9 ottobre 1967: Ernesto Che Guevara viene assassinato

Nell’ottobre del 1967, il quotidiano argentino El Clarín annunciava, con informazioni delle agenzie di stampa Reuters, AFP e AP, la notizia che fece il giro del mondo:

“Il famoso guerrigliero argentino Ernesto ‘Che’ Guevara, compagno d’armi di Fidel Castro, la cui presenza in Bolivia, dopo la sua inaspettata scomparsa dalla scena politica cubana, era stata più volte segnalata dal governo boliviano, era stato ucciso in uno scontro tra forze militari e un gruppo di guerriglieri nella città di Las Higueras, vicino a Vallegrande”. La notizia, annunciata dal generale Zenteno Anaya, non è ancora stata confermata ufficialmente e si attende ancora l’identificazione dei guerriglieri morti”.

Nel 56° anniversario dall’assassinio dell’uomo che rappresenta per eccellenza l’idea della Rivoluzione pubblichiamo le sue lettere del 31 marzo 1965 e del 1° aprile 1965 indirizzate a Fidel Castro, ai genitori e ai figli.

Il 31 marzo 1965 Ernesto Che Guevara scrive a Fidel Castro

A Fidel CastroL’Avana, “Anno dell’agricoltura”

31 marzo 1965

Fidel,
in questa ora mi ricordo di molte cose, di quando ti ho conosciuto in casa di Maria Antonia, di quando mi hai proposto di venire, di tutta la tensione dei preparativi.

Un giorno passarono a domandare chi si doveva avvisare in caso di morte, e la possibilità reale del fatto ci colpì tutti. Poi sapemmo che era proprio così, che in una rivoluzione, se è vera, si vince o si muore, e molti compagni sono rimasti lungo il cammino verso la vittoria.

Oggi tutto ha un tono meno drammatico, perché siamo più maturi, ma il fatto si ripete. Sento che ho compiuto la parte del mio dovere che mi legava alla rivoluzione cubana nel suo territorio e mi congedo da te, dai compagni, dal tuo popolo, che ormai è il mio.

Faccio formale rinuncia ai miei incarichi nella direzione del partito, al mio posto di ministro, al mio grado di comandante, alla mia condizione di cubano. Niente di giuridico mi lega a Cuba; solo rapporti di altro tipo che non si possono spezzare come le nomine.

Se faccio un bilancio della mia vita, credo di poter dire che ho lavorato con sufficiente rettitudine e abnegazione a consolidare la vittoria della rivoluzione.
Il mio unico errore di una certa gravità è stato quello di non aver avuto fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente rapidità le tue qualità di dirigente e di rivoluzionario.

Ho vissuto giorni magnifici e al tuo fianco ho sentito l’orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi.

Poche volte uno statista ha brillato di una luce più alta che in quei giorni; mi inorgoglisce anche il pensiero di averti seguito senza esitazioni, identificandomi con la tua maniera di pensare e di vedere e di valutare i pericoli e i princìpi.

Altre sierras nel mondo reclamano il contributo delle mie modeste forze. Io posso fare quello che a te è negato per le responsabilità che hai alla testa di Cuba, ed è arrivata l’ora di separarci.

Lo faccio con un misto di allegria e di dolore; lascio qui gli esseri che amo, e lascio un popolo che mi ha accettato come figlio; tutto ciò rinascerà nel mio spirito; sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l’imperialismo dovunque esso sia; questo riconforta e guarisce in abbondanza di qualunque lacerazione.

Ripeto ancora una volta che libero Cuba da qualsiasi responsabilità tranne da quella che emanerà dal suo esempio; se l’ora definitiva arriverà per me sotto un altro cielo, il mio ultimo pensiero sarà per questo popolo e in modo speciale per te; ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e per il tuo esempio a cui cercherò di essere fedele fino alle ultime conseguenze delle mie azioni.

Mi sono sempre identificato con la politica estera della nostra rivoluzione e continuo a farlo; dovunque andrò sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano e come tale agirò; non lascio a mia moglie e ai miei figli niente di materiale, ma questo non è per me ragione di pena: mi rallegro che sia così.
Non chiedo niente per loro perché lo stato gli darà il necessario per vivere e per educarsi.

Avrei molte cose da dire a te e al nostro popolo, ma sento che le parole non sono necessarie e che non possono esprimere quello che io vorrei dire; non vale la pena di consumare altri fogli.

Fino alla vittoria sempre. Patria o Morte!

Ti abbraccio con grande fervore rivoluzionario

«A Fidel Castro“Año de la Agricultura” La Habana,

31 marzo 1965

Fidel:
me recuerdo en esta hora de muchas cosas, de cuando te conocí en casa de María Antonia, de cuando me propusiste venir, de toda la tensión de los preparativos.

Un día pasaron preguntando a quién se debía avisar en caso de muerte y la posibilidad real del hecho nos golpeó a todos. Después supimos que era cierto, que en una revolución se triunfa o se muere (si es verdadera). Muchos compañeros quedaron a lo largo del camino hacia la victoria.

Hoy todo tiene un tono menos dramático porque somos más maduros, pero el hecho se repite. Siento que he cumplido la parte de mi deber que me ataba a la Revolución cubana en su territorio y me despido de ti, de los compañeros, de tu pueblo que ya es mío.

Hago formal renuncia de mis cargos en la Dirección del Partido, de mi puesto de Ministro, de mi grado de Comandante, de mi condición de cubano. Nada legal me ata a Cuba, sólo lazos de otra clase que no se pueden romper como los nombramientos.
Haciendo un recuento de mi vida pasada creo haber trabajado con suficiente honradez y dedicación para consolidar el triunfo de la Revolución.

Mi única falta dealguna gravedad es no haber confiado más en ti desde los primeros momentos de la Sierra Maestra y no haber comprendido con suficiente celeridad tus cualidades de conductor y de revolucionario.

He vivido días magníficos y sentí a tu lado el orgullo de pertenecer a nuestro pueblo en los días luminosos y tristes de la Crisis del Caribe.

Pocas veces brilló más alto un estadista que en esos días, me enorgullezco también de haberte seguido sin vacilaciones, identíficado con tu manera de pensar y de ver y apreciar los peligros y los principios.

Otras tierras del mundo reclaman el concurso de mis modestos esfuerzos. Yo puedo hacer lo que te está negado por tu responsabilidad al frente de Cuba y llegó la hora de separarnos.

Sépase que lo hago con una mezcla de alegría y dolor; aquí dejo lo más puro de mis esperanzas de constructor y lo más querido entre mis seres queridos…y dejo un pueblo que me admitió como un hijo; eso lacera una parte de mi espíritu.

En los nuevos campos de batalla llevaré la fe que me inculcaste, el espíritu revolucionario de mi pueblo, la sensación de cumplir con el más sagrado de los deberes: luchar contra el imperialismo dondequiera que esté; esto reconforta y cura con creces cualquier desgarradura.

Digo una vez más que libero a Cuba de cualquier responsabilidad, salvo la que emane de su ejemplo.

Que si me llega la hora definitiva bajo otros cielos, mi último pensamiento será para este pueblo y especialmente para ti. Que te doy las gracias por tus enseñanzas y tu ejemplo al que trataré de ser fiel hasta las últimas consecuencias de mis actos.

Que he estado identificado siempre con la política exterior de nuestra Revolución y lo sigo estando. Que en dondequiera que me pare sentiré la responsabilidad de ser revolucionario cubano, y como tal actuaré. Que no dejo a mis hijos y mi mujer nada material y no me apena: me alegra que así sea.

