14 giugno 1928 nasce Ernesto Che Guevara. Il Che vive!

“Vorremmo che questa Assemblea si svegliasse e andasse avanti, vorremmo che le Commissioni iniziassero il loro lavoro e non si fermassero al primo scontro. L’imperialismo vuole trasformare questo incontro in un vano torneo oratorio invece di risolvere i gravi problemi del mondo; dobbiamo impedirlo. Questa Assemblea non deve essere ricordata in futuro solo per il numero XIX che la identifica”.

Con queste parole, dopo aver salutato il Presidente e i nuovi membri dell’Organizzazione, Ernesto Che Guevara iniziò il suo memorabile discorso alla Plenaria dell’ONU l’11 dicembre 1964.

Si noti la data. In quegli anni e per molto tempo in seguito, era una tradizione ben rispettata che le Commissioni avessero già terminato il loro lavoro e che i loro risultati fossero esaminati in plenaria, in modo che l’Assemblea potesse concludere i suoi lavori prima della settimana di Natale.

Ma nel 1964, a dicembre, l’Assemblea era ancora nella sua fase iniziale, che normalmente terminava nella prima settimana di ottobre ed era dedicata al cosiddetto “dibattito generale”, la quasi sempre noiosa successione di interventi dei capi delegazione. Quell’anno non si era fatto altro. Grazie a un tortuoso e bizzarro “negoziato”, era stato raggiunto un consenso: nessuna decisione che richiedesse una votazione sarebbe stata presa per evitare una grave crisi che avrebbe minacciato persino la liquidazione dell’ONU.

Il blocco guidato dagli Stati Uniti cercò di privare l’URSS e i suoi alleati del diritto di voto con la motivazione che erano in “arretrato finanziario” (dovevano al bilancio dell’ONU più di due rate annuali), rifiutandosi di pagare l’operazione che pose fine alla vita di Lumumba e all’indipendenza del Congo, come già stavano facendo per le spese sostenute dalla guerra di Corea. Essendo entrambe le azioni illegali, contrarie alla Carta di San Francisco, era giusto rifiutarsi di pagarle e solo i loro unici beneficiari, gli imperialisti, avrebbero dovuto farlo.

Gli Stati Uniti, tra l’altro, hanno sempre goduto di un insultante privilegio finanziario, pagando meno del dovuto in base alla loro capacità, perché la loro quota è limitata e la differenza è a carico di altri Paesi. Ma, cosa ancora più importante, in quanto sede dell’Organizzazione, sono i maggiori beneficiari di quel bilancio e di quello di tutti gli Stati membri, che viene eseguito a New York, dove migliaia di funzionari e dipendenti devono vivere, lavorare, mantenere alloggi e uffici.

La 19a sessione dell’Assemblea è certamente ricordata per quella “crisi”. Ma molto di più per la presenza del Che e per le sue parole dell’11 dicembre, che furono come un campanello d’allarme che scosse un ambiente sottomesso al silenzio, paralizzato dal ricatto e dall’inerzia. Altre voci avrebbero voluto dire quello che ha detto lui, ma non si sono sentite in grado di farlo. La loro volontà si sarebbe però espressa nell’interminabile ovazione che seguì quelle parole, la cui eco palpita ancora nella sala grande e nei corridoi dell’imponente edificio.

Il Che iniziò affrontando il tema della coesistenza pacifica, una questione che all’epoca era oggetto di un intenso dibattito all’interno del movimento rivoluzionario, nel mondo accademico e nel mondo politico in generale. Su questo tema assunse una posizione radicale e la espose in un’ammirevole sintesi. La coesistenza non poteva essere solo tra i potenti, ma doveva abbracciare tutti gli Stati, grandi o piccoli, potenti o deboli. Allo stesso tempo, doveva essere intesa solo come una norma che regolava la condotta degli Stati – il rispetto delle differenze e l’accettazione di una coesistenza armoniosa e non conflittuale – e non poteva essere estesa alla sfera sociale, alle relazioni tra sfruttati e sfruttatori. Si trattava di una questione che nel 1964 aveva un significato del tutto particolare, poneva dilemmi, strade da scegliere a un bivio che avrebbe deciso il corso di un’epoca. Il discorso avrebbe offerto un programma per andare avanti, sarebbe diventato un manifesto per la generazione che stava esplodendo con uno spirito di rinnovamento e sogni che richiedevano una strategia definita e una leadership capace di lottare per conquistarli.

Innanzitutto, quella che la stampa identificava come Indocina. Di recente, nella prima settimana di agosto, si era verificato il cosiddetto incidente del Golfo del Tonchino, l’ennesimo della serie di menzogne e manipolazioni che popolano la storia dell’imperialismo. Secondo il Pentagono, le sue navi dislocate in quel luogo erano state attaccate dalla Repubblica Democratica del Vietnam, scatenando una febbre di guerra che portò, nel giro di una settimana, all’autorizzazione del Congresso a prolungare il conflitto. Iniziarono i bombardamenti massicci e indiscriminati sul Vietnam settentrionale, si intensificò l’intervento statunitense nel sud e si estese al Laos e alla Cambogia. Inizia una guerra su larga scala che si concluderà solo a metà del decennio successivo con l’umiliante sconfitta degli invasori.

Negli Stati Uniti, la lotta contro il razzismo e per l’uguaglianza razziale, stimolata dalle mobilitazioni per l’attuazione della legge sui diritti civili appena promulgata, sarebbe confluita nel movimento pacifista studentesco che avrebbe acquisito forza nella resistenza contro il servizio militare che costringeva i giovani a uccidere e morire in una guerra che non era la loro.

