Discorso Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez (Gruppo dei 77+Cina)

Discorso pronunciato da Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez, Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba e Presidente della Repubblica, alla Sessione di apertura del Vertice dei Capi di Stato e di Governo del Gruppo dei 77 e della Cina, sulle attuali sfide dello sviluppo: ruolo della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, presso il Palazzo dei Congressi, il 15 settembre 2023, “Anno 65 della Rivoluzione”.

Eccellenze;

Illustri delegati e ospiti:

Siete tutti calorosamente benvenuti a Cuba, la terra di José Martí, al quale dobbiamo la bella idea che la patria è l’umanità.

Grazie per aver accettato l’invito che ci unisce oggi in difesa del futuro delle grandi maggioranze che costituiscono il grosso di quel grande concetto unificante che è l’umanità.

Come ha annunciato il Ministro degli Esteri cubano alla vigilia del Vertice, questo è un Vertice austero, e spero che perdonerete le mancanze che potrete incontrare. Cuba è letteralmente accerchiata da un blocco di sei decenni e da tutte le difficoltà che derivano da quell’assedio, ora rafforzato.

Naturalmente, dobbiamo anche affrontare le colossali sfide derivanti dall’attuale ingiusto ordine internazionale, ma non siamo gli unici. Quasi 60 anni fa, è stata la comunione delle difficoltà e la speranza di poterle affrontare e superare insieme che ci ha fatto nascere come gruppo. Siamo i 77 e la Cina! E siamo di più!

Come potrete apprezzare in questi giorni, ci mancano molte cose, ma abbiamo sentimenti in abbondanza: sentimenti di amicizia, solidarietà e fratellanza. E abbiamo una volontà più che sufficiente per farvi sentire come in famiglia. Siete tutti a casa vostra!

Potete anche essere certi che faremo del nostro meglio affinché le nostre deliberazioni portino a risultati tangibili, nel clima di solidarietà e cooperazione che rende ancora possibile la missione collettiva.

Il Gruppo dei 77 e la Cina hanno l’immensa responsabilità di rappresentare gli interessi della maggioranza delle nazioni del mondo sulla scena internazionale. Per ragioni storiche e di identità, abbiamo mantenuto il nome originale, ma siamo più, molto più di 77 Paesi. Oggi siamo 134, pari a più di due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite (ONU), dove vive l’80% della popolazione mondiale.

L’incontro a livello di vertice ci offre l’opportunità di deliberare collettivamente e al più alto livello politico per unire i nostri sforzi per difendere gli interessi di queste maggioranze. Ci aiuta a conciliare le posizioni di fronte alle attuali sfide allo sviluppo e al benessere dei nostri popoli. Ma solleva anche degli interrogativi.

Dopo quasi 60 anni di battaglie diplomatiche, nel difficile e a tutt’oggi fallimentare tentativo di trasformare le ingiuste e anacronistiche regole che governano le relazioni economiche internazionali, vale la pena ricordare gli appelli dei nostri leader storici a democratizzare l’Organizzazione delle Nazioni Unite; gli avvertimenti di Fidel Castro che “Domani sarà troppo tardi…”, e una frase indimenticabile del Comandante Hugo Chávez, quando disse che noi presidenti passiamo da un vertice all’altro e i popoli da un abisso all’altro.

Il leader bolivariano ha auspicato incontri veramente utili, da cui possano emergere benefici concreti per i popoli in attesa di soluzioni, sull’orlo dell’abisso in cui siamo stati precipitati dall’egoismo di chi da secoli taglia la torta e ci lascia gli avanzi.

Questo Vertice si svolge in un momento in cui l’umanità ha raggiunto un potenziale scientifico-tecnico inimmaginabile fino a un paio di decenni fa, con una straordinaria capacità di generare ricchezza e benessere che, in condizioni di maggiore uguaglianza, equità e giustizia, potrebbe garantire standard di vita dignitosi, confortevoli e sostenibili a quasi tutti gli abitanti del pianeta.

Se coloriamo lo spazio occupato dai Paesi membri del Gruppo su una mappa del mondo, vedremo due forze che nessuno può vincere: siamo di più e siamo più diversi! Anche il Sud esiste, dicono i versi del poeta uruguaiano Mario Benedetti. Per tutto il tempo in cui il Nord ha accomodato il mondo ai suoi interessi a scapito degli altri, ora tocca al Sud cambiare le regole del gioco.

“È l’ora dei forni, in cui non si vede altro che luce”, come direbbe José Martí. Con la consapevolezza che noi – la stragrande maggioranza dei membri del Gruppo dei 77 – siamo le principali vittime dell’attuale crisi multidimensionale che colpisce il mondo, degli squilibri ciclici del commercio e della finanza internazionale, dello scambio abusivo ineguale, del divario scientifico, tecnologico e di conoscenza, degli effetti del cambiamento climatico e del pericolo di progressiva distruzione ed esaurimento delle risorse naturali da cui dipende la vita sul pianeta, chiediamo l’attesa democratizzazione del sistema di relazioni internazionali.

Sono i popoli del Sud del mondo a soffrire di più per la povertà, la fame, la miseria, la morte per malattie curabili, l’analfabetismo, gli spostamenti umani e altre conseguenze del sottosviluppo. Molte delle nostre nazioni sono definite povere, mentre in realtà dovrebbero essere considerate nazioni impoverite. Dobbiamo invertire questa condizione in cui secoli di dipendenza coloniale e neocoloniale ci hanno fatto sprofondare, perché non è giusto e perché il Sud non deve più sopportare il peso morto di tutte le disgrazie.

Coloro che hanno costruito città sfolgoranti con le risorse, il sudore e il sangue delle nazioni del Sud stanno già soffrendo, e soffriranno ancora di più in futuro, le conseguenze degli squilibri economici e sociali che il saccheggio ha portato, perché stiamo viaggiando sulla stessa nave, anche se alcuni sono passeggeri VIP e altri i suoi servi.

L’unico modo valido perché questa nave-mondo non finisca come il Titanic è la cooperazione, la solidarietà, la filosofia africana dell’Ubuntu, che intende il progresso umano senza esclusioni, dove il dolore e la speranza di ciascuno sono il dolore e la speranza di tutti.

Eccellenze:

Abbiamo proposto come tema di questo Vertice il ruolo della scienza, della tecnologia e dell’innovazione, quali componenti essenziali del dibattito politico associato allo sviluppo.