Que no pido nada para ellos pues el Estado les dará lo suficiente para vivir y educarse.

Tendría muchas cosas que decirte a ti y a nuestro pueblo, pero siento que son innecesarias, las palabras no pueden expresar lo que yo quisiera, y no vale la pena emborronar cuartillas.

Hasta la victoria siempre. ¡Patria o Muerte!

Te abraza con todo fervor revolucionario.

Il 1º aprile del 1965, Ernesto Che Guevara scrive le lettere di addio ai suoi genitori e ai suoi figli

 

Ai miei genitori

Miei cari,

ancora una volta sento sotto i talloni le costole di Ronzinante; mi rimetto in cammino col mio scudo al braccio.

Sono passati quasi dieci anni da quando vi scrissi un’altra lettera di commiato.
A quel che mi ricordo, mi rammaricavo allora di non essere miglior soldato e miglior medico; la seconda cosa ormai non m’interessa, come soldato non sono tanto male.

Nulla è cambiato di essenziale, salvo che sono molto più cosciente, e il mio marxismo si è radicato e depurato. Credo nella lotta armata come unica soluzione per i popoli che lottano per liberarsi e sono coerente con le mie convinzioni.

Molti mi diranno che sono un avventuriero, e lo sono, solo di un tipo diverso, di quelli che rischiano la pelle per dimostrare le proprie verità. Può darsi che questa sia la volta definitiva. Non lo cerco, ma rientra nel calcolo logico delle probabilità. Se è così, questo è il mio ultimo abbraccio.

Vi ho amato molto, solo che non ho saputo esprimere il mio affetto; sono estremamente rigoroso nelle mie azioni e credo che a volte non mi abbiate capito. Non era facile capirmi, d’altra parte; credetemi, almeno oggi.Ora una volontà che ho perfezionato con compiacimento da artista sosterrà due gambe molli e due polmoni stanchi.

Ricordatevi di tanto in tanto di questo piccolo condottiero del secolo XX. Un bacio a Celia a Roberto, Juan Martin e Pototín, a Beatriz, a tutti.

A voi un grande abbraccio da figliol prodigo e ribelle.

Ernesto

 

Ai miei figli

Cari Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto, se un giorno dovreste leggere questa lettera, è perché non sarò più tra voi. Quasi non vi ricorderete di me e i più piccolini non mi ricorderanno affatto.

Vostro padre è stato un uomo che agisce come pensa ed è certamente stato fedele alle sue convinzioni.

Crescete come buoni rivoluzionari. Studiate molto per poter dominare la tecnica che permette di dominare la natura. Ricordatevi che l’importante è la rivoluzione e che ognuno di noi, da solo, non vale niente.

Soprattutto siate sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo: è la qualità più bella di un rivoluzionario.

Arrivederci, bambini miei, spero di rivedervi ancora.

Un grande bacio e abbraccio da papà.

Carta de despedida del Che a sus padres

Queridos viejos:

Otra vez siento bajo mis talones el costillar de Rocinante, vuelvo al camino con mi adarga al brazo.

Hace de esto casi diez años, les escribí otra carta de despedida. Según recuerdo, me lamentaba de no ser mejor soldado y mejor médico; lo segundo ya no me interesa, soldado no soy tan malo.

Nada ha cambiado en esencia, salvo que soy mucho más conciente, mi marxismo está enraizado y depurado.

Creo en la lucha armada como única solución para los pueblos que luchan por liberarse y soy consecuente con mis creencias. Muchos me dirán aventurero, y lo soy, sólo que de un tipo diferente y de los que ponen el pellejo para demostrar sus verdades.

Puede ser que ésta sea la definitiva. No lo busco pero está dentro del cálculo lógico de probabilidades. Si es así, va un último abrazo.

Los he querido mucho, sólo que no he sabido expresar mi cariño, soy extremadamente rígido en mis acciones y creo que a veces no me entendieron.

No era fácil entenderme, por otra parte, créanme, solamente, hoy. Ahora, una voluntad que he pulido con delectación de artista, sostendrá unas piernas fláccidas y unos pulmones cansados. Lo haré.

Acuérdense de vez en cuando de este pequeño condotieri del siglo XX. Un beso a Celia, a Roberto, Juan Martín y Patotín, a Beatriz, a todos. Un gran abrazo de hijo pródigo y recalcitrante para ustedes.

Ernesto

A mis hijos

Queridos Hildita, Aleidita, Camilo, Celia y Ernesto: si alguna vez tienen que leer esta carta, será porque yo no este entre Uds. Casi no se acordaran de mí y los más chiquitos no recordarán nada.

Su padre ha sido un hombre que actúa como piensa y, seguro ha sido leal a sus convicciones.

Crezcan como buenos revolucionarlos. Estudien mucho para poder dominar la técnica que permite dominar la naturaleza. Acuérdense que la Revolución es lo importante y que cada uno de nosotros, solo, no vale nada.

Sobre todo, sean siempre capaces de sentir en lo más hondo cualquier injusticia cometida contra cualquiera en cualquier parte del mundo. Es la cualidad mas linda de un revolucionario.

Hasta siempre hijitos, espero verlos todavía.

Un beso grandote y un abrazo de papà.

Scritti e discorsi di Ernesto Guevara

56 anni fa veniva assassinato Ernesto ‘Che’ Guevara, l’uomo che rappresenta per eccellenza l’idea della Rivoluzione. Sperando di farvi cosa gradita pubblichiamo qui sotto (in lingua originale) Citazioni, Discorsi, Video, Fotografie e Musica estratte dal sito web del CEME (archivio storico, sociale, politico e culturale del Cile).

