Film documentario: “Le spie di Castro”

I cinque soldati del silenzio: le spie di Castro

 

“Le cose di molti uomini non si fanno con la volontà, né con l’eroismo, di un solo uomo. Si può essere eroi ogni giorno: ma il vero eroe è colui che sacrifica il suo eroismo per il bene del suo Paese”.

José Martí

Il rapporto tra storia e cinema è stato studiato per decenni. Analisi approfondite fanno parte di un patrimonio teorico e concettuale imprescindibile su questo tema, vitale nella sua essenza per chi assume le letture critiche e le loro articolazioni con i processi culturali, nonché il loro impatto sui percorsi della creazione artistica.

Come scienza sociale essenziale e come parte della sua missione socio-educativa, la storia racconta, espone e interpreta il passato. In questo campo scientifico, i ricercatori ricorrono a tecniche di condensazione per articolare una storia e si appropriano anche di altri strumenti ausiliari (mappe, documenti, iconografie, foto, testimonianze) per costruire una visione scolastica dei fatti e spiegarli.

Da un altro canale, il cinema si articola con la storia come “controanalisi” della società e la racconta. Sebbene ogni opera cinematografica comporti un’espressione ideologica del momento in cui si materializza, come ogni storia che si evolve attraverso un pensiero nutrito da eredità, approcci (spesso riciclati) e anche da principi essenziali.

Il genere del film storico si impegna a comprendere e interpretare il passato. Non cerca di sostituire la storia nelle sue funzioni sociali. Si pone come complice di essa, proprio come fanno la letteratura e la tradizione orale. Per alcuni studiosi, l’arte cinematografica è una fonte strumentale di scienza storica.

Altri punti di vista teorici indicano film di valore storico o sociologico che, senza un’evidente intenzione di fare storia, rivelano un acuto contenuto video-estetico. Questi film, per la loro forza narrativa, possono diventare importanti testimonianze storiche, documenti da consultare. Sono film con un grande peso di realismo che lo storico francese Marc Ferro ha definito “ricostruzione storica”.

All’interno di questa gamma di approcci al rapporto tra cinema e storia, vale la pena citare i film di genere, i cui titoli evocano un passaggio o sono basati su personaggi specifici. Il loro obiettivo è quello di raccontare eventi del passato, lontano da un approccio storico rigoroso. Questi film hanno più la natura di leggende o di ritratti umani romanzati dei loro protagonisti.

All’interno di un numero limitato di singolarità cinematografiche si sviluppano altri film di intenzionalità storica che mirano a evocare un periodo o un evento storico. Si articolano ricostruendo, con più o meno rigore, eventi passati a partire da una visione soggettiva, con ovvie distinzioni tra regista e sceneggiatore.

Il cinema è molto più di un’opera d’arte. È uno spettacolo virtuoso costruito con storie sostanziali risolte da articolate messe in scena, che si evolvono in drammaturgie marcate e narrazioni portentose.

Nel suo legame con la storia, il cinema ricostruisce, abbozza, articola in una sceneggiatura gli eventi che per la loro natura passata lo assistono. Ovviamente, l’impronta ideologica dei suoi creatori è implicita.

Tutte le sue trame si evolvono popolandosi di significati, note estetiche sostanziali e simboli meridiani. Sono la somma di una mappa di connessioni ponderate disposte per connettersi con il lettore audiovisivo.

Queste sono alcune delle tesi più significative che da decenni segnano il rapporto tra storia e cinema. Tuttavia, in epoca contemporanea, questo rapporto, non sempre organico, si è arricchito ed evoluto con altri concetti associati ai pilastri della comunicazione, al ruolo dei media come articolatori di punti di vista o approcci editoriali. E, naturalmente, l’obiettivo primario che deve contraddistinguere tutti i media: informare.

Concetti come fake news, disinformazione, manipolazione, omissione, sono integrati nel panorama discorsivo di quest’epoca. Sono segni che si sono imbrigliati nella quotidianità sociale, nei dialoghi della nostra vita. Dietro le quinte, le reti sociali costituiscono uno scenario sempre più influente nel comportamento degli individui e nelle loro relazioni con altre formazioni di gruppo.