Lo facciamo nella convinzione che saranno i risultati e i progressi in questo campo a dire, in ultima analisi, se e quando sarà possibile raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile relativi alla fine della povertà, all’azzeramento della fame nel mondo, alla salute e al benessere, all’istruzione di qualità, all’uguaglianza di genere, all’acqua pulita e alle strutture igienico-sanitarie, alla soluzione dei problemi dell’energia, dell’occupazione, della crescita economica, dell’industrializzazione e della giustizia sociale.

Sono assolutamente convinto che senza queste premesse non sarà possibile andare verso uno stile di vita sostenibile, in armonia con le condizioni naturali che garantiscono la vita sul pianeta. Ed è ovvio che il processo di trasformazione verso questi obiettivi implica, in un modo o nell’altro, il ruolo della conoscenza come generatore di scienza, tecnologia e innovazione.

Le barriere internazionali che hanno ostacolato l’accesso dei Paesi in via di sviluppo alla conoscenza e il loro utilizzo di fattori così cruciali per il progresso economico e sociale devono ora essere abbattute.

Mi riferisco a barriere intimamente associate a un ordine economico internazionale ingiusto e insostenibile, che perpetua condizioni di privilegio per i Paesi sviluppati e relega la maggioranza dell’umanità in condizioni di sottosviluppo.

Senza affrontare questi problemi, lo sviluppo sostenibile a cui tutti abbiamo diritto non potrà essere raggiunto in alcun modo, indipendentemente dal numero di obiettivi fissati. Né sarà possibile ridurre l’immenso divario che separa le condizioni di vita privilegiate di un piccolo segmento della popolazione del pianeta, o il sottosviluppo che si sta approfondendo tra la grande maggioranza. Né possiamo essere sicuri di raggiungere un mondo di pace, in cui spariranno guerre e conflitti armati di ogni tipo.

La scienza, la tecnologia e l’innovazione svolgono un ruolo trascendentale nel promuovere la produttività, l’efficienza, la creazione di valore aggiunto, l’umanizzazione delle condizioni di lavoro, la promozione del benessere e la garanzia dello sviluppo umano.

Questa è la più grande rivoluzione scientifica e tecnica che l’umanità abbia mai conosciuto. La scienza ha cambiato il corso della vita. Gli esseri umani sono stati in grado di conoscere lo spazio esterno e di ideare macchine sofisticate che automatizzano anche i processi più elementari legati alla loro esistenza.

Internet ha cancellato i confini spaziali e temporali. Lo sviluppo tecnologico ha permesso di collegare il mondo e di eliminare migliaia di chilometri di distanza alla velocità di un clic. Ha moltiplicato le capacità di insegnamento e di apprendimento, ha accelerato i processi di ricerca e ha dotato l’umanità di capacità insospettate di migliorare le proprie condizioni di vita. Ma queste possibilità non sono disponibili per tutti.

A questo proposito, l’ONUDO ha evidenziato che la creazione e la diffusione di tecnologie avanzate di produzione digitale (PDA) è ancora concentrata a livello globale, con uno sviluppo molto debole nella maggior parte delle economie del Sud. Solo dieci economie – leader nelle tecnologie PDA – sono responsabili del 90% di tutti i brevetti a livello mondiale e del 70% di tutte le esportazioni direttamente collegate[1].

Lungi dal diventare strumenti per colmare il divario di sviluppo e contribuire a superare le ingiustizie che minacciano il destino stesso dell’umanità, tendono a diventare armi per approfondire tale divario, piegare la volontà di molti governi e proteggere il sistema di sfruttamento e saccheggio che per diversi secoli ha alimentato la ricchezza delle ex potenze coloniali e relegato le nostre nazioni a un ruolo subordinato.

Questo spiega perché, nel mezzo del più colossale sviluppo scientifico e tecnico di tutti i tempi, il mondo è tornato indietro di tre decenni in termini di riduzione della povertà estrema e ha registrato livelli di carestia che non si vedevano dal 2005.

Spiega che nel Sud del mondo più di 84 milioni di bambini rimangono fuori dalla scuola e più di 600 milioni di persone sono prive di elettricità; che solo il 36% della popolazione utilizza Internet nei Paesi in via di sviluppo meno sviluppati e senza sbocco sul mare, rispetto al 92% con accesso nei Paesi sviluppati.

Si consideri che il costo medio di uno smartphone è pari ad appena il 2% del reddito mensile pro capite in Nord America, mentre questa cifra sale al 53% in Asia meridionale e al 39% nell’Africa subsahariana. Non si può parlare seriamente di progresso tecnologico o di accesso equo alle comunicazioni di fronte a queste realtà[2].

La transizione energetica avviene anche in condizioni di profonda disuguaglianza, che tende a perpetuarsi. La sproporzione nel consumo di energia tra i Paesi sviluppati – 167,9 gigajoule per persona all’anno – e i Paesi in via di sviluppo – 56,2 gigajoule per persona all’anno – è una conseguenza del divario economico e sociale esistente ed è anche la ragione per cui questo divario continuerà a crescere. Il consumo di elettricità pro capite nei Paesi OCSE è 2,38 volte superiore alla media mondiale e 16 volte superiore a quello dell’Africa subsahariana[3].

Una parte consistente delle malattie più diffuse nei Paesi in via di sviluppo sono quelle prevenibili e/o curabili. L’Organizzazione mondiale della sanità[4] ha dichiarato nel suo Rapporto sulla salute mondiale che, secondo le stime, ogni anno 8 milioni di persone muoiono prematuramente a causa di malattie e condizioni prevenibili. Questi decessi rappresentano circa un terzo di tutte le morti umane che avvengono ogni anno nel mondo.

Abbiamo il dovere di cercare di cambiare le regole del gioco e ci riusciremo solo se mobiliteremo un’azione comune.

Tutti, o quasi, cerchiamo di attrarre investimenti diretti esteri come componente necessaria del nostro sviluppo e della gestione delle nostre economie. A volte raggiungiamo l’obiettivo che questo sia accompagnato da un certo trasferimento di tecnologia. Ma sappiamo che il più delle volte non è accompagnato dal trasferimento di conoscenze e dall’assistenza allo sviluppo delle capacità. Questa assenza fa sì che i Paesi in via di sviluppo siano collocati in fondo alle catene globali del valore e che la loro ricerca in campo sanitario, alimentare, ambientale e in altri settori sia molto limitata o sistematicamente svalutata.

Questo fenomeno si accompagna alla fuga dei talenti o a quella che viene comunemente definita “fuga dei cervelli”: la pratica dei Paesi più sviluppati di beneficiare delle competenze e delle conoscenze dei professionisti che i Paesi in via di sviluppo formano faticosamente, spesso senza alcun sostegno da parte delle nazioni più ricche.