La tragedia del Congo e il ruolo vergognoso svolto dalle Nazioni Unite richiedevano la più urgente solidarietà. Il Che l’ha invocata con energia in un discorso che ha affrontato anche la situazione delle colonie portoghesi e del Sudafrica, della Namibia e di altri territori africani sottoposti al colonialismo e al razzismo. Nessuno è stato dimenticato. Neppure i popoli dei Caraibi che lottavano per la loro indipendenza, come Porto Rico e la Guyana, che portavano ancora il cognome imposto di “britannico”.

Dedicò ulteriore spazio a Porto Rico, rendendo omaggio a Pedro Albizu Campos, morto pochi mesi prima dopo aver trascorso quasi tutta la sua vita rinchiuso nelle carceri yankee e sottoposto a vili torture. Il Che espresse con chiarezza cristallina il nostro impegno per l’indipendenza di Porto Rico, concretizzato dalla presenza accanto a lui di Laura Meneses, vedova di Albizu, e di Juan Juarbe y Juarbe, leader veterano del nazionalismo portoricano, entrambi funzionari della nostra missione permanente e membri della delegazione cubana all’Assemblea Generale.

Anche per l’America Latina il 1964 fu un anno decisivo. Ispirati in larga misura dall’esperienza di successo della Sierra Maestra, diversi movimenti di guerriglia stavano attirando l’attenzione, soprattutto in Colombia, Guatemala e Venezuela. Il primo traeva origine dalla guerra civile scaturita dall’assassinio di Jorge Eliecer Gaitan nel 1948; il secondo aveva le sue radici nel rovesciamento da parte della CIA del governo democratico di Jacobo Arbenz e nella repressione implacabile delle successive tirannie filo-yankee; il terzo era la conseguenza della violenza controrivoluzionaria di un regime che Washington immaginava di poter ergere ad alternativa all’esempio cubano. Il Che ha invocato la massima solidarietà con questi popoli. Dichiarò senza mezzi termini che “le rivoluzioni non si esportano” ma, quando i popoli decidono da soli di intraprendere questa strada, il loro sostegno è un dovere ineludibile.

L’imperialismo, da parte sua, non ha mai smesso di esportare la controrivoluzione. Nel 1964, la campagna per isolare e distruggere il processo avviato da Cuba nel 1959 ha raggiunto il suo culmine. Cinque anni dopo la vittoria di gennaio, Washington era riuscita a far sì che l’OSA ordinasse a tutti i suoi membri di interrompere le relazioni con Cuba. La stessa OSA che rimase complicemente in silenzio di fronte al massacro del popolo panamense, perpetrato dalle truppe yankee nel gennaio 1964, che provocò un’indignazione collettiva tale da costringere il governo dell’Istmo – altrimenti fedele servitore dell’impero – a sospendere da solo i legami diplomatici con gli Stati Uniti.

L’imposizione dell’assedio diplomatico a Cuba – che divenne totale, con la sola eccezione del Messico – ebbe conseguenze molto gravi per i popoli latinoamericani. Per raggiungere questo obiettivo, gli Stati Uniti promossero il rovesciamento dei governi democratici e l’insediamento delle peggiori tirannie. Quel periodo buio della nostra storia iniziò il 31 marzo 1964 con il colpo di Stato che pose fine al governo popolare di Joao Goulart in Brasile e l’insediamento in quel Paese di una dittatura fascista che avrebbe avuto un ruolo disastroso nella successiva promozione di regimi simili. Solo cinque settimane prima del discorso del Che, una cricca militare reazionaria in Bolivia depose Victor Paz Estenssoro e installò una brutale tirannia che il Che stesso avrebbe poi affrontato fino alla sua eroica morte.

L’offensiva antidemocratica di Washington si espresse in tutta la sua crudezza nell’aprile del 1965, quando le sue truppe invasero la Repubblica Dominicana per impedire la reintegrazione al governo del professor Juan Bosch, il primo presidente democraticamente eletto di quel Paese, che era stato rovesciato per ordine dell’impero.

All’assedio diplomatico che stava raggiungendo il suo culmine, l’imperialismo aggiunse altre misure che facevano presagire un’aggressione militare diretta, mentre preparava gruppi mercenari in America Centrale, a Panama e a Porto Rico; moltiplicava i voli di spionaggio con gli aerei U22; intensificava le provocazioni dal territorio usurpato dalla base di Guantánamo – 1323 in 340 giorni, di cui 78 in cui i suoi marines hanno sparato sulle nostre postazioni, come è successo il 19 luglio quando hanno assassinato il compagno Ramón López Peña; e Washington si era appena tolta la maschera “umanitaria” vietando la vendita di medicinali e forniture mediche a Cuba. Tutte cose che il Che denunciò in quella sede.

Ironia della sorte, è stato proprio nell’edificio delle Nazioni Unite che si è manifestato questo comportamento criminale. L’esplosione ha allarmato funzionari e dipendenti che hanno lasciato in fretta i loro uffici. Il fatto finì sulla prima pagina del New York Times, che il giorno dopo fornì dettagli rivelatori. Dall’altra parte del fiume, qualcuno aveva sparato contro la sede dell’ONU usando un bazooka che, secondo il prestigioso giornale, è a disposizione solo delle forze armate. Personaggi di spicco della comunità dell’esilio batistiano hanno salutato l’atto terroristico rammaricandosi solo del fatto che avesse mancato il bersaglio.

