Dall’11 aprile 2002, il Venezuela sa che Chavez torna sempre, ora reincarnato nel suo popolo
«Chávez, amigo, el pueblo está contigo». È lo stesso se è una pianura, una collina, un luogo selvatico, se è una piccola o un’affollata città.
Quando percorrendo il Venezuela, forestieri e abitanti si fissano nell’espressione, scoprono tra tanti sguardi l’immagine di due occhi all’erta in guerra contro la dimenticanza. La frase e l’immagine riportano ricordi: l’ira popolare di un 11 aprile che ebbe il suo 13.
«Vogliamo Chávez, vogliamo Chávez», esigeva allora la folla. Veniva dalle colline, dalla periferia, dall’umiltà di Caracas; veniva dall’emozione di un popolo che per la prima volta accarezzava e toccava con le proprie mani il sogno che i privilegiati di sempre tentavano di strappargli di nuovo.
Con quel tentativo d’amputazione del futuro, lasciarono senza spoletta il petto del paese: allora detonò il «vogliamo Chávez», detto da milioni.
Una valanga di popolo da fuori le mura del Palazzo di Miraflores fece fiorire l’illusione; Hugo ritornerebbe sorridendo. L’eterna primavera che avvolge Caracas si estese da allora per il Venezuela, e la gente seppe che Chávez ritorna sempre.
Lui stesso conferma il ritorno.
Da dieci anni non occupa uno spazio fisico tra i suoi, fissa la vista nel quotidiano, la gente lo cerca come guardarlo evitasse gli errori, o se il suo sguardo limpido fosse traccia di nuove mete.
Non è un’illusione nata dal Desiderio – certo e crescente – del popolo di Condividere di nuovo con il padrone di quegli occhi una canzone llanera, un abbraccio o una sfida di baseball. Lo comprendono nativi e forestieri riparando in quelle pupille che guardano dalle gigantografie collocate sulle pareti di edifici e istituzioni pubbliche.
Attratto da questo volto che, come disposto a tutto, spunta dall’alto, dal futuro, passando di fronte a Chávez il transeunte rallenta la marcia e cerca lo guardo vigilante, orgoglioso, forse la reincarnazione di Bolívar.
Voci accompagnano l’immagine del Libertador; altre alcune frasi del popolo: «Chávez, sicuro, il mio voto è per Maduro».
Gli increduli diranno che a dieci anni dalla sua dipartita fisica, sotto la frusta quotidiana del gigante delle sette leghe – lo stesso che un 11 aprile 2002 cercò di ucciderlo- già non fa un solco il legato del miglior amico di Cuba.
Ma lui è sempre lì, in quelli ai quali ha restituito la vista, ai quali ha protetto la salute, ha garantito il diritto di scolarizzarsi.
Chávez segnala le rotte, agisce, è irriducibile nella sopravvivenza.