Si tratta di una fuga massiccia e di un contributo finanziario notevole dai Paesi in via di sviluppo a quelli ricchi, molto più grande, tra l’altro, dell’aiuto pubblico allo sviluppo, sulla base di un flusso migratorio devastante per i Paesi sottosviluppati.

Un’altra realtà è la tendenza a brevettare tutto. Si tratta di una pratica che accresce le casse delle grandi imprese transnazionali dei Paesi più potenti e rende più fragili le economie restanti. In questo modo, il dilagante processo di privatizzazione della conoscenza contribuisce ad aumentare il divario e limita l’accesso allo sviluppo.

Si fa pressione sui Paesi in via di sviluppo affinché introducano leggi per proteggere i diritti di proprietà intellettuale, e si dimentica volutamente che molti Paesi industrializzati si sono sviluppati proprio piratando prodotti e tecnologie al di fuori dei loro confini geografici, soprattutto in quelli che oggi sono Paesi in via di sviluppo.

Le domande di brevetto hanno continuato ad aumentare, anche nel bel mezzo della pandemia, nel 2020 dell’1,5% e sono salite alle stelle nel 2021, con una crescita del 3,6%. Le tecnologie legate alla salute hanno continuato a registrare la crescita più rapida tra tutti i settori. Nel 2021, le domande di registrazione di marchi hanno raggiunto i 3,4 milioni a livello globale, con un aumento del 5,5% rispetto al 2020. Tuttavia, la crescita non è stata uniforme per regione: L’Asia ha ricevuto due terzi, il 67,6%, di tutte le domande depositate, grazie soprattutto alla crescita della Cina; il Nord America il 18,5%. Mentre l’Europa con il 10,5%, l’Africa con lo 0,6%, l’America Latina e i Caraibi con l’1,6% e l’Oceania con lo 0,6% hanno rappresentato le quote più basse delle domande totali[5].

Il divario di genere nell’innovazione persiste. Nel periodo 2014-2018, la forza lavoro della ricerca è cresciuta tre volte più velocemente (13,7%) rispetto alla crescita della popolazione globale (4,6%)[6]. Tuttavia, solo un terzo dei ricercatori sono donne. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale, gli uomini rappresentano ancora la grande maggioranza delle persone associate alle invenzioni brevettate in tutto il mondo. Solo il 17% delle persone designate come inventori nelle domande di brevetto internazionale erano donne nel 2021[7].

La privatizzazione della conoscenza pone dei limiti alla circolazione e alla ricombinazione del sapere. Limita il progresso e le soluzioni scientifiche ai problemi. Costituisce un ostacolo significativo allo sviluppo e al ruolo che la scienza, la tecnologia e l’innovazione dovrebbero svolgere in esso. Aggrava le condizioni socio-economiche dei Paesi in via di sviluppo.

Basti pensare che, nel bel mezzo della più grande pandemia che l’umanità abbia mai conosciuto, solo dieci produttori rappresentavano il 70% della produzione di vaccini contro il COVID-19.[8] La pandemia ha illustrato in modo eclatante il costo dell’esclusione scientifica e digitale, mietendo vittime e ampliando il divario tra Nord e Sud.

Di conseguenza, i Paesi in via di sviluppo avevano solo 24 dosi di vaccino ogni 100 persone, mentre i Paesi più ricchi avevano quasi 150 dosi ogni 100 persone.[9] Di fronte all’invito a moltiplicare la solidarietà e a mettere da parte i disaccordi, il mondo ha finito per essere assurdamente più egoista.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha formulato la nota sindrome del 90/10, secondo la quale il 90% delle risorse per la ricerca sanitaria sono destinate alle malattie che causano il 10% della mortalità e della morbilità, mentre quelle che causano il 90% della mortalità e della morbilità hanno solo il 10% delle risorse[10].

All’indomani della pandemia, i nostri Paesi hanno dovuto affrontare circostanze estremamente complesse, che stanno ancora lottando per superare.

Rivolgendosi ai mercati finanziari, i Paesi del Sud hanno dovuto affrontare tassi di interesse fino a otto volte superiori a quelli dei Paesi sviluppati[11]. Circa un quinto delle economie in via di sviluppo ha liquidato più del 15% delle proprie riserve valutarie internazionali per attenuare la pressione sulle valute nazionali[12].

Nel 2022, 25 Paesi in via di sviluppo hanno dovuto destinare più di un quinto del loro reddito totale al servizio del debito pubblico estero,[13] il che equivale a una nuova forma di sfruttamento.

La spesa globale per la ricerca e lo sviluppo tra il 2014 e il 2018 è aumentata del 19,2%, superando il tasso di crescita economica globale del 14,6%. Tuttavia, rimane altamente concentrata, con un contributo del 93% da parte dei Paesi del G20[14].

Le risorse necessarie per una soluzione fondamentale a questi problemi esistono. Solo nel 2022, la spesa militare globale ha raggiunto la cifra record di 2,24 trilioni di dollari, ovvero trilioni di dollari[15]. Quanto si potrebbe fare con queste risorse a vantaggio del Sud del mondo?

Per raggiungere una partecipazione universale e inclusiva all’economia digitale sarà necessario investire almeno 428 miliardi di dollari nei nostri Paesi entro il 2030[16], una richiesta che può essere soddisfatta con appena il 19% della spesa militare globale[17].

Tuttavia, il Sud sembra destinato a vivere delle briciole che il sistema attuale gli ha riservato. Il sostegno finanziario del Fondo Monetario Internazionale ai Paesi meno sviluppati e ad altri a basso reddito dal 2020 alla fine di novembre 2022[18] non supera l’equivalente di quanto la Coca-Cola ha speso solo per la pubblicità del marchio negli ultimi otto anni[19].

Nel frattempo, meno del 2% del già carente Aiuto pubblico allo sviluppo è stato destinato alla scienza, alla tecnologia e alle capacità di innovazione[20].

Secondo le stime, il 9% della spesa militare globale potrebbe finanziare l’adattamento al cambiamento climatico in dieci anni e il 7% sarebbe sufficiente a coprire il costo della vaccinazione universale contro la pandemia[21].

Un’architettura finanziaria internazionale che perpetua tali disparità e costringe il Sud del mondo a vincolare risorse finanziarie e a indebitarsi per proteggersi dall’instabilità che il sistema stesso genera, che allarga le tasche dei ricchi a spese delle riserve dell’80% più povero[22], è senza dubbio un’architettura ostile al progresso delle nostre nazioni. Deve essere demolita, se davvero aspiriamo a ritagliare lo sviluppo della grande massa di nazioni qui riunite.

