La Vergine cubana e la Rivoluzione di tutti i fiori

Ricardo Ronquillo www.cubadebate.cu

Sulla retina innocente della mia infanzia è ricamata l’immagine dei tre Magi, incoronata dalla Vergine della Caridad del Cobre, posta su un altare in una delle stanze della casa di guano dei miei nonni.

Mai mancavano fiori profumati su quel tabernacolo che balzava sull’ingenuità del mio discernimento con tutto il suo mistero. Da allora ho cercato di capire l’enigma miracoloso di quella figura, che ho visto replicarsi, con la stessa venerazione, in tante case di quell’umile batey (villaggio) contadino, prima, e dopo in tante altre case cubane.

Quei contadini non erano praticanti devoti di una confessione. La chiesa cattolica più vicina era a chilometri di distanza, ma i mali del corpo e dell’anima trovavano rimedio con singolari “soberanas” spirituali, da 1 a numeri infiniti, a volte provenienti dalla santeria, altre dallo spiritismo, l’acqua magnetizzata di Clavelito, o altre credenze più ancestrali o moderne.

La sua straordinaria religiosità, tuttavia, aveva il filo conduttore del rispetto e del fervore per la Virgen del Cobre, come scoprivo mentre cresceva in maturità. La maggior parte si sentivano identificati oltre che al riparo sotto il suo mantello protettivo.

La Vergine cattolica non era la rappresentazione di una credenza settaria. Nel mio microcosmo rurale, come in altre zone del paese, avevo sincretizzato un sentimentalismo, una spiritualità e una comune umanità -mediante ochun (nome della vergine nella santeria) molte volte-, che faceva sì che quella corona le si adattasse preziosamente alla condizione di Patrona di Cuba, cioè di tutti i cubani, indipendentemente dalla loro classe, condizione o credo.

La sete di approfondire i suoi enigmi e quelli della religione l’ho potuto saziare meglio essendo già un giovane studente di giornalismo all’Università de Oriente. Come l’immagine dei Magi della casa dei nonni, conservo l’impressione estasiata e purificatrice della mia prima visita alla bella Basilica Santuario che, su un promontorio, governa la piccola e pittoresca cittadina di El Cobre.

Benché non eravamo praticanti cattolici, saremmo tornati molte volte sino a quel monumento, a volte per studiare in gruppo ed in altre volte facevamo lunghe incontri protetti dalla vicina presenza della Vergine, con il vecchio sacrestano di quel tempo, che affrontava, con celestiale pazienza, le nostre curiose batterie di domande, da quelle più intime a quelle sociali. Una meravigliosa quiete ci ha fatto sentire lì a nostro agio e sollevati dalle tensioni studentesche.

In questi giorni ho confrontato quella pace, quel senso di comunione per il bene, la concordia ed il buon augurio a cui invita la figura e l’aurea della Vergine cubana con coloro che cercano di prenderla come una maniglia opportunista per fomentare conflitti, scontri sociali ed odi, tirando fuori da antichi sepolcri i conflitti tra politica e religione a Cuba.

Già in qualche articolo in cui si abbordava lo scopo di incoraggiare anche l’odio razziale nel paese, avvertiva che cercano di dividere per qualsiasi motivo ciò che non hanno potuto con la forza. Se nel paese non ci sono sciiti e sunniti, repubbliche a cui incoraggiare l’autonomia, gruppi etnici tra cui inoculare risentimenti, qualcosa servirà lo spezzettamento, immaginano i vecchi elucubratori della segmentazione. Quando si tratta di porre fine alla Rivoluzione, i suoi nemici non sono interessati ad inventarsi una molto caraibica e sovrana nazione “mandinga” o l’arcipelago indipendente Sabana-Camagüey, disse allora.

Privi di originalità, prospettiva e base sociale nell’arcipelago, sono inclini a niente di meno che all’imitazione, cercando di creare parallelismi tra le condizioni che hanno portato ad altre “rivoluzioni fiorite” o intempestive primavere, arabe o di altre regioni.