Citazioni e discorsi di Ernesto Guevara

1952               Notas de Viaje. Ernesto Guevara
1955               Sobre el peronismo. Ernesto Guevara
1958               Entrevista de Jorge Masetti con el Che en Sierra Maestra
Che Guevara. Obras escogidas. Libro. 1.7 MB
1959               Lo que aprendimos y lo que enseñamos
1959               Proyecciones sociales del Ejercito Rebelde
1959               Discurso en ‘El Pedrero’
1959               Guerra y población campesina. Ernesto Guevara
1959               Palabras en la despedida de los compañeros Juan Abrahantes y Jorge Villa
1959               América desde el balcón afroasiático
1959               Reforma universitaria y revolución
1959               Discurso en la concentración ante el Palacio Presidencial
1959             Discurso al recibir el doctorado honoris causa de la Universidad Central de las Villas
1959-1964   Cuatro artículos sobre guerrilla y guerra de guerrillas
1959              ‘Que es un guerillero’
1959              Una historia de la Revolución Cubana
1960              Discurso en la entrega del Centro Escolar ‘Oscar Lucero’
1960              Discurso en la conmemoracióndel natalicio de José Martí
1960              Discurso en el Banco Nacional
1960              Discurso a los trabajadores de la industria textil
1960              El papel de la Universidad en el desarrollo económico de Cuba
1960              Soberanía política e independencia Económica
1960              Discurso en Santiago de Cuba
1960              Discurso en la inauguración de la exposición industrial en Ferrocarril
1960            Consejos al combatiente. Ocho artículos
1960              Las ametralladoras en el combate defensivo
1960              Discurso al Primer Congreso Latinoamericano de Juventudes
1960              La ‘Corte de los Milagros’ y otros motes de la OEA
1960              El médico revolucionario. Ernesto Guevara
1960             Notas para el estudio de la ideología de la Revolución cubana.
1961              Sobre la firma de acuerdos con los países socialistas. Ernesto Guevara. 6 enero 1961
1961              Despedida de duelo a Osvaldo Sánchez y otros compañeros del MINFAR
1961              Discurso a las milicias en Cabañas, Pinar del Río
1961              Discurso en la Convención Nacional de los Consejos Técnicos Asesores
1961              Palabras a obreros destacados
1961              Discurso en el Encuentro Nacional Azucarero
1961              Cuba ‘Excepción histórica o vanguardia en la lucha contra el colonialismo
1961              Discurso a las milicias en Pinar del Río
1961              Economía y Planificación.
1961              Contra el burocratismo
1961              Discurso en el acto conmemorativo de la muerte de Antonio Guiteras
1961              Discurso en el acto de homenaje al general Líster
1961              Conferencia en el curso de adiestramiento del Ministerio de Industrias
1961              Discusión colectiva, decisión y responsabilidad únicas
1961              Discurso en la reunión del Consejo Interamericano Económico y Social, Uruguay
1961              Segundo discurso ante la CIES. Ernesto Guevara
1961              Discurso del Che en la Universidad República de Montevideo
1961              Discurso en la Primera Reunión Nacional de Producción
1961              Charla a trabajadores del Ministerio de Industrias
1961              Discurso en la inauguración de la planta de sulfometales ‘Patricio Lumumba’
1961              Discurso en la Conmemoración del 27 de noviembre de 1871
1961              La Guerra de Guerrillas
1961              Moral y disciplina de los combatientes revolucionarios. Ernesto Guevara
1962              Conferencia a los estudiantes de la Facultad de Tecnología
1962              Mensaje a los argentinos
1962              El cuadro, columna vertebral de la revolución
1962            ‘Que debe ser un joven comunista’
1962             Discurso en acto de homenaje a Antonio Maceo
1962             La Batalla de Santa Clara. Relato del comandante Ernesto Che Guevara
1962             Pasajes de la guerra revolucionaria
1963             Discurso de la plenaria azucarera en Camagüey
1963             Discurso en la asamblea general de trabajadores de la Textilería Ariguanabo
1963             Discurso en Minas del Frío
1963             En la clausura del Encuentro internacional de estudiantes de arquitectura
1963             Guerra de guerrillas, un método
1963             El partido marxista-leninista
1963             Guerra de guerrillas. El papel de la mujer. Ernesto Guevara
1964             Palabras en la entrega de certificados de trabajo comunista
1964             Sobre las tareas fundamentales de la industria y trabajos de dirección. Ernesto Guevara
1964             Sobre el sistema presupuestario de financiamiento
1964             Conferencia Mundial de Comercio y Desarrollo.
1964             La Banca, el crédito y el socialismo
1964             Discurso en la inauguración de la Planta Mecánica de Las Villas.
1964             La Juventud y la revolución
1964             Discurso en la inauguración de la Planta Beneficiadora de Caolín
1964             Discurso en la inauguración de la Fábrica de Bujías de Sagua la Grande
1964             La planificación socialista, su significado
1964             Discurso en la inauguración de la Fábrica de Alambre de Puas en Nuevitas
1964             Discurso en la inauguración de la Fábrica de Bicicletas de Caibarién
1964             Discurso en la entrega de certificados de trabajo comunista en el Ministerio de Industrias
1964             Discurso en la Asamblea de Emulación del Ministerio de Industrias
1964             Discurso en homenaje al Comandante Camilo Cienfuegos
1964             Discurso en la Asamblea General de las Naciones Unidas
1964             Intervención en la Asamblea General de las Naciones Unidas, II replica
1964             Conferencia en el programa televisado ‘Face the Nation’
1964             Cuba, su economía, su comercio exterior, su significado en el mundo actual
1965             Discurso de Argel
1965             El socialismo y el hombre en Cuba
1965             El Che y su carta sobre los estudios de filosofía
1965             Del libro Pasajes de la lucha revolucionaria Congo. Fragmentos
1965             Carta de despedida del Che Guevara a Fidel Castro
1965             Cuatro Cartas de despedida a su familia
1965             La piedra. Relato inédito del Che Guevara
1966             Carta de despedida a Fidel Castro
1966             Notas Inéditas del Che al Manual de Eco Política de la Academia de Ciencias URSS
1967             Mensaje a los pueblos del mundo a través de la Tricontinental
1967             Diario en Bolivia
1967             Cinco Comunicados redactados por el Che en la selva boliviana.

Video (scaricare cliccando sul link)

Festejos del triunfo Rebelde en Cuba en 1951
Hasta Siempre Comandante Che Guevara – Carlos Puebla
Che en la Sierra Maestra
Discurso de Ernesto Guevara en la ONU
Discurso de Ernesto Guevara en Santiago de Cuba
Palabras del Che sobre Playa Giron
El Che trabajando cuando era Ministro de Industria
Discurso de Ernesto Guevara a los trabajadores y voluntarios
Breve compilado de imágenes con música de fondo
Fidel Castro lee la carta de despedida del Che
Fidel habla del Che
Momento en que encontraron los restos del Che en Bolivia.
Ceremonia En Santa Clara cuando llega el ataud con los restos del Che

Fotografie (scaricare cliccando sul link)

Homenaje Fotografico de Ernesto Guevara desde su niñez hasta su muerte en Bolivia 23,6MB
Colección de Afiches en Homenaje a Ernesto Guevara 1   16,6MB
Coleccion de Afiches en Homenaje a Ernesto Guevara 2   10,4MB

Musica  

Alma Morena.- Miguel Angel Filipini
América te hablo de Ernesto – Silvio Rodriguez
Andes lo que Andes – Amaury Perez
Ay, Che Camino – Matio
Ayer y Hoy Enamorados – Santiago Felíu
Cancion al Guerrillero Heroico – Elena Burke
Cancion al Hombre Nuevo – Nereyda Naranjo
Cancion Cubana – Ernesto Lecuona
Cancion del elegido – Silvio Rodriguez
Cancion del Hombre Nuevo – Daniel Viglietti
Cancion funebre por Che Guevara
Carta al Che – Inti Illimani
Che Comandante – Cacique Paraguayo
Che Esperanza – Egon y Los Arachanes
Che Guevara
Comandante Che Guevara – Grupo Tabacalero
Diciembre 3 y 4
El aparecido. – Victor Jara
El Hombre Nuevo – Daniel Viglietti
Elegia al Che Guevara – Inti Illimani
Fusil contra Fusil
Guitarra en duelo mayor – Angel Parra
Hasta Siempre – Carlos Puebla

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Fonte: archivochile.com/


Se il poeta sei tu

Il Che, oltre a essere un guerrigliero imbattibile, era un uomo legato alla letteratura, non solo come lettore, ma anche come creatore, un aspetto di cui si parla raramente.

Quando si parla del Che, si pensa a lui come a un essere universalmente identificato dalla sua condizione di rivoluzionario completo nella teoria e nella pratica, con l’obiettivo di rendere il pianeta un posto più decente per l’umanità. Tuttavia, il Che, oltre a essere un guerrigliero imbattibile, era un uomo legato alla letteratura, non solo come lettore, ma anche come creatore, un aspetto di cui si parla raramente.