Eccellenze:

Deve essere un compito prioritario demolire una volta per tutte i paradigmi di ricerca che si limitano agli ambienti e alle prospettive culturali del Nord e che privano la comunità scientifica internazionale di un notevole capitale intellettuale.

Questa tendenza pone una premessa alle nostre nazioni: l’urgenza di ripristinare la fiducia nell’elemento più dinamico delle nostre società: gli esseri umani e la loro attività creativa.

In questo sforzo, il rafforzamento delle capacità è fondamentale per realizzare la promessa della scienza, della tecnologia e dell’innovazione per lo sviluppo sostenibile.

Riconosciamo, a questo proposito, il merito dell’Iniziativa Globale per lo Sviluppo, lanciata dal Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping. Si tratta di una proposta inclusiva, coerente con la necessità di un nuovo ordine internazionale giusto ed equo, che pone lo sviluppo basato sulla conoscenza al suo posto, al centro delle priorità del sistema internazionale.

Pur essendo un Paese in via di sviluppo, gravato da grandi difficoltà economiche, Cuba possiede capacità scientifiche che non vanno sottovalutate e che fanno parte dell’eredità del leader storico della Rivoluzione cubana, il Comandante in capo Fidel Castro Ruz, che, con una visione lungimirante, individuò in questo campo una fonte di potenziale sviluppo.

Abbiamo un sistema di gestione del governo basato sulla scienza e sull’innovazione, che è diventato un importante punto di forza per la conservazione della nostra sovranità, con la sua migliore espressione nella creazione di vaccini propri contro il COVID-19.

Tuttavia, per Cuba, collegare la conoscenza con la soluzione dei problemi di sviluppo è un compito gigantesco, perché questi sforzi devono avvenire nel bel mezzo di un blocco economico, commerciale e finanziario di ferro che comporta limitazioni significative delle risorse.

Per citare un solo esempio, per decisione politica del governo statunitense, molti siti web dedicati alla conoscenza e alla scienza sono specificamente bloccati ai ricercatori cubani.

Non è questa la sede per approfondire l’impatto del criminale blocco economico statunitense sulla nostra economia, sul nostro progresso tecnico-scientifico e sul nostro sviluppo, con un costo umanitario che sta diventando visibile. Ma devo identificarlo come un ostacolo fondamentale, nonostante il quale e sulla base di una ferrea volontà politica, Cuba è stata in grado di raggiungere risultati indiscutibili nella scienza e nell’innovazione.

Vi invito a discutere in questi giorni le sfide dello sviluppo delle nostre nazioni, le ingiustizie che ci tengono lontani dal progresso globale, ma anche il valore della nostra unità e del nostro ricco patrimonio di conoscenze.

Orientiamo le nostre riflessioni alla ricerca di consenso, strategie, tattiche e forme di coordinamento. Portiamo sul tavolo il nostro patrimonio di conoscenze, rafforziamo le sinergie. Mostriamo il valore e la competenza del Sud di fronte a chi cerca di presentarci come una massa amorfa in cerca di carità o assistenza.

Ricordiamo che molte delle nazioni uniche rappresentate dal Gruppo dei 77 e dalla Cina hanno scritto pagine impressionanti di creatività ed eroismo nella storia dell’umanità prima che la colonizzazione e il saccheggio impoverissero i destini di una parte di esse.

Recuperiamo lo spirito combattivo, le conoscenze tradizionali, il pensiero creativo e la saggezza collettiva. Lottiamo per il nostro diritto allo sviluppo, che è anche il diritto di esistere come specie.

Solo allora saremo in grado di competere nella rivoluzione scientifica e tecnica su un piano di parità. Solo allora saremo in grado di prendere il posto che ci spetta in un mondo in cui veniamo relegati allo status di docili fornitori di ricchezza per le minoranze. Compiamo insieme l’onorevole missione di completarlo, migliorarlo, renderlo più giusto e razionale, senza la minaccia permanente di scomparire dai nostri sogni.

Eccellenze:

23 anni fa, in occasione di un incontro come questo, il leader storico della Rivoluzione cubana, Fidel Castro, affermava:

“Per il Gruppo dei 77 l’ora attuale non può essere quella della supplica ai Paesi sviluppati, né della sottomissione, del disfattismo o delle divisioni interne, ma del recupero del nostro spirito combattivo, dell’unità e della coesione intorno alle nostre richieste”.

“Cinquant’anni fa ci è stato promesso che un giorno non ci sarebbe stato un abisso tra i Paesi sviluppati e quelli sottosviluppati. Ci hanno promesso pane e giustizia, e oggi c’è sempre meno pane e sempre meno giustizia”.

La validità di queste parole potrebbe essere interpretata come una sconfitta di ciò che questo gruppo intendeva fare e che non è riuscito a risolvere. Chiedo che vengano prese come una conferma della lunga strada che abbiamo percorso insieme e di tutti i diritti che abbiamo per chiedere i cambiamenti che sono ancora in sospeso.

In omaggio a coloro che hanno creduto e fondato, in nome dei popoli che rappresentiamo, facciamo rispettare le loro voci e le loro richieste!

¡Somos más! ¡Y Venceremos!


[1] ONUDI (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale) (2019). Rapporto sullo sviluppo industriale 2020. L’industrializzazione nell’era digitale. Sintesi. Vienna, UNIDO ID/449. https://www.unido.org/sites/default/files/files/2019-11/UNIDO_IDR2020-Spanish_overview_0.pdf.

[2] Guterres, A. (2023). Prefazione. Our Common Agenda Policy Brief 5: A Global Digital Compact – An Open, Free and Secure Digital Future for All People, maggio, https://www.un.org/sites/un2.un.org/files/our-common-agenda-policy-brief-gobal-digi-compact-es.

[3] (Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE) (IEA Statistics © OCDE/AIE, jea.org/stats/index.asp); Energy Statistics and Balances for Non-OCDE Countries; Energy Statistics for OCDE Countries; and Energy Balances for OCDE Countries. https://datos.bancomundial.org/indicator/EG.USE.ELEC.KH.PC.

[4] Organizzazione Mondiale della Sanità (2004): 10/90 Rapporto sulla ricerca sanitaria 2003-2004 2004. 282 pagine. ISBN 2-940286-16-7.