Si tratta di strategie radicate per inoculare matrici di opinione su temi che gonfiano la politica editoriale, subordinata agli interessi degli sponsor, piuttosto che al servizio pubblico.

II

È con queste premesse che prendo atto del documentario Castro’s Spies (Irlanda, 2020) dei registi Ollie Aslin e Gary Lennon. Sulla copertina del film, i suoi protagonisti: gli Eroi della Repubblica di Cuba, Gerardo Hernández Nordelo, René González Sehwerert, Fernando González Llort, Ramón Labañino Salazar e Antonio Guerrero Rodríguez.

Poco più di due minuti e mezzo di testimonianze sobrie, di parole chiave tratte dai loro accenti semplici, risolte con un montaggio di intrecci. Questa prefazione rivela la natura di cinque uomini segnati dal destino e dalla volontà di schierarsi per il proprio Paese, decisi ad affrontare le sfide di un altro governo contraddistinto da arroganza, prepotenza e inoculazione della guerra come strumento della propria politica estera.

Anche questa copertura filmica si evolve per mezzo di forti molle simboliche. Si appropria di un altro audiovisivo per costruire dei parallelismi che risultano essere, come risorsa cinematografica, una scia sovrapposta di antefatti sostanziali su un tema trasversale al documentario. Si tratta di retrospettive di altri eventi narrati nella serie En silencio ha tenido que ser, diretta da Jesús Cabrera (1979), l’opera di maggior successo nel suo genere a Cuba dalla fondazione della Televisione Cubana.

Il documentario, in questa parentesi temporale, si risolve anche a dare spazio ad altri personaggi opposti come anticipazione della sua linea discorsiva, un tono che predomina per tutto il tempo. È un modo di raccontare, indubbiamente organico, per smontare i fatti contaminati dai media statunitensi e occidentali, dove la semantica diventa una risorsa decisiva.

Con questo mélange di testimonianze ancorate in vari punti della messa in scena audiovisiva, i registi Aslin e Lennon rafforzano il corso narrativo del loro film e i loro punti di vista, tutti decisi a detronizzare approcci radicati.

L’incorporazione filmica di queste altre risorse contribuisce a delineare profili identitari: note di tratti psicologici, ideologie dichiarate e argomenti storici che in altre consegne filmiche si evolvono spopolando i contesti. Sono parte delle chiavi di questa solida narrazione filmica, rafforzata anche dai pilastri del conflitto.

Il racconto come materiale di supporto cinematografico è incorporato in un secondo tempo del film, assunto come risorsa essenziale della sua narrazione. I registi costruiscono schizzi orizzontali, simili a documentari, che emergono con le argomentazioni dei protagonisti. È un collage di valori complementari che rivela una costruzione corale.

Il film è rafforzato da immagini d’archivio, anch’esse colorate, intervenute, come parte di un look di rinnovamento estetico, abbondantemente ritoccate per connettersi con il lettore filmico della nuova generazione. Questi “ritagli” transitano con un’aria di attualità iconografica. Sono documenti, già utilizzati in altri film e in servizi televisivi.

Nel documentario Espías de Castro, l’uso di questi materiali chiarisce le lacune storiografiche in aree spesso raffinate dalla scrittura occidentale, che dipinge gli anni ’50 a Cuba come un periodo idilliaco, prospero e di straordinaria modernità. Questa somma di risorse è rafforzata anche da vignette e caricature, parte del capitale simbolico ri-significato in epoca contemporanea.

Non è intenzione dei registi sviluppare una scrupolosa cronologia degli eventi, ma solo sottolineare alcuni punti chiave per una migliore comprensione degli argomenti del film. Con questo capitolo, essi mettono in primo piano il corso delle relazioni tra Cuba e gli Stati Uniti, la patina narrativa attraverso la quale si svolge gran parte della storia del film.

Sono appunti di scene forti, note filmiche che espongono le tracce degli atti terroristici perpetrati contro Cuba, ricapitolazioni di un angolo contestuale, di un passato che il popolo cubano non cancellerà dalla sua memoria. Gli autori di questa saggistica li inseriscono in un montaggio di evidenti sottolineature, di anticipazioni storiche, concepite per dialogare con lettori prigionieri.