Tutto questo ci ricorda solo che le caldaie ad olio bollente sono a pieno regime, a giudicare dalle notizie e dalle analisi di certi media anti-cubani che ci prefigurano, l’un o l’altro, inferno o ci annunciano, quasi quotidianamente, i sette cavalieri dell’apocalisse del socialismo creolo.

La svisceratezza con cui si strofinano le mani i rappresentanti della destra va oltre l’essere meschino e calcolatore, ora alimentato dalle dure carenze che il paese deve affrontare per l’effetto combinato della crisi globale provocata dal coronavirus e del blocco economico, commerciale ed finanziario portato a limiti dell’ossessione.

Ma queste pretese hanno un problema di fondo: equiparare il socialismo cubano delle esperienze che sono crollate nell’URSS e nell’Europa orientale. Ignorano che dette cadute sono state la conseguenza degli errori nella concezione e gestione di quei modelli, tra cui l’ortodossia ed il dogmatismo nell’interpretazione della spiritualità dei loro popoli e del senso più profondo della natura e della libertà umana.

Per usare una parola di moda nel paese, socialismo creolo, sta vivendo profondi ed interessanti “aggiornamenti” che vanno oltre ciò che si annunciano, comunemente, nel modello economico. Per questo negli ultimi anni abbondano gli scossoni dei dogmi e l’invecchiamento del condizionamento dottrinario.

Tra i cambiamenti più significativi a Cuba, se ci atteniamo alla sfera strettamente religiosa e che certamente è iniziata prima delle trasformazioni di questi anni, c’è stata la definizione costituzionale del carattere laico del nostro Stato, lasciandosi alle spalle il peso dell’ateismo scientifico, con le modificazioni costituzionali del 1992 e l’approvazione dell’ammissione dei credenti al Partito Comunista nel IV Congresso di quell’organizzazione.

Entrambi i passi erano volti a spogliarci delle negative vestigia dottrinali e di un rinnovato ecumenismo politico, più in sintonia con l’essenza e le esigenze attuali della nazione.

Come ho sottolineato prima, nello stesso quadro stavano, come antecedenti, le idee delineate da Fidel nella sua intervista al frate domenicano brasiliano Frei Betto, pubblicata nel libro ‘Fidel e la religione’, e l’incontro del Comandante in Capo con i dirigenti religiosi nel 1990 un evento che ha segnato soprattutto il rapporto tra Stato e religione nella nostra Patria.

I cubani, come riconosciuto dal combattente della generazione del Centenario Armando Hart, indipendentemente dalle nostre radici e credenze, siamo sempre più interessati a conoscere i principali legami della millenaria storia universale ed a promuovere una cultura senza schemi. Quella cultura di cui il mondo ha bisogno per liberarci dagli angusti concetti generati da una civilizzazione carica di materialismo volgare, e tanto bisognosa dell’accento utopico dei popoli di radici latine, sottolineava.

In momenti come questi, quando il lupo vuole travestirsi da Cappuccetto Rosso, dobbiamo ricordare figure essenziali del nostro complicatissimo divenire nazionale come Cintio Vitier. Nella sua cerimonia funebre si poteva sentire che nella nostra terra non penetrava un cadavere, ma bensì una radice stava rinverdendosi, una connessione scioccante, un filo misterioso tra gli uomini e le epoche che hanno dato a quest’isola il suo cuore sentimentale, e l’hanno innalzata ala sua condizione spirituale: di galante, nobile e sognatrice, elevata all’emancipazione ed al decoro.

Cintio aveva anche sofferto, come Carlos Manuel de Céspedes, il suo “calvario” di incomprensioni. Ma questo non bastava per avvelenarlo, ma per nobilitarlo ed ingigantirlo. Ha saputo perdonare chi se lo meritava.

Come, ha ricordato allora, l’iniziatore de La Demajagua, come il Martiano Vitier, hanno assunto, onestamente e con onore, che il bene della patria è sempre davanti a tutto, compresa la fortuna materiale e la vita.