La sua passione per la lettura risale all’infanzia, che gli permise di godere delle avventure di Jules Verne e di quelle di Don Chisciotte e del suo fedele scudiero. Il suo grande amico Alberto Granados ha rivelato il gusto del Che per altre letture che richiedevano una maggiore capacità di analisi e comprensione per un giovane di quell’età: leggeva Baudelaire, Verlaine e Mallarmé in lingua originale, oltre a Lorca e Machado. Ricorda anche la sua profonda ammirazione per il cileno Pablo Neruda, di cui aveva trascritto integralmente il Canto General.

Il fatto che il futuro guerrigliero abbia avuto un interesse precoce per la poesia suggerisce che aveva anche interesse a scriverla. Dietro quel volto di uomo duro, a volte irascibile, sarcastico e ironico nei confronti di adulatori e opportunisti, si nascondeva un magnifico essere umano, profondamente sensibile, capace di far conoscere il suo amore per l’uomo umile, la sua ferma convinzione di combattere per lui.

Due circostanze gli impedirono di continuare a creare la sua opera poetica: da un lato, la sua costante vita di pellegrino in America, che gli fece conoscere una realtà perversa a livello continentale e che lo spinse irrimediabilmente alla lotta armata, non solo per la liberazione di Cuba, ma anche per la rivoluzione latinoamericana e, dall’altro, la sua morte precoce, che lasciò incompiuta una vocazione alla poesia basata sull’onestà e sulla necessità di testimoniare un mondo squilibrato, causa di grandi miserie umane.

La maggior parte delle sue poesie è stata scritta tra il 1954 e il 1956. A 26 anni il Che viaggia per il Guatemala, impara a individuare le cause della povertà e dello sfruttamento, si unisce alla difesa del governo popolare di Jacobo Árbenz, incontra Patojo e deve fuggire in Messico di fronte alle angherie dei nuovi dittatori nella terra del quetzal. Questa maturità politica lo rese un poeta impegnato nei suoi ideali di lotta contro le disgrazie sociali e politiche.

In poesie, come A los mineros de Bolivia (1953), ¿Qué más da? (1953), España en América (1954), Una lágrima hacia ti (1954), Invitación al camino (1954), Uaxactún… dormida (1954-1956) e El mar me llama (1956-1956), il Che sentì il bisogno di esprimere il suo dolore per il mondo apocalittico che scoprì attraversando; quei contrasti di un Guatemala bellissimo, con paesaggi esuberanti di luce e colori, fondati su una storia scossa da servitù, discriminazione e infelicità secolare.

Scoprì anche il vero volto delle dittature militari a favore degli oligarchi nazionali e dei capitali delle grandi imprese straniere; vide da vicino la vera bocca dell’imperialismo. Nonostante il grigiore dei suoi versi, il poeta ha fiducia nell’intelligenza umana, nella sua decisione irrevocabile di gettare la sorte con gli umili e di lottare per la loro dignità.

Nel 1956, mentre si trovava in carcere in Messico, non poté sottrarsi al magnete umano che la figura del leader dell’M-26-7 emanava, e scrisse quella poesia oggi antologizzata, Canto a Fidel, una poesia che esprimeva la lealtà, la gioia per la possibilità reale di iniziare la rivoluzione americana, di dimostrare di essere un soldato, di riconfigurarsi come uomo dal destino sicuro; Tra il 1965 e il 1966, alla vigilia del suo ritorno nella giungla guerrigliera, dedicò ad Aleida March il suo poema d’addio – forse la sua ultima prova lirica – un addio alla donna che definì unica, espressione di un amore profondo di spirito e di carne, di gioie e di vittorie, di fatiche vitali e di ninne nanne di amanti. Il titolo (La mia unica al mondo) di questo fascio di intimità e argomenti non è casuale. Il poeta e l’amata sanno che l’addio è doloroso, ma necessario. Sanno: non c’è ritorno, il dado è tratto. Di nascosto ho preso questo unico verso d’amore dall’armadio di Hickmet, per lasciarti l’esatta dimensione del mio affetto, confessa il poeta per giustificare la sua assenza, che sarà molto prolungata, forse definitiva. Tuttavia, ha bisogno di esprimere all’amata Aleida altre esigenze del suo spirito guerrigliero: (Ti porto nella mia bisaccia di viaggiatore insaziabile come / il nostro pane quotidiano.) / Esco per costruire le sorgenti di sangue e / malta / e lascio nel vuoto della mia assenza, / questo bacio senza un indirizzo conosciuto.

Può il poeta-guerrigliero andarsene credendo che la sua amata lo abbia capito? Lo sa: la sua anima, di uomo giusto e di stelle universali, capisce che l’assenza sarà per la vita. Non può, non deve lasciarle alcuna speranza, per quanto lontana possa sembrare; deve parlare al suo cuore, ricucire le ferite che verranno dalle notti insonni, dalle incertezze, dalle albe dolorose; la poesia dovrà assumere il suo ruolo di braccia amorose, di consolazione, di ricordi inesauribili come quelle evocazioni che custodiscono le morbide piume dei cuscini, di baci e di infinite carezze: Addio, mio unico, / non tremare davanti alla fame dei lupi / né nel freddo stepposo dell’assenza; / dalla parte del mio cuore ti porto / e insieme andremo avanti finché la strada non svanirà….

Ora è così. Il poeta-guerrigliero è partito, nuove poesie lo attendono. Là, in cima al mondo, la neve, la fame, la desolazione e i ricordi sono pronti a riempire migliaia di pagine di amore e di morte e, con esse, di vita.

Fonte: Granma

Traduzione: italiacuba.it


Essere coerenti e costanti non era un’opzione

I giovani di oggi preferiscono avvicinarsi al Che basandosi sulla sua storia di essere umano in costante processo di cambiamento, audace di fronte a qualsiasi sfida.

“Se vogliamo esprimere come vogliamo che siano i nostri combattenti rivoluzionari, i nostri militanti, i nostri uomini, dobbiamo dire senza alcuna esitazione: che siano come il Che!”.

(Fidel Castro Ruz)

Questa espressione di Fidel sul Che è entrata a far parte della cultura politica del popolo cubano il 18 ottobre 1967, in una Piazza della Rivoluzione dominata dall’emozione e dal silenzio di chi, all’epoca, aveva già fatto esperienza diretta della sua grandezza umana e politico-rivoluzionaria.

Ma il tempo è passato e chi è nato dopo quella data si è abituato all’impressionante foto di Korda; ha sentito parlare di un Che le cui virtù sembravano irraggiungibili; Ripetevano “saremo come il Che”, a volte senza ulteriori spiegazioni, e alcuni non hanno mai saputo come Ernesto, che a dieci anni aveva letto il Don Chisciotte di Cervantes ed era rimasto colpito dalla generosità del Caballero Andante, che a 15 anni aveva già letto una voluminosa bibliografia della migliore letteratura dell’epoca, che a 17 anni si era messo a scrivere un dizionario filosofico e che, tra viaggi, contatti fortuiti o ricercati con i più poveri, e non poche avventure degne di essere conosciute, finì per diventare il Che.

I giovani, che avevano la sua stessa età quando iniziò il suo primo viaggio intorno al continente, oggi chiedono dettagli sulla sua evoluzione politica, su come sia riuscito a essere autodidatta e umanista colto, su come abbia coniugato la poesia con le più rigorose analisi sociologiche e politiche, sul perché sia andato a combattere per i poveri dell’”America maiuscola”, lasciandosi alle spalle ciò che aveva di più caro tra i suoi cari. Si preoccupano di ciò che ha fatto, ma soprattutto di come e perché ha agito.