In seguito è stato rivelato che l’autore dell’attacco era un gruppo con sede nel New Jersey guidato da un certo Novo Sampoll, il capofila degli autori di numerosi misfatti contro i cubani a New York. Novo ha continuato la sua carriera criminale nella più totale impunità. Oltre a numerosi attentati contro i nostri funzionari all’ONU, ha poi partecipato all’assassinio a Washington di Orlando Letelier ed è stato arrestato a Panama, insieme a Luis Posada Carriles, quando hanno tentato di uccidere Fidel e studenti e professori dell’Università di Panama, per cui sono stati imprigionati fino a quando la signora Moscoso, “Presidente” di quel Paese, li ha graziati. Oggi Novo vive tranquillamente a Miami ed è responsabile del lavoro paramilitare della cosiddetta Fondazione Nazionale Cubano Americana (CANF).

Il Che ha avvertito che Cuba continuerà a resistere, prevarrà contro i suoi nemici e ha annunciato che lo faranno anche i popoli, che ha invitato a moltiplicare la lotta e la solidarietà. Il suo discorso si è concluso con un gran finale che ha portato la lettera e lo spirito della Seconda Dichiarazione dell’Avana in tutto il mondo.

Poi sono arrivate le risposte. Sul rostro sfilarono, timidi e impacciati, diversi portavoce di regimi latinoamericani ormai da tempo consegnati alla pattumiera della storia e qualcuno che parlò a nome degli Stati Uniti (questa volta l’ambasciatore Stevenson preferì tacere). Il Che rispose a ciascuno con una indimenticabile contro-replica.

A uno di coloro che deploravano l’uscita di Cuba dall’”orbita occidentale”, rispose: “I satelliti hanno un’orbita e noi non siamo satelliti. Non siamo in nessuna orbita, siamo fuori dall’orbita”.

E a tutti, con totale sincerità, senza giri di parole, ha avvertito del loro destino:

Se le illustri signore e signori dell’America Latina non si offendono, mi sento un patriota dell’America Latina, di qualsiasi Paese latinoamericano, come chiunque altro e, se necessario, sarei pronto a dare la mia vita per la liberazione di qualsiasi Paese latinoamericano, senza chiedere nulla a nessuno, senza pretendere nulla, senza sfruttare nessuno.

Quando pronunciò quelle parole, stava già preparando la missione internazionalista che avrebbe portato avanti fino alla fine. Chi ha avuto il privilegio di ascoltarlo non immaginava che la storia stesse parlando attraverso di lui.

Fonte: cubarte.cult.cu

Traduzione: italiacuba.it


Le legittime virtù del “Che”

 

La gestione del Comandante Ernesto Che Guevara durante i cinque anni in cui rimase alla guida del Ministero delle Industrie (MINDUS), fu caratterizzata dall’applicazione di azioni tattiche e strategiche fin dalla sua nomina a capo solo due anni dopo il trionfo della Rivoluzione.

Una delle sue priorità era l’analisi economica, con particolare attenzione ai costi e alla disciplina finanziaria, all’inventario dei fondi di base e al loro controllo, all’applicazione degli standard di lavoro, agli investimenti, alla manutenzione e alla formazione.

Le sue richieste sono state oggetto di dibattito nei consigli di amministrazione delle imprese, nelle delegazioni provinciali dell’organizzazione e nelle fabbriche, in vista di una loro rigorosa realizzazione nel mezzo del caos socio-economico lasciato dalla dittatura di Fulgencio Batista.

Questo medico, guerrigliero, comandante dell’Esercito Ribelle, pensatore rivoluzionario marxista e antimperialista, tenero padre e promotore dei movimenti di liberazione nazionale nel Terzo Mondo, si occupava anche di produzione e di economia.

Fu anche fotografo, autore di numerosi testi giornalistici, fondatore di organi di stampa come El Cubano Libre e Radio Rebelde nel cuore della Sierra Maestra, ministro e polemista.

Già nel 1963 la formazione del personale divenne uno dei compiti più importanti della sua organizzazione, come dimostra il fatto che la rivista Nuestra Industria vi dedicò gran parte del numero del 1964, compreso un editoriale, accompagnato da una serie di temi produttivi.

La prima pagina, sotto la voce FORMAZIONE, riportava un servizio sulla Scuola per Amministratori Patricio Lumumba, presso quella che oggi è l’Università Statale dei Quadri, situata nel municipio Boyeros della capitale.

Vicino a questa istituzione, in un palazzo, c’era anche la Scuola di Statistica Julio Roberto Cáceres, El Patojo, un idioma guatemalteco che significa bambino, come definito dallo stesso Che in una memorabile cronaca.

Altre strutture del Paese servirono a promuovere la formazione del personale, tra cui l’Automazione, i Disegnatori meccanici, la Metrologia e l’Alquitex Textile, considerati “centri tecnico-amministrativi che svolgono un’opera educativa encomiabile”.

Nell’ultimo corso del 1964-1965, il “Julio Roberto Cáceres” ricevette la visita inaspettata del Comandante Ernesto Che Guevara, con il suo inseparabile pastore tedesco, chiamato Tormenta.

Con uno stile colloquiale, chiese a cosa servissero le statistiche, e alcuni dei suoi studenti si lasciarono andare a concetti e definizioni tratti dai testi dell’epoca che, forse, essi stessi non capivano.

“Per sapere come vanno le cose”, diceva l’uomo che aveva incoraggiato la costruzione di piccole officine per coprire le necessità dell’Esercito Ribelle e che, alla Mindus, indagava, approfondiva, promuoveva e insegnava la pianificazione, la contabilità e i costi, l’organizzazione, la finanza, i prezzi, i meccanismi di incoraggiamento, la politica dei quadri, i progressi scientifici…

Il 24 febbraio 1961, il Che (14 giugno 1928, Rosario, Argentina – 9 ottobre 1967, La Higuera, Bolivia) fu nominato Ministro dell’Industria e solo tre giorni dopo prestò giuramento come tale per “unificare la pianificazione e l’esecuzione dello sviluppo industriale”, secondo le sue stesse dichiarazioni prima di assumere l’incarico.

