Perché l’America latina è tornata a deludere all’Assemblea Generale dell’ONU?

Sair Sira

Sebbene il dibattito annuale dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) si presenti come l’attività principale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) e in essa intervengano i 193 Stati membri, le organizzazioni regionali non vi partecipano in quanto tali. Tuttavia, è logico che, essendo queste organizzazioni riflesso degli Stati che le compongono, vi sia una corrispondenza nel posizionamento dei paesi a livello regionale e mondiale.

Attualmente non vi è dubbio che la crisi climatica, gli elevati flussi migratori, la crescente disuguaglianza sociale, il pesante indebitamento che compromette le finanze pubbliche, la necessità di riformare l’architettura finanziaria e di governance internazionale e il consolidamento di dirigenze che mettono in discussione la dignità dell’essere umano, rappresentino le principali sfide che l’umanità deve affrontare, soprattutto quelle che i paesi del Sud Globale – e, tra questi, l’America Latina e i Caraibi – devono farsi carico, con la massima urgenza, per le conseguenze che generano per le loro popolazioni.

Tuttavia, in questi primi giorni di dibattito generale, a cui hanno già partecipato diversi paesi latino-caraibici, il riferimento a questi problemi è stato inserito nei discorsi delle autorità dei paesi e lo sarà sicuramente in quelli dei capi di Stato e di governo o rappresentanti nazionali che parteciperanno nei prossimi giorni, nonostante tale pratica si sia convertita in una sorta di tradizione che non migliora la credibilità di un’istituzione screditata da quel dialogo tra sordi che, in essa, si sviluppa.

Il problema, al di là del carattere dichiarativo e innocuo di quanto espresso in questi discorsi, è che dimostra una costante che dovrebbe far riflettere: si tratta di posizioni nazionali isolate che non rappresentano il sentimento generale della regione latino caraibica. Non è che quanto espresso non sia importante, al contrario, gli appelli a contrastare la crisi climatica del presidente Gustavo Petro, la richiesta di riformare l’attuale architettura finanziaria del presidente Lula da Silva e la denuncia contro le sanzioni a paesi come Cuba o Venezuela del presidente Alberto Fernández assumono i tempi internazionali che rimarranno solo nelle dichiarazioni individuali se non si raggiungerà una posizione regionale su queste e altre questioni di interesse, ad esempio, la Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC).

Ma dovrebbe rifletterlo? Indiscutibilmente sì. L’America Latina e i Caraibi nel loro insieme rappresentano circa il 17% dei voti dell’Assemblea Generale, il 24% del G77+Cina, i Caraibi rappresentano quasi la metà dei Piccoli Stati Insulari in Via di Sviluppo; nel suo insieme, la nostra regione ha un peso geopolitico importante che solo si manifesta quando viene presentata come blocco. In alcuni spazi internazionali, il cosiddetto Gruppo Latinoamericano e Caraibico (o GRULAC) funge da articolatore, per così dire, se si vuole amministrativo, ma continua a non esistere un coordinamento certo che permetta una pressione del gruppo su aspetti che potrebbero essere considerati linee rosse per la Regione.

ALCUNE PROPOSTE CONCRETE GIÀ CONCORDATE

 

Sarebbe interessante sentire, negli interventi dei capi di Stato e di governo, sul debito e sulla trasformazione dell’architettura finanziaria internazionale, qualche accenno all’Iniziativa Bridgetown che prospetta, tra l’altro, la possibilità che gli Stati abbiano più spazio fiscale per affrontare la crisi climatica e la transizione energetica senza indebitarsi ulteriormente. Questa possibilità implicherebbe, tra le altre cose, la sospensione degli interessi, l’espansione dei crediti multilaterali, l’accelerazione dell’erogazione dei finanziamenti e la riduzione delle condizioni legate alla concessione di tali finanziamenti.

Insistere, nel quadro della stessa iniziativa, affinché i paesi del G20, ma soprattutto i paesi del G7 più sviluppati, si impegnino ad attuare un’Iniziativa di Sospensione del Servizio del Debito che implicherebbe che i prestiti concessi dalla Banca Multilaterale di Sviluppo (BMD) alle nazioni più svantaggiate (con prestazioni economiche danneggiate dal cambiamento climatico o dall’attuazione di sanzioni economiche), così come tutti i prestiti legati al Covid-19 destinati ai paesi a medio reddito, siano sospesi.