[5] WIPO (2022). World Intellectual Property Indicators 2022, Ginevra, Svizzera, ISBN: 978-92-805-3463-4 (online), ISSN: 2709-5207 (online). https://www.wipo.int/edocs/pubdocs/en/wipo-pub-941-2022-en-world-intellectual-property-indicators-2022.pdf.

[6] UNESCO (2021). La corsa contro il tempo per uno sviluppo più intelligente, 11 giugno, https://www.unesco.org/reports/science/2021/es.

[7] Per maggiori dettagli si veda: https://amiif.org/mujeres-y-propiedad-intelectual-aceleracion-de-la-innovacion-y-la-creatividad/ (accesso 3 luglio 2023).

[8] Dati ricavati dal sito ufficiale delle Nazioni Unite, https://news.un.org/es/story/2022/11/1516737.

[9] Dati estratti dal rapporto “Financing for Sustainable Development 2022: Closing the financing gap”, della Inter-Agency Task Force on Financing for Development.

[10] Luchetti, M. (2014). La salute globale e il divario 10/90. British Journal of Medical Practitioners, 7(4), 4.

[11] Dati tratti dalla prefazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite al Rapporto sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile 2023.

[12] Rapporto sul finanziamento dello sviluppo sostenibile 2023, Nazioni Unite.

[13] Rapporto sul finanziamento dello sviluppo sostenibile 2023, Nazioni Unite.

[14] UNESCO (2021). The Race Against the Clock for Smarter Development, 11 giugno, https://www.unesco.org/reports/science/2021/es.

[15] Dati tratti dal rapporto Trends in World Military Expenditure 2022 del SIPRI.

[16] Rapporto sul finanziamento dello sviluppo sostenibile 2022, Nazioni Unite.

[17] Calcolato a partire dalla cifra della spesa militare nel 2022 e dalla stima degli investimenti necessari nell’economia digitale.

[18] Rapporto sul finanziamento dello sviluppo sostenibile, 2023, Nazioni Unite, 32,3 miliardi di dollari.

[19] Dati ottenuti dal sito web Statista sulla base delle informazioni pubblicate dalla società Coca Cola. https://es.statista.com/estadisticas/1292278/coca-cola-co-inversion-publicitaria/ (Tra il 2015 e il 2022, la spesa pubblicitaria della società è stata di 31,491 miliardi di dollari).

[20] Dati ricavati dal rapporto “Technology and Innovation 2023” dell’UNCTAD.

[21] OXFAM (2023): 2023 Shadow Report on Climate Finance DOI: 10.21201/2023.621500) www.oxfam.org.

[22] Si riferisce alla popolazione rappresentata dal Gruppo dei 77 e dalla Cina.


Discurso pronunciado por Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez, Primer Secretario del Comité Central del Partido Comunista de Cuba y Presidente de la República, en la Sesión inaugural de la Cumbre de Jefes de Estado y de Gobierno del Grupo de los 77 y China, sobre los Retos actuales del desarrollo: papel de la ciencia, la tecnología y la innovación, en el Palacio de Convenciones, el 15 de septiembre de 2023, “Año 65 de la Revolución”.

 

Excelencias;

Distinguidos delegados e invitados:

Sean todos cálidamente bienvenidos a Cuba, la tierra de José Martí, a quien debemos la hermosa idea de que patria es humanidad.

Gracias por aceptar la invitación que hoy nos une en defensa del futuro de las grandes mayorías que conforman el grueso de ese grande y unificador concepto que es humanidad.

Como anunció el Canciller cubano en las vísperas, esta es una Cumbre austera, y espero que disculpen las carencias con las que puedan tropezar. Cuba está literalmente cercada por un bloqueo de seis décadas y por todas las dificultades que se derivan de ese cerco, ahora reforzado.

Enfrentamos también, por supuesto, los colosales desafíos que son consecuencia del injusto orden internacional vigente; pero no somos los únicos. Hace casi 60 años fue la comunión de dificultades y la esperanza de que juntos podríamos enfrentarlos y vencerlos, lo que nos hizo nacer como grupo. ¡Somos los 77 y China!  ¡Y somos más!

Como apreciarán en estos días, carecemos de muchas cosas, pero nos sobran sentimientos: de amistad, de solidaridad y de hermandad.  Y nos sobra voluntad para hacerlos a ustedes sentirse en familia. ¡Todos están en casa!

Cuenten también con la garantía de que haremos todo para que nuestras deliberaciones conduzcan a resultados tangibles, en el clima de solidaridad y cooperación que hace posible todavía la misión colectiva.

El Grupo de los 77 y China tiene la inmensa responsabilidad de representar en la escena internacional los intereses de la mayoría de las naciones del planeta. Por razones históricas e identitarias conservamos el nombre original, pero somos más, muchos más que 77 países. Hoy somos 134, lo que equivale a más de las dos terceras partes de los Estados miembros de la Organización de las Naciones Unidas (ONU), donde vive el 80 % de la población mundial.

Reunirnos a nivel cumbre nos brinda la oportunidad de deliberar en colectivo y al más alto nivel político para aunar esfuerzos en defensa de los intereses de esas mayorías. Nos ayuda a conciliar posiciones frente a los retos actuales para el desarrollo y el bienestar de nuestros pueblos. Pero también nos impone cuestionamientos.

Tras casi 60 años de batallas diplomáticas, en el difícil y hasta hoy muy infructuoso intento de transformar las reglas injustas y anacrónicas que rigen las relaciones económicas internacionales, vale recordar los llamados de nuestros líderes históricos a democratizar la Organización de las Naciones Unidas; las advertencias de Fidel Castro de que “Mañana será demasiado tarde…”, y una frase inolvidable del Comandante Hugo Chávez, cuando dijo que los presidentes andamos de cumbre en cumbre y los pueblos de abismo en abismo.

Abogaba el líder bolivariano por reuniones realmente útiles, de las que pudieran emerger beneficios concretos para los pueblos que esperan soluciones, al borde del abismo en que nos ha sumido el egoísmo de quienes llevan siglos cortando el pastel y dejándonos las sobras.

Esta Cumbre ocurre en momentos en que la humanidad ha alcanzado un potencial científico-técnico, inimaginable hace un par de décadas, con una capacidad extraordinaria para generar riqueza y bienestar que, en condiciones de mayor igualdad, equidad y justicia, podría asegurar niveles de vida dignos, confortables y sostenibles para casi todos los pobladores del planeta.