La già citata serie En silencio ha tenido que ser, che narra altre storie legate a complotti terroristici organizzati contro Cuba, viene utilizzata stabilmente nel film per ricreare il mondo esperienziale dei protagonisti di Espías de Castro. Ma la presenza nel film di quest’altra parte audiovisiva ha due chiare letture. Il blocco dell’informazione sul tema da parte dei media tradizionali e, in un secondo approccio, lo sfondo delle pratiche terroristiche provenienti dagli Stati Uniti contro il popolo cubano.

III

Il contrappunto di immagini della narrazione testimoniale, le collaudate letture simboliche, l’architettura di un ingranaggio informativo e l’approccio storico sono scommesse efficaci di fronte allo spettatore del film. La risposta precisa a queste risorse sta nel montaggio, che si evolve con pezzi dipinti con segni su una traccia immateriale di andirivieni. Non si tratta del banale approccio della pluralità, dell’imparzialità incolore: ogni opera d’arte comporta un punto di vista.

Gli autori di Espías de Castro incorporano in questa saggistica altre zone tematiche che rafforzano lo sviluppo del film. Sottolineano, a partire dall’appropriazione della memoria, somme di capitale simbolico di natura archivistica.

Eventi come l’invasione di Playa Girón (1961), compiuta da truppe mercenarie di origine cubana con base negli Stati Uniti – bollata dalla storiografia occidentale come Invasione della Baia dei Porci – fanno parte di questo diapason di eventi che vanno a gonfiare una narrazione audiovisiva in cui la storia è la molla principale.

Anche il vile bombardamento di un aereo civile della Cuban Aviation Company (1976), che ha causato la morte di 73 persone, e altri atti terroristici compiuti contro il popolo cubano, tutti finanziati e sostenuti dal governo statunitense.

I registi Ollie Aslin e Gary Lennon si rendono conto che le argomentazioni da sole non sono sufficienti a dimensionare ed espandere tutte le trame che convergono intorno ai pretesti che li hanno spinti a realizzare il documentario. Si giustifica così l’appropriazione in cui denunciano il terrorismo come pratica di intimidazione, di imposizione di una “ideologia” sulla volontà di una nazione e sull’esercizio quotidiano della sua sovranità.

Ma il contrappunto di questo pezzo non si sviluppa solo a partire dai pilastri della memoria o dalla gerarchizzazione dell’archivio. La testimonianza, trattata a partire dall’intervista, fa parte di questo schizzo cinematografico che contribuisce al collegamento con gli altri margini di fondo dell’argomentazione.

Anche le dichiarazioni di due terroristi di origine cubana che si sono stabiliti negli Stati Uniti, José Basulto e Orlando Bosch (quest’ultimo morto nel 2011), influenzano il corso narrativo del film e completano la tesi cinematografica del contrappunto, che rafforza la legittimità del discorso audiovisivo.

Non ci sono filtri o interventi estetici nelle loro testimonianze di comprovati autori di atti esecrabili; non scorrono sullo schermo elementi di mediazione creati da programmi informatici, molti dei quali creati per abbellire o giustapporre un millimetro di pellicola. La sobrietà è imposta per presentare questi attori del terrore e legittimare il discorso cinematografico. Sono scene pensate per articolare risposte dirette a un lettore permeato di altre simbologie inoculate.

Nelle loro dichiarazioni istrioniche, i terroristi non nascondono la paternità delle loro pratiche o la loro responsabilità per le azioni violente. La semantica dei media si è “risolta” a confezionarle con parole studiate al millimetro, inserite in una strategia riciclata di svuotamento di fatti dolorosi che fanno parte della memoria di una nazione.

“Dissidenti”, “esiliati”, “combattenti”, “combattenti per la libertà e la democrazia”, sono alcuni degli aggettivi che i media corporativi hanno cementato in questi oltre sei decenni in cui hanno cercato di annullare qualsiasi visione critica degli atti terroristici. È la strategia dei poteri del segno contro la forza dei fatti.

Negli ultimi tempi, un copione ben congegnato mira a scatenare a Cuba le cosiddette “rivoluzioni colorate” o “colpi di Stato morbidi”, teorizzati nel manuale del “politologo” statunitense Gene Sharp.