Allo stesso modo, al fine di rafforzare la sanità pubblica e tenendo presente le devastazioni della pandemia e le implicazioni che ha avuto in campo politico, economico e sociale, soprattutto nell’approccio e nel controllo attuati a livello internazionale, e ricordando le esitazioni nel comportamento del Nord globale nel condividere equamente le risorse e la scarsa volontà mostrata di trattare i paesi del Sud Globale  (e in particolare l’America Latina e i Caraibi) come partner alla pari nell’approccio, è necessario assumere e presentare in questi forum internazionali il Piano di Autosufficienza Sanitaria della CELAC che consente un approccio congiunto alle situazioni critiche ed esigere al sistema delle Nazioni Unite e ad altri organismi internazionali, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Organizzazione Panamericana della Sanità, l’assistenza tecnica e la cooperazione necessarie per raggiungere questo obiettivo.

Allo stesso modo, continuare a progettare la Strategia di approccio all’acquisto, collettivamente, di farmaci ad alto costo (punto 20), esigendo agevolazioni in materia di brevetti e investimenti nella scienza e nella tecnologia applicata alla salute. L’idea è che la regione riesca a sviluppare le proprie capacità che le consentano di superare al meglio le difficoltà che ci presentino nuove pandemie e malattie endemiche legate alla geografia e al clima (dengue, chikungunya, solo per citarne alcune).

I paesi dell’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica (OTCA), nella loro riunione di agosto, hanno concordato, tra altre cose, di creare fondi provenienti da diverse fonti di finanziamento (a fondo perduto) che consentano, da prospettive che privilegino il ruolo guida e centrale degli Stati (la sovranità nazionale), la protezione del bacino amazzonico in modo globale, proposta che dovrebbe essere esplicitamente incorporata negli interventi durante il 78° periodo di sessioni dell’AGNU esigendo  collaborazione nel quadro della cooperazione per l’azione per il clima.

Anche nel cosiddetto Brasilia Consensus emerso dall’incontro dei capi di Stato e di governo del Sud America, nel maggio 2023, si riconosce che l’integrazione deve contribuire o essere parte delle soluzioni per affrontare le sfide condivise che l’umanità e la regione, in particolare, si trovano ad affrontare.

Il punto cruciale è come passare da questi discorsi individuali ad azioni collettive che consentano di affrontarli.

IL COORDINAMENTO REGIONALE, UN COMPITO SOSPESO ED URGENTE

 

È importante segnalare che queste iniziative godono già su un minimo consenso nella regione e sono state integrate nelle diverse dichiarazioni, come il VII Vertice dei Capi di Stato e di Governo della Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), la Dichiarazione Presidenziale in occasione del Vertice Amazzonico – IV Riunione dei Presidenti degli Stati Parte del Trattato di Cooperazione Amazzonica o nel Consenso di Brasilia; tuttavia, c’è ancora molta strada da fare per la sua attuazione.

La regione deve continuare ad impegnarsi per il consolidamento dei processi di integrazione che, essendo ancora in vigore, consenta e faciliti l’approccio comune ai problemi che ci colpiscono, poiché a nulla servirà il posizionamento individuale se i problemi non vengono assunti collettivamente. In America Latina e nei Caraibi, ci preoccupa l’attuale architettura finanziaria internazionale che non riflette gli interessi di paesi come quelli della regione? Cominciamo riformando le principali banche di sviluppo come la Banca Interamericana di Sviluppo (BID) e la CAF o, a causa dell’impossibilità d’origine, consideriamo la creazione di una nuova banca che ci permetta di generare i nostri finanziamenti.

Vogliamo, come regione, contrastare l’impatto delle sanzioni economiche, commerciali e finanziarie contro determinati paesi, perché oggi alcuni sono quelli sanzionati e domani potrebbero essere altri? Promuoviamo, come stanno facendo altre regioni del pianeta, sistemi di pagamento con valute nazionali che ci allontanino dalla dipendenza da un’unica moneta egemonica e non lo facciamo da punti di vista ideologici, ma da un punto di vista strategico per la regione e i paesi che la compongono…

I discorsi di contestazione, necessari in spazi come l’Assemblea Generale, devono essere accompagnati da azioni concrete che ci permettano di costruire la sovranità regionale a fronte del consolidamento di un mondo che sta acquisendo, sempre più, tratti pluricentrici e multipolari. L’America Latina e i Caraibi devono impegnarsi a consolidarsi in uno di questi.