Si coloreamos el espacio que ocupan las naciones miembros del Grupo en un mapamundi, veremos dos fuerzas que nadie supera: ¡Somos más y somos más diversos! El Sur también existe, dicen los versos del poeta uruguayo Mario Benedetti.  Por todo el tiempo en que el Norte acomodó al mundo a sus intereses para mal del resto, ya toca al Sur cambiar las reglas del juego.

“Es la hora de los hornos, en que no se ha de ver más que la luz”, diría José Martí. Con el derecho que nos asiste por ser –la gran mayoría de los miembros del Grupo de los 77– las víctimas principales de la actual crisis multidimensional que sufre el mundo, de los desajustes cíclicos del comercio y las finanzas internacionales, del abusivo intercambio desigual, de la brecha científica, tecnológica y del conocimiento; de los efectos del cambio climático y del peligro de destrucción progresiva y el agotamiento de los recursos naturales de los que depende la vida en el planeta, exigimos ya la democratización pendiente del sistema de relaciones internacionales.

Son los pueblos del Sur los que más padecen pobreza, hambre, miseria, muertes por enfermedades curables, analfabetismo, desplazamientos humanos y otras consecuencias del subdesarrollo. Muchas de nuestras naciones son llamadas pobres, cuando en realidad deberían considerarse naciones empobrecidas. Y es preciso revertir esa condición en que nos sumieron siglos de dependencia colonial y neocolonial, porque no es justo y porque no soporta ya el Sur el peso muerto de todas las desgracias.

Los que levantaron ciudades deslumbrantes con los recursos, el sudor y la sangre de las naciones del Sur, sufren ya, y sufrirán más en lo adelante, las consecuencias de los desequilibrios económicos y sociales que propició el saqueo, porque viajamos en la misma nave, aunque algunos sean pasajeros VIP y otros sus servidores.

El único camino válido para que esta nave-mundo no termine como el Titanic es la cooperación, la solidaridad, la filosofía africana del Ubuntu, que entiende el progreso humano sin exclusiones, donde el dolor y la esperanza de cada uno sean el dolor y la esperanza de todos.

Excelencias:

Hemos propuesto como tema de esta Cumbre el papel de la ciencia, la tecnología y la innovación, como componentes esenciales del debate político asociado al desarrollo.

Lo hacemos convencidos de que los logros y avances en ese campo son los que dirán a la postre si es posible y cuándo alcanzar los Objetivos de Desarrollo Sostenible relacionados con el fin de la pobreza; el hambre cero en el mundo; la salud y el bienestar; la educación de calidad; la igualdad de género; el agua limpia y el saneamiento; la solución a los problemas de la energía, el trabajo, el crecimiento económico, la industrialización y la justicia social.

Tengo la más absoluta convicción de que tampoco será posible avanzar hacia un modo de vida sostenible, en armonía con las condiciones naturales que garantizan la vida en el plantea, sin esas premisas. Y es obvio que el proceso transformador hacia el logro de esos objetivos contempla, de una forma u otra, el papel del conocimiento como generador de ciencia, tecnología e innovación.

Es preciso derribar ya las barreras internacionales que han obstaculizado el acceso al conocimiento por los países en desarrollo y el aprovechamiento, por parte de ellos, de factores tan determinantes para el avance económico y social.

Hablo de barreras íntimamente asociadas a un orden económico internacional injusto e insostenible, que perpetúa condiciones de privilegio para los países desarrollados y relega a condiciones de subdesarrollo a una parte mayoritaria de la humanidad.

Sin atender esos temas no se podrá alcanzar de ningún modo el desarrollo sostenible al que todos tenemos derecho, por más metas que se pongan. Ni se podrá estrechar la inmensa brecha que separa las condiciones de vida privilegiadas de un segmento reducido de la población del planeta, ni el subdesarrollo que se profundiza entre las grandes mayorías. Tampoco se podrá confiar en que alcanzaremos un mundo de paz, en el que desaparezcan las guerras y los conflictos armados de todo tipo.

La ciencia, la tecnología y la innovación desempeñan un papel trascendental en la promoción de la productividad, la eficiencia, la creación de valor agregado, la humanización de las condiciones de trabajo, el impulso del bienestar y la garantía del desarrollo humano.

Estamos ante la mayor revolución científico-técnica que ha conocido la humanidad. La ciencia ha modificado el curso mismo de la vida. El ser humano ha sido capaz de conocer el espacio sideral e ingeniar sofisticadas máquinas que automatizan hasta los procesos más elementales asociados a su existencia.

Internet ha borrado los límites espaciales y temporales. El desarrollo tecnológico ha permitido conectar al mundo y eliminar miles de kilómetros de distancia a la velocidad de un clic. Ha multiplicado las capacidades de enseñanza y aprendizaje, acelerado los procesos investigativos y dotado al género humano de capacidades insospechadas para mejorar sus condiciones de vida. Pero estas posibilidades no están al alcance de todos.

Al respecto, la ONUDI ha resaltado que la creación y difusión de las tecnologías de producción digital de avanzada (PDA) sigue concentrada a nivel mundial, con un desarrollo muy débil en la mayoría de las economías del Sur.  Solo diez economías –punteras en tecnologías de PDA– son responsables de un 90 % de todas las patentes mundiales y de un 70 % del total de exportaciones directamente relacionadas con las mismas.

Lejos de convertirse en herramientas para cerrar la brecha del desarrollo y contribuir a superar las injusticias que amenazan el propio destino de la humanidad, tienden a convertirse en armas para profundizar esa brecha, doblegar la voluntad de muchos gobiernos y proteger el sistema de explotación y saqueo que durante varios siglos ha alimentado la riqueza de las antiguas potencias coloniales y relegado a nuestras naciones a un papel subalterno.

Eso explica que, en medio del más colosal desarrollo científico-técnico de todos los tiempos, el mundo haya retrocedido tres décadas en materias de reducción de la pobreza extrema y se registren niveles de hambruna no vistos desde 2005.

Explica que en el Sur más de 84 millones de niños permanezcan sin escolarizar y más de 600 millones de personas sin electricidad; que solo el 36 % de la población utilice Internet en los países menos adelantados y en las naciones en desarrollo sin litoral, frente al 92 % con acceso en los países desarrollados.

Tómese en cuenta que el costo medio de un teléfono inteligente apenas representa el 2 % de los ingresos mensuales per cápita en Norteamérica, mientras esta cifra asciende al 53 % en el sur de Asia y al 39 % en África Subsahariana.  No se puede hablar seriamente de avance tecnológico o de acceso equitativo a las comunicaciones ante estas realidades.