Tutto indica che i giovani di oggi preferiscono avvicinarsi al Che sulla base della sua storia di essere umano in perenne processo di cambiamento, audace di fronte a qualsiasi sfida, capace di affrontare i più acuti dibattiti di idee, senza temere le contraddizioni che finiscono per favorire il progresso. Sono colpiti da quanto amasse i suoi figli e la sua “unica”, come afferma in una poesia di addio ad Aleida March.

Allo stesso tempo, sono “incuriositi” nel sapere come coniugasse l’amore per la famiglia con i suoi doveri rivoluzionari, e come la sua casa fosse un esempio dell’austerità che difendeva come regola d’oro del leader rivoluzionario.

Questo è solo un breve esempio delle domande che questa fascia d’età del Paese si pone oggi. Ciò è stato confermato, tra l’altro, in un dialogo sconfortante con i giovani dell’Università di Cultura Fisica e Scienze dello Sport Manuel Fajardo il 13 giugno.

Come si può dunque realizzare la socializzazione della vita e dell’opera rivoluzionaria e intellettuale del Che, di cui Cuba e i suoi giovani hanno bisogno oggi, in modo veritiero e convincente, motivante e aperto allo scambio?

Una possibile via è quella di mostrare, nella sua evoluzione e nei suoi contesti, la sua traiettoria etica. È ciò che questo approccio a due valori associati si propone di raggiungere, in forma sintetica: coerenza e consequenzialità nelle sue azioni umane e rivoluzionarie.

In misura comprensibilmente diversa da un gruppo sociale all’altro, gli altri vengono spesso giudicati in base al livello di “coerenza” che mostrano tra ciò che “dicono” e ciò che “fanno”.

L’aggettivo si applica a chiunque abbia una condotta, soprattutto nella vita quotidiana, logicamente in linea con i principi e gli ideali che proclama e dice di professare. E l’aggettivo “coerente” è attribuito a chi, inoltre, è capace di assumersi tutti i costi delle proprie scelte di vita, compresi i sacrifici e le perdite, quando decide come agire in accordo con le idee che difende.

Due esempi intrecciati, basati sulle sue idee e sulle sue decisioni, illustrano il grado in cui il Che è riuscito a essere sia coerente che consistente. Il primo riguarda la sua vocazione e il suo impegno latinoamericano, il secondo l’antimperialismo radicale che sviluppò sulla base di una profonda conoscenza dello sviluppo del capitalismo e degli Stati Uniti.

In Notas de Viaje, una vibrante cronaca del suo primo viaggio attraverso l’America Latina, sottolineava questa affermazione premonitrice: “Il personaggio che ha scritto queste note è morto quando ha rimesso piede sul suolo argentino, quello che le ordina e le lucida, “io”, non sono io, almeno non lo stesso vecchio io. Questo vagare senza meta per la nostra capitale America mi ha cambiato più di quanto pensassi”. Il 14 giugno 1952, in Perù, viene festeggiato per il suo 24° compleanno. Nel ringraziare l’amico per il gesto, conclude brindando al Perù e all’America Unita, un’idea di chiara ispirazione bolivariana nel suo caso.

Dopo questo primo viaggio in Cile, Perù, Colombia e Venezuela, ebbe una prima e documentata visione dello stato delle relazioni di dominio nel continente, delle sue disuguaglianze e della sua dipendenza da coloro che chiamò “stronzi gringo”.

Il 7 luglio 1953 iniziò il suo secondo viaggio latinoamericano in Bolivia. Voleva vedere la cosiddetta Rivoluzione del 1952.

L’esperienza non lo soddisfa. Commentando una delle manifestazioni a sostegno del governo, la descrisse come “pittoresca, ma non virile”.

Riteneva che al processo “mancassero i volti energici dei minatori”. Ormai conosceva bene gli insegnamenti di San Carlo, come era solito chiamare Marx, e aveva ben chiaro il ruolo del proletariato come fattore di cambiamento rivoluzionario. Era anche preoccupato per la conciliazione tra la borghesia alleata del Movimento Nazionalista Rivoluzionario e il governo degli Stati Uniti.

Decise di continuare il suo viaggio. Attraverso il Perù arrivò in Ecuador. Qui venne a conoscenza delle azioni nazionaliste di Jacobo Árbenz in Guatemala. Si recò a Panama e da lì viaggiò con diversi mezzi di trasporto fino al Costa Rica.

L’esperienza gli permette di conoscere più direttamente la presenza economica e l’influenza politica degli Stati Uniti nella regione centroamericana. Il 23 dicembre è arrivato in Guatemala. Questa sarebbe stata la prima grande scuola della sua formazione rivoluzionaria. Si propone di difenderla e la vede cadere con l’appoggio degli Stati Uniti e dei governi lacchè sotto la protezione dell’OSA. Ciò che osservò lo radicalizzò ancora di più.

Scrive alla zia Beatriz il 10 dicembre 1953 dal Costa Rica: “Ho avuto l’opportunità di passare attraverso i domini della United Fruit, convincendomi ancora una volta di quanto siano terribili queste piovre capitaliste. Ho giurato davanti a un’immagine del vecchio e compianto compagno Stalin che non avrò pace finché queste piovre capitaliste non saranno annientate. In Guatemala mi perfezionerò e otterrò ciò che mi manca per essere un vero rivoluzionario”. Il 5 gennaio 1954 scrive nuovamente a Beatriz, ma ora dal Guatemala. Dopo averle detto che “il denaro non significa nulla per me”, aggiunge questa osservazione: “C’è ogni giornale mantenuto dalla United Fruit che, se fossi Árbenz, chiuderei in cinque minuti, perché sono una vergogna… e contribuiscono a formare l’atmosfera che l’America vuole…”.

Il 12 febbraio 1954 disse a Beatriz: “La mia posizione non è affatto quella di un dilettante chiacchierone e nulla più; ho preso una posizione ferma con il governo guatemalteco e, al suo interno, nel gruppo PGT, che è comunista”.

Alla fine del 1954, dal Messico, parlò alla madre delle difficoltà che stava incontrando con “Don Dinero”; le disse che era redattore dell’Agencia Latina e che questo gli dava di che vivere; la informò che stava scrivendo un “piccolo libro” su “Il ruolo del medico in America Latina” e, in tono scherzoso, ammise che “se non so molto di medicina, ho capito tutto dell’America Latina” (calada).

Aggiunge poi, a proposito delle decisioni prese su cosa fare da combattente quale si sente di essere: “Il modo in cui i gringos trattano l’America (ricordiamo che i gringos sono yanquis) mi provocava una crescente indignazione, ma allo stesso tempo studiavo la teoria della ragione del loro agire e la trovavo scientifica…”.

Il soggiorno nella terra degli Aztechi fu un momento decisivo della sua vita. Sul piano intellettuale, sottopone il suo Quaderno filosofico a una revisione finale. Prosegue gli studi generali e approfondisce il marxismo. Sul piano politico, ebbe l’incontro che gli diede la possibilità di diventare il Che: incontrò Fidel l’8 luglio 1955 e finì per essere, insieme a Raúl, il secondo membro della spedizione del Granma. Un particolare rilevante di questo incontro è stato raccontato da Fidel: “… quando si unì a noi, aveva posto un’unica condizione: che una volta finita la Rivoluzione, quando avesse voluto tornare in Sudamerica, non ci sarebbe stata nessuna convenienza o ragione di Stato a interferire con questo desiderio…”.