Fonte: acn

Traduzione: italiacuba.it


Il Che vive!

 

1928 – La nascita

Ernesto Guevara de la Serna nasce a Rosario, in Argentina, il 14 giugno del 1928, in una famiglia della classe media. Fin da piccolissimo, Ernesto soffre di asma: una condizione che preoccupa moltissimo i suoi genitori e che nel 1933 li induce a decidere di trasferirsi ad Alta Gracia, nel nord del Paese. In questo protetto ambiente di provincia Ernesto trascorre tutta la sua infanzia.

La famiglia di Ernesto è una di quelle dove si parla tanto di politica, dove si pensa che sia necessario prendere una posizione rispetto agli avvenimenti che toccano la collettività o che sollecitano la propria coscienza civile.

Il padre Ernesto Guevara Lynch, liberale di sinistra, legge ai figli i giornali che parlano della guerra in Paraguay; legge le lettere che arrivano dallo zio corrispondente in Spagna per il periodico Crítica di Buenos Aires; e coinvolge il piccolo Ernesto nelle attività di propaganda del comitato antinazista «Acción Argentina ». Anche la madre Celia de la Serna non si sottrae ad appassionate discussioni politiche con il marito e con le altre persone che frequentano la loro casa.

Siamo in un’epoca di grandi cambiamenti. La crisi economica mondiale del 1929 ha serie ripercussioni sui paesi dell’America Latina, le cui economie sono in gran parte basate sull’esportazione di prodotti primari (minerari o agroalimentari) verso i paesi sviluppati. La crisi produce una contrazione degli scambi internazionali, il rattrappirsi dei tradizionali mercati di sbocco e il calo del prezzo delle materie prime.

Di fronte a questa situazione, l’Argentina, cerca di imboccare un altro modello di sviluppo, basato sull’intervento pubblico in economia: è la risposta populista, che propone la nazionalizzazione delle masse popolari – tramite un attivo inserimento nella vita pubblica e un’ inclusione sociale sorretta da misure di welfare e di redistribuzione del reddito –, al fine di creare un mercato interno per l’industria locale in via di sviluppo.

È questo il progetto di modernizzazione incarnato da Juan Domingo Perón, presidente argentino dal 1946 al 1955, quando viene rovesciato da un colpo di stato militare e costretto all’esilio.

1951-1953 – Il primo viaggio

Tra il 1951 e il 1954, Ernesto compie, insieme all’amico Alberto Granados, il suo il suo primo viaggio lungo l’America Latina. Sarà quello noto per i Diari della motocicletta. I due amici, però, si separeranno presto per poi incontrarsi nuovamente l’anno successivo, quando il Che conoscerà Ricardo Rojo, un esule Argentino, insieme al quale comincerà a studiare il processo rivoluzionario in corso nel paese.

«Ciò che prende forma in quell’estate del 1953, dunque – e poi nei mesi e negli anni successivi –, non è più un “viaggio”: è la ricerca della dimensione ideale per cavalcare il risveglio dell’America latina.»

1954 – Il Guatemala

Tra il 1953 e il 1954, il Che inzia ad esercitare la professione di medico, per la quale si è da poco laureato, e comincia a frequentare gli ambienti rivoluzionari creatisi in Guatemala con l’afflusso di ribelli da tutto il Sud America.

In Guatemala vi è una situazione tipica del Sud America: il 78% delle terre è nelle mani del 2% della popolazione. Il paese, di fatto, è una succursale della United Fruit Company, il colosso statunitense della frutta tropicale, con proprietà e bilanci tali da configurarsi come un vero e proprio stato nello stato. Dal 1951, però, il governo legittimamente guidato da Jacopo Arbenz inizia una politica di nazionalizzazione, attraverso la quale colpisce gli interessi costituiti attuando per via democratica trasformazioni che possono rappresentare un esempio per gli altri paesi della regione. “Questo è un paese dove si possono dilatare i polmoni e riempirli di democrazia”, scrive Guevara in una lettera datata 5 gennaio 1954 alla famiglia.

Il 17 giugno del 1954, tuttavia, forze mercenarie pagate dalla United Fruit invadono il Guatemala e mettono a segno un colpo di stato guidato dalla CIA.

In quell’occasione Guevara si arruola nelle brigate sanitarie organizzate dal governo per dare un suo contributo alla difesa del paese dall’aggressione.

1955 – Fidel Castro

Dopo aver assistito al golpe in Guatemala, il Che si rifugia in Messico. È qui che il 9 luglio 1955, nella casa della cubana Maria Antonia Sanchez, incontra una figura decisiva per il suo futuro: Fidel Castro, leader del Movimento 26 luglio che si sta organizzando per dare inizio alla lotta armata contro il dittatore cubano Fulgencio Batista il quale, attraverso due colpi di stato, si era impadronito del potere sull’isola. Fra i due rivoluzionari scatta subito una forte intesa politica e umana.

Oggetto della discussione sarebbe stata l’analisi del continente sudamericano sfruttato dagli statunitensi. All’alba, Fidel propone ad Ernesto di prendere parte alla spedizione per liberare Cuba dal “tiranno”.

1956 – La Rivoluzione cubana

Dopo vari mesi di allenamento, a novembre del 1956, il Che salpa dal Messico sulla nave Granma verso la Sierra Maestra, insieme a 81 uomini. Ha inizio la Rivoluzione cubana.