La transición energética transcurre también en condiciones de una profunda desigualdad, que tiende a perpetuarse. La desproporción en el consumo energético entre los países desarrollados –167,9 gigajulio por persona al año– y en vías de desarrollo –56,2 gigajulio por persona al año– es consecuencia de la brecha económica y social existente y también causa de que esta brecha continúe creciendo.  El consumo de electricidad per cápita en los países de la OCDE es 2,38 veces mayor que la media mundial y 16 veces mayor que el de África Subsahariana.

Una parte sustancial de las enfermedades, más prevalentes en los países en desarrollo, son aquellas que son prevenibles y/o tratables. La Organización Mundial de la Salud declaró en su informe de salud mundial que se estima que 8 millones de personas mueren prematuramente, cada año, a causa de enfermedades y afecciones que pueden curarse. Estas muertes son aproximadamente un tercio de todas las muertes humanas en el mundo cada año.

Tenemos el deber de intentar cambiar las reglas del juego y solo lo lograremos si movilizamos la acción conjunta.

Todos o casi todos tratamos de atraer la inversión extranjera directa como componente necesario de nuestro desarrollo y del manejo de nuestras economías.  En ocasiones alcanzamos el objetivo de que esta venga acompañada de cierta transferencia de tecnología. Pero sabemos que lo más frecuente es que no se acompañe de la transferencia de conocimientos y de ayuda para la creación de capacidades. Esa ausencia conduce a que los países en desarrollo se ubiquen en los eslabones más bajos de las cadenas globales de valor, y que sus investigaciones en salud, alimentos, medio ambiente y otras resulten muy limitadas o padezcan una devaluación sistemática.

Este fenómeno ocurre junto al drenaje de talentos o lo que comúnmente se denomina “robo de cerebros”, o sea, la práctica de los países más desarrollados de beneficiarse de la preparación y el conocimiento de profesionales que los países en desarrollo forman con mucho esfuerzo, regularmente sin respaldo alguno de las naciones más ricas.

Es ese un drenaje masivo y un aporte financiero notable que hacen los países en desarrollo a los ricos, mucho mayor, por cierto, que la Ayuda Oficial al Desarrollo, sobre la base de un flujo migratorio que es devastador para los países subdesarrollados.

Otra realidad es la tendencia a patentarlo todo.  Es esta una práctica que incrementa las arcas de las grandes empresas transnacionales en los países más poderosos y hace más frágiles a las restantes economías. De ese modo, el galopante proceso de privatización del conocimiento contribuye a ampliar la brecha y limita así el acceso al desarrollo.

Se presiona a los países en desarrollo para que introduzcan leyes de protección de los derechos de propiedad intelectual, y se olvida con todo propósito que muchos países industrializados se desarrollaron precisamente pirateando productos y tecnologías fuera de sus fronteras geográficas, especialmente en los que hoy son países en desarrollo.

Las solicitudes de patente siguieron aumentando, incluso en medio de la pandemia, en 2020 en 1,5 %, y se dispararon en 2021 creciendo un 3,6 %.  Las tecnologías relacionadas con la salud continuaron registrando el crecimiento más rápido entre todos los sectores.  Durante 2021, las solicitudes de marcas alcanzaron 3,4 millones a nivel mundial, aumentando 5,5 % con respecto a 2020. Sin embargo, fue desigual por regiones: Asia recibió dos tercios, el 67,6 %, de todas las solicitudes presentadas impulsadas principalmente por el crecimiento en China; América del Norte, el 18,5 %. Mientras que Europa con el 10,5 %, África el 0,6 %, América Latina y el Caribe el 1,6 % y Oceanía el 0,6 % representaron los más bajos porcentajes del total de solicitudes.

La brecha de género en la innovación persiste. El personal dedicado a la investigación aumentó a un ritmo tres veces más rápido, un 13,7 %, que el crecimiento de la población mundial, 4,6 %, en el periodo 2014-2018. Sin embargo, solo un tercio de los investigadores son mujeres. Según la Organización Mundial de la Propiedad Intelectual, los hombres siguen representando una gran mayoría de las personas asociadas a las invenciones patentadas en el mundo. Solo el 17 % de las personas designadas como inventoras en las solicitudes internacionales de patentes eran mujeres en 2021.

La privatización del conocimiento pone límites a la circulación y recombinación del mismo. Plantea limitaciones al progreso y las soluciones científicas de los problemas. Constituye una barrera significativa para el desarrollo y el papel que en él deben desempeñar la ciencia, la tecnología y la innovación. Agrava las condiciones socioeconómicas en los países en desarrollo.

Baste señalar que en medio de la mayor pandemia que ha conocido la humanidad, solo diez fabricantes concentraron el 70 % de la producción de vacunas contra la COVID-19. La pandemia evidenció con crudo realismo el costo de la exclusión científica y digital, que cobró vidas y amplió las distancias entre el Norte y el Sur.

Como resultado, los países en desarrollo solo llegaron a disponer de 24 dosis de vacunas por cada 100 habitantes, mientras los más ricos disponían de casi 150 dosis por cada 100 personas.  Ante el llamado a multiplicar la solidaridad y apartar las desavenencias, el mundo terminó siendo absurdamente más egoísta.

La Organización Mundial de la Salud ha formulado el conocido síndrome 90/10, según el cual el 90 % de los recursos de la investigación en salud se dedican a las enfermedades que producen el 10 % de la mortalidad y la morbilidad, mientras las que generan el 90 % de estas solo disponen del 10 % de los recursos.

Tras la pandemia, nuestros países han debido atravesar por circunstancias sumamente complejas, en las que aún pelean duramente para salir a flote.

Al acudir a los mercados financieros, las naciones del Sur se han enfrentado a tasas de interés hasta ocho veces superiores a las de los países desarrollados.  Alrededor de una quinta parte de las economías en desarrollo liquidaron más del 15 % de sus reservas internacionales de divisas para amortiguar la presión sobre las monedas nacionales.

En 2022, 25 naciones en desarrollo tuvieron que dedicar más de una quinta parte de sus ingresos totales al servicio de la deuda externa pública, lo que equivale a una nueva forma de explotación.

El gasto mundial en investigación y desarrollo, entre 2014 y 2018 aumentó un 19,2 %, superando el ritmo de crecimiento de la economía mundial del 14,6 %.  Sin embargo, continúa altamente concentrado, pues el 93 % lo aportan los países integrantes del G20.

Los recursos necesarios para la solución de fondo a estos problemas existen.  Solo en 2022, el gasto militar mundial alcanzó la cifra récord de 2,24 billones, o sea, millones de millones de dólares. ¿Cuánto pudiera hacerse con esos recursos en beneficio del Sur?