Alcune delle sue articolazioni mirano a inocularle attraverso l’attacco ai simboli della nazione, una linea scaglionata di attacchi “pacifici” contro le istituzioni statali e la cruda disinformazione articolata nei già noti media finanziati da agenzie governative statunitensi.

Altre variabili sono il mancato riconoscimento della Costituzione approvata dal popolo cubano il 24 febbraio 2019 e l’incoraggiamento dell’ozio, della sovversione e della destabilizzazione sociale e politica. Tutto questo è volto a giustificare un piano più grande: l’intervento militare diretto delle truppe yankee in territorio cubano. Gli obiettivi di questi “nuovi” mercenari sono legati ai terroristi cubani con base a Miami.

Vale la pena di sottolineare che l’ostinata applicazione del blocco economico, commerciale e finanziario contro Cuba, articolato dalle successive amministrazioni del governo statunitense, ha danneggiato lo sviluppo della nazione per più di sei decenni. Il danno accumulato in questo periodo ammonta a 144.413,4 milioni di dollari. Questa misura, perfezionata nel corso degli anni, ha un impatto su tutti i settori economici, sociali e culturali dell’isola.

D’altra parte, decine di azioni terroristiche condotte a Cuba e in altri Paesi hanno tolto la vita a 3.478 connazionali e altri 2.99 sono rimasti con disabilità fisiche e motorie e cicatrici psicologiche accertate.

IV

Sulla base di queste realtà, lo spettatore del film Le spie di Castro riconoscerà dialoghi sobri tra un vasto arsenale di argomenti, concepiti per meglio criticare la storia del terrorismo contro Cuba. La sua lunga cronologia e le tracce che ha lasciato sono esposte negli archivi della nazione. E soprattutto, nei lasciti e nei ricordi di diverse generazioni.

Quest’opera è l’edificazione cinematografica di alcuni dei pilastri della nostra storia, priva di orpelli romanzeschi. È la storia filmica di cinque uomini che hanno ipotizzato di cambiare le rotte dei loro sogni e di incorporare trasformazioni psicologiche dai pilastri della discrezione: un monologo di silenzi per affrontare con l’intelligence, perverse aggressioni terroristiche progettate dagli Stati Uniti.

In le Espías de Castro la testimonianza è al centro della scena. Circostanze sinuose, strappi bruschi, conflitti prevedibili, passaggi rivelati, parte di una somma di scaffali testuali provenienti dall’oralità, disposti in modo da tracciare le loro connessioni, convergono nelle cornici dello schermo.

I registi non tengono conto degli sfondi di questi dialoghi: non è la messa in scena che cercano di posizionare o mettere in primo piano. È l’aritmetica dei sostantivi opportunamente gerarchizzati e ciò che ci rivelano.

Le parole diventano significati portentosi; le convergenze delle loro affermazioni si sommano in un’aritmetica che ci permette di capire e di entrare, per quanto possibile, nei difficili percorsi delle loro vite. I retroscena debitamente biografati, le ragioni per far parte di una causa comune o i processi di formazione e preparazione di cinque uomini di fronte ai pericoli di una missione collettiva.

Passaggi colorati si integrano sullo schermo del film per risolvere, dal dispositivo cinematografico, rischi, portamenti, consegne, snodi, sfide, ostacoli. È una questione di schizzo che richiedeva un’umanizzazione cinematografica risolta in un intero capitolo filmico in cui è possibile “dialogare” con Gerardo, René, Fernando, Ramón e Antonio. È la risorsa di un incrocio di parole in prima persona, equilibrato in funzione di un’organicità, risolta nella sceneggiatura.

Le fotografie di famiglia aggiungono un’altra unità di capitale simbolico, opportunamente narrata per mappare la vita di questi uomini, disposti a fare da muro di silenzio di fronte all’esercizio del terrore.

Questo è un nucleo narrativo essenziale del film, un punto fermo articolato dall’emotività e dalla verbosità eretta, sviluppato con risposte cinematografiche sfalsate che ci intrappolano e ci impegnano a seguire le loro scandagli narrative. Così i registi ci invitano a trovarci in altri paralleli della storia, che rafforzano i percorsi delle loro argomentazioni disposte a partire dai fondamenti della verità, dai principi della vita.

