Operazione  di falsa bandiera nell’Esequibo: le piste di Marco Rubio

La cooperazione militare dietro le quinte

Misión Verdad

La vicepresidente esecutiva e ministra degli Idrocarburi, Delcy Rodríguez, ha lanciato l’allarme riguardo a un’operazione di falsa bandiera nelle acque ancora da delimitare tra Venezuela e Guyana.

“Hanno intenzione di attaccare una piattaforma della ExxonMobil in mare dell’Esequibo ancora da delimitare e che la Guyana viola quotidianamente in maniera sfacciata. Attaccando questa piattaforma avranno una giustificazione per aggredire il Venezuela”, ha denunciato l’alta funzionaria venezuelana dallo stato Bolívar il 5 aprile 2025.

In questa manovra sarebbero coinvolti il mercenario USA Erik Prince e María Corina Machado, il che svela il piano per fabbricare un casus belli con l’obiettivo di provocare un’escalation contro il Venezuela.

Inoltre, la Forza Armata Nazionale Bolivariana (FANB) ha dichiarato, tramite un comunicato ufficiale, che si tratta di un altro tentativo di riproporre la formula imperiale del “falso positivo” per attivare un’aggressione diretta o indiretta contro uno Stato sovrano. Nella dichiarazione si sottolinea che il Venezuela, in conformità con il mandato popolare espresso nel referendum del 3 dicembre 2023, ribadisce che l’Esequibo è parte integrante del proprio territorio e che non saranno tollerate provocazioni né violazioni dell’Accordo di Ginevra.

Il 7 aprile, il presidente Nicolás Maduro ha esposto che è in corso la pianificazione di un’operazione segreta coordinata tra dirigenti della ExxonMobil e autorità guyanesi, per simulare un attacco in acque ancora da delimitare.

Gli allarmi

Dall’inizio dell’anno, il Venezuela ha denunciato una serie di incidenti che rivelano un modello di provocazioni sistematiche, con l’obiettivo di costruire una narrativa di vittimismo per giustificare un intervento straniero.

Uno degli episodi più allarmanti si è verificato il 18 febbraio, quando il governo della Guyana ha diffuso la notizia di un presunto attacco da parte di “venezuelani armati” sulle rive del fiume Cuyuní, che avrebbe lasciato sei soldati feriti.

Caracas ha smentito la versione, definendola una “vile montatura” e attribuendola a un’operazione di falsa bandiera per coprire la crescente militarizzazione della zona con l’appoggio degli USA.

Lo stesso presidente venezuelano ha dichiarato recentemente che le persone coinvolte hanno confessato di essere state pagate una cifra enorme e costrette per giorni a portare a termine l’azione prima del 19 febbraio, data di inizio del vertice della Comunità Caraibica (Caricom).

“Ho ufficialmente denunciato a un gruppo di primi ministri di Caricom che tutto ciò stava accadendo”, ha aggiunto il presidente.

Inoltre, in quel momento, le informazioni preliminari indicavano che i feriti non erano truppe regolari, bensì individui legati all’attività mineraria illegale protetti dalle forze guyanesi.

Poco dopo, il presidente Irfaan Ali ha accusato, senza fondamento giuridico, la Marina venezuelana di essere entrata in acque ancora da delimitare, in una chiara strategia di internazionalizzazione del conflitto.

La FANB ha risposto con l’operazione “Generale Domingo Antonio Sifontes”, documentando la presenza di navi straniere al servizio di ExxonMobil in spazi marittimi contestati. Questi fatti dimostrano che quanto denunciato dalla vicepresidente Delcy Rodríguez non è una congettura, bensì un’allerta fondata su una sequenza di provocazioni e distorsioni che prefigurano un’operazione segreta progettata per far salire il livello del conflitto.

A ciò si aggiunge la recente visita in Guyana del segretario di Stato Marco Rubio, la cui retorica bellicista si è concentrata nel definire il Venezuela come un “regime narcotrafficante” con “rivendicazioni territoriali illegittime”. È andato oltre avvertendo che qualsiasi azione venezuelana contro la Guyana o contro gli interessi di ExxonMobil comporterebbe “gravi conseguenze”.

In questo contesto, la presenza di ExxonMobil in acque contese non risponde esclusivamente a interessi economici, ma fa parte di una strategia più ampia di dominazione geopolitica.

Rubio lo ha confermato affermando che gli USA intendono “essere un partner” nella “trasformazione” della Guyana, un eufemismo che nasconde una profonda ingerenza nelle decisioni energetiche, politiche e di sicurezza.