Questo impegno fu onorato, sia da parte cubana che da parte di Ché: l’atto eroico boliviano fu la testimonianza inequivocabile della sua incrollabile decisione di lottare per la seconda vera indipendenza del continente, in diretta opposizione al secolare interventismo imperiale degli Stati Uniti.

Ha dimostrato, in modo incontrovertibile, che uomini come lui hanno solo una degna opzione davanti a loro: essere coerenti e coerenti con ciò che hanno detto e con ciò che pensano.

Fonte: Granma

Traduzione: italiacuba.it


Dalla caccia, all’asta del Che

Hernando Calvo Ospina

Nel marzo del 1967, si installarono in Bolivia circa venti uomini delle forze speciali di contro-insurrezione statunitensi, alcuni dei quali provenienti dal Vietnam del Sud. Facevano parte delle Squadre Mobili di Addestramento (Mobile Training Team). Il loro compito era organizzare e addestrare un battaglione di “cacciatori” della giungla, un corpo d’élite noto anche come “Rangers”…

Erano guidati dal maggiore Ralph “Pappy” Shelton, un veterano della guerra di Corea e delle operazioni speciali clandestine in Laos e Vietnam. Shelton decise che gran parte delle reclute doveva provenire dagli indigeni Quechua. Secondo il militare, la conoscenza del terreno, della lingua e l’identità culturale avrebbero facilitato le relazioni e la collaborazione con la popolazione rurale. Inoltre, Shelton sosteneva che i Quechua erano più adatti agli ambienti della giungla rispetto agli indigeni Aymara. (1)

In parallelo al gruppo di Shelton, si unirono Félix Rodríguez Mendigutíae Gustavo Villoldo Sampera, entrambi di origine cubana e agenti della CIA. A loro si aggiunse Howard Hunt, uno degli uomini chiave della CIA coinvolto nel rovesciamento del presidente guatemalteco Jacobo Arbenz nel giugno del 1954. Durante il “Progetto Cuba”, che preparò la fallita invasione di Cuba a Playa Girón nell’aprile del 1961, Hunt fu responsabile dell’organizzazione del “Governo Provvisorio Cubano”. C’era anche Antonio Veciana Blanch, di origine cubana, che lavorava presso l’ambasciata statunitense a La Paz come funzionario dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), un’istituzione dipendente dal Dipartimento di Stato coinvolta nelle attività della CIA all’estero. Veciana era stato uno dei principali intermediari tra la CIA e la mafia di “Cosa Nostra” quando il presidente John F. Kennedy autorizzò questa “collaborazione” con l’obiettivo di assassinare Fidel e Raúl Castro, oltre a Che Guevara. (2)

Sia gli uomini di Shelton che gli altri erano in Bolivia per cercare, catturare o uccidere Che Guevara. La CIA non era riuscita a raggiungere il suo obiettivo in Congo. Il 24 aprile del 1965, il Che era arrivato in Tanzania con un piccolo gruppo di cubani. Da lì si era spostato in Congo, dove aveva stabilito contatti con i ribelli che combattevano contro il dittatore Joseph-Désiré Mobutu, sostenuto militarmente da statunitensi ed europei. Il Che era andato in Congo per consigliare il leader Laurent-Desire Kabilia che avevo chiesto alla dirigenza cubana consiglio sulle tattiche di guerriglia. Il rivoluzionario e i suoi uomini avevano lasciato il Congo a novembre, in accordo con i ribelli.

Il Che era giunto in Bolivia nell’andamento del novembre del 1966, utilizzando un passaporto uruguaiano e il nome di Adolfo Mena González. Pochi giorni dopo, si era unito al nascente movimento guerrigliero. L’obiettivo era consolidare un movimento ribelle che potesse avviare processi di liberazione in tutto il Sudamerica.

Quasi un anno prima, il 3 ottobre del 1965, durante la costituzione del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba, Fidel Castro aveva letto la toccante lettera di addio che il Che gli aveva scritto, dimettendosi da tutti gli incarichi ufficiali che gli erano stati assegnati dalla nascente Rivoluzione. “Altre terre nel mondo richiedono il mio modesto contributo. Posso fare ciò che ti è impedito dalla tua responsabilità di guidare Cuba ed è giunto il momento di separarci. Sappi che lo faccio con una mescolanza di gioia e tristezza. Qui lascio la mia più pura speranza di costruttore e la persona più cara tra tutte le persone care […] Nei nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai infuso, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, il senso del più sacro dei doveri: combattere l’imperialismo ovunque esso sia. Questo è un conforto che cura più di qualsiasi lacrima. Sottolineo ancora una volta che libero Cuba da qualsiasi responsabilità, se non quella derivante dal suo esempio […].”

L’ordine di inviare questa squadra alla “caccia” del Che fu emesso dopo che la CIA aveva ottenuto le foto scattate da un aereo spia U-2. Questo “aereo invisibile” aveva compiuto i suoi primi voli nel 1956. La sua esistenza divenne di dominio pubblico il 1° maggio del 1960, quando i sovietici ne abbatterono un esemplare sul loro territorio, scatenando una forte tensione tra le due nazioni. Due anni dopo, il 14 ottobre, fu proprio uno di questi velivoli a scattare le foto su Cuba che avrebbero scatenato la cosiddetta Crisi dei Missili. L’U-2 era apprezzato per la sua capacità di fotografare il terreno anche quando volava a un’altitudine di 20 chilometri. Le sue macchine fotografiche erano dotate di un sistema di rilevamento a infrarossi che registrava le radiazioni termiche più basse su pellicole ultrasensibili.

Questo aereo non fu l’unico mezzo utilizzato dalla squadra speciale statunitense per individuare l’esatta posizione della colonna di guerriglieri del Che. Se le informazioni ottenute da alcuni disertori e da persone catturate, che rivelarono informazioni sia volontariamente che sotto tortura, furono importanti, altrettanto significativa fu la sorveglianza da parte di altri aerei. Durante il giorno, aerei noleggiati dalla CIA e camuffati tra quelli delle compagnie petrolifere e del gas sorvegliavano l’intera regione meridionale della Bolivia, da Santa Cruz fino al confine con il Brasile, il Paraguay e l’Argentina. (3)

Una volta accertato che il Che era il comandante della colonna guerrigliera, un’altra sezione della CIA contribuì fornendo informazioni sul profilo psicologico del leader rivoluzionario attraverso lo Studio Psichiatrico della Personalità (PPS). Come la CIA fa per ogni persona nel mondo che analizza, il PPS del Che comprendeva indagini svolte da psicologi, psichiatri, giornalisti, ecc., sulla sua presunta personalità e sul suo comportamento fin dall’infanzia, comprese eventuali malattie e persino preferenze sessuali.

L’importanza strategica della cattura o dell’uccisione del Che fu dimostrata l’9 aprile del 1967. Quel giorno, come raramente accadeva, gli alti funzionari civili e militari responsabili dell’America Latina si riunirono alla Casa Bianca per discutere i prossimi passi. Per il Pentagono erano presenti il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito e il Comandante del Comando Sud, accompagnati dai loro superiori e dagli agenti investigativi. Per la Casa Bianca e il Dipartimento di Stato erano presenti l’Assistente Segretario di Stato per gli Affari Regionali, un consulente del Consiglio di Sicurezza Nazionale e diversi consulenti. La riunione fu presieduta dal Segretario di Stato Dean Rusk e da Richard Helms, capo della CIA.