Il cammino non sarà facile, ma il bagno di fiori trionfale della Rivoluzione cubana è già avvenuto durante una carovana che ha aperto la strada al popolo, tra le collane di Santa Ana, alla giustizia ed alla libertà. Quelle erano anche le belle offerte che i veterani Mambi hanno voluto mettere sotto la protezione della Vergine.

Celebriamolo allora, con i suoi fiori e colori, questo 8 settembre, mentre i tre Magi continuano a regalarci il loro fulgore miracoloso.


La Virgen cubana y la Revolución de todas las flores

Por: Ricardo Ronquillo

En la retina inocente de mi infancia está bordada la imagen de los tres Juanes, coronada por la Virgen de La caridad del Cobre, situada sobre un altar en uno de los cuartos del caserón de guano de mis abuelos.

Nunca faltaban olorosas flores sobre aquel sagrario que saltaba sobre la ingenuidad de mi discernimiento con todo su misterio. Desde entonces intenté entender el enigma milagroso de aquella figura, que vi replicarse con la misma veneración en muchas casas de aquel humilde batey campesino primero, y después en tantos otros hogares cubanos.

Aquellos guajiros no eran practicantes devotos de una confesión. La iglesia católica más cercana estaba a kilómetros, pero los males del cuerpo y del alma encontraban remedio con unas singulares «soberanas» espirituales, desde la 1 hasta números infinitos, algunas veces salidas de la santería, en otras del espiritismo, el agua magnetizada de Clavelito, u otras creencias más ancestrales o modernas.

Su asombrosa religiosidad tenía, sin embargo, el hilo común del respeto y el fervor por la Virgen del Cobre, según fui descubriendo mientras crecía en madurez. La mayoría se sentían identificados a la vez que amparados bajo su manto protector.

La Virgen católica no era la representación de una creencia sectaria. En mi micromundo rural, como en otros espacios del país, había sincretizado una sentimentalidad, una espiritualidad y una humanidad común -ochún mediante muchas veces-, que hacía que le encajara preciosamente esa corona con la condición de Patrona de Cuba, es decir de todos los cubanos, con independencia de su clase, condición o creencias.

La sed por profundizar más en sus enigmas y los de la religión la pude saciar mejor ya siendo un joven estudiante de Periodismo en la Universidad de Oriente. Como la imagen de los Juanes de la casa de los abuelos, conservo la impresión extasiada y purificadora de mi primera visita a la bella Basílica Santuario que, sobre un promontorio, gobierna el pequeño y pintoresco poblado de El Cobre.

Aunque no éramos practicantes católicos, regresaríamos muchas veces hasta aquel monumento, unas veces a estudiar en equipo y en otras sostendríamos largas tertulias al amparo de la cercana presencia de la Virgen, con el viejo sacristán de entonces, que afrontaba con paciencia celestial nuestras curiosas baterías de interrogantes, desde las más íntimas hasta las sociales. Una quietud maravillosa nos hacía sentir allí cómodos y aliviados de las tensiones estudiantiles.

En estos días he comparado esa paz, ese sentido de comunión por el bien, la concordia y la buenaventuranza a que invita la figura y el aurea de la Virgen cubana con quienes intentan tomarla de asidero oportunista para atizar conflictos, confrontaciones sociales y odios, sacando de viejos sepulcros los conflictos entre política y religión en Cuba.

Ya en algún artículo donde abordaba los propósitos de incentivar también el odio racial en el país, alertaba que intentan dividir por cualquier razón lo que no han podido por la fuerza. Si en el país no existen chiitas y sunnitas, repúblicas a las que incentivarles autonomía, etnias entre las cuales inocular rencores, algo servirá para el despedazamiento, imaginan los viejos elucubradores de la segmentación. Cuando se trata de acabar con la Revolución, a sus enemigos no les interesa si inventarse una caribeñísima y soberana nación «mandinga» o el archipiélago independiente Sabana-Camagüey, decía entonces.

Faltos de originalidad, de perspectiva y de base social en el archipiélago, se inclinan nada menos que por la imitación, buscando crear paralelismos entre las condiciones que desembocaron en otras «floridas revoluciones» o intempestivas primaveras, árabes o de otras regiones.