¿POR QUÉ AMÉRICA LATINA HA VUELTO A FALLAR EN LA ASAMBLEA GENERAL DE LA ONU?

Sair Sira

Si bien el debate anual de la Asamblea General de las Naciones Unidas (AGNU) se presenta como la actividad principal de la Organización de las Naciones Unidas (ONU) y en ella intervienen los 193 Estados miembros, las organizaciones regionales no participan como tal. No obstante, es lógico que siendo estas organizaciones reflejo de los Estados que las integran, exista una correspondencia en el posicionamiento de los países regional y mundialmente.

En la actualidad no hay duda de que la crisis climática, los altos flujos migratorios, la creciente desigualdad social, el fuerte endeudamiento que compromete las finanzas públicas, la necesidad de reformar la arquitectura financiera y de gobernanza internacional y la consolidación de liderazgos que cuestionan la dignidad del ser humano, representan los principales desafíos que debe afrontar la humanidad, en especial los que deben asumir de forma más urgente los países del Sur Global –y, dentro de éstos, América Latina y el Caribe– por las consecuencias que generan para sus poblaciones.

No obstante, en estos primeros días de debate general, donde ya han participados varios países latinocaribeños, la referencia a estos problemas ha estado incluida en los discursos pronunciados por las autoridades de los países y seguro estará en la de los jefes de Estado y de gobierno o representantes nacionales que participen en los próximos días, a pesar de que tal práctica se ha convertido en una especie de tradición que no mejora la credibilidad de una institución desprestigiada por ese diálogo entre sordos que desarrolla.

El problema, más allá de lo declarativo e inocuo de lo expresado en dichos discursos, es que demuestra una constante que debe llamar a la reflexión: son posiciones nacionales aisladas que no representan el sentir general de la región latinocaribeña. No es que lo expresado no sea importante, al contrario, los llamados a contrarrestar la crisis climática del presidente Gustavo Petro, la exigencia por reformar la arquitectura financiera actual del presidente Lula da Silva y la denuncia contra las sanciones a países como Cuba o Venezuela del presidente Alberto Fernández asumen el timing internacional, que sólo quedarán en declaraciones individuales si no se consensúa una posición regional sobre estos y otros temas de interés para, por ejemplo, la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac).

Pero, ¿debería reflejarlo?

Indiscutiblemente sí. América Latina y El Caribe en su conjunto representa aproximadamente el 17% de los votos de la Asamblea General, el 24% del G77+China, El Caribe representa casi la mitad de los Pequeños Estados Insulares en Desarrollo; como colectividad, nuestra región tiene un peso geopolítico importante que solo se manifiesta cuando se presenta como bloque. En ciertos espacios internacionales el llamado Grupo América Latina y el Caribe (o Grulac) sirve de articulador, si se quiere administrativo, pero sigue sin existir una coordinación cierta que permita presionar en grupo sobre aspectos que pudieran ser considerados líneas rojas para la región.

ALGUNAS PROPUESTAS CONCRETAS YA CONSENSUADAS

Sería interesante escuchar dentro de las intervenciones de los jefes de Estado y de gobierno, en materia de deuda y transformación de la arquitectura financiera internacional, alguna mención sobre la Iniciativa Bridgetown que plantea, entre otras cosas, la posibilidad de que los Estados tengan mayor espacio fiscal para afrontar la crisis climática y la transición energética sin endeudarse más. Esta posibilidad implicaría, entre otras cosas, la suspensión de intereses, la ampliación de créditos de tipo multilateral, hacer expedita la entrega de los financiamientos y la reducción de las condiciones aparejadas con dicho otorgamiento.

Insistir, en el marco de esa misma iniciativa, en que los países del G20, pero en especial los más desarrollados del G7, se comprometan a implementar una Iniciativa de Suspensión del Servicio de la Deuda que implicaría que los préstamos otorgados por la Banca Multilateral de Desarrollo (BMD) a las naciones más desfavorecidas (con desempeños económicos afectados por el cambio climático o la implementación de sanciones económicas), así como todos los préstamos relacionados con la Covid-19 destinados a los países de ingresos medios, sean suspendidos.