A fianco di una personalità forte come quella di Castro, Ernesto Guevara si rivela una abile stratega e un indomito guerriero, impeccabile combattente.

Nel corso dei combattimenti, il gruppo guerrigliero cresce e riesce ad ottenere il controllo progressivo del territorio. La stampa internazionale inizia a mostrare interesse per quei giovani barbuti e in particolare per un argentino che ricopriva un ruolo di comando.

1958-1959 – La battaglia di Santa Clara

La battaglia di Santa Clara, combattuta tra il 29 dicembre 1958 e il 1 gennaio 1959, condotta personalmente da Guevara, diede il colpo di grazia a Batista, che fuggì dall’isola sgombrando ai guerriglieri la via verso la capitale L’Avana.

Sei giorni dopo, l’8 gennaio 1959, Fidel Castro raggiunse l’Avana ed entrò trionfalmente in città mostrandosi alla folla su una jeep con la barba lunga e una divisa militare verde oliva. Aveva finalmente vinto la sua rivoluzione, sottraendo Cuba a Fulgencio Batista, fuggito dall’isola con i suoi fedelissimi e con i suoi milioni.

Il nuovo governo è guidato dallo stesso Castro, mentre il Che assume l’incarico della ricostruzione economica di Cuba in qualità di direttore del Banco Nacional e di ministro dell’Industria.

Il trionfo della Rivoluzione cubana modifica i metodi di lotta rivoluzionaria in America Latina, costituendo l’evento scatenante che darà inizio a un’ondata rivoluzionaria in tutto il continente. La figura di Che Guevara ne è senza dubbio il riferimento principale. Che Guevara diventa il simbolo della lotta rivoluzionaria contro l’imperialismo nordamericano.

1961 – La Baia dei porci

Tra il 17 e il 19 aprile del 1961, un migliaio di esuli cubani anticastristi tentano, con la collaborazione degli Stati Uniti, di rovesciare il regime di Fidel Castro.

La strategia prevede l’aiuto, ma non l’alleanza, del governo americano e la fusione degli esuli con i guerriglieri anticastristi presenti sull’isola al fine di creare un governo provvisorio che dovrebbe dichiarare guerra a quello di Castro. A quel punto gli americani interverrebbero con tutte le loro forze.

L’operazione si rivela un fallimento per i ribelli che vengono miseramente sconfitti. L’evento, al contrario, è un trionfo per Cuba e il governo di Castro che vede rafforzata la propria politica estera grazie all’avvicinamento dell’URSS e la simpatia di molti stati Occidentali e non.

1962 – La crisi missilistica

Uno dei momenti più critici della Guerra fredda, in cui il regime di Castro ormai rientra a pieno titolo, riguarda direttamente l’isola. Quelli compresi tra il 16 e il 28 ottobre del 1962 sono, infatti, noti come i giorni della Crisi dei missili di Cuba.

L’Unione Sovietica per rispondere alla disposizione statunitense di missili balistici in Turchia lungo il confine con URSS, aveva deciso di dispiegare le stesse armi sull’isola di Castro.

La richiesta era arrivata a Nikita Chruščёv, leader dell’Unione Sovietica, dallo stesso Castro nel luglio precedente, al fine di scoraggiare nuovi tentativi di invasione dell’isola da parte delle forze anticastriste.

La crisi si risolve con un accordo tra Chruščёv, che si impegna a smantellare le armi, e John Fitzgerald Kennedy che promette di non tentare nuovi invasioni di Cuba.

1964-1965 – Un Che irrequieto

Irrequieto, dopo alcuni anni di governo a Cuba, il Che sente l’esigenza di riprendere la strada rivoluzionaria. Durante tutto il 1964, spende molto tempo in giro per il mondo per parlare di socialismo e di rivoluzione armata. L’11 dicembre tiene un famoso discorso alle Nazioni Unite in cui espone le sue idee a proposito dei legami tra socialismo reale e rivolta armata. Denuncia, inoltre, le discriminazioni razziali e le segregazioni in particolare nel Sudafrica.

Tra il dicembre e la primavera successivi si sposta in molte parti del mondo, visitando principalmente paesi asiatici e africani. Ritornato a Cuba, nella primavera del 1965, si dimette dal governo affermando che la sua reale vocazione sia quella del rivoluzionario e che il suo compito sia quindi quello di aiutare le rivoluzioni in atto nel resto del mondo. Comincia così una nuova serie di viaggi che lo vedranno soprattutto in Africa.

1966-1967 – La fine

Ritornato a Cuba nel luglio del 1966, il Che parte nuovamente verso la fine dello stesso anno per un nuovo viaggio in Sud America: Argentina, Uruguay, Paraguay, Brasile e infine Bolivia dove si aggrega a un gruppo rivoluzionario. Alla metà del 1967, tuttavia, il suo movimento si è notevolmente indebolito. È in queste circostanze che le forze governative boliviane riescono a catturare il leader rivoluzionario e ucciderlo. Non si conosce la data esatta della sua morte, ma sembra ormai accertato con buona approssimazione che sia stato assassinato il 9 ottobre dello stesso anno.

da Fondazione G. Feltrinelli


Il Che un uomo straordinariamente umano

 

Alcuni amici, e soprattutto molti nemici, descrivono spesso il Comandante Ernesto Che Guevara come un uomo avventuroso, rude e rozzo, con cui era difficile mantenere un rapporto cordiale. Tuttavia, la rettitudine del suo carattere e la fedeltà ai principi non devono essere confuse con l’animo nobile e buono che lo contraddistingueva.