Todo ello no hace más que recordarnos que las calderas de aceite hirviente están a todo vapor, a juzgar por noticias y análisis de determinados medios anticubanos que nos prefiguran uno que otro infierno o nos anuncian casi a diario los siete jinetes del apocalipsis del socialismo criollo.

El desvelo con que se frotan las manos los representantes de la derecha no pasa de ser mezquino y calculador, alimentado ahora por las duras carencias que afronta el país por el efecto combinado de la crisis mundial provocada por el coronavirus y el bloqueo económico, comercial y financiero llevado a límites de obsesión.

Pero dichas pretensiones tienen un mal de fondo: equipar el socialismo cubano con las experiencias que se derrumbaron en la URSS y Europa del Este. Ignoran que dichas caídas fueron la consecuencia de los errores en la concepción y conducción de esos modelos, entre ellos la ortodoxia y el dogmatismo en la interpretación de la espiritualidad de sus pueblos y del más profundo sentido de la naturaleza y la libertad humanas.

Para usar una palabra de moda en el país, el socialismo criollo, está viviendo profundas e interesantes «actualizaciones», que van más allá de las que se anuncian comúnmente en el modelo económico. Por ello abundan en los últimos años los sacudones de dogmas y envejecidos condicionamientos doctrinarios.

Entre los cambios más significativos en Cuba, si nos atenemos al ámbito estrictamente religioso y que por cierto se iniciaron antes de las transformaciones de estos años, estuvieron la definición constitucional del carácter laico de nuestro Estado, dejando atrás el fardo del ateísmo científico, con las modificaciones constitucionales de 1992, y la aprobación del ingreso de los creyentes al Partido Comunista en el IV Congreso de esa organización.

Ambos pasos apuntaron a despojarnos de negativos vestigios doctrinales y a un ecumenismo político renovado, más a tono con las esencias y exigencias actuales de la nación.

Como he apuntado antes, en ese propio ámbito estaban como antecedentes las ideas esbozadas por Fidel en su entrevista con el fraile dominico brasileño Frei Betto, publicadas en el libro Fidel y la religión, y el encuentro del Comandante en Jefe con líderes religiosos en 1990, un evento que marcó especialmente la relación entre el Estado y la religión en nuestra Patria.

Los cubanos, como reconoció el luchador de la generación del Centenario Armando Hart, con independencia de nuestras raíces y creencias, estamos interesados cada vez más en conocer los nexos principales de la milenaria historia universal y en promover una cultura sin esquemas. Esa cultura que necesita el mundo para librarnos de la estrechez de conceptos generados por una civilización cargada de materialismo vulgar, y tan necesitada del acento utópico de los pueblos de raíz latina, subrayaba.

En horas como estas, en que el lobo quiere travestirse de Caperucita, debemos recordar a figuras esenciales de nuestro complejísimo devenir nacional como Cintio Vitier. En su despedida de duelo podía sentirse que en nuestra tierra no penetraba un cadáver, más bien reverdecía una raíz, una estremecedora conexión, un hilo misterioso entre los hombres y las épocas que le dieron a esta isla su entraña sentimental, y la elevaron a su condición espiritual: de gallarda, noble y soñadora, levantada a la emancipación y al decoro.

Cintio había sufrido también, como Carlos Manuel de Céspedes, su propio «calvario» de incomprensiones. Pero este no alcanzó para envenenarlo, sino para ennoblecerlo y agigantarlo. Supo darle perdón a lo que lo merecía.

Como, recordé entonces, el iniciador de La Demajagua, como el martiano Vitier, asumieron, honrada y honrosamente, que el bien de la patria está siempre por delante de todo, incluso la fortuna material y la vida.

El camino no será fácil, pero el baño de flores triunfal de la Revolución cubana ya ocurrió durante una caravana que abrió al pueblo el camino, entre collares de Santa Ana, a la justicia y la libertad. Esas fueron también las ofrendas hermosas que los veteranos mambises quisieron poner también al amparo de la Virgen.

Celebrémoslo entonces, con sus flores y colores, este 8 de septiembre, mientras los tres Juanes siguen devolviéndonos su fulgor milagroso.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.