Venezuela, Diosdado Cabello svela tutte le trame degli USA

di Geraldina Colotti

Il programma Con el mazo dando, condotto da Diosdado Cabello, presidente dell’Assemblea Nazionale Costituente e vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV) è una vera e propria bestia nera per l’opposizione golpista venezuelana, dentro e fuori il paese. Con estremo rigore giornalistico, Diosdado analizza notizie di prima mano, e mette alla berlina l’evidente cialtroneria della destra e di chi la sostiene.

Uno stile che è andato consolidandosi nel corso degli anni e che sta mettendo alla prova il proprio formato, basato sulla partecipazione del folto pubblico in sala, anche in questi tempi di pandemia, che obbligano alla quarantena.  Durante la recente invasione di mercenari al soldo degli USA, chiamata Operazione Gedeone, tentata via mare e respinta dalle forze bolivariane, Cabello ha deciso di fare una puntata speciale, trasmessa martedì come sempre dalla tv di Stato, VTV.

Ha offerto una primizia giornalistica e una retrospettiva storica delle aggressioni organizzate contro la rivoluzione bolivariana in questi ultimi anni. Rendendo noto il contenuto di un pendrive trovato addosso a un mercenario catturato,

Diosdado ha spiegato cosa avevano in mente i golpisti in caso di vittoria. Si sarebbe creata una giunta di transizione diretta dall’ex generale Raúl Isaías Baduel, un tempo alleato di Hugo Chavez, poi fanatico oppositore, ora detenuto. Suo figlio Adolfo è stato arrestato durante l’attacco via mare e ha già confessato pubblicamente i nomi dei mandanti e dei partecipanti.

Juan Guaidó, l’autoproclamato “presidente a interim” che ha contrattato (e truffato) i mercenari che avrebbero dovuto portare a termine l’operazione, sarebbe stato a capo del Potere Legislativo. Altri ex militari disertori, come il generale di Brigata Héctor Armando Hernández Da Costa, il tenente colonnello Igbert Marín Chaparro e Antonio José Sequea Torres avrebbero a loro volta fatto parte dello schema, che conteneva moltissimi altri nomi, dettagli, “e persino una lista di promozioni”.

Sarebbe stato il coronamento del “mantra” recitato da Guaidó dal momento della sua autoproclamazione, a gennaio del 2019: “fine dell’usurpazione e governo di transizione”. Un progetto che, nonostante i ripetuti fallimenti intercorsi, aveva ricevuto nuovi appoggi nel corso del viaggio compiuto in Europa e negli USA da “Juanito Alimagna”, come lo definisce Diosdado alludendo al personaggio di un noto ladrone.

I piani destabilizzanti guidati dall’”autoproclamato” sono stati numerosi, a partire dal tentativo di invasione mascherato da “aiuto umanitario” tentato alle frontiere del Venezuela con il Brasile e la Colombia, il 23 febbraio del 2019. In quell’occasione, con l’appoggio di miliardari nordamericani, l’opposizione venezuelana aveva organizzato un mega-concerto alla frontiera con la Colombia, poi rivelatosi un flop.

Era comparso allora uno dei protagonisti dell’Operazione Gedeone, Jordan Goudreau, capo dell’impresa privata della sicurezza Silvercorp, con sede nella Florida, nonché scorta del presidente USA, Donald Trump. La determinazione a rimanere libero e indipendente da parte del popolo venezuelano aveva respinto il tentativo di invasione in quella che è passata alla storia come la “battaglia dei ponti”, ma non aveva certo fermato i tentativi destabilizzanti.

Trump disse allora che, contro il Venezuela bolivariano “tutte le opzioni erano sul tavolo”. Diosdado ricapitola in che modo i burattini venezuelani abbiano cercato di applicare quelle opzioni, dentro e fuori il paese. Il presidente Maduro ha denunciato oltre 47 complotti diretti contro l’Aviazione militare bolivariana, senza contare il micidiale sabotaggio alla rete elettrica compiuto il 7 marzo del 2019.

Ma prima, il 30 aprile, Guaidó e il suo compare Leopoldo Lopez avevano tentato un colpo di stato, anche quello fallito. In quell’occasione, erano ricomparsi vecchi golpisti attivi già ai tempi di Chavez. Erano emerse le inequivocabili responsabilità di partiti come Voluntad Popular e Primero Justicia, e la complicità dello stesso arco di forze che aveva organizzato le violente “guarimbas” del 2017, terminate solo dopo la proclamazione dell’Assemblea nazionale Costituente.

Personaggi che si sono riaffacciati nel corso di questi anni, durante i quali la rivoluzione bolivariana è stata messa alla prova della “guerra ibrida” scatenata dagli USA e sostenuta dai loro vassalli in America Latina e in Europa. Dal 2016 a oggi, Diosdado ha contato e illustrato 14 tentativi destabilizzanti con il coinvolgimento di agenti della CIA, di paramilitari colombiani, israeliani e, recentemente, anche brasiliani.