Il Comandante in capo Fidel Castro Ruz, una delle persone più vicine al Che e che meglio ha saputo cogliere la grandezza dell’eroe della Battaglia di Santa Clara, ha espresso nelle sue parole i sentimenti di milioni di persone in tutto il mondo che hanno saputo apprezzare le vere virtù che contraddistinguevano il leader della Colonna 8 Ciro Redondo: “Ma, in più, aggiunse un’altra qualità, che non era una qualità dell’intelletto, che non è una qualità della volontà, che non è una qualità derivata dall’esperienza, dalla lotta, ma una qualità del cuore, perché era un uomo straordinariamente umano, straordinariamente sensibile!”. ”

A questo proposito, lo stesso Guevara, in un articolo trascendentale pubblicato sul settimanale Marcha, poco prima di partire per il territorio congolese, disse: “Lasciatemi dire, a rischio di sembrare ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore. È impossibile pensare a un vero rivoluzionario senza questa qualità”.

La sua breve vita di soli 39 anni, i diari, le lettere e i numerosi documenti che ha lasciato ai posteri, avvalorano l’idea che Guevara, lungi dall’essere una persona scontrosa, fosse un essere eccezionale in tutti i campi.

Così, ad esempio, quando nel 1947 subì un forte colpo sentimentale come la perdita della nonna paterna, che assistette sul letto di morte per 17 giorni, abbandonò l’idea di studiare ingegneria nella città di Cordoba e si iscrisse alla Facoltà di Medicina di Buenos Aires.

È lo stesso sentimento che lo spinge a curare in modo umano e dignitoso i malati dei lebbrosari di Lima e San Paulo, quest’ultimo nel mezzo della giungla peruviana, durante il viaggio che compie con l’amico Alberto Granado attraverso il Sud America quando è ancora studente.

In una lettera ai genitori, riconosce la validità di quell’esperienza: “Il fatto è che un addio come quello che abbiamo ricevuto dai pazienti del Lebbrosario di Lima è un addio che ci invita ad andare avanti […] Tutto l’affetto dipende dal fatto che siamo andati lì senza tute o guanti, stringendo loro la mano come un qualsiasi altro bambino del quartiere e sedendoci in mezzo a loro a chiacchierare di tutto e di più o a giocare a calcio con loro”.

Questa filosofia di vita fu anche quella che lo spinse, all’età di 24 anni, quando conseguì la laurea in medicina, invece di esercitare la professione in una clinica di Buenos Aires, a fianco di uno dei migliori specialisti in allergologia del suo Paese, a intraprendere un secondo viaggio in America Latina, che si concluse in Guatemala, un Paese in cui sapeva già che stava iniziando un processo nazionalista, guidato dal colonnello Jacobo Arbenz.

Il suo comportamento, apparentemente strano, suscitò l’incertezza delle persone a lui vicine, per le quali il gesto era semplicemente inspiegabile; come inspiegabile era il grido con cui si accomiatava dal finestrino del treno in partenza: “Ecco un soldato americano! Era il luglio del 1953 e il giovane medico stava andando incontro alla storia.

In seguito si sarebbe recato in Messico, dove ebbe la prima conversazione con Raúl, Fidel e altri futuri membri della spedizione, che portò alla sua immediata incorporazione nel movimento rivoluzionario cubano.

Di quell’importante incontro, scrisse in seguito: “Ho chiacchierato con Fidel per una notte intera e, all’alba, ero già il medico della sua spedizione. In realtà, dopo l’esperienza acquisita con i miei viaggi in tutta l’America Latina e il colpo di Stato in Guatemala, non ci voleva molto per incitarmi ad unirmi a qualsiasi rivoluzione contro un tiranno, ma Fidel mi colpì come un uomo straordinario”.

Come guerrigliero, sia a Cuba che in Bolivia, l’umanesimo del Che si manifestò in innumerevoli occasioni, come durante la battaglia di Alegría de Pío, in cui si trovò di fronte al dilemma se dedicarsi alla medicina o al compimento del suo dovere di soldato.

Nella Sierra Maestra, oltre a confermarsi come guerrigliero, curò anche i malati e i feriti delle truppe o del nemico stesso, oltre a lavorare come dentista e medico per i contadini, tra i quali c’erano, secondo lui, “donne invecchiate prematuramente, senza denti, bambini con pance enormi, parassitismo, rachitismo e avitaminosi”, tra le altre malattie.

In combattimento dimostrò un profondo senso di umanità, come nel caso della battaglia contro le forze del sanguinario Sánchez Mosquera nella zona di Mar Verde. Lì, fedele a questo principio che riflette il cameratismo, non esitò a rischiare la vita per salvare il corpo ferito di Joel Iglesias, davanti allo sguardo attonito di tre soldati nemici che, sorpresi dalla sua audacia, non osarono sparargli.

Con i suoi subordinati, i rapporti personali assumevano una sfumatura particolare. Poteva essere molto duro e intransigente di fronte all’indisciplina, ma allo stesso tempo molto affabile. Un giornalista che visitò le sue truppe lo descrisse così: “Tutto l’accampamento circondava il suo passo con una sorta di affetto sicuro che non aveva bisogno di dimostrazioni: non c’erano ordini, né protocolli militari, i guerriglieri di La Mesa avevano una disciplina più intima che derivava dagli uomini al loro comando. Fidel, il Che e gli altri vivevano negli stessi luoghi, mangiavano lo stesso cibo, e quando si trattava di combattere sparavano dalla loro stessa linea”.

Anche in Bolivia dimostrò la sua straordinaria sensibilità.

Durante il suo ultimo combattimento, a Quebrada del Yuro, in Bolivia, l’8 ottobre 1967, Ché continuò a combattere per tutto il tempo, per facilitare la fuga dall’accerchiamento dei membri malati e non in grado di combattere del suo piccolo nucleo di guerriglieri.

