paese, Chico Buarque.

Poco dopo le sei del pomeriggio dell’11 aprile scorso, più o meno in coincidenza con la votazione a Brasilia per poter avviare un processo politico il cui obbiettivo è quello di destituire una presidenta che è arrivata a quella carica in virtù di quasi cinquantacinque milioni di voti, a milleduecento chilometri di distanza, a Rio de Janeiro, si è tenuta una manifestazione convocata da artisti e intellettuali in difesa della democrazia. La quasi totalità di questo settore, pur includendo molte e importanti personalità critiche verso il governo di Dilma Rousseff, si oppone al golpe istituzionale. Chico Buarque è uno dei cinque organizzatori.

Era annunciata anche la presenza di Luiz Inacio da Silva ma l’aspettativa maggiore, attesa quanto quella dell’ex presidente, era per il compositore e scrittore Chico Buarque che non milita in nessun partito politico, non ha mai occupato una carica pubblica ed è una specie di leggenda artistica.

Lui è consapevole del peso della sua presenza e della sua voce. Ma non si sente comodo con questa responsabilità. Non la rifiuta, ma non gli piace.

Chico Buarque –in portoghese Chico è il diminutivo di Francisco, come in spagnolo Pancho o Paco- fa parte di una straordinaria generazione della musica popolare brasiliana. Nata fra il 1965 e il 1967, questa costellazione che comprende i nomi di Edu Lobo, Caetano Veloso, Gilberto Gil, Milton do Nascimento e Marcos Valle, fra gli altri, si è poi trasformata in un fenomeno senza precedenti e, fino ad ora, senza continuatori.

Nel corso del tempo, Chico è riuscito a sedimentare uno spazio unico, consolidandosi come un’icona. Dopo una carriera di compositore e di cantante di grande successo, ha esordito come romanziere, catturando un pubblico numeroso e ottenendo l’applauso della critica più qualificata, più temuta e più esigente.

Da più di quindici anni le sue apparizioni sul palcoscenico si sono fatte sporadiche. Spiega la sua routine eterodossa, compone i temi di un album, va in tournée e poi molla la chitarra in un angolo del suo studio. Mentre il compositore dorme, si sveglia lo scrittore, si tuffa appassionatamente nella scrittura; può tardare due o tre anni alla ricerca della parola esatta, limando ogni frase, costruendone la musicalità e cercando la precisione. Questa cura, questa parsimonia destinata a preservare la sua vita personale, a conti fatti, hanno prodotto il risultato opposto a quello sperato. Gli sforzi di Chico Buarque per passare inosservato hanno trasformato ogni sua apparizione in un evento emozionante.

Ai tempi della ri-democratizzazione del Brasile, nel 1985, Chico ha deciso di sottrarsi ai riflettori. Comei a dire: “Bene, volevamo tutti la democrazia. Ora l’abbiamo. Torno al mio lavoro, non sono più necessario”.

Tentativo vano. Le acute ed esatte parole che con poetica ironia sono schizzate nella memoria di chi ha vissuto sotto la dittatura, permangono nella memoria collettiva e sono arrivate alle generazioni seguenti come cronaca e testimonianza di quel tempo.

Nei suoi 72 anni di vita ha saputo preservare una manciata di caratteristiche che lo hanno reso un idolo resistente al tempo. Accompagna, stupito, le turbolenze della politica. Decide che adesso è necessario assumere l’intransigente difesa, più che del governo di Dilma Rousseff, di un qualcosa che è mancata alla società brasiliana per venticinque anni: la democrazia.

Le sue apparizioni pubbliche in appoggio a partiti di sinistra, specialmente il Partito del Lavoto (PT),sono comprensibili per diverse ragioni. Primo, per la sua storia personale: è stato messo a tacere dalla censura, perseguitato dalla dittatura, interrogato un sacco di volte nei sotterranei della repressione feroce.

Ma anche per la sua formazione familiare. Suo padre, Sergio Buarque de Hollanda, che è stato uno degli storici più importanti ed influenti del Brasile, aveva una solida formazione di sinistra. Chico è cresciuto circondato da migliaia di libri e da profondi impegni sociali. E anche se a lui non piace per niente questa definizione, è coerente con la sua storia.

Anche se la sua casa è al nono e ultimo piano di un edificio costruito su una collina di Leblon, a Rio de Janeiro, una zona per privilegiati, sa molto bene che la vita reale non è lì. La vita e la realtà sono un’altra cosa, sono lontane, situate nei veri scenari dell’ingiustizia sociale, delle differenze abissali in questo paese di diseguali.

Tutto questo lo sa e sa anche che dispone di un’unica arma per ribellarsi contro tutto ciò: la parola … scritta o cantata.

Detesta che lo si identifichi come un artista politico. Ma detesta ancora di più la realtà di un paese ingiusto, che deve essere cambiato.

Percorre questa strada con la necessaria determinazione. Per questo ieri era presente alla manifestazione che ha riunito migliaia di persone in un auditorium e che è stato ritrasmesso su schermo gigante nella pubblica piazza.

Forse avrebbe voluto stare in un altro posto, ma conosce bene la responsabilità che gli tocca.

C’è un golpe in marcia e, per lui, è necessario e urgente partecipare alla difesa intransigente della democrazia. “Ancora un golpe, no”. ha detto ricordando l’assalto al potere del 1964; è interessante vedere che la gente che allora non era ancora nata, oggi lo ripete. Almeno per il momento, le nuove canzoni che chiedono nascere dopo il suo libro più recente possono aspettare. Il paese, no.

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