Il 4 agosto del 2018, un attacco con droni telecomandati avrebbe dovuto uccidere il presidente Maduro durante un atto pubblico, che avrebbe provocato una strage di militari e di civili. Fu sventato, come questa volta, dall’unione civico-militare e dalla intelligence popolare, che consentì di evitare il peggio. Sempre lo stesso schema. A tirare le fila, sempre gli stessi burattinai.

Diosdado ha ripercorso le tappe dell’Operazione Gedeone, riprese poi con altri dettagli anche nella seguitissima trasmissione di Mario Silva, La Hojilla. Ha spiegato che le indagini hanno preso avvio da un arsenale di armi trovato in Colombia. Secondo l’ex generale disertore Cliver Alcalá, facevano parte di un carico comprato dall’autoproclamato “presidente a interim” Juan Guaidó per rovesciare Maduro.

Alcalá, che viveva legalmente in Colombia grazie ai suoi rapporti di alto livello con l’amministrazione USA, temendo di essere ucciso aveva rilasciato dichiarazioni in un video, prima di consegnarsi ai funzionari nordamericani antidroga della DEA, esprimendo forte sconcerto per essere stato incluso nella lista dei narcotrafficanti sanzionati da Trump.

Quel contratto per armi e mercenari era poi stato mostrato da Jordan Goudreau durante il programma della giornalista di opposizione Patricia Poleo, confermando le dichiarazioni di Alcalá.  Mario Silva aveva però notato come fossero stati mostrati solo 6 fogli, contenenti le clausole conclusive della contrattazione, che recava anche la firma di un noto avvocato, difensore di grandi narcotrafficanti negli USA. Che cosa nascondevano gli altri fogli?

Probabilmente contenevano i micidiali compiti concreti che avrebbero dovuto svolgere quei mercenari armati fino ai denti. E che non fossero certo dei santarellini lo ha indicato lo stesso Goudreau, minacciando di morte via twitter la giornalista Erika Sanoja, corrispondente di RT a Caracas.

Servendosi dei militari disertori che avevano già organizzato il golpe abortito il 30 aprile del 2019, l’Operazione Gedeone prevedeva vari attacchi al territorio nazionale e alle istituzioni bolivariane, in primo luogo alle sedi degli organismi di sicurezza e di polizia, alle carceri per liberare altri golpisti detenuti, omicidi mirati dei dirigenti chavisti e la cattura del presidente onde riscuotere la taglia messa sulla sua testa da Trump.

Solo che il territorio venezuelano non è una prateria hollywoodiana, ma un paese che ha deciso di difendere la propria indipendenza, affidandosi al socialismo bolivariano. Ad accoglierli, i contractor non hanno perciò trovato folle desiderose di essere liberate dalla “dittatura”, o militari pronti a genuflettersi davanti alla bandiera a stelle e strisce. Hanno incontrato invece la forte determinazione dei pescatori di Chuao, che li hanno circondati a piedi scalzi, ma con le pistole in mano.

“Lavoro, salute, fucile”, aveva detto il 1° Maggio il presidente Maduro, invitando la classe lavoratrice a tenere a portata le armi, per la difesa integrale della nazione. Nel paese vi sono 4 milioni di miliziani e miliziane, mossi – ripete sempre Diosdado – non da interessi materiali, ma dagli ideali collettivi, dalla difesa della pace con giustizia sociale.

Una determinazione, ha aggiunto Mario Silva nel suo programma, che spinge i rivoluzionari a andare fino in fondo, assumendosi le proprie responsabilità. Lo scontro è d’altronde senza quartiere. Durante la Quarta Repubblica, durante le democrazie nate dal Patto di Puntofijo che tanto piacevano agli USA e all’Europa, i guerriglieri venivano torturati e fatti scomparire.

Non andavano però a piangere come stanno facendo ora i parenti dei mercenari golpisti, ha detto ancora Mario Silva, ai quali il governo bolivariano rispetterà nei loro diritti umani. Se c’è uno scontro armato, questo provoca anche delle conseguenze. Nel video diffuso durante la conferenza stampa internazionale del presidente Maduro, un funzionario fa una domanda al mercenario nordamericano Denman, appena catturato.

Gliela pone “da cittadino a soldato”. Gli chiede cosa penserebbe se un gruppo di militari venezuelani andasse nel suo paese per ammazzare il presidente. E lui risponde: “Non mi piacerebbe. Lo considererei un atto di guerra”.

In questo caso, un’aggressione coloniale organizzata per denaro da un esercito potente e codardo che, dopo la batosta che ha ricevuto in Vietnam, che lo ha cacciato definitivamente il 30 aprile del 1975, non ha più osato invadere un territorio per paura di rimanerci impantanato.

Più “comodo” lanciare droni dall’alto o inviare mercenari. Per questo, su suggerimento del dirigente chavista Roy Daza, c’è ora una nuova versione della canzone Bella Ciao, in onore dei pescatori-miliziani che hanno catturato i contractor: Bella Chuao.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.