Leggendo il suo diario di campagna, si può notare nei suoi scritti il profondo dolore causato dalla morte dei suoi compagni d’armi, come accadde quando Eliseo Reyes e Carlos Coello caddero nella giungla boliviana, per citare solo alcuni casi. Ma nelle sue pagine si può anche vedere che la solidarietà del Che con i suoi fratelli di lotta non conosceva limiti.

Fu il suo desiderio di alleviare la difficile situazione del combattente Octavio de la Concepción y de la Pedraja, affetto da lombalgia, che lo spinse a non deviare dalla strada più semplice, quella che stava percorrendo da diversi giorni, per permettere a quest’ultimo di cavalcare un mulo, pur essendo pienamente consapevole dei pericoli che ciò comportava, data la grande possibilità di cadere in un’imboscata, come in effetti avvenne.

Il rispetto che ha sempre avuto per la vita di un essere umano era proverbiale, e lo dimostrava chiaramente il trattamento umano che riservava non solo ai prigionieri, ma anche ai nemici. Il 26 giugno 1967 iniziò le sue annotazioni sul diario specificando “Giorno nero per me”. Era in lutto per la morte di Carlos Coello.

Per coincidenza, quel giorno due spie furono arrestate e, dopo essere state avvertite, rilasciate. Non ci fu nessuna esecuzione, nessun maltrattamento e nessun reato che denotasse la vendetta per il compagno caduto.

Inoltre, quando, a causa di un’errata interpretazione del suo ordine di portare via tutto ciò che era utile, i due detenuti furono rilasciati in mutande, la reazione del Che fu di indignazione.

Il Che è stato anche una persona che, nel corso della sua vita, ha nutrito un profondo amore per la natura e gli animali. Da bambino non esitava a rimproverare la nonna per aver cucinato i popcorn che allevava, o lo si vedeva rischiare la vita per salvare un passero intrappolato nella grondaia di casa.

E come padre è stato un esempio di uomo amorevole, dedito ai suoi figli nel poco tempo di riposo che aveva. Quando partiva per le sue missioni internazionaliste, chiedeva loro di crescere come buoni rivoluzionari, di studiare molto, e ricordava loro che la Rivoluzione è la cosa più importante, che dovevano essere in grado di sentire profondamente qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo.

Era anche il marito che, oltre agli innumerevoli compiti di preparazione alla nuova impresa liberatrice, aveva ancora il tempo di registrare con la propria voce le Venti poesie d’amore e una canzone di disperazione di Pablo Neruda per la sua amata Aleida March.

Per questo Fidel non esitò a dire, nel suo addio alla Guerriglia d’America, che “se abbiamo bisogno di un paradigma, se abbiamo bisogno di un modello, se abbiamo bisogno di un esempio da imitare per raggiungere obiettivi così alti, uomini come il Che sono indispensabili….”.

Fonte: Granma

Traduzione: italiacuba.it


Eterna gratitudine a Che Guevara

Raúl e Díaz-Canel hanno accompagnato la moglie del Guerrigliero Eroico e le figlie Aleida e Celia Guevara March, nell’emozionante gala culturale che ha reso omaggio all’eroe.

Cuba, la terra che, pur non avendolo visto nascere, lo ha fatto suo, è eternamente grata a Ernesto Guevara de la Serna, al Che, per tutto ciò che ha fatto per questa, l’altra sua patria.

Il 14 giugno, 95° anniversario della nascita del Guerrigliero Eroico in Argentina, la Sala Universale del Ministero delle Forze Armate Rivoluzionarie (FAR) è stata il palcoscenico della cultura cubana per rendergli un meritato omaggio.

Alla presenza dell’ex moglie, l’intellettuale e direttrice del Centro Studi Che Guevara, Aleida March, e delle figlie Aleida e Celia Guevara March, il gala culturale è stato presieduto dal Generale dell’Esercito Raúl Castro Ruz, leader della Rivoluzione Cubana, e dal Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito e Presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel Bermúdez.

La poesia Canción antigua al Che Guevara, di Mirta Aguirre, con la voce di Corina Mestre, ha alzato il sipario sull’omaggio, seguita dal maestro Silvio Rodríguez, che ha cantato El dulce abismo e Tonada de albedrío.

La presenza del Che nelle opere del repertorio del Ballet Nacional de Cuba e, soprattutto, l’ammirazione che Alicia Alonso provava per il leggendario guerrigliero sono state evocate dal primo ballerino del gruppo, Yanquiel Vázquez, che ha eseguito l’assolo La muerte de un cisne (Morte di un cigno).
Foto: Freddy Pérez Cabrera

A loro si sono aggiunti il Coro Nazionale di Cuba, diretto dal maestro Digna Guerra, e La Colmenita, che, tra dialoghi e musica, hanno ripercorso vari passaggi della vita del Che, per portarlo, vivo, ai giorni nostri.

Le emozioni sono traboccate quando il musicista Alberto Faya ha suonato Chamamé a Cuba, un altro esempio dello stesso amore per la più grande delle Antille che il Che ha sentito e concretizzato in vita.

Alla serata di gala erano presenti i membri dell’Ufficio Politico del Partito, Esteban Lazo Hernández, Presidente dell’Assemblea Nazionale del Potere Popolare; Roberto Morales Ojeda, Segretario dell’Organizzazione del Comitato Centrale; il Generale di Corpo d’Armata Ramón Espinosa Martín, Primo Vice-Ministro dell’Estremo; il Maggiore Generale Lázaro Álvarez Casas, Ministro degli Interni; Teresa Amarelle Boué, Segretario Generale della Federazione delle Donne Cubane e Ulises Guilarte de Nacimiento, Segretario Generale della Centrale dei Lavoratori Cubani.