Lograr la participación universal e inclusiva en la economía digital requerirá invertir en nuestros países, como mínimo, 428 000 millones de dólares para 2030, demanda que puede cubrirse con apenas el 19 % del gasto militar global.

Sin embargo, el Sur pareciera destinado a vivir de las migajas que el actual sistema tiene reservadas para él. El apoyo financiero del Fondo Monetario Internacional a los países menos adelantados y otros de renta baja, desde 2020 hasta finales de noviembre de 2022, no sobrepasa el equivalente a lo que ha gastado la empresa Coca-Cola solo en la publicidad de su marca en los últimos ocho años.

Mientras tanto, menos del 2 % de la ya deficiente Ayuda Oficial al Desarrollo se ha dedicado a capacidades de ciencia, tecnología e innovación.

Estimaciones realizadas indican que el 9 % del gasto militar mundial podría financiar en diez años la adaptación al cambio climático, y el 7 % sería suficiente para cubrir el gasto de vacunación universal contra la pandemia.

Una arquitectura financiera internacional que perpetúa semejantes disparidades y obliga al Sur a inmovilizar recursos financieros y a endeudarse para protegerse de la inestabilidad que el propio sistema genera, que ensancha los bolsillos de los ricos a expensas de las reservas del 80 % más pobre, es, sin duda, una arquitectura hostil al progreso de nuestras naciones. Debe demolerse, si realmente se aspira a labrar el desarrollo de la gran masa de naciones aquí reunidas.

Excelencias:

Debe ser tarea prioritaria derribar de una vez los paradigmas de investigación que se limitan a los entornos culturales y las perspectivas del Norte, y que privan a la comunidad científica internacional de un capital intelectual considerable.

Esta tendencia plantea una premisa para nuestras naciones: la urgencia de rescatar la confianza en el elemento más dinamizador de nuestras sociedades: el ser humano y su actividad creativa.

En este empeño, la creación de capacidad es clave para hacer realidad las promesas que la ciencia, la tecnología y la innovación entrañan para el desarrollo sostenible.

Reconocemos, en este sentido, el mérito de la Iniciativa para el Desarrollo Global, impulsada por el presidente de la República Popular China, Xi Jinping. Es una propuesta inclusiva y coherente con la necesidad de un nuevo orden internacional justo y equitativo, que coloca al desarrollo basado en el conocimiento donde corresponde, en el centro de las prioridades del sistema internacional.

Aun siendo un país en desarrollo y lastrado por grandes dificultades económicas, Cuba cuenta con capacidades científicas que no se deben subestimar y que son parte del legado del líder histórico de la Revolución Cubana, el Comandante en Jefe Fidel Castro Ruz, quien, con visión de adelantado, identificó en este campo una fuente potenciadora del desarrollo.

Disponemos de un sistema de gestión de gobierno basado en ciencia e innovación, que ha devenido en importante fortaleza para la preservación de nuestra soberanía, con su mejor expresión en la creación de vacunas propias cubanas contra la COVID-19.

No obstante, para Cuba, conectar el conocimiento con la solución de los problemas del desarrollo es una tarea de gigantes, porque esos esfuerzos deben transcurrir en medio de un férreo bloqueo económico, comercial y financiero que resulta en notables limitaciones de recursos.

Por solo citar un ejemplo, por decisión política del Gobierno de los Estados Unidos, muchos sitios de la red dedicados al conocimiento y la ciencia están específicamente bloqueados para los investigadores cubanos.

No es este el escenario para extenderme sobre el impacto que el criminal bloqueo económico de los Estados Unidos ejerce sobre nuestra economía, nuestro progreso científico-técnico y nuestro desarrollo, con un costo humanitario que se hace visible. Pero debo identificarlo como un obstáculo fundamental, a pesar del cual y sobre la base de una férrea voluntad política, Cuba ha tenido la capacidad de alcanzar resultados indiscutibles en la ciencia y la innovación.

Los invito a discutir estos días sobre los retos del desarrollo de nuestras naciones, de las injusticias que nos apartan del progreso global, pero también del valor de nuestra unidad y de todo nuestro rico caudal de conocimientos.

Dirijamos nuestras reflexiones a la búsqueda de consensos, estrategias, tácticas y formas de coordinación. Pongamos sobre la mesa todo nuestro acervo, potenciemos las sinergias. Mostremos la valía y la experticia del Sur frente a los que pretenden presentarnos como una masa amorfa en busca de caridad o de asistencialismos.

Recordemos que muchas de las singulares naciones que representa el Grupo de los 77 y China escribieron impresionantes páginas de creatividad y heroísmo en la historia de la humanidad antes de que la colonización y el saqueo empobrecieran los destinos de una parte de ellos.

Recuperemos ese espíritu de lucha, el conocimiento tradicional, el pensamiento creativo y la sapiencia colectiva. Luchemos por nuestro derecho al desarrollo, que es también el derecho a existir como especie.

Solo así estaremos en condiciones de concurrir a la revolución científico-técnica en pie de igualdad. Solo así seremos capaces de ocupar el lugar que nos pertenece en este mundo donde nos pretenden relegar a la condición de mansos aportadores de riqueza para minorías. Cumplamos juntos la honrosa misión de completarlo, mejorarlo, hacerlo más justo y racional, sin que pese sobre nuestros sueños la amenaza permanente de desaparecer.

Excelencias:

Hace 23 años, en una reunión como esta, el líder histórico de la Revolución Cubana, Fidel Castro, afirmó:

“Para el Grupo de los 77 la hora actual no puede ser de ruegos a los países desarrollados, ni de sumisión, derrotismo o divisiones internas, sino de rescate de nuestro espíritu de lucha, de la unidad y cohesión en torno a nuestras demandas.

“Nos prometieron hace cincuenta años que un día no habría abismo entre países desarrollados y subdesarrollados.  Nos prometieron pan y justicia, y hoy hay cada vez menos pan y menos justicia”.

La vigencia de esas palabras pudieran interpretarse como una derrota de lo que este Grupo pretendía y no ha logrado resolver.  Yo pido que la tomen como una confirmación del largo camino que hemos andado juntos y todos los derechos que nos asisten para exigir los cambios pendientes.

¡En homenaje a los que creyeron y fundaron, en nombre de los pueblos que representamos, hagamos respetar sus voces y reclamos!

¡Somos más!  ¡Y Venceremos!

Muchas gracias 

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