Infatti, negli ultimi mesi, dal sito Misión Verdad sono state documentate sistematicamente le manovre partite dall’enclave guyanese per far salire il conflitto territoriale.

Cosa ha lasciato la visita del segretario: “Cooperazione militare”

La visita di Marco Rubio in Guyana, lo scorso 27 marzo, ha rappresentato un nuovo passo nell’agenda di conflitto promossa dagli USA contro il Venezuela. Sebbene presentata come parte di un giro regionale, la sua tappa a Georgetown aveva come obiettivo centrale consolidare la Guyana come Stato satellite contro Caracas, nel quadro della disputa territoriale sull’Esequibo.

Durante questa visita, Rubio e il presidente guyanese Irfaan Ali hanno firmato un memorandum d’intesa in materia di sicurezza. Il contenuto del documento è rimasto classificato, quindi non è stato reso pubblico né condiviso con l’opinione pubblica.

Tuttavia, le dichiarazioni rese da entrambi i funzionari nella conferenza stampa successiva permettono di intuire la portata e le implicazioni dell’accordo.

L’ex senatore della Florida ha affermato che l’intesa prevede meccanismi di scambio di informazioni, cooperazione militare e persino azioni congiunte per combattere il “crimine organizzato”. Tuttavia, esaminando il linguaggio utilizzato, appare chiaro che uno degli obiettivi principali è rafforzare la presenza USA in Guyana, utilizzando la sicurezza come pretesto.

Questa interpretazione è rafforzata dalle dichiarazioni dell’Inviato Speciale per l’America Latina, Mauricio Claver-Carone, che presentando il giro ha definito i Caraibi come la “terza frontiera degli USA” e ha sottolineato che “tutto ciò [l’era di Petrocaribe] è finita”. Le sue parole alludono direttamente al tentativo di porre fine alla cooperazione energetica venezuelana nella regione e sostituirla con un nuovo schema di dominazione energetica guidato da Washington.

Allo stesso modo Claver-Carone ha insinuato che il viaggio e gli accordi firmati fanno parte di una strategia per garantire il controllo su rotte marittime, nodi energetici e alleanze politiche nei Caraibi, configurando la Guyana come il nuovo enclave USA.

Di conseguenza, dalle dichiarazioni dei funzionari USA si può dedurre che il memorandum miri a rafforzare la presenza militare nel territorio guyanese con la giustificazione della lotta al crimine, ma con fini strategici più ampi. In pratica, la clausola di scambio di informazioni potrebbe autorizzare la detenzione di cittadini venezuelani sulla base di sospetti infondati, utilizzando la figura del “Tren de Aragua” come dispositivo narrativo per giustificare azioni repressive, incluse operazioni coperte o sotto falsa bandiera.

“Credo che se abbiamo informazioni sul fatto che qualcuno è entrato nel loro paese [Guyana] con cattive intenzioni, vogliamo poterle condividere con il loro governo. Abbiamo informazioni su un membro della banda Tren de Aragua del Venezuela. Vogliamo assicurarci di collaborare e condividere notizie. Se abbiamo informazioni che dei narcotrafficanti si stanno stabilendo qui e vogliono farne una base operativa, il che potrebbe generare violenza e guerra, guerra tra bande, vogliamo condividere tutto ciò con voi”, ha dichiarato il segretario di Stato USA.

Rubio è stato esplicito nel dichiarare che gli USA “hanno informazioni” su presunti membri di tale banda e che vogliono “condividerle” con il governo guyanese per “proteggere il paese”.

Il cubano-statunitense, con la sua persistente fissazione sul Venezuela, ha trovato nell’Esequibo uno scenario ideale per proiettare il suo piano destabilizzatore. Il recente accordo di sicurezza con la Guyana si iscrive in una manovra calcolata per rafforzare l’ingerenza di Washington nei Caraibi e consolidare Georgetown come un avamposto militare ed energetico nella sua offensiva regionale contro il Venezuela.

Di cosa tratta realmente la cooperazione militare?

Secondo documenti storiografici, la proiezione del potere USA in America Latina ha adottato la forma di “cooperazione militare interamericana”. Tuttavia, come dimostra il memorandum classificato dell’allora Sottosegretario Aggiunto di Stato Matthews, del 1952, sul progresso della NSC 56/2, l’obiettivo reale era consolidare un’architettura di difesa emisferica subordinata agli interessi strategici di Washington.