Asimismo, con miras al fortalecimiento de la salud pública y teniendo presente los estragos de la pandemia y las implicaciones que tuvo en materia política, económica y social, sobre todo en el abordaje y control que se realizó a nivel internacional, y recordando el comportamiento dubitativo del Norte global para compartir los recursos de manera equitativa y la poca voluntad mostrada para tratar a los países del Sur Global (y en especial a América Latina y El Caribe) como socios iguales en el abordaje, se hace necesario retomar y exponer en estos foros internacionales el Plan de Autosuficiencia Sanitaria de la Celac que permita un abordaje conjunto ante situaciones críticas y exigir ante el sistema de Naciones Unidas y otros organismos internacionales como la Organización Mundial de la Salud y la Organización Panamericana de la Salud la asistencia técnica y cooperación necesaria para lograr tal objetivo.

Asimismo, continuar diseñando la Estrategia de abordaje de compra de medicamentos de alto costo (punto 20) de forma colectiva exigiendo facilidades en materia de patentes e inversión en ciencia y tecnología aplicada a la salud. La idea es que la región logre desarrollar capacidades propias que le permitan sortear de mejor manera las dificultades que nuevas pandemias y enfermedades endémicas asociadas a la geografía y el clima (dengue, chikungunya, solo citar algunas) nos presenten.

Los países de la Organización del Tratado de Cooperación Amazónica (OTCA), en su reunión de agosto, acordaron entre otras cosas crear fondos a partir de diferentes fuentes de financiamiento (no retornables) que permitan, desde perspectivas que privilegien el papel rector y central de los Estados (la soberanía nacional), la protección de la cuenca amazónica de forma integral, propuesta que debería incorporarse de forma explícita en las intervenciones durante el 78° periodo de sesiones de la AGNU exigiendo colaboración en el marco de la cooperación para la acción climática.

Incluso en el llamado Consenso de Brasilia surgido del encuentro de jefes de Estado y de gobierno de Sudamérica en mayo de 2023, se reconoce que la integración debe tributar o ser parte de las soluciones para afrontar los desafíos compartidos que la humanidad y la región en especial enfrenta.

El meollo está en cómo lograr pasar de esos discursos individuales a acciones colectivas que permitan su abordaje.

LA COORDINACIÓN REGIONAL, UNA TAREA PENDIENTE Y URGENTE

Es importante señalar que estas iniciativas ya cuentan con un consenso mínimo en la región y han sido incorporadas en las distintas declaraciones, como la VII Cumbre de Jefas y Jefes de Estado y de Gobierno de la Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (Celac), la Declaración Presidencial con ocasión de la Cumbre Amazónica – IV Reunión de Presidentes de los Estados Parte en el Tratado de Cooperación Amazónica, o en el Consenso de Brasilia; no obstante, aún falta camino para su implementación.

La región debe seguir apostando por la consolidación de los procesos de integración que, estando aún vigentes, permita y facilite el abordaje conjunto de los problemas que nos afectan, pues de nada servirá posicionamientos individuales si no se asumen los problemas de forma colectiva. ¿Desde América Latina y El Caribe nos preocupa la actual arquitectura financiera internacional, por no reflejar los intereses de países como los de la región? Empecemos por reformar los principales bancos de desarrollo como el Banco Interamericano de Desarrollo (BID) y la CAF o, por imposibilidad de origen, planteémonos la creación de una nueva banca que nos permita generar financiamiento propio.

¿Queremos como región contrarrestar el impacto de las sanciones económicas, comerciales y financieras contra países puntuales, porque hoy son unos los sancionados y mañana pueden ser los otros? Fomentemos como lo están haciendo otras regiones del planeta sistemas de pago con monedas nacionales que nos alejen de la dependencia de una sola moneda hegemónica y no lo hagamos partiendo de puntos de vistas ideológicos, sino desde lo estratégico para la región y los países que la componen.

Los discursos contestatarios, necesarios en espacios como los de Asamblea General, deben ir acompañados de acciones concretas que nos permitan ir construyendo soberanía regional de cara a la consolidación de un mundo que cada vez más va adquiriendo rasgos pluricéntricos y multipolares. América Latina y El Caribe debe apostar por consolidarse en una de ellas.

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