Biografare non è solo ancorare le testimonianze a evoluzioni logiche, a risposte aristoteliche. È anche posizionare simbologie personali, gesti correlati, anch’essi contenuti. O porre l’accento su quello che risulta essere il pascolo delle affermazioni eretto come collage di cromatismi. Tutti elementi essenziali in ogni puntata filmica per entrare in empatia con gli argomenti che questi eroi condividono davanti al lettore audiovisivo.

Il montaggio, negli alfabeti che compongono quest’area del film, si impegna a dipanare le risignificazioni orizzontali. In un foglio di parole dove la metafora di ogni lettera converge con l’altra, con l’argomento precedente, sempre piatto, rafforzato. È una triangolazione audiovisiva che si avvolge nell’identità e nel corpo, in solide posizioni personali, presenti in tutto il documentario.

V

Un film di questa natura, per l’argomento che tratta, non è esente da trattamenti legati al cinema poliziesco, alla settima arte che socializza gli attraenti mondi del controspionaggio o le storie legate all’Intelligence. Ma non è questo il punto del film, il centro o quasi dei suoi significati, almeno per Ollie Aslin e Gary Lennon.

Essi sono impegnati a intervenire in altre zone dove convergono le motivazioni, i pretesti e le ragioni dei Cinque per assumere questo ruolo, dove la parola “Patria” racchiude i loro destini.

I protagonisti di questo documentario condividono informazioni di base, dati e aneddoti, nonché ricordi legati alla geografia di Miami, nucleo in cui vivono i gruppi terroristici di origine cubana. Gerardo, René, Fernando, Ramón e Antonio non negano la loro partecipazione ad azioni per penetrare in questi ambienti che mirano alla Casa Bianca.

Le azioni dei Cinque a Miami erano un pericolo per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti? Cuba non ha il diritto di difendersi dalle storiche azioni terroristiche perpetrate contro l’isola e in altre regioni del mondo?

Sono domande obbligate che emergono in questo film come parte degli assi sostanziali della storia. Sono le chiavi di lettura di Espías de Castro, che vanno ad arricchire l’arsenale di tutta la sua evoluzione organica e aggiungono risposte al rapporto film-storia, anche dal punto di vista della comunicazione o dell’esercizio del montaggio disinformativo, che alcuni documentari hanno incorporato nei loro pilastri video-estetici.

Inoltre, vengono invitati altri interlocutori essenziali, non necessariamente sostenitori della Rivoluzione cubana, sovrapposti da un approccio plurale per chiudere queste questioni sottolineate che sono anche i pretesti essenziali dei registi.

VI

Da parte loro, i Cinque condividono alcune riflessioni, da come sono penetrati in questi gruppi terroristici ai processi preparatori delle loro identità, parte di un apprendistato preventivo, necessario per accedere alle ancore di questi gruppi mercenari. Questo è l’invito rivolto da Ollie Aslin e Gary Lennon a mostrare una svolta legittimante alle loro azioni e alle sfide che esse comportano.

Sorge quindi la domanda che ogni lettore di film potrebbe porsi, una volta visto il film I Cinque erano spie di Castro, come riassume il nome del film. La risposta di uno di loro è stata categorica: sì.

Ma Cuba non ha forse il diritto di difendersi dalle azioni terroristiche?

I Cinque portano un bagaglio di esperienze e una serie di argomentazioni che legittimano la tesi dei registi. Non solo condividono le loro esperienze sul suolo statunitense, ma anche il significato della loro partecipazione ad attività ad alto rischio, con un evidente margine di pericolo per le loro vite.

In questa parte del documentario, che può essere letta come un punto di svolta, i registi chiamano in causa l’ex procuratore statunitense Guy Lewis e gli avvocati che difendono i nostri cinque connazionali.

Allo stesso modo, come un grande puzzle narrativo che svela i capitoli di una rete costruita dall’intelligence cubana per smantellare i piani terroristici, i documentaristi si risolvono a delimitare le funzioni, i compiti e il significato delle loro azioni, concretizzate in un territorio ostile dove hanno anche abbozzato i pilastri etici che hanno sostenuto il loro lavoro.

Gerardo, René, Fernando, Ramón e Antonio non hanno mai avuto accesso a informazioni segrete, classificate o considerate di interesse per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il loro lavoro era incentrato sulla protezione dell’integrità della nazione cubana.