Erano presenti anche il Comandante della Rivoluzione Ramiro Valdés Menéndez, vice primo ministro; il membro della Segreteria del Comitato Centrale del Partito e capo del suo Dipartimento Ideologico, Rogelio Polanco Fuentes; vice primi ministri, ministri, dirigenti del Partito, del governo e delle organizzazioni di massa e altri ospiti.

CRESCERE CON IL LORO ESEMPIO

Migliaia di bambini e giovani hanno accompagnato coloro che hanno reso omaggio all’Eroe della Battaglia di Santa Clara in questa data, che coincide con la nascita di un altro grande della Patria, il Titano di Bronzo Antonio Maceo y Grajales.

Nella Plaza del Che, i pionieri hanno cambiato il blu delle loro sciarpe con il rosso che simboleggia il sangue versato. L’orgoglio dei giovani, che in un’occasione così importante hanno ricevuto la tessera dell’ujc o del Partito, è stato notevole.

Fino al Bosque de los Héroes nella città di Santiago de Cuba – il primo monumento eretto al Che in tutta l’America Latina, nato da un’idea del Comandante della Rivoluzione Juan Almeida Bosque – è stato reso omaggio, mentre nella Casa Natal de Antonio Maceo (Casa natale di Antonio Maceo) è stato onorato il Titano di bronzo, così come nella Plaza de la Revolución e nel Centro de Estudios (Centro studi) che porta il suo nome.

Fonte: Granma

Traduzione: italiacuba.it


95 ANNI DI ERNESTO CHE GUEVARA

 

La vita e la memoria di Ernesto Guevara de la Serna (1928-1967), il Che per il mondo intero, restano unite alla Rivoluzione cubana ed ai valori più amati dai popoli della Nostra America.

Nato il 14 giugno 1928 a Rosario, in Argentina, la sua vocazione sociale rivoluzionaria lo ha portato a percorrere gran parte dell’America Latina e vivere l’esperienza del fallito processo progressista in Guatemala, poi la Rivoluzione a Cuba e diventare un guerrigliero internazionalista.

Il talento militare di Guevara de la Serna, fino ad allora giovane medico argentino, si manifestò durante la guerriglia nelle selve di Cuba (1957-1958), prima di distinguersi come politico, statista, diplomatico, economista e ideologo di rilievo.

Negli ultimi mesi di guerra ha compiuto la missione che sembrava impossibile, intercettando e paralizzando i movimenti delle truppe nemiche da occidente verso oriente e anche sconfiggendole, cioè spaccare in due il paese.

Ha portato la guerra di liberazione dalla Sierra Maestra alle montagne della regione centrale, una campagna progettata dal comando generale dell’esercito ribelle, ed è riuscito a catturare le principali città.

Che Guevara è allo stesso tempo uno degli eroi del processo rivoluzionario cubano, del pensiero e dell’azione; brillante cronista e teorico originale nei suoi approcci politici, economici e sociali.

Allo stesso modo, è stato un mentore per le successive generazioni di cubani, data la sua infinita fede nei valori morali e nella trasformazione della coscienza umana.

Ammirato soprattutto dai giovani, ha ispirato la creazione di organizzazioni giovanili e dei pionieri, e la sua immagine appare sullo stemma dell’Unione dei Giovani Comunisti (UJC).

Eroico medico e guerrigliero, latinoamericano e terzomondista, cadde nelle mani del nemico, ferito e senza armi, combattendo a La Higuera, in Bolivia, l’8 ottobre 1967 e poche ore dopo fu freddamente assassinato.

CHE PER SEMPRE

Il grande guerrigliero, senza cessare di esserlo, ha intrapreso la costruzione della società cubana in vari e numerosi incarichi, tra cui quello di presidente della Banca Nazionale e ministro dell’Industria.

È passato alla storia come Che Guevara, nome dato dai suoi compagni di guerriglia nella Sierra Maestra, le terre dell’Africa e della Bolivia, senza che la sua asma cronica glielo impedisse.

Il volto giovane, ribelle e profondo, dei primi anni ’60, catturato dalla fotografia nel fiore degli anni, ha girato il mondo intero nel resto del XX secolo, ed è anche un riferimento per le generazioni presenti e future dell’attuale millennio.

Nella sua tappa cubana ha raggiunto la coerenza tra i propri approcci e le precedenti esperienze -argentine e americane- e si è evoluto verso una proiezione umana superiore, allo stesso tempo con valori regionali e universali.

Ciò suscitò l’ammirazione dei giovani cubani ed anche oggi nelle folle di numerosi paesi.

Nel 1959, all’età di 30 anni, fu dichiarato cubano di nascita, un onore che ha meritato per sempre.

L’opera del Che è stata iscritta il 18 giugno 2013 nella Memoria del Mondo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (UNESCO), una raccolta di manoscritti originali del comandante Ernesto Guevara.

 Si tratta di 1007 documenti dalla fase dell’adolescenza fino al 1967. I testi comprendono 431 manoscritti del Che, 567 documenti scritti sulla sua vita e la sua opera, oltre a pregevoli materiali e oggetti iconografici, filmografici, cartografici.

Come diceva Eduardo Galeano: “Nessuno ignora che il Che è un simbolo universale, celebrato nei luoghi più diversi e cantato nelle lingue più diverse. La sua memoria si accende e cresce, perché incarna l’energia della dignità umana, ostinatamente viva, nonostante gli indegni del mondo.”

da Prensa Latina, traduzione di Ida Garberi

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