Quel documento riconosceva esplicitamente che gli accordi con i paesi latinoamericani erano simili a quelli stipulati con la NATO, e che i suoi compiti difensivi, da svolgersi attraverso piani militari bilaterali segreti, erano pensati per “anticipare aggressioni contro l’emisfero” secondo direttrici stabilite nei “piani di guerra USA”.

Lungi dall’essere un meccanismo orizzontale di collaborazione, la NSC 56/2 impose una logica di standardizzazione armamentistica, vincolando l’accesso a sovvenzioni militari all’accettazione preventiva dello “Schema di Difesa Comune”, che implicava, di fatto, un allineamento automatico alla dottrina difensiva USA.

Inoltre, si scoraggiavano gli acquisti di armi da paesi del “Cortina di ferro” (Blocco dell’Est dopo la II Guerra Mondiale), rivelando fin da subito come Washington usasse la cooperazione militare come strumento di controllo geopolitico, ostacolando le decisioni sovrane dei paesi che cercavano di diversificare le proprie fonti di armamento.

Questo schema si è mantenuto per lungo tempo, come dimostra il rapporto del Tenente Comandante Sandro Samanez (2020) per il Canadian Forces College, che definisce i programmi di sicurezza collettiva USA come strumenti di egemonia regionale mascherati da cooperazione.

Samanez spiega che, dalla reinterpretazione della Dottrina Monroe per giustificare le ingerenze, fino alla creazione di meccanismi multilaterali come il Trattato Interamericano di Assistenza Reciproca (TIAR) o l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) durante la Guerra Fredda, la logica di dominio militare ha prevalso sui principi di reciprocità.

Iniziative come il Plan Colombia, l’Iniciativa Mérida o i programmi di assistenza militare come il Foreign Military Financing (FMF) e International Military Education and Training (IMET) hanno permeato le forze armate latinoamericane, sotto una subordinazione strutturale agli interessi di sicurezza USA.

In questo contesto, la Guyana non solo fa parte di questi programmi di assistenza, ma ha anche espresso la propria disponibilità ad aderire a qualsiasi meccanismo di cooperazione militare con Washington, il che suggerisce che questo paese rappresenti il nuovo anello di una catena storica di subordinazione militare.

L’intenzione dell’agenda regionale di Washington di trasformare quel Paese in uno Stato satellite, sul modello delle ex basi USA a Panama o in Colombia, si inserisce in una strategia più ampia: consolidare un’enclave militarmente affidabile in Sud America, sotto il pretesto della cooperazione, ma con il reale obiettivo di cercare di sorvegliare, accerchiare e intimidire il Venezuela.

La narrazione basata su assistenza e addestramento nasconde l’intento di inserire la Guyana in un complesso militare-industriale regionale sotto la guida USA.

In sintesi, gli attuali sforzi per militarizzare la relazione con la Guyana rappresentano una riproduzione modernizzata dello schema di dominio strutturale delineato già negli anni 50, rafforzato dall’impalcatura istituzionale del dopoguerra e riconfigurato nel XXI secolo.

Rischio di operazione sotto falsa bandiera: un modello ricorrente

I fatti recenti, insieme alle dichiarazioni di Marco Rubio e alla narrazione internazionale sull’incidente nel fiume Cuyuní, suggeriscono la costruzione di uno scenario favorevole allo sviluppo di un’operazione di falsa bandiera.

Il modello è ricorrente nella politica estera USA: costruzione di un racconto basato su una minaccia, provocazione diretta o indotta, vittimizzazione dell’alleato regionale, condanna internazionale e successiva legittimazione di azioni coercitive o militari.

Il segretario di Stato ha avvertito pubblicamente che un’azione venezuelana contro la Guyana o contro ExxonMobil comporterebbe gravi conseguenze, lasciando aperta la porta a un intervento diretto. Contemporaneamente, il governo guyanese ha denunciato presunte aggressioni, prive di riscontri verificabili, mentre la Fuerza Armada Nacional Bolivariana documenta la presenza di imbarcazioni militari e logistiche in acque non delimitate, in violazione del quadro stabilito dall’Accordo di Ginevra.

Il precedente del Golfo del Tonchino (1964) in Vietnam dimostra come la fabbricazione o la manipolazione di un incidente possa essere utilizzata come giustificazione per un’escalation bellica. L’attuale configurazione riproduce elementi di quello schema, con la Guyana che assume il ruolo di proxy regionale per proiettare gli interessi geopolitici USA.