Lo spettro di risorse sviluppato in questo documentario rafforza la tesi precedente: José Basulto, leader di Brothers to the Rescue, un’organizzazione terroristica con sede a Miami, è incorporato come parte del corpo dei testimoni.

Un passaggio storico del documentario ha scatenato un clima di tensione tra i governi di Washington e L’Avana, durante il periodo guidato dall’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton: aerei guidati da membri di questa organizzazione terroristica hanno compiuto più di un’incursione in territorio cubano sotto lo sguardo “cieco” della Casa Bianca.

In diverse occasioni, attraverso i canali diplomatici, l’amministrazione Clinton è stata avvertita da Cuba di queste incursioni e dei pericoli che esse rappresentavano per l’integrità dell’isola.

La testimonianza di René González, che è riuscito a creare un legame con il leader di Brothers to the Rescue e a penetrare in questa organizzazione violenta, fornisce un resoconto dei piani per attaccare il sistema elettrico di Cuba.

In una parte dell’intervista con José Basulto, il cinismo di questo “personaggio” si rivela quando afferma: “Siamo il risultato della politica estera degli Stati Uniti”. Le sue parole svelano parte delle evoluzioni narrative del film, dove la caratterizzazione delle identità è un elemento sostanziale, un tratto distintivo della storia.

I Cinque avevano anche il compito di tenere d’occhio il terrorista Orlando Bosch, storicamente basato a Miami. L’attentato a un aereo civile cubano, pianificato insieme al terrorista Luis Posada Carriles, citato in questo articolo, faceva parte del loro ricco curriculum di genocidi. Non si tratta forse di un atto di legittima autodifesa della nazione cubana?

Espías de Castro ci ricorda che gli atti di violenza perpetrati contro Cuba non sono una questione del passato, del periodo di fondazione della Rivoluzione. Nel 1997, una serie di atti terroristici si scatenarono nelle strutture alberghiere dell’Avana, causando la morte del turista italiano Fabio Di Celmo e ferendo in varia misura diversi cubani.

In quel periodo, l’organizzazione terroristica Alfa 66 elaborava e organizzava piani militari da Miami. I contributi documentari di queste sottolineature, risolte dal racconto giornalistico, rafforzano la tesi del film.

Il Federal Bureau of Investigation (FBI) non avrebbe dovuto neutralizzare questi piani sviluppati sul territorio statunitense e la politica del governo americano non dovrebbe essere quella di abortire qualsiasi piano che contenga il terrorismo come strumento di distruzione della vita?

La cronologia della storia delle relazioni degli Stati Uniti con Cuba dal trionfo della Rivoluzione cubana nel gennaio 1959 fornisce tutte le risposte.

I Cinque sono stati sottoposti a un trattamento severo che ha cercato di annullare i pilastri della loro dignità. Sono stati portati, in più occasioni, nell’Unità abitativa speciale (El Hueco) come parte della filosofia che contraddistingue il sistema carcerario statunitense.

Hanno attraversato due periodi legali di processi truccati, il primo nella città di Miami, dove, nonostante l’assenza di prove che li incriminassero come spie di Castro, hanno ricevuto dure condanne, tra cui due ergastoli, l’ultimo per Gerardo Hernández Nordelo.

Per anni il popolo cubano si è dedicato ad azioni scaglionate, campagne successive, sforzi personali, tutti per la liberazione dei Cinque Eroi di Cuba. In un discorso, il Comandante Fidel Castro Ruz disse: “Torneranno! E sono tornati.

La solidarietà internazionale, sistematicamente messa a tacere dai mass media corporativi, sviluppò un impressionante piano d’azione a favore del loro ritorno a Cuba.

Questo film raccoglie, dalle sorgenti dell’emotività e dalla linea orizzontale della ricostruzione della verità, fatti che fanno parte dell’ultimo periodo della storia dei Cinque, soldati del silenzio.

I registi Ollie Aslin e Gary Lennon raccontano le basi di una storia, di una narrazione, con veridicità, che è in linea con il senso verticale del film: rivelare la storia del terrorismo contro Cuba in più di sessant’anni di confronto.

Fonte: Cubainformación

Traduzione: italiacuba.it

 

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