Il punto di scontro si trovava vicino al fiume Ñancahuazu. Rodríguez Mendigutía e Villoldo Sampera guidarono le truppe boliviane. Ferito in combattimento, il Che fu catturato l’8 ottobre del 1967 e ucciso il giorno successivo all’interno della modesta scuola di La Higuera, in uno stato di indifesa totale.

Anni dopo, Rodríguez Mendigutía si vantò di essere stato l’ultimo statunitense e l’ultimo cubano a vedere il Che in vita. Fu lui a trasmettere l’ordine da Washington a un sergente boliviano di sparare al guerrigliero. Nella sua attuale casa, una sorta di bunker nella zona di Miami, conserva il suo “museo” personale, esponendo l’orologio Rolex d’acciaio e la pipa che aveva rubato al Che. Alcuni dettagli delle sue azioni durante questa operazione sono stati descritti in un rapporto declassificato dalla CIA nel 1993 (4).

In accordo con il piano di Washington, Gustavo Villoldo Sampera fu incaricato della sepoltura segreta del Che, con l’intento di “impedire all’Avana di onorare i suoi resti come monumento alla rivoluzione”. (5)

Tuttavia, ciò che non riuscì ad impedire fu il contrario: il Che divenne uno dei più grandi simboli della lotta rivoluzionaria per la libertà nella storia dell’umanità.

E non poté nemmeno evitare che il Che tornasse a Cuba. Il 28 giugno del 1997, un gruppo di esperti cubani e argentini scoprì una fossa comune a Vallegrande, in Bolivia, che conteneva i resti del Che e di altri sei guerriglieri. Il 12 luglio, i resti furono trasferiti a Cuba e accolti dai loro parenti e da tutto il popolo cubano in una cerimonia semplice ma significativa. Oggi riposano nel mausoleo di Plaza Ernesto Che Guevara a Santa Clara.

Nel 2007, una libreria texana ospitò un’asta organizzata da Villoldo Sampera. In vendita c’erano le impronte digitali del Che e una ciocca di capelli tagliata dal suo cadavere, oltre alle mappe della missione di individuazione e cattura. Sperava di ottenere mezzo milione di dollari. Nonostante la notizia sia stata riportata dalla stampa mondiale, fu costretto a vendere i suoi “trofei” a un unico offerente per 100.000 dollari. Molti credevano che possederli avrebbe portato sfortuna.

—————————-

(Traduzione di Roberto Casella)

Note

1) Gillet, Jean-Pierre. Les bérets verts. EI comando de la CIA. Albin Michel. Parigi, 1981.

2) Rapporto della Commissione speciale presieduta dal senatore Frank Church: “Presunti complotti di assassinio che coinvolgono leader stranieri”. Rapporto provvisorio del Comitato ristretto per lo studio delle operazioni governative in relazione alle attività di intelligence del Senato degli Stati Uniti d’America. Novembre 1975. U.S. Government printing office 61-985. Washington, 1975.

3) Jean-Pierre Gillet. Ob.cit.

4) http://www.gwu.edu/ nsarchiv/NSAEBB…

5) El Nuevo Herald, “Villoldo : Yo enterré al Che” Miami, 21 settembre 1997.


L’amore è stato la bussola del Che

 

Perché il Che non morì in quell’ottobre di quasi 56 anni fa?  Perché umiliarlo se lui fu più grande dei suoi vessatori?

«Si rilassi e miri bene! Lei sta per uccidere un uomo!», disse al vice ufficiale  assassino, guardandolo negli occhi in quel fatidico 9 ottobre del 1967.

Un cubano che fu agli ordini del  Comandante Guerrigliero esalta le qualità umane e d’amore di chi continua ad essere il Che, il suo capo in combattimento e nella vita quotidiana.

Efrén de Jesús León Nápoles –León, come lo conoscono i suoi familiari – a  86 anni ne fa il ritratto in carne e osa la vera figura degli Eroi.

Il tenente colonnello (r) delle Forze Armate Rivoluzionarie aveva 20 anni quando giunse sulla Sierra, vestito da contadino, coi pantaloni rotti e le scarpe senza stringhe.

León, che ha una memoria prodigiosa, ricorda il Che al di fuori dei canoni noti, l’uomo valoroso, il Guerrigliero, lo stratega militare, battendosi sulla Sierra Maestra, nella conquista della caserma de Güinía de Miranda, nella Battaglia di Santa Clara, nel Congo, nell’inospitale selva boliviana … statista brillante, intellettuale, economista,…

«Perché il Che ha fatto tanto in così poco tempo?», si chiede León.

E lui stesso risponde: «Per convinzione ma soprattutto per amore».
Si dedicò con amore a tutto quello che fece.

Quando seppe che sua nonna era malata, entrò nella sua stanza e non ne uscì sino a che lei chiuse gli occhi. Allora decise di diventare un medico.

«Quando giungevano i feriti nella Sierra, lui li curava facendo valere la sua condizione di medico. Il Che era creativo, entusiasta e sapeva essere il primo in tutto, e per questo fu il primo a guadagnarsi  i gradi di Comandante.

Lasciato El Salto, nella Sierra Maestra, il 31 agosto del 1958, la colonna 8 Ciro Redondo, comandata da Guevara, con 140 uomini, attraversò parte del territorio orientale, sino a raggiungere le pianure di Camagüey.

Efrén racconta che quando il Che li riunì per parlare della missione d’andare a Las Villas, realizzando una strategia militare ordinata da Fidel Castro, li avvisò dei rischi che questo poteva provocare.

Combattere nel piano non era come farlo sulle montagne, disse loro, e che non era obbligatorio fare quella traversata.

«È un atto d’amore, anche quello che dice a Fidel, nella lettera di commiato: … È giunta l’ora di separarci. Si sappia che lo faccio con una miscela d’allegria e di dolore; si sappia che io lascio qui le mie speranze più pure di costruttore e tutto l’amore per i miei cari più amati … e lascio un popolo che mi ha accettato come un figlio».

«Chi può dubitare che non fu per un atto d’amore che salpò nello yacth Granma verso Cuba, il 25 novembre del 1956, dopo che Raúl lo aveva presentato a Fidel, verso una patria che non era la sua, ma che amò tanto che, nella sua lettera di commiato riconobbe che se gli giungeva l’ora definitiva, il suo ultimo pensiero sarebbe stato per questo popolo e soprattutto per Fidel?».

Efrén lo dice piano. La sua gola si muove come dovesse inghiottire qualcosa: «Il Che non perse la fede nell’amore neanche nei momenti più difficili, in mezzo a enormi vicissitudini, scarsità o mancanza totale di alimenti, marce faticose nelle montagne e nella selva, l’assedio costante del nemico con poderosi mezzi da combattimento…».

Chi può dubitare allora che non fu un gesto d’amore quando, nella piccola scuola di la Higuera, chiamò traditore e sputò in faccia a quel mercenario, agente della CIA, o quando gli disse: «Digli a Fidel che presto ci sarà una rivoluzione trionfante in America».


Un gigante morale la cui forza e influenza si sono moltiplicate in tuta la terra

L’esempio del Comandante Ernesto Guevara de la Serna supera le frontiere  di Cuba e Bolivia, pera mantenersi vivo, di generazione in generazione, nella coscienza dell’umanità.