In definitiva, ciò che oggi viene presentato come cooperazione militare con la Guyana è, in realtà, una vecchia strategia di dominio riciclata. Ma questa volta, il copione prevede un nuovo atto: la messa in scena di un’operazione di falsa bandiera che possa accendere la scintilla di un conflitto regionale, con Marco Rubio dietro le quinte.

Non è un’ipotesi: è un copione già in atto. E il Venezuela lo ha già denunciato.


La cooperación militar tras bastidores

Operación de bandera falsa en el Esequibo: las pistas de Marco Rubio

 

La vicepresidenta Ejecutiva y ministra de Hidrocarburos, Delcy Rodríguez, alertó sobre una operación de falsa bandera en aguas pendientes por delimitar entre Venezuela y Guyana.

“Tienen pensado atacar una plataforma de la ExxonMobil en un mar en el Esequibo que está pendiente por delimitar y que Guyana violenta vulgarmente cada día. Al atacar esta plataforma van a tener una justificación para agredir a Venezuela”, denunció la alta funcionarioa venezolana desde el estado Bolívar el 5 de abril. de 2025.

En esta maniobra estaría involucrado el mercenario estadounidense Erik Prince y la María Corina Machado, lo que desnuda la trama de fabricar un casus belli orientado para provocar una escalada contra Venezuela.

Además, la Fuerza Armada Nacional Bolivariana (FANB) afirmó, mediante un comunicado oficial, que se trata de un intento más de reeditar la fórmula imperial del falso positivo para activar una agresión directa o indirecta contra un Estado soberano. En dicho pronunciamiento, se subraya que Venezuela, en consonancia con el mandato popular expresado en el referéndum del 3 de diciembre de 2023, reitera que el Esequibo es parte integral de su territorio y que no se tolerarán provocaciones ni violaciones al Acuerdo de Ginebra.

Este 7 de abril, el presidente Nicolás Maduro, expuso que se está planificando una operación encubierta coordinada entre ejecutivos de la ExxonMobil y autoridades de Guyana, para simular un ataque en aguas por delimitar.

Las alertas

Desde inicios de este año, Venezuela ha denunciado una serie de incidentes que revelan un patrón de provocación sistemática, con el objetivo de construir una narrativa de victimización que justifique una intervención extranjera.

Uno de los antecedentes más alarmantes ocurrió el 18 de febrero, cuando el gobierno de Guyana propagó un supuesto ataque de “venezolanos armados” en la ribera del río Cuyuní, dejando presuntamente seis soldados heridos.

Caracas desmintió la versión, calificándola como un “vil montaje” y atribuyéndola a una operación de falsa bandera para encubrir la creciente militarización del área con apoyo de Estados Unidos.

Incluso, el presidente venezolano informó recientemente que las personas involucradas en eso confesaron que les pagaron una inmensa suma de dinero y que los forzaron durante varios días para que hicieran la acción antes del 19 de febrero, fecha en que daba comienzo la cumbre de la Comunidad del Caribe (Caricom).

“Yo oficialmente denuncié a un grupo de primeros ministros de Caricom que esto estaba aconteciendo”, agregó el mandatario.

Asimismo, en aquel momento, la información preliminar indicó que los heridos no eran tropas regulares sino individuos vinculados a la minería ilegal amparados por fuerzas guyanesas.

Poco después, el presidente Irfaan Ali acusó sin fundamento jurídico a la Armada venezolana de incursionar en aguas que aún están por delimitar, en una clara estrategia para internacionalizar el conflicto.

La FANB respondió con la operación “General Domingo Antonio Sifontes”, documentando la presencia de buques extranjeros, al servicio de ExxonMobil, en espacios marítimos disputados. Estos hechos muestran que lo denunciado por la vicepresidenta, Delcy Rodríguez, no es una conjetura, sino una alerta fundamentada en una secuencia de provocaciones y distorsiones que prefiguran una operación encubierta diseñada para escalar el conflicto.

A esto se le suma la reciente visita a Guyana del secretario de Estado, Marco Rubio, cuya retórica belicista se enfocó en calificar a Venezuela como un “régimen narcotraficante” con “reclamos territoriales ilegítimos”, y fue más allá al advertir que cualquier acción venezolana contra Guyana o contra los intereses de ExxonMobil traería “graves consecuencias”.

En ese marco, la presencia de ExxonMobil en aguas en disputa no responde únicamente a intereses económicos, sino que forma parte de una estrategia más amplia de dominación geopolítica.