Il corpo di Ernesto Che Guevara fu colpito dalle pallottole, 56 anni fa, sparate da sottoufficiale boliviano che obbediva agli ordini dell’Agenzia Centrale d’Intelligenza (CIA), degli USA. Era stato ferito in combattimento e fatto prigioniero a Quebrada del Yuro, quando aveva terminato tutti i suoi proiettili.

Fu portato nella piccola scuola del paesino montagnoso boliviano di  La Higuera, da dove il suo legato continua ad espandere  il suo messaggio antimperialista in tutto il mondo.

Ogni 8 ottobre, giorno della cattura nel 1967 del mitico Comandante Guerrigliero, persone di ogni latitudine viaggiano a La Higuera, per rendere uno spontaneo omaggio a chi incarnò, come nessun altro,  l’archetipo dell’Uomo nuovo.

In ogni anniversario della nascita o della morte del Che, come lo si conosce nel mondo, ravvivano l’impulso delle sue idee e l’esempio del valore senza limiti che gli fecero superare l’asma sin da piccolo, viaggiare per paesi dell’ America del Sud, per conoscerli «da dentro», opporsi al colpo di Stato contro il presidente Jacobo Árbenz, in Guatemala, patrocinato dalla CIA, e arruolarsi in Messico nella spedizione che Fidel preparava per liberare Cuba da una sanguinosa tirannia, preludio delle sue prodezze successive nell’Esercito Ribelle.

La sua enorme statura come politico diplomatico e nuovamente come guerrigliero nel Congo e in Bolivia è ben nota.

È grande il valore di chi su una sedia di legno nella piccola scuola di La Higuera, senza potersi muovere per le sue ferite, fu capace di ordinare al suo agitato  assassino: «Lei viene a uccidermi! Si rilassi e miri bene. Lei sta per uccidere un uomo!».

La personalità del Che era multiforme. Oltre al suo valore e all’innato talento strategico come militare, era un analista profondo di temi politici e filosofici, radicati nel suo concetto che per ottenere lo sviluppo di un paese prima di tutto si dovevano ottenere l’indipendenza e la sovranità piena e consolidare allora la sua propria identità culturale

E lo dimostrò dopo il difficile sbarco dello yacht Granma, quando dovette abbandonare con dolore la sua valigetta di medico per portare una cassa di munizioni e un fucile e diventare per sempre un combattente.

Il Che fu un medico che divenne un soldato senza smettere d’essere un dottore nemmeno un solo minuto.

In una data tanto importante come il 7 ottobre 1959, a pochi mesi  dal trionfo rivoluzionario, il Che approfondì queste idee, affermando  in una conferenza stampa che «l’impegno dei poteri coloniali in tutto il mondo è stato sempre affogare la cultura autoctona della nazione; distruggere i credo propri di un popolo e inculcare la cultura del loro paese d’origine, dei loro costumi. Si possono vedere sempre i tentativi dei poteri coloniali per trasformare tutto, adattando tutto al loro tipo mentale, alle forme di vita e d’organizzazione».

Pretendere di sintetizzare le sfumature della sua vita dicendo che fu stratega  militare, medico, politico con un profondo senso umanista, ideologo promotore della formazione dell’Uomo nuovo, economista, analista acuto, giornalista e fondatore dell’agenzia latinoamericana Prensa Latina, scrittore e diplomatico, sarebbe come schematizzare la sua integralità come rivoluzionario.

Ma ometterle sarebbe mancare alla realtà di chi, nella sua breve vita di 39 anni  in Cuba fu comandante guerrigliero, portò la Rivoluzione sino al  centro dell’Isola, affrontando un esercito di più di 20 000 uomini,  presidente del Banco Centrale di Cuba, ministro delle Industrie, diplomatico in trascendentali missioni nelle Nazioni Unite,
nell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) a Punta del Est, in Uruguay, e in quelle che portarono alla firma degli accordi commerciali e militari con l’Unione Sovietica.

Ma il Che non dimenticò mai l’impegno che si era fatto promettere dal leader della Rivoluzione Cubana, dalla sua unione al gruppo in Messico, che una volta trionfata la lotta nell’Isola non gli avrebbe posto ostacoli per continuare nel suo impegno per liberare altri paesi.

Pensava semre alla sua natale  Argentina, dove il giornalista conterraneo Jorge Ricardo Masetti, creò nel 1964 un focos guerrigliero a Salta, come Comandante Segundo, perche il Comandante Primero sarebe stato il Che, ma che non fu possibile.

HASTA LA VICTORIA SIEMPRE

Al principio del 1965, Guevara de la Serna scrisse una lettera di commiato a Fidel – che la lesse nella costituzione del primo Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba–, rinunciando a tutti i suoi incarichi, alla nazionalità che gliera stata assegnata nel 1959, e annunciando la su partenza verso «nuovi campi di battaglia». Terminava la lettera con la frase «Hasta la victoria siempre», divenuta da allora una convinzione del popolo cubano.

Dopo una fallita esperienza africana nella lotta per la libertà del Congo, il Che decise di concentrare i suoi sforzi in America Latina.

Considerò che la Bolivia era allora il paese con il maggior sviluppo di coscienza popolare, soprattutto del movimento minerario, che era il cuore dell’America del Sud e confinava con Argentina, Cile, Perù, Brasile e Paraguay.

Il 3 novembre del 1966, il Comandante Guevara de la Serna giunse in Bolivia con la falsa identità di Adolfo Mena González, e con passaporto uruguaiano e il 7 di quel mese iniziò  il su Diario della Bolivia, installandosi in una zona montagnosa e selvatica, vicino al fiume Ñancahuazú, dove la Cordigliera della Ande si unisce alla regione del Gran Chaco.

La storia eroica dell’incipiente Esercito di Liberazione Nazionale della Bolivia (ELN) è mondialmente conosciuta, formato da 47 guerriglieri  (16 internazionalisti cubani, 26 boliviani, tre peruviani e due  argentini), dei quali Tania (Tamara Bunke) era l’unica donna.

Sferrò numerosi combattimenti negli 11 mesi di durata della contesa contro un esercito addestrato e armato da assessori yankee.

È mondialmente conosciuto  anche il difficile impegno di un gruppo di scienziati cubani, dal 1995  per realizzare l’impegno contratto il Comandante in Capo Fidel Castro Ruz, di non lasciare abbandonato un combattente e di portare a Cuba i resti mortali del Che e del suo distaccamento guerrigliero.

In due anni incontrarono una parte dei guerriglieri, ma i resti del Che non apparivano.

Il 28 giugno del 1997, grazie alle rivelazioni di un Generale boliviano ritirato, incontrarono a Vallegrande, dopo 30 anni, sette corpi seppelliti clandestinamente, in una fossa comune, e identificarono, con  l’appoggio dello staff argentino d’ Antropologia Forense, quello di Ernesto Guevara e sei dei suoi uomini.

Il 17 ottobre del 1997, depositando a Cuba i resti del Guerrigliero Eroico nel Mausoleo che porta il suo nome a Santa Clara, Fidel disse che: «Non siamo venuti e salutare il Che e i suoi eroici compagni. Veniamo a riceverli.  Vedo il Che e i suoi uomini come un rinforzo, come un distaccamento di combattenti invincibili che stavolta non include solo cubani, ma anche latinoamericani che vengono a lottare con noi,  a scrivere nuove pagine di storia e di gloria. Vedo, inoltre, il Che come un gigante morale che cresce ogni giorno, la cui immagine, la cui forza, la cui influenza si sono moltiplicate per tutta la terra».

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