Rubio lo confirmó al asegurar que Estados Unidos pretende “ser un socio” en la “transformación” de Guyana, eufemismo que enmascara una profunda injerencia en decisiones energéticas, políticas y de seguridad.

De hecho, en los últimos meses, desde Misión Verdad se ha documentado de forma sistemática las maniobras emprendidas desde el enclave guyanés para escalar el conflicto territorial.

Lo que dejó la visita del secretario: “Cooperación militar”

La visita de Marco Rubio a Guyana, el pasado 27 de marzo, representó un nuevo paso en la agenda de conflicto promovida desde Estados Unidos contra Venezuela. Aunque presentada como parte de una gira regional, su escala en Georgetown tuvo como objetivo central consolidar a Guyana como un Estado satelital contra Caracas, en el marco de la disputa territorial por el Esequibo.

Durante esta visita, Rubio y el presidente guyanés Irfaan Ali firmaron un memorando de entendimiento en materia de seguridad. El contenido del documento permanece clasificado, por lo que no ha sido publicado ni compartido con la opinión pública.

No obstante, las declaraciones ofrecidas por ambos funcionarios en la rueda de prensa posterior permiten inferir los alcances e implicaciones del acuerdo.

El exsenador por Florida afirmó que el entendimiento contempla mecanismos de intercambio de información, cooperación militar e incluso acciones conjuntas para combatir el “crimen organizado”. No obstante, al revisar el lenguaje empleado, queda claro que uno de los principales propósitos es robustecer la presencia estadounidense en Guyana, utilizando la seguridad como pretexto.

Esta interpretación se ve reforzada por los comentarios del Enviado Especial para América Latina, Mauricio Claver-Carone, quien al presentar la gira habló del Caribe como “la tercera frontera de Estados Unidos” y subrayó que “todo eso [la era de Petrocaribe] ha terminado”. Sus palabras aluden directamente al intento de imponer políticas que puedan poner fin de la cooperación energética venezolana en la región y reemplazarla con un nuevo esquema de dominación energética liderado por Washington.

Asimismo, Claver-Carone insinuó que la gira y los acuerdos firmados forman parte de una estrategia para garantizar control sobre rutas marítimas, nodos energéticos y alianzas políticas en el Caribe, configurando a Guyana como el nuevo enclave estadounidense.

Entonces, de acuerdo con las declaraciones ofrecidas por los funcionarios estadounidenses, puede inferirse que el memorando apunta a reforzar la presencia militar el territorio guyanés bajo la justificación del combate al crimen, pero con fines estratégicos más amplios. En la práctica, la cláusula de intercambio de información puede habilitar la detención de ciudadanos venezolanos bajo sospechas infundadas, utilizando la figura del “Tren de Aragua” como dispositivo narrativo para justificar acciones represivas, incluso operaciones encubiertas o de bandera falsa.

“Así que creo que si tenemos información de que alguien ha entrado a su país [Guyana] con malas intenciones, queremos poder compartirla con su gobierno. Tenemos información sobre un miembro de la pandilla Tren de Aragua de Venezuela. Queremos asegurarnos de que tengamos colaboración y compartir noticias. Si tenemos información de que algunos narcotraficantes se están estableciendo aquí y han decidido convertir esto en una base de operaciones, lo cual podría generar violencia y guerra, como guerra entre pandillas, queremos compartirla con ustedes”, declaró el secretario de Estado norteamericano.

Rubio fue explícito al respecto al declarar que Estados Unidos “tiene información” sobre supuestos miembros de dicha banda y que quiere “compartirla” con el gobierno guyanés para “proteger al país”.

El cubano-estadounidense, con su persistente fijación en Venezuela, ha encontrado en el Esequibo un escenario ideal para proyectar su plan desestabilizador. El reciente acuerdo de seguridad con Guyana se inscribe en una maniobra cuidadosamente calculada para afianzar la injerencia de Washington en el Caribe y consolidar a Georgetown como un puesto de avanzada militar y energético en su ofensiva regional contra Venezuela.

¿De qué trata la cooperación militar realmente?

De acuerdo a documentos historiográficos, la proyección de poder de Estados Unidos en América Latina adoptó el ropaje de la “cooperación militar interamericana”. Sin embargo, como muestra el memorándum clasificado del entonces Subsecretario de Estado Adjunto Matthews en 1952 sobre el progreso de la NSC 56/2, el objetivo real ha sido consolidar una arquitectura de defensa hemisférica subordinada a intereses estratégicos de Washington.

Ese documento reconocía explícitamente que los acuerdos con los países latinoamericanos eran similares a los celebrados con la OTAN, y que sus tareas defensivas, a ejecutarse a través de planes militares secretos bilaterales, estaban diseñadas para “anticipar agresiones contra el hemisferio”, bajo directrices establecidas en “planes de guerra estadounidenses”.

Lejos de ser un mecanismo horizontal de colaboración, la NSC 56/2 impuso una lógica de estandarización armamentista, condicionando el acceso a subvenciones militares a la aceptación previa del “Esquema de Defensa Común”, lo que implicaba, en la práctica, alineamiento automático con la doctrina de defensa de Estados Unidos.

Además, se advertía contra las compras de armas a países del “Telón de Acero” (Bloque del Este post Segunda Guerra Mundial), lo que revela tempranamente cómo Washington utilizaba la cooperación militar como herramienta de control geopolítico, vetando las decisiones soberanas de países que buscaran diversificar sus fuentes de equipamiento militar.

Este patrón se ha sostenido a lo largo del tiempo, como demuestra el informe del Teniente-Comandante Sandro Samanez (2020) para el Canadian Forces College, que califica los programas de seguridad colectiva de Estados Unidos como instrumentos de hegemonía regional disfrazados de cooperación.

Explica Samanez que, desde la reinterpretación de la Doctrina Monroe para justificar intervenciones, hasta la consolidación de mecanismos multilaterales como el Tratado Interamericano de Asistencia Recíproca (TIAR) o la Organización de Estados Américanos (OEA) durante la Guerra Fría, la lógica de dominación militar ha primado sobre los principios de reciprocidad.

Iniciativas como el Plan Colombia, la Iniciativa Mérida o los programas de asistencia militar como Foreign Military Financing (FMF) e International Military Education and Training (IMET) han permeado a las fuerzas armadas latinoamericanas, bajo una subordinación estructural a los intereses de seguridad de Estados Unidos.

En este contexto, Guyana no solo forma parte de estos programas de asistencia, sino que también ha expresado su disposición a adherirse a cualquier mecanismo de cooperación militar con Washington, esto sugiere que ese país representa el nuevo eslabón en una cadena histórica de subordinación militar.

La intención de la agenda regional de Washington de convertir a ese país en un Estado satélite, al estilo de las antiguas bases estadounidenses en Panamá o Colombia, se enmarca en una estrategia más amplia: consolidar un enclave militarmente confiable en Suramérica, bajo el pretexto de cooperación, pero con el objetivo real de intentar vigilar, cercar e intimidar a Venezuela.

La narrativa de asistencia y entrenamiento oculta la intención de insertar a Guyana en un complejo militar-industrial regional bajo liderazgo estadounidense.

En suma, los esfuerzos actuales por militarizar la relación con Guyana son una reproducción modernizada del esquema de dominación estructural delineado desde los años cincuenta, reforzado por el andamiaje institucional de la posguerra y reconfigurado en el siglo XXI.

Riesgo de operación de bandera falsa: patrón reiterado

Los hechos recientes, junto con las declaraciones de Rubio y la narrativa internacional en torno al incidente en el río Cuyuní, sugieren la configuración de un escenario susceptible a una operación de bandera falsa.

El patrón es recurrente en la política exterior de Estados Unidos: construcción de un relato de amenaza, provocación directa o inducida, victimización del aliado regional, condena internacional y posterior legitimación de acciones coercitivas o militares.

El secretario de Estado, advirtió públicamente que una acción venezolana contra Guyana o ExxonMobil tendría consecuencias severas, dejando abierta la puerta a una acción directa. Simultáneamente, el gobierno guyanés ha reportado supuestas agresiones, sin respaldo verificable, mientras la FANB documenta la presencia de embarcaciones militares y logísticas en aguas no delimitadas, violando el marco del Acuerdo de Ginebra.

El precedente del Golfo de Tonkín (1964) en Vietnam muestra cómo la fabricación o manipulación de un incidente puede ser utilizada como justificación de escaladas bélicas. La estructura actual replica elementos de aquel esquema, con Guyana funcionando como proxy regional para proyectar intereses geopolíticos estadounidenses.

En definitiva, lo que hoy se disfraza de cooperación militar con Guyana es, en realidad, una vieja estrategia de dominación reciclada. Pero esta vez, el libreto incluye un nuevo acto: el montaje de una operación de bandera falsa que permita encender la chispa de un conflicto regional, con Marco Rubio tras bastidores.

No es una hipótesis, es un guion en marcha. Y Venezuela ya lo